Consiglio di Stato Sez. VI n. 10155 del 27novembre 2023
Urbanistica.Attività di estrazione e sfruttamento di cave

L’autorizzazione all’esercizio di attività di estrazione e sfruttamento di cave non sono soggette ad un titolo edilizio autonomo, da parte dei comuni, oltre all’autorizzazione all’esercizio dell’attività. Tale principio non implica che l’attività estrattiva possa essere esercitata anche a dispetto di contrarie previsioni della disciplina urbanistica, ma significa piuttosto che la valutazione circa la conformità urbanistica dell’attività estrattiva viene eccezionalmente esercitata dall’ente individuato dalla legislazione regionale per il rilascio dell’autorizzazione, anziché dal comune: la conformità urbanistica dell’attività estrattiva deve, comunque, essere garantita, e ciò alla luce dell’evoluzione della legislazione relativa al contenuto degli strumenti urbanistici comunali e della dilatazione della pianificazione urbanistica, che ha finito con l'identificarsi con la pianificazione di tutto il territorio del comune, in relazione non solo all'interesse connesso all'attività edificatoria propriamente detta, ma anche ad altri, diversi e molteplici interessi che sono comunque correlati alla salvaguardia del territorio, le misure di salvaguardia sono da considerare applicabili non solo all'attività edilizia in senso stretto, ma a tutte le altre forme di utilizzazione del territorio oggetto di pianificazione territoriale, compresa quindi l'attività estrattiva.


Pubblicato il 27/11/2023

N. 10155/2023REG.PROV.COLL.

N. 02918/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2918 del 2020, proposto da
Eredi di Bellasio Eugenio di Bellasio Enrico & C. S.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Francesco Bellocchio, Giovanni Corbyons, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giovanni Corbyons in Roma, via Cicerone n.44;

contro

Comune di Vanzago, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Adriano Pilia, Marco Luigi Di Tolle, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta) n. 01951/2019, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Vanzago;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 16 ottobre 2023 il Cons. Roberta Ravasio e uditi per le parti gli avvocati Nessuno è comparso per le parti costituite in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l'utilizzo della piattaforma "Microsoft Teams”.

Viste le conclusioni delle parti come da verbale”.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.Con ordinanza n. 1737 del 21.6.2018, il Comune di Vanzago ordinava alla società Eredi di Bellasio Eugenio di Bellasio Enrico & C, ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, la rimozione dei materiali presenti sulle aree di proprietà della stessa censiti, al Catasto Terreni del Comune Vanzago al foglio 11 mappali 90 e 160, deposito che, riguardando diverse migliaia di metri cubi di materiale, nell’ordinanza di affermava integrare utilizzazione del territorio non assistita da titolo edilizio e, comunque, incompatibile con la destinazione agricola del sito, secondo le previsioni del vigente PGT .

2. La società intimata impugnava l’ordinanza dinnanzi al TAR per la Lombardia.

3. Con sentenza n. 1951 del 2019, il TAR respingeva il ricorso, rilevando: che la Società non aveva titolo per accumulare sull’area di sua proprietà il materiale di scavo; che il termine assegnato dal Comune di Vanzago per la rimozione era sufficientemente ampio da consentire alla Società di organizzarsi; che l’ordinanza impugnata doveva intendersi nel senso che l’ordine di rimozione riguardava il materiale depositato nella parte nord-ovest della proprietà della Società, nel Comune di Vanzago.

4. Avverso la sentenza di primo grado ha proposto appello la società soccombente.

5 . Il Comune di Vanzago si è costituito in giudizio chiedendo la reiezione del gravame.

6. La causa è chiamata per la discussione in occasione dell’udienza pubblica del 16 ottobre 2023, a seguito della quale è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

7. Con il primo motivo di appello si denuncia l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui essa afferma che alla società non è mai stato rilasciato un titolo abilitativo