Consiglio di Stato Sez. II n. 338 del 14 gennaio 2020
Urbanistica. Annullamento d'ufficio di un titolo edilizio in sanatoria

L'annullamento d'ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all'adozione dell'atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole. In tali ipotesi, tuttavia, deve ritenersi: che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il potere di adozione dell'annullamento d'ufficio e che, in ogni caso, il termine 'ragionevole' per la sua adozione decorra soltanto dal momento della scoperta, da parte dell'amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell'atto di ritiro; che l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione risulterà attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati (al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell'esercizio del ius poenitendi); che la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell'atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte.


Pubblicato il 14/01/2020

N. 00338/2020REG.PROV.COLL.

N. 09205/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9205 del 2010, proposto da
Tectur Snc di S. Bezzi & C. Snc, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Enrico Follieri, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Mazzini, 6;

contro

Comune di Vico del Gargano, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Seconda) n. 03344/2010, resa tra le parti, concernente una concessione edilizia.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 dicembre 2019 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti l’avvocato Gabriele Pafundi, su delega dell'avv. Enrico Follieri.


FATTO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Bari, Sez. II, con la sentenza 6 agosto 2010, n. 3344, ha respinto il ricorso proposto dall’attuale parte appellante per l’annullamento dell’ordinanza n. 11, prot. n. 5736 del 27.6.2001, non notificata alla ricorrente, del Responsabile dell’U.T.C. del Comune di Vico del Gargano, con la quale è stata annullata la concessione edilizia n. 93 del 12.06.1992 per la costruzione di bar ristorante, rilasciata alla ricorrente, nonché del parere della Commissione edilizia comunale, ancorché non conosciuto e sul quale si riservano espressamente motivi aggiunti, espresso nella seduta del 28.11.2000, con verbale n. 14; e per la condanna al risarcimento dei danni del Comune di Vico del Gargano.

Secondo il TAR, sinteticamente:

- le opere oggetto della concessione annullata si trovavano a distanza inferiore a 300 mt. dal mare;

- in Puglia, l’art. 51 L.R. n. 56-1980 vieta opere edilizie antro la fascia di 300 mt. dalla linea di battigia;

- tale parte della motivazione dell’ordinanza n. 12-2001 non risulta gravata e da sola serve a sorreggere l’intero provvedimento che quindi non può essere annullato;

- trattandosi di manufatti realizzati con materiali precari non necessitava né concessione edilizia né nulla osta paesaggistico, ma è la stessa parte ad ammettere che le opere da effettuare per il villaggio turistico dovevano essere oggetto di c.e. ora p.d.c. proprio per aver chiesto essa concessione con istanza del 5 ottobre 1992, poi assentita dal Comune;

- la legittimità dell’atto gravato comporta un riscontro negativo all’azione risarcitoria.

La parte appellante contestava la sentenza del TAR deducendone l’erroneità e sostenendo: l’omesso accertamento circa la sussistenza di tutti i presupposti per l’annullamento disposto dal Comune; l’errore in cui è incorsa la pronuncia impugnata poiché non è stata omessa la contestazione di alcun profilo della motivazione; ha ritenuto infondato senza esaminarlo il quarto motivo di ricorso (in cui si contestava l’affermata carenza di nulla osta paesaggistico stante l’amovibilità e precarietà dei manufatti e la non necessità della concessione edilizia), poiché si è appuntata sulla circostanza che la Tectur chiedendo la concessione edilizia avrebbe ammesso implicitamente la sua necessità, senza considerare che l’oggetto della contestazione era un altro.

L’appellante ha, inoltre, riproposto tutti i motivi di primo grado non esaminati dal TAR.

Con l’appello in esame chiedeva l’accoglimento del ricorso di primo grado.

All’udienza pubblica del 17 dicembre 2019 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Rileva il Collegio che l'ordinanza impugnata con il ricorso di primo grado, emessa dal Comune riguardava la concessione edilizia n. 93 del 12.06.1992 per la costruzione di bar ristorante all’interno di un villaggio turistico.

Con il primo motivo di appello, si contesta che l’illegittimità del provvedimento non sia di per sé sola condizione sufficiente a giustificare un provvedimento di annullamento d'ufficio come nella fattispecie.

In proposito, ricorda il Collegio che l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza 17 ottobre 2017, n. 8 ha fissato un giusto equilibrio tra il ripristino della legalità violata e la conservazione dei diritti acquisiti, ma soltanto in relazione al rilascio di una sanatoria edilizia che poi è risultata illegittima, considerando anche il tempo trascorso tra il rilascio della sanatoria e quello dell’annullamento.

