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E P U
B B
L I C
A I
T A L
I A
N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato
la seguente
D E C I S I O N E
sul ricorso in appello N.R.G. 3084 (N. Sez. 1065)
del 1991
, proposto dalla società Cemensud s.p.a., ora Italcementi s.p.a, in persona del
legale rappresentante,
rappresentata
e difesa
dagli
avv.ti Nicolò Paoletti e Bruno Lucchini,
elettivamente domiciliata
presso il primo in Roma, via B. Tortolini, n.34,
CONTRO
- la Regione Puglia
, in persona del presidente in carica della giunta regionale, non costituita,
- il Comune di Monopoli, in persona del sindaco in carica, rappresentato
e difeso
dagli
avv.ti Massimo Severo Giannini e Domenico Giannuli,
elettivamente domiciliato
presso il primo in Roma, via del Pellegrino n. 58/A,
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della Puglia, Bari, II Sezione, 13 marzo 1990,
n.22.
Visto
il
ricorso in appello
con i relativi allegati;
Visto
l’
atto
di costituzione in giudizio del Comune di Monopoli
;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 3 dicembre 2002
, relatore il consigliere Marcello Borioni, udito, altresì, l'avv. Nicolo'
Paoletti;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Il T.A.R. della Puglia, Bari, II Sezione, con
sentenza 13 marzo 1990, n.22, ha rigettato il ricorso proposto dalla Cemensud
s.p.a. avverso il P.R.G. del Comune di Monopoli approvato con D.P.G.R. 1
febbraio 1977, n. 248 e la variante generale al P.R.G.
approvata con D.P.G.R. 24 marzo 1977, n.722.
Nell’appello la società Cemensud, incorporata
nelle more del giudizio dalla Italcementi s.p.a., riferisce le ragioni in base
alle quali il T.A.R. ha ritenuto infondate le censure proposte con il ricorso di
primo grado, che “devono intendersi come integralmente riportate e
trascritte”.
Il Comune di Monopoli si è costituito in
giudizio per resistere all’appello, del quale ha chiesto il rigetto.
Con decisione 9 ottobre 1997, n.1105, questa
Sezione ha disposto incombenti istruttori.
Successivamente le parti hanno depositato
brevi memorie difensive.
Alla pubblica udienza del 3 dicembre 2002
, il
ricorso
veniva
trattenuto
per la decisione.
DIRITTO
La controversia ha per oggetto: a) il
P.R.G. del Comune di Monopoli adottato con deliberazioni consiliari n. 182, n.
183 e n. 184 rispettivamente del 14, 16 e 17 aprile 1970, approvato con D.P.G.R.
1 febbraio 1977, n. 248; b) la variante generale al P.R.G. adottata con delibera
consiliare 29 aprile 1975, n.119, e approvata con D.P.G.R. 24 marzo 1977, n.
722.
La società appellante ripropone,
anzitutto, le censure mosse con il primo e l’ottavo motivo del ricorso
originario, con le quali sosteneva rispettivamente l’illegittimità del P.R.G.
del Comune di Monopoli, perché approvato dopo l’adozione della variante
generale, e l'approvazione della variante generale, perché approvata soli due
mesi dopo l’annullamento e la riapprovazione del piano regolatore.
In realtà il P.R.G. era stato approvato
una prima volta con decreto del Presidente della giunta regionale 25 febbraio
1974, n.534, ma l’approvazione era stata annullata dalla stessa autorità con
decreto 28 gennaio 1977, n.188, in quanto non preceduta dalla deliberazione
della giunta regionale; il piano è stato riapprovato con decreto n.248 in data
1 febbraio 1977, emanato dopo che la giunta si era espressa nello stesso senso
con deliberazione 15 novembre 1976, n.7115.
Nella consecuzione logica e temporale degli
atti citati non è ravvisabile alcuna incoerenza né contraddittorietà, perché
la riapprovazione si è esaurita nella rimozione di un vizio di carattere
formale, intervenuto nella fase di approvazione del P.R.G.; inoltre, la variante
consiste sostanzialmente nella pianificazione delle zone stralciate in sede di
approvazione del P.R.G.; in ogni caso, è stata approvata dopo che il piano
regolatore era stato riapprovato e nessuna norma o principio esclude che nelle
more del procedimento di approvazione del piano regolatore venga attivato
dall’amministrazione comunale il procedimento di approvazione di una variante,
tanto più quando, come nella specie, siano trascorsi circa cinque anni
dall’adozione del P.R.G..
