Cass. Sez. III n. 33839 del 4 settembre 2007 (Up 5 lug. 2007)
Pres. Vitalone Est. Petti Ric. Lanza
Acque. Acque meteoriche di dilavamento (disciplina)

La disciplina delle acque meteoriche di dilavamento è interamente contenuta nell'art. 113 del D.Lgs. 152-2006, il quale riproduce sostanzialmente il contenuto dell'art. 39 del D.Lgs. 152-1999, come modificato dal D.Lgs. n. 258-2000. Detto articolo prevede al comma l che le Regioni ai fini della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali, stabiliscano e disciplinino: l) forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate(cioè adibite a raccogliere esclusivamente acque meteoriche); 2) i casi in cui può essere richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate (diverse dalle reti fognarie separate), siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa l'eventuale autorizzazione.
Questi sono gli unici casi in cui le acque meteoriche sono soggette al D.Lgs. 152-2006.
Il comma 2 dell'art. 113 prevede infatti che fuori di dette ipotesi "le acque meteoriche non sono soggette a vincoli o prescrizioni derivanti dalla parte terza del presente decreto" (e quindi, ove non siano commiste ad altri reflui prodotti dall'attività antropica, non costituiscono uno "scarico" soggetto alla disciplina del D.Lgs. 152-2006). Tuttavia, deve essere segnalata al riguardo una importante modifica introdotta con la nuova definizione di acqua reflua industriale dall'art. 74 lettera h) del D.Lgs. 152-2006. Mentre infatti nel regime del D.Lgs. 152-1999 le acque di dilavamento sembravano apparentemente escluse dalla nozione di scarico anche ove si trattasse di acque che avessero raccolto sostanze inquinanti provenenti da insediamenti industriali, la nuova disciplina ridefinisce la acque reflue industriali come "qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connesse con le attività esercitate nello stabilimento". La nuova definizione, come la precedente, esclude dalle acque reflue industriali quelle meteoriche di dilavamento, precisando però che devono intendersi per tali anche quelle contaminate da sostanze o materiali non connessi con quelli impiegati nello stabilimento. Sembrerebbe perciò che quando le acque meteoriche siano, invece, contaminate da sostanze impiegate nello stabilimento, non debbano più essere considerate come "acque meteoriche di dilavamento", con la conseguenza che dovrebbero essere considerate reflui industriali.

In fatto

Con sentenza del 28 aprile del 2006, il tribunale di Nola condannava Lanza Antonino alla pena di euro 2.000 di ammenda, quale responsabile, in concorso di circostanze attenuanti generiche, del reato di cui all’articolo 59 del decreto legislativo n. 152 del 1999 perché, nella sua qualità di legale rappresentante della SIET s.r.l., effettuava in assenza di autorizzazione uno scarico di acque reflue provenienti da un impianto industriale. Fatto accertato in Mariglianella il 17 dicembre del 2004.

Secondo la ricostruzione fattuale contenuta nella sentenza impugnata, alla via XXI Settembre del Comune di Mariglianella, esisteva un piazzale di proprietà della società SIET utilizzato dalla predetta come parcheggio per i propri automezzi adibiti al trasporto di rifiuti. Nel medesimo piazzale esisteva altresì un impianto di autolavaggio. Le acque piovane miste a residui di olio provenienti dai motori degli automezzi parcheggiati sul piazzale unitamente a quelle scaturite dall’autolavaggio finivano in un fognolo privo di collegamento con la rete fognaria per poi disperdersi nel terreno circostante senza alcun controllo.

Sulla base di tale ricostruzione fattuale, il Lanza, quale legale rappresentante della società, è stato ritenuto responsabile del reato ascrittogli.