In questo caso, quando un Comune rilascia un titolo abilitativo in sanatoria deve condurre degli accertamenti preventivi, verificando che la presenza del manufatto sanato non vìoli l’interesse pubblico e che la documentazione presentata per la richiesta della sanatoria sia completa e veritiera. Non può, in pratica, effettuare una valutazione superficiale e, accorta dell’errore commesso, annullare l’atto senza nessuna giustificazione.

Diverso è, invece, il caso in cui l’Amministrazione abbia emanato l’ordine di demolizione di un’opera mai sanata, ovvero, come nel caso in esame, si sia limitata ad annullare in via di autotutela la concessione illegittima originariamente rilasciata.

In tal caso, anche se l’ordine (o il provvedimento di autotutela) arriva dopo molti anni dalla realizzazione, esso è da considerarsi legittimo e non deve essere motivato l’annullamento del titolo edilizio.

In conclusione, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha stabilito che, nella vigenza dell’articolo 21-nonies della l. 241-1990 – per come introdotto dalla l. 15-2005 – l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’adozione dell’atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole.

In tali ipotesi, tuttavia, deve ritenersi:

- che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il potere di adozione dell’annullamento d’ufficio e che, in ogni caso, il termine ‘ragionevole’ per la sua adozione decorra soltanto dal momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro;

- che l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione risulterà attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati (al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell’esercizio del ius poenitendi)

- che la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte.

2. Nel caso di specie, è evidente che la circostanza che il provvedimento impugnato in questo giudizio indichi chiaramente che le opere oggetto della concessone annullata si trovavano a distanza inferiore a 300 mt. dal mare e che in Puglia, l’art. 51 L.R. n. 56-1980 vieta opere edilizie antro la fascia di 300 mt. dalla linea di battigia, imponendo un limite di inedificabilità assoluto, a tutela, evidentemente, di interessi pubblici superiori legati alla salvaguardia del Paesaggio, costituisce motivazione adeguata e sufficiente, e quindi legittima, del provvedimento di autotutela adottato.

Tale rilievo è dirimente e assorbe il secondo motivo di appello legato alla supposta non contestazione, da parte del ricorrente di primo grado, della illegittima distanza dal mare del manufatto, poiché, anche ammettendo che tale contestazione vi sia, e il Collegio non ha dubbi al riguardo, la violazione della distanza di 300 mt. dalla battigia impedisce ogni concessione edilizia di sorta e, dunque, giustifica, il provvedimento di ritiro in autotutela intrapreso.

3. Con il terzo motivo di appello si deduce che, nella parte finale della sentenza, il TAR assume che la circostanza che il provvedimento annullato riguardasse la mera sostituzione di preesistente bar tavola calda e non la nuova costruzione non varrebbe ad escludere l'illegittimità dell'intervento, in quanto i preesistenti manufatti, al momento della loro costruzione, erano stati autorizzati dal Comune illegittimamente, perché pur sempre in violazione del principio di non edificabilità della fascia costiera nei 300 mt. dalla battigia.

Secondo parte appellante, con tali affermazioni il TAR non esamina uno dei motivi di ricorso sollevati dal ricorrente, ma, sostituendosi all’Amministrazione, arriva ad affermare l'illegittimità dei provvedimenti concessori originari mai messi in discussione dal Comune né oggetto del presente giudizio.

Il Collegio osserva al riguardo che il TAR si premura di specificare che tali contestati asserzioni sono formulate "per mera completezza" e, dunque, si devono poter ascrivere alle statuizioni per obiter o incidentali, ovvero rafforzative di argomentazioni, come tali inidonee ad assurgere ad affermazioni suscettibili di passaggio in giudicato e, come tali, pienamente ammissibili, senza che risulti alcuna lesione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, sancito, per il sistema processuale in genale dall’art. 112 c.p.c. (e, dunque, richiamato dall’art. 39 c.p.a.).

4. Con il quarto motivo di appello, parte appellante ripropone le censure del ricorso di primo grado assorbite dal TAR.

Tali censure sono da ritenersi infondate, in quanto:

- si assume che il Comune abbia annullato la concessione edilizia, richiamando norme che hanno istituito il reato di realizzazione di interventi edilizi senza autorizzazione paesaggistica e che consentono l'annullamento regionale della concessione edilizia; l’erroneità dei riferimenti normativi, quando è tuttavia chiara ed inequivoca la ragione dell’annullamento (come, in questo caso, la costruzione a distanza inferiore a quella consentita dal legislatore regionale) non inficiano, tuttavia la legittimità del provvedimento;