Per un più agevole esame delle
questioni successive è opportuno procedere seguendo l’ordine dei motivi
proposti con il ricorso originario, che riguardano dal secondo al settimo motivo
il piano regolatore generale, dall’ottavo al tredicesimo la variante.
Il secondo motivo del ricorso di
primo grado, con il quale veniva contestato l’omesso esame da parte del Comune
delle osservazioni presentate a suo tempo al piano regolatore generale, è stato
disatteso dal T.A.R. in base alla considerazione che “non occorre una
analitica e dettagliata confutazione delle osservazioni”.
Il Collegio condivide questo
indirizzo che è stato ripetutamente confermato anche dalla giurisprudenza più
recente (Cons. Stato, IV sez., 7 maggio 2002, n.2443; 22 maggio 2000, n.2914),
sicché, non avendo l’appellante indicato sotto quale profilo e per quale
ragione la sentenza sul punto sarebbe erronea, la censura va disattesa.
Con il terzo motivo del ricorso di primo
grado si prospettava l’illegittimità del P.R.G. per aver destinato “senza
motivazione e contemperamento degli interessi contrastanti” parte del sedime
dello stabilimento di proprietà della società ricorrente ad asse di
scorrimento camionabile (“porto
– strada statale n.16). Il T.A.R.
ha replicato che nel “bilanciamento degli opposti interessi pianificatori, fra
le programmate opere pubbliche ed un ipotizzato ampliamento futuro…di un
insediamento industriale venuto ormai a trovarsi quasi nel centro urbano, è
ragionevole che a recedere sia l’iniziativa privata e non quella pubblica,
ancorché anche la prima risponda anche a fini di utilità sociale”.
Anche in questo caso il principio affermato
dal T.A.R. è condivisibile, sicché la semplice riproposizione dei motivi di
primo grado è insufficiente a scalfire la sentenza impugnata. Va aggiunto che
l’asserita eventualità che la realizzazione dell’asse viario incida “in
misura preponderante sulla possibilità di adeguamenti tecnologici della
fabbrica” pecca di genericità e, comunque, lascia intendere che, allo stato,
non interferirebbe con la continuazione dell’attività produttiva.
Il quarto, il quinto e il sesto
motivo hanno per oggetto l’art.8 delle norme tecniche di attuazione del P.R.G.,
che condiziona l’utilizzazione delle aree industriali alla previa elaborazione
di un piano particolareggiato, definito “piano quadro”, da adottare e
approvare dalla Regione con la procedura di cui all’art. 8 della legge 6
agosto 1967, n.765.
Il T.A.R. ha rigettato il quarto
motivo osservando, in sostanza, che il piano particolareggiato costituisce il
normale mezzo di attuazione del P.R.G..
Sono però rimaste prive di
confutazione le censure con le quali si deduceva l’illegittimità delle
prescrizione che subordinerebbe al “piano quadro” i piani attuativi veri e
propri, oltre che gli specifici interventi edilizi, e limiterebbe l’attività
edificatoria “senza garanzia circa i tempi di esercizio della medesima”.
Entrambe le censure sono infondate.
In sede di approvazione del piano
regolatore la giunta regionale ha recepito le integrazioni e prescrizioni
contenute nella “relazione aggiuntiva” dell’Ufficio urbanistico regionale
del 29 gennaio 1974. Nella relazione (pag.10) si legge che all’art.8 delle
norme tecniche di attuazione è aggiunta, dopo le parole “piano
particolareggiato”, la frase “o piani di lottizzazione o piani quadro” e
si chiarisce che il “piano quadro è uno studio di parti più o meno estese
del territorio urbano..(che) contiene l’individuazione delle opere primarie e
secondarie di urbanizzazione e le direttive per le realizzazioni edilizie”. Da
ciò si deduce che il piano quadro è uno strumento parallelo, nella sostanza,
al piano particolareggiato e che è prevista, in alternativa all’uno e
all’altro, la possibilità per i privati di presentare un piano di
lottizzazione. Non è, quindi, esatto che l’attività edificatoria sia stata
subordinata all’adozione di uno strumento urbanistico atipico né che sia
stata di fatto sospesa a tempo indeterminato, in attesa di un atto di iniziativa
pubblica per la cui approvazione non è fissato alcun termine.
