Cons. Stato Sez. IV sent. n. 1546 del 25 marzo 2003 R E P U B B L I C A I T A L I A N A

R E P U B B L I C A I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente

D E C I S I O N E

sul ricorso in appello n.r.g. 1243 del 1986 (n.r.sez. 356 del 1986), proposto dal Comune di Lanciano, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'Avv. Prof. Franco Gaetano Scoca, presso lo studio del quale è elettivamente domiciliato in Roma Via G. Paisiello, n. 55.

contro

TOROSANTUCCI Armando, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giuseppe Lavitola e Valeria Mazzarelli, elettivamente domiciliato presso lo studio dei medesimi in Roma, via Costabella n. 23;

e nei confronti

della Regione Abruzzo, in persona del Presidente in carica della Giunta regionale, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliato in Roma Via dei Portoghesi, n. 12;

per l'annullamento

della sentenza del TAR per l’Abruzzo – Sezione staccata di Pescara 14 novembre 1985, n. 480;

Visto l’appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio delle parti appellate;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 14 gennaio 2003, relatore il Consigliere Costantino Salvatore; udito, altresì, l'avvocato dello Stato V. Ferrante;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

F A T T O

Con ricorso al TAR per l’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, l’avv. Armando Torosantucci impugnava il provvedimento 18 maggio 1983, n. 4388, con il quale l’Assessore all’urbanistica del Comune di Lanciano respingeva la domanda di concessione edilizia per la costruzione di palazzina di civili abitazioni perché l’area sulla quale doveva sorgere il fabbricato è vincolata ad area per la scuola dell’obbligo.

Il ricorrente esponeva che l’area in questione era stata vincolata, una prima volta ad “attrezzature e servizi pubblici” con la variante al PRG del Comune, adottata con deliberazioni 2 dicembre 1969, n. 192, e 6 dicembre 1971, n. 170, ed approvata dalla Regione Abruzzo con delibera della Giunta regionale 20 giugno 1973, n. 174/14, e, una seconda volta, con variante adottata dal Consiglio comunale con deliberazione 9 agosto 1976, di mero “ripristino dei vincoli già esistenti sul Piano vigente”, approvata dalla Giunta regionale 19 luglio 1978.

Ciò premesso, deduceva le seguenti censure:

1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 legge 19 novembre 1968, n. 1187. Eccesso di potere per errore e falsità dei presupposti.

Il vincolo imposto con la variante del 1973 è scaduto per mancata approvazione nel quinquennio del relativo piano particolareggiato e tale vincolo non può rivivere per effetto della successiva variante del 1978, non consentendo la normativa proroghe o ripristinazione di vincolo scaduti.

2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 832 c.c. e dei princìpi in materia di cd. “zone bianche”. Violazione della normativa contenuta nelle N.T.A del PRG del Comune e del regolamento edilizio.

Venuto meno il vincolo di PRG, le uniche norme che potrebbero limitare l’edificazione sarebbero quelle del codice civile e quelle contenute nella normativa regolamentare locale, alle quali il progetto presentato dal ricorrente sarebbe pienamente conforme.

Il Comune di Lanciano si costituiva in giudizio, eccependo in via preliminare l’inammissibilità del ricorso per la mancata impugnazione della seconda variante con cui il vincolo è stato rinnovato. La variante citata, già impugnata dal ricorrente con altro ricorso dichiarato inammissibile dal medesimo TAR perché non notificato alla Regione, è divenuta ormai inoppugnabile.

Il TAR, disattesa l’eccezione d’inammissibilità, ha accolto il ricorso con la sentenza in epigrafe specificata, contro la quale è stato proposto il presente appello.

L’appellato si è costituito in questo grado di giudizio e l’appello è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 17 dicembre 2003.

D I R I T T O

1. Il primo motivo di appello, con il quale si deduce la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il giudicato, è fondato.

Con il ricorso di primo grado, infatti, è stato impugnato solo il diniego di concessione edilizia e non pure la seconda variante al PRG, con la quale erano stati ripristinati i vincoli già esistenti nel piano regolatore. Né erano stati impugnati eventuali atti presupposti del diniego di concessione.

Ora, anche ad ammettere che il ripristino del vincolo per l’edilizia scolastica fungesse da atto propedeutico del diniego di concessione, non vi è dubbio che esso andava specificamente impugnato, posto che, per pacifica giurisprudenza, l’omessa impugnazione dell’atto presupposto impedisce la proposizione del gravame contro gli atti che da esso traggono giustificazione. Nel caso in esame, l’originario ricorrente non ha impugnato il nuovo provvedimento di vincolo, ma solo il diniego di concessione, per cui l’accoglimento del gravame poteva avvenire solo per vizi propri dell’atto di diniego e non per la presunta illegittimità di un atto – quello di rinnovo del vincolo – del quale il ricorrente aveva chiesto l’annullamento con precedente ricorso dichiarato inammissibile.