- la concessione edilizia è stato un atto che, pur in asserita esecuzione di una delibera consiliare, era di competenza dell’organo monocratico dirigenziale, con la conseguenza che l'annullamento doveva essere stabilito dal medesimo organo monocratico dirigenziale, senza che vi fosse la necessaria sovrapposizione della competenza dell’organo consiliare che, infatti, non ha competenza in ordine all’accertamento degli illeciti edilizie e alle conseguenti deliberazioni;

- anche qualora il complesso ricada o non ricada in zona destinata dal P.di F. a verde agricolo (ovvero a campeggio, come postula parte appellante), con conseguente applicazione della normativa sull'edificabilità dettata dall'art. 35 delle N.T.A. del P.di F., in ogni caso, non poteva esularsi dall’applicazione del limite generale di edificabilità stabilito dalla citata Legge Regionale;

- lo stesso appellante afferma che “il complesso è stato realizzato abusivamente prima del rilascio della concessione edilizia impugnata” che ha riguardato la sostituzione dei manufatti per i quali l'Assessorato all'Urbanistica e ai Territorio della Regione Puglia, con decreto n. 10117 del 3.7.1990, ha concesso parere favorevole;

- del tutto estraneo all'esercizio del potere di annullamento della concessione edilizia è il riferimento al decreto n. 10117/URB del 3.7.1990 dell'Assessorato all'Urbanistica ed Assetto del Territorio della Regione Puglia che, infatti, non incide sulla ratio giustificante l’annullamento in autotutela in esame.

4.1. Il vincolo di inedificabilità di che trattasi, trova il suo fondamento normativo e la sua genesi nazionale anzitutto nella L. 431/85, che - all'art. 1 quinquies - prevede l'assoluto divieto di ogni modificazione dell'assetto del territorio e di realizzazione di qualsiasi opera edilizia sulle aree e i beni di cui all'art. 2 del d.m. 21/9/84, fino all'adozione da parte delle regioni dei piani di cui all'art. 1 bis.

L'art. 51 della L.R. 56/80 prevede il divieto di edificazione nella fascia di 300 m. dalla battigia delle coste dei laghi, dei fiumi, delle gravine fino all'entrata in vigore dei piani territoriali con sottoposizione degli stesse al vincolo paesaggistico già previsto dall'art. 82 del D.P.R. 616/77 richiamato dall'art. 1 del D.L. 312/85, convertito con legge 431/85.

Peraltro l'efficacia temporale dei vincoli in questione fino all'approvazione del P.U.T.T. è stata più volte prorogata, come ad esempio dall'art. 12 della L.R. 17/99 e fino al 31/12/99 e, quindi, dall'art. 43 L.R. 9/2000 e sino al 31/12/2000.

Va peraltro rilevata la immediata precettività del vincolo, rimovibile solo nell'esercizio dei poteri di cui all'art. 7 della L. 1497/39, proprio a garanzia della effettività della tutela.

La tutela di cui all'art. L.R. 30/90 si ispira al modello di cui all'art. 82 del D.P.R. 616/77 e di cui alla Legge Galasso, prevedendo vincoli per ampi e generali categorie di beni e sul punto la giurisprudenza penale, sin da tempo risalente, ha stabilito che (Cassazione penale , sez. III , 23/04/1994) “in tema di tutela del paesaggio, la norma di cui all'art. 1 sexies l. 8 agosto 1985 n. 431 riguarda anche i vincoli di immodificabilità relativa e, di conseguenza si riferisce anche agli interventi in zona sottoposta a vincolo paesistico senza il prescritto nulla osta regionale. Ne deriva che nelle zone di inedificabilità relativa (coste, fiumi, ecc.) il vincolo è operante a prescindere dall'adozione dei piani paesistici regionali: è, quindi, sempre necessaria l'autorizzazione paesistica per opere che possono stabilmente alterare l'ambiente. (Nella specie, relativa ad annullamento di sentenza di assoluzione per discarica realizzata lungo le sponde del fiume Basento, il pretore, per escludere la sussistenza del reato di cui all'art. 1 sexies l. n. 431 del 1985, aveva sostenuto che detta norma appresterebbe una sanzione penale solo in relazione ai vincoli di immodificabilità assoluta "ex lege" disposti dalla stessa legge Galasso.)”.

5. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto in quanto infondato.

Nulla per le spese di lite del presente grado di giudizio, in assenza di costituzione della parte appellata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda),

Definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe indicato, lo respinge.

Nulla spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2019 con l'intervento dei magistrati:

Fabio Taormina, Presidente

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere, Estensore

Giovanni Sabbato, Consigliere

Giovanni Orsini, Consigliere

Francesco Guarracino, Consigliere