Ricorre per cassazione il difensore deducendo:

- illogicità della motivazione e travisamento della prova poiché dalle dichiarazioni dei verbalizzanti, analiticamente indicate, era emerso che sul quel piazzale non esisteva alcun insediamento produttivo, posto che l’autolavaggio, come precisato dagli stessi testimoni dell’accusa, non era funzionante e che non v’era prova della commistione delle acque meteoriche con eventuali residui di olio provenienti dai motori degli automezzi parcheggiati in quel piazzale;

- violazione della legge penale ed illogicità della motivazione in ordine al riferimento del fatto al prevenuto, giacché non era stata provato che fosse il legale rappresentante della società all’epoca del fatto: le dichiarazioni rese sul punto dal teste Del Gaudio non erano utilizzabili nella parte in cui il predetto teste aveva riferito di avere appreso dal dipendente Coco che il legale rappresentante della società era l’imputato.

 

In diritto

Il primo motivo è parzialmente fondato e va accolto per quanto di ragione.

Anzitutto si rileva che dagli atti probatori specificamente indicati dal ricorrente risulta che l’autolavaggio non era in funzione e, d’altra parte, il tribunale, non ha indicato gli elementi in base ai quali ha ritenuto che nel fognolo confluissero residui di olio provenienti proprio dai motori parcheggiati in quel piazzale. Si osserva inoltre che lo stesso reato contestato non è ipotizzabile, in quanto il fatto addebitato potrebbe eventualmente configurare la contravvenzione di abbandono di rifiuti liquidi prevista dal decreto legislativo n. 22 del 1997.

In punto di fatto si è accertato che le acque meteoriche, mescolandosi con altre sostanze, anche oleose, andavano a finire in un fognolo e da lì si disperdevano poi nel terreno circostante. Ciò premesso, si rileva che, nella normativa in materia di inquinamento idrico e segnatamente nel decreto legislativo n. 152 del 1999, applicabile alla fattispecie ratione temporis, accanto alla definizione di acque reflue industriali ed a quella di acque reflue urbane si faceva riferimento ad una diversa e distinta tipologia di acque e cioè alle acque meteoriche di dilavamento” (articolo 2 lettera h) decreto legislativo n. 152 del 1999, come modificato dal decreto legislativo correttivo n. 258 del 2000). Le acque meteoriche di dilavamento, pur essendo riconducibili ad un fenomeno naturale, possono comunque essere interessate dall’attività antropica in modo importante ed interagire con l’ambiente in modo pesantemente negativo; le stesse, infatti, in relazione al luogo dove si riversano e alle modalità con cui vengono raccolte, trasportano spesso sostanze inquinanti nei corpi recettori.

Le acque meteoriche di dilavamento sono quindi costituite dalle acque piovane che, depositandosi su un suolo impermeabilizzato, dilavano le superfici ed attingono indirettamente i corpi recettori. Quando queste vengono in qualsiasi modo convogliate nella rete fognaria, si mischiano con le acque reflue domestiche e/o industriali. Tali acque non erano definite né disciplinate dalla legge Merli, tuttavia, stante il possibile impatto sull’ambiente quando esse interagivano con altri reflui o con contaminanti derivanti dall’attività antropica, la giurisprudenza aveva avuto modo di occuparsene in più riprese, inquadrandole come “scarico” e stabilendone talora la sottoposizione al regime, anche penale, degli scarichi industriali (cfr. Cass. n 12186 del 1999). Tale concetto, che esclude quindi che possano essere considerate “acque meteoriche” quelle in cui sia rilevante la confluenza con altri reflui o commistione con altre sostanze inquinanti provenienti da un insediamento produttivo, è stato affermato anche nel vigore del D.Lgs. 152/1999, ma prima della modifica introdotta dal D.Lgs. 258/2000. Si è infatti ritenuta la sussistenza del reato di cui all’articolo 59 del decreto legislativo n. 152 del 1999, qualora i reflui piovani rappresentassero solo una componente dello scarico. Al contrario il reato non è stato considerato integrato qualora lo scarico fosse costituito esclusivamente da acque meteoriche, poiché in questo caso veniva a mancare qualsiasi collegamento, sotto forma di diretta derivazione, dal ciclo produttivo di un insediamento commerciale o industriale. In definitiva le acque meteoriche e di dilavamento (si considerano acque di dilavamento solo quelle meteoriche che cadono su superfici impermeabili essendo queste le uniche che possono essere dilavate), non erano in se stesse considerate “scarico” nel concetto previsto e delineato formalmente dall’articolo 2 lettera bb) del D.Lgs. n. 152/1999, prima dell’intervento correttivo attuato con il decreto legislativo n 258 del 2000. Pur tuttavia, se un’acqua meteorica andava a “lavare”, anche se in modo non preordinato e sistematico (quindi discontinuo), un’area soggetta ad attività, produttiva anche passiva, e trasportava con sé elementi residuali di tale attività, cessava la natura pura e semplice di acqua meteorica e l’acqua diventava in qualche modo uno scarico vero e proprio e quindi era assoggettato naturalmente alla disciplina degli “scarichi” con la conseguente necessità dell’autorizzazione. In tal caso, infatti, l’acqua perdeva la caratteristica unica ed esclusiva di acqua meteorica ed andava a fondersi con gli elementi reflui (sistematici o episodici) dell’azienda, fungendo da vettore improprio per la convogliabilità diretta verso il corpo ricettore.

Con le correzioni apportate al decreto legislativo n. 152 del 1999 per mezzo del decreto legislativo n. 258 del 2000 è cambiata la nozione di scarico che è stata limitata a qualsiasi immissione diretta tramite condotta di acque reflue o comunque convogliabilità (art. 2 lettera bb del decreto legislativo n. 152 del 1999) ed è stata altresì puntualizzata con l’articolo 39 la disciplina delle acque meteoriche. Di conseguenza è stato abbandonato l’ampio concetto di scarico presupposto dalla legge 10 maggio del 1976 n. 319 che comprendeva scarichi di ogni tipo, diretto o indiretto e quindi anche occasionali. A seguito di tale modificazione non costituisce più scarico diretto che richiede la previa autorizzazione quello che non convoglia acque reflue tramite condotta o comunque tramite un sistema stabile di deflusso anche se non necessariamente costituito da tubazioni. A seguito delle modificazioni apportate all’articolo 39 il legislatore ha devoluto alle Regioni il compito di disciplinare le forme di controllo degli scarichi delle acque meteoriche (comma I lettera a dell’articolo 39) e quello di indicare i casi in cui possono essere imposte particolari prescrizioni per le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento effettuate tramite altre condotte separate (comma I lettera b) ovvero per le acque di prima pioggia o di lavaggio qualora vi sia rischio per l’ambiente (comma 3). Nello stesso tempo il legislatore ha vietato comunque lo scarico e l’immissione diretta di acque meteoriche nelle acque sotterranee (comma 4) specificando tuttavia che il divieto generale di scarico sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo non si applica agli “scarichi di acque meteoriche convogliate in reti fognarie separate” (art. 29 comma I lettera e).

In ogni caso le acque meteoriche che non rientravano nella regolamentazione regionale non erano soggette ai vincoli ed alle prescrizioni del decreto legislativo n. 152 del 1999. In tale situazione le acque meteoriche di dilavamento, se non erano canalizzate, non avevano la natura di scarico per il quale era prevista l’autorizzazione penalmente sanzionata, ma potevano essere sottoposte alle norme sui rifiuti allorché con il dilavamento delle superfici su cui cadevano producessero rifiuti liquidi.

Attualmente la disciplina delle acque meteoriche di dilavamento è interamente contenuta nell’art. 113 del D.Lgs. 152/2006, il quale riproduce sostanzialmente il contenuto dell’art. 39 del D.Lgs. 152/1999, come modificato dal D.Lgs. n. 258/2000.

Detto articolo prevede al comma 1 che le Regioni ai fini della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali, stabiliscano e disciplinino:

1) forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate (cioè adibite a raccogliere esclusivamente acque meteoriche);

2) i casi in cui può essere richiesto che le immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate tramite altre condotte separate (diverse dalle reti fognarie separate), siano sottoposte a particolari prescrizioni, ivi compresa l’eventuale autorizzazione.

Questi sono gli unici casi in cui le acque meteoriche sono soggette al D.Lgs. 152/2006.