A questo proposito non può essere condivisa l’affermazione del TAR (pagg. 11 e 12), secondo cui la dichiarazione d’inammissibilità del precedente ricorso non costituisce giudicato, con la conseguenza che la delibera di “mero ripristino” del vincolo non sarebbe mai divenuta inoppugnabile e potrebbe essere nuovamente gravata allorché si ponga come atto presupposto di un nuovo diniego.

Contrariamente a quanto sostenuto dal primo giudice, il vincolo urbanistico, sia esso iniziale o di ripristino, ha l’effetto di impedire che in una determinata zona possano sorgere insediamenti diversi da quello indicato dal vincolo, con l’ovvia conseguenza che il soggetto il quale si ritenga leso ha l’onere di proporre tempestiva impugnazione al fine di ottenere l'annullamento del vincolo. Ove, invece, gli interessati lascino decorrere il termine di decadenza, il provvedimento di vincolo diviene inoppugnabile e non, come assume il TAR, mai inoppugnabile.

Nel caso in esame, posto che il vincolo era stato impugnato dall’originario ricorrente con autonomo precedente gravame, dichiarato inammissibile dal medesimo giudice, appare evidente che il vincolo predetto era divenuto a tale data inoppugnabile e la sua legittimità o meno non poteva nuovamente essere contestata con il nuovo gravame. E ciò non perché la sentenza di inammissibilità costituisce giudicato, bensì perché era ormai decorso il termine per la sua autonoma impugnativa e le censure nei suoi confronti non potevano essere esaminate, essendo rivolte contro un atto divenuto inoppugnabile.

2. Anche il secondo motivo d’appello è fondato.

Invero, la tesi che un provvedimento di vincolo urbanistico sarebbe atto presupposto del diniego di concessione edilizia, suscettibile di essere censurato ogni volta che su di esso si fondi il diniego di concessione, non considera che il procedimento di approvazione da parte della Regione di un piano contenente vincoli urbanistici è procedimento autonomo e di natura complessa, il cui contenuto svolge un ruolo precettivo per tutti i successivi atti che interessino la zona.

Nel procedimento per l’esame della domanda di concessione edilizia su area coperta dal vincolo, conclusosi con il diniego, il ricorrente poteva solo dedurre censure nei riguardi del diniego e non sollevare tardivamente doglianze anche nei riguardi del procedimento di approvazione del vincolo per l’edilizia scolastica.

Se fosse esatta la tesi del TAR, si dovrebbe concludere che l’approvazione regionale di un piano contenente vincolo funge solo da atto presupposto di un futuro diniego di concessione edilizia nei confronti di chi su quella zona intendesse intraprendere iniziative edilizie: conclusione questa palesemente contraria a tutti i pacifici principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di rapporto tra atto presupposto e atto principale.

Un atto è presupposto, e come tale suscettibile di impugnazione e di caducazione, solo quando si inserisce in un unico procedimento che si conclude con l’adozione di un provvedimento impugnato in via principale.

Questo caso non ricorre quando, come nella specie, si è in presenza di un atto complesso di pianificazione urbanistica che si conclude con l’approvazione del vincolo da parte della regione. In tali casi, gli atti successivi – compreso il diniego di concessione – sono frutto di un procedimento autonomo e separato rispetto a quello di pianificazione urbanistica già concluso.

3. Le considerazioni che precedono consentono di accogliere anche il terzo motivo d’appello, con il quale si censura la tesi del primo giudice, secondo cui l’illegittimità del diniego di concessione sarebbe conseguenza dell’errore e della falsità di presupposto.

Nessun vizio di tale natura è riscontrabile nel diniego di concessione, atteso che la reiezione della domanda perché l’area è destinata ad edilizia scolastica è motivo che trae la sua giustificazione dalla deliberazione di adozione ed approvazione della seconda variante che aveva reso operante per un ulteriore quinquennio il vincolo di destinazione.

Alla stregua delle considerazioni che precedono l’appello deve essere accolto e, in riforma della sentenza appellata, il ricorso di primo grado deve essere dichiarato inammissibile, nella parte in cui si intenda rivolto contro la variante di ripristino del vincolo, e respinto nella parte in cui è diretto contro il diniego di concessione.

Le spese del doppio grado di giudizio vanno poste, come di regola, a carico del soccombente e sono liquidate in dispositivo.

P. Q. M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, dichiara in parte inammissibile e respinge il ricorso di primo grado.

Condanna l’originario ricorrente al pagamento in favore del Comune di Lanciano e della Regione Abruzzo delle spese del doppio grado, che liquida in complessivi €. 4.000,00 (quattromila: duemila euro per ciascuna parte).

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, addì 14 gennaio 2003 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), riunito


in Camera di Consiglio con l’intervento dei signori:

Stenio RICCIO Presidente

Costantino SALVATORE Consigliere, est.

Dedi RULLI Consigliere

Giuseppe CARINCI Consigliere

Vito Poli Consigliere.

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

IL SEGRETARIO