Circa il quinto motivo è sufficiente
ribadire quanto affermato dal T.A.R., e rimasto incontestato, e cioè che non vi
è ragione di ritenere che la previsione di un piano particolareggiato non sia
applicabile alle aree in cui sia insediato uno stabilimento industriale, tanto
più quando si trovi in prossimità del tessuto urbanistico. Per questa
contiguità non è illogico né contraddittorio che i parametri edilizi del
piano particolareggiato (art.13) e, come prospettato nel sesto motivo, quelli
del piano regolatore (art.8 n.t.a.) limitino o escludano l’ampliamento del
cementificio. L’ulteriore rilievo secondo cui la previsione del piano
particolareggiato sarebbe priva di giustificazione perché interesserebbe aree
già edificate, pecca di genericità poiché non viene fornito alcun elemento di
prova che tale condizione riguardi l’area di ubicazione dello stabilimento.
Con il settimo motivo del ricorso
originario si sosteneva, con riferimento alla destinazione agricola impressa
dalla Regione, in sede di approvazione, alla località Caramanna (dove la società
appellante estrae e frantuma la materia prima da utilizzare nel cementificio),
che la modificazione apportata dalla regione determina un indebito sovvertimento
dell’assetto pianificatorio definito dal Comune e, comunque, non è sorretta
da specifica motivazione.
Il T.A.R. ha escluso che le
modificazioni censurate abbiano inciso sull’impostazione globale del piano, ma
nulla dice sulla censura di difetto di motivazione.
La censura è fondata.
Ai sensi dell’art.10 della legge 17
agosto 1942, n.1150, alla Regione compete di introdurre le modificazioni
“ritenute indispensabili” per tutelare gli interessi e i beni indicati dalla
norma, senza incontrare, in tal caso, il limite della marginalità
dell’intervento rispetto a quanto stabilito dal Comune. In linea astratta, può
convenirsi che la destinazione a zona
agricola possa essere utilizzata a salvaguardia del paesaggio o dell’ambiente
e che non occorre una specifica motivazione delle determinazioni prese area per
area, ma se la prescrizione è introdotta dalla Regione è necessario che
scaturisca, come richiede il citato art.10, da un giudizio di indispensabilità
e che emerga almeno la consapevolezza degli effetti che derivano dal mutamento
su particolari situazioni consolidatesi nel territorio. Nel caso in esame la
destinazione è stata modificata dalla regione non in osservanza di vincoli
paesaggistici o ambientalistici formali, ma in adesione a indicazioni della
Soprintendenza ai monumenti (nota 23 marzo 1973, n.2928). Tuttavia, il
riconoscimento che si tratta di modifiche indispensabili non è espresso in
alcun atto del procedimento né risulta che in alcun modo siano stati
considerati gli effetti della nuova destinazione sull’attività produttiva del
cementificio, che pure aveva trovato specifico apprezzamento nella relazione
illustrativa del P.R.G. (pag.4). Pertanto, l’intervento della Regione, che si
allontana dalla previsione originaria e che, per conseguenza, non trova
giustificazione nella impostazione del piano regolatore adottato dal Comune,
risulta carente sotto il profilo istruttorio ed esplicativo.
Nel ricorso di primo grado l’ottavo e i
successivi motivi investono la variante al P.R.G. approvata con decreto del
Presidente della Giunta regionale 24 marzo 1977, n.722.
Sull’ottavo motivo, concernente il
rapporto fra il P.R.G. e la variante, è sufficiente richiamare quanto osservato
in precedenza con riferimento al primo motivo.
