Cass.Sez. III n. 42164 del 14 ottobre 2013 (Cc 9 lug 2013)
Pres.Fiale Est.Franco Ric.Brasiello.
Urbanistica.Ordine di demolizione e rilascio di permesso in sanatoria in sede di esecuzione

In materia edilizia, il giudice dell'esecuzione - investito dell'opposizione avverso l'ordine di demolizione conseguente a condanna per costruzione abusiva - ha il potere-dovere di verificare la legittimità del permesso di costruire in sanatoria sotto il profilo del rispetto dei presupposti e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio. (Fattispecie in cui è stata ritenuta legittima l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che aveva respinto l'istanza di revoca dell'ordine di demolizione di un manufatto abusivo per l'illegittimità del provvedimento di sanatoria).

 RITENUTO IN FATTO

B.C. propone personalmente ricorso per cassazione avverso l'ordinanza emessa dal giudice dell'esecuzione del tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Castellammare di Stabia, in data 29-11-2012, che aveva respinto la istanza di revoca dell'ordine di demolizione di cui alla sentenza del pretore di Castellammare di Stabia del 21-5-1993, con riferimento a reati di abuso edilizio.

A fondamento dell'ordinanza di rigetto il giudice pose la L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 39, secondo il quale possono formare oggetto di definizione agevolata le opere abusive che abbiano comportato un aumento di volumetria non superiore al 30% della volumetria della costruzione originaria o che, indipendentemente dalla volumetria iniziale o assentita, abbiano comportato un incremento di cubatura inferiore a 750 metri; in ogni caso deve trattarsi di opere che risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993.

In punto di fatto, il giudice dell'esecuzione: - escluse che il manufatto potesse ritenersi ultimato entro il 31 dicembre 1993; - affermò che la cubatura indicata nella motivazione della sentenza di condanna era palesemente superiore al limite massimo stabilito dalla L. n. 724 del 1994, art. 39.

Il ricorrente con il ricorso deduce: 1) violazione ed erronea applicazione della L. n. 724 del 1994, art. 39 e violazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 32, convertito nella L. n. 326 del 2003; 2) violazione ed erronea applicazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 5, per disapplicazione del permesso a costruire in sanatoria a seguito di due domande di condono; 3) violazione della L. n. 47 del 1985, art. 38, come richiamato dal D.L. n. 269 del 2003, art 32 e vizio di motivazione. A base di queste doglianze è stata posta la circostanza che il comune di Comune di Castellamare di Stabia, in applicazione della L. n. 724 del 1994, art. 39, aveva concesso, in data 2-10-2007, agli istanti B.P. e A. G., sulla base delle rispettive domande di condono n. 264 e 269, il permesso a costruire n. 38. Tale permesso aveva trovato le sue giustificazioni nella verifica effettuata dal Comune in base alla quale: - le opere abusive risultavano ultimate entro il 31.12.1993 (tanto era stato desunto, nel provvedimento amministrativo, dalla relazione tecnica e descrizione delle opere allegata al documento n. 38 prat. n. 264-269, dalla perizia giurata a firma del perito sig. C.F., dalla dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà del 04.07.1996 a firma del sig. B.P., dalle n. 2 richieste in sanatoria per abusi edilizi a firma di A. G. e B.P., dal certificato di residenza storico a nome del sig. B.P., dal pagamento delle bollette delle utenze relativamente al fabbricato in questione); - ognuna di tali costruzioni aveva comportato la realizzazione di una cubatura non superiore a 750 metri cubi; - le domande di condono riferite allo stesso fabbricato non avevano comportato una volumetria superiore a 3000 metri cubi, come disposto dall'art. 32 citato per le sole costruzioni residenziali.


CONSIDERATO IN DIRITTO

Va preliminarmente ricordato che, allorchè risulti essere stato rilasciato il permesso di costruire in sanatoria, il giudice dell'esecuzione ha il potere dovere di verificare la legittimità del provvedimento di sanatoria (Sez. 3^, 22.12.2005 n. 46831, Vuocolo, m.232642).

Il ricorrente deduce la violazione, da parte del giudice dell'esecuzione, della L. n. 724 del 1994, art. 39 e D.L. n. 269 del 2003, art. 32, per la ragione che il limite volumetrico per i fabbricati residenziali di nuova costruzione è fissato, da quest'ultima disposizione, nella misura di 3000 metri cubi totali, per un numero massimo di quattro domande di condono riferibili ad una unica opera abusiva realizzata.

Ritiene il Collegio che il motivo sia infondato e che non sussista alcun vizio motivazionale del provvedimento impugnato sulla valutazione del giudice dell'esecuzione in ordine alla suscettibilità di sanatoria dell'immobile abusivo, in applicazione della normativa sul condono edilizio di cui al D.L. n. 269 del 2003, convertito in L. n. 326 del 2003. Detta valutazione risulta invero correttamente ancorata alle risultanze di quanto accertato tramite il giudicato penale in ordine alla consistenza volumetrica del fabbricato, all'epoca di esecuzione dei lavori e all'esistenza del vincolo paesaggistico ambientale; risultanze fattuali che non possono essere rimesse in discussione in sede esecutiva.

In particolare, la circostanza che l'edificio abusivo in questione era situato in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale, impedisce che allo stesso possano essere applicate le disposizioni sul condono edilizio di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni nella L. 24 novembre 2003, n. 326.

Esattamente, quindi, il giudice dell'esecuzione ha ritenuto applicabili le sole norme relative al condono di cui alla L. 23 dicembre 1994, n. 724.

Ora, ai sensi della L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 39, per ciascun edificio deve intendersi un complesso unitario che fa capo ad un unico soggetto legittimato, per cui le istanze di condono eventualmente presentate in relazione alle singole unità che compongono tale edificio, devono riferirsi ad unica concessione in sanatoria, che riguarda quest'ultimo nella sua totalità. Tale assunto deriva dall'esigenza di non consentire - in violazione della ratio della citata norma - l'elusione del limite legale (mc 750) stabilito per la concedibilità della sanatoria, attraverso la considerazione delle singole parti in luogo dell'intero complesso (cfr., fra le tante, Sez. 3^, 26.4.1999, n. 8584, La Mantia, m. 214280).

Nella fattispecie in esame il giudice del merito ha del tutto plausibilmente ritenuto evidente che le due distinte istanze di condono presentate da B.P. e A.G. costituivano un espediente operativo per eludere, mediante due distinte concessioni in sanatoria, il parametro di me 750 posto dalla L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 39, quale limite legale per la concedibilità del condono, dal momento che la volumetria dell'unità immobiliare abusiva era complessivamente di me 959,00 circa. Il fatto che una delle due istanze di sanatoria fosse sottoscritta da A. G. - non avente alcun titolo giuridico rispetto al bene immobile di cui si chiedeva la sanatoria - non esclude - secondo il ragionevole convincimento del giudice dell'esecuzione - che, sostanzialmente, anche quest'ultima istanza facesse sempre capo al ricorrente B.P.. Consegue che entrambe le citate istanze erano comunque riconducibili ad un unico soggetto, che le aveva poste in essere per eludere il limite legale di mc 750.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Sede della Corte Suprema di Cassazione, il 9 luglio 2013.
Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2013