Il comma 2 dell’art. 113 prevede infatti che fuori di dette ipotesi “le acque meteoriche non sono soggette a vincoli o prescrizioni derivanti dalla parte terza del presente decreto” (e quindi, ove non siano commiste ad altri reflui prodotti dall’attività antropica, non costituiscono uno “scarico” soggetto alla disciplina del D.Lgs. 152/2006). Tuttavia, deve essere segnalata al riguardo una importante modifica introdotta con la nuova definizione di acqua reflua industriale dall’art. 74 lettera h) del D.Lgs. 152/2006. Mentre infatti nel regime del D.Lgs. 152/1999 le acque di dilavamento sembravano apparentemente escluse dalla nozione di scarico anche ove si trattasse di acque che avessero raccolto sostanze inquinanti provenienti da insediamenti industriali, la nuova disciplina ridefinisce la acque reflue industriali come “qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connesse con le attività esercitate nello stabilimento”. La nuova definizione, come la precedente, esclude dalle acque reflue industriali quelle meteoriche di dilavamento, precisando però che devono intendersi per tali anche quelle contaminate da sostanze o materiali non connessi con quelli impiegati nello stabilimento. Sembrerebbe perciò che quando le acque meteoriche siano, invece, contaminate da sostanze impiegate nello stabilimento, non debbano più essere considerate come “acque meteoriche di dilavamento”, con la conseguenza che dovrebbero essere considerate reflui industriali. In particolare, mentre in precedenza appariva evidente l’intento del legislatore di espungere il più possibile dal D.Lgs. 152/1999 le acque meteoriche in mancanza di apposita disciplina regionale e, stante il chiaro tenore letterale delle norma, non pareva più possibile l’equiparazione delle acque di dilavamento (seppure contaminate) delle aree esterne di un’azienda alle acque industriali, con il D.Lgs. 152/2006 le acque di dilavamento contaminate dall’attività produttiva tipica dell’insediamento da cui provengono sembrano doversi ritenere assimilate a quelle industriali, e quindi soggette al relativo regime normativo. Inoltre con il decreto legislativo n. 152 del 2006 sono state modificate sia la definizione di scarico che quella d’inquinamento. Per quanto concerne la definizione scarico è stato eliminato il riferimento alla “ immissione diretta tramite condotta” (cfr. art. 74 lettere ff decreto legislativo n. 152 del 2006). Attualmente però è all’esame del Governo uno schema di decreto correttivo, emanato in base all’articolo 1 comma 6 della legge delega 15 dicembre 2004 n 308, in forza del quale sono consentite modificazioni ed integrazioni del decreto legislativo n. 152 del 2005 da emanarsi entro due anni dall’approvazione del decreto stesso, dirette a ripristinare la precedente nozione di scarico con il riferimento all’immissione diretta tramite condotta ed a sostituire la lettera h dell’articolo 74 per quanto riguarda la definizione di acque reflue industriali. In definitiva, per quanto concerne la fattispecie, dovrebbe essere ripristinata la disciplina previgente che è comunque applicabile ratione temporis alla fattispecie essendo nel complesso più favorevole di quella introdotta con il decreto legislativo n. 152 del 2006.

Quindi il reato contestato, per la mancanza di una condotta o comunque di una canalizzazione, non è configurabile mentre potrebbe essere configurabile l’abbandono di rifiuti liquidi qualora dovesse emergere che le acque meteoriche di dilavamento producessero rifiuti liquidi riconducibili all’attività svolta su quel piazzale dalla società. Siffatto accertamento non è stato adeguatamente espletato dal giudice del merito, il quale ha ritenuto comunque sussistente il reato di scarico senza autorizzazione originariamente contestato pure in mancanza di una condotta o canalizzazione.

La sentenza impugnata va quindi annullata con rinvio al giudice del merito il quale dovrà applicare i principi prima esposti e compiere l’accertamento dianzi indicato.

Il secondo motivo si deve ritenere assorbito nel primo dovendo il tribunale procedere ad una rivalutazione del materiale probatorio e quindi riesaminare anche la posizione del legale rappresentante della società.