A quanto dedotto con il nono motivo
del ricorso originario il T.A.R. ha replicato che la preventiva autorizzazione
della Regione (allora prevista dall’art.10, comma VII, della legge
n.1150/1942) non era necessaria perché la “variante” è stata adottata in
virtù di una prescrizione apposta in sede di approvazione del P.R.G. dalla
Regione, che aveva stralciato alcune aree in vista di una successiva
pianificazione, sicché, come già detto, si tratterebbe non di una variante in
senso proprio ma di un atto integrativo del piano regolatore. Queste
considerazioni e questa conclusione non sono confutate nell’atto di appello se
non in modo del tutto generico (“non possono essere condivise”), sicché
restano ferme.
Con il decimo motivo veniva rilevato che la
variante, avendo operato in alcuni casi un “vero e proprio sovvertimento” di
alcune prescrizioni del piano regolatore (come per l’area di ubicazione del
cementificio) si è spinta al di là delle indicazioni dettate con il decreto di
approvazione del P.R.G. anche sotto il profilo della delimitazione territoriale.
Il T.A.R. ha disatteso la censura rilevando che
la stessa società ricorrente riconosce che la variante “sarebbe stata
legittima se si fosse limitata, come previsto dalla prescrizione regionale al
P.R.G., a dare assetto urbanistico alla zona esterna al centro urbano, che è
appunto quanto attuato dalla variante con le succitate previsioni”.
Nell’appello quest’ultima affermazione
non viene contestata, sicché il carattere attuativo della variante rispetto a
quanto prescritto a suo tempo dalla Regione deve intendersi un dato acquisito.
Per conseguenza la sentenza merita conferma anche nella parte in cui ha
disatteso l’undicesimo motivo (che censura “per mancanza di esame degli
interessi pubblici contrastanti” la destinazione a zona portuale, piazza,
mercato rionale e viabilità dell’area in cui ha sede il cementificio e la
destinazione a zona agricola della località Caramanna), anche in considerazione
del fatto che, per giurisprudenza costante, la potestà di pianificazione
urbanistica primaria, e tale è la potestà che trova espressione sia nel P.R.G.
sia nella variante, non incontra limiti nella preesistenza di fabbricati aventi
una destinazione diversa e che la variante non necessita di specifica
motivazione quanto alle singole destinazioni di zona.
Per quanto concerne il dodicesimo motivo del
ricorso di primo grado, secondo cui le osservazioni presentate nei confronti
della variante non avrebbero ricevuto un adeguato riscontro, vale quanto
affermato in precedenza con riferimento al parallelo secondo motivo, concernente
le osservazioni presentate nei confronti del piano regolatore.
Il tredicesimo motivo, che ha per oggetto la
destinazione ad “attività cantieristica” di aree di proprietà della società
appellante ubicate in località
Spina, è inammissibile.
La nuova destinazione è contestata “per
erronea valutazione e per travisamento dei presupposti di fatto”, ma non viene
addotto alcun elemento da cui possano evincersi l’erroneità e il
travisamento in cui sarebbero incorse in concreto l’amministrazione
comunale e l’amministrazione regionale. Né è
utile per uscire dalla genericità della censura l’elenco degli
accertamenti che, ad avviso della società appellante, sarebbero in linea
teorica necessari per approfondire la “fattibilità, l’opportunità e la
convenienza” dell’insediamento di un’attività cantieristica.
In conclusione l’appello va accolto nella
parte in cui ha per oggetto il P.R.G. e nei limiti che emergono dalla
motivazione. Nella stessa parte e negli stessi limiti va accolto, in parziale
riforma della sentenza di primo grado, il ricorso originario.
Le spese e gli onorari dei due gradi di
giudizio possono essere compensati.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione IV), definitivamente
pronunziando sul ricorso in appello, meglio indicato in epigrafe, accoglie
l’appello nella parte, nei limiti e con gli effetti di cui in motivazione.
Spese dei due gradi di giudizio compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nella
camera di consiglio del 3 dicembre 2002
, con l'intervento dei sigg.ri
Stenio RICCIO
Presidente,
Domenico LA MEDICA
Consigliere,
Marcello BORIONI
Consigliere estensore,
Giuseppe CARINCI
Consigliere,
Vito POLI
Consigliere.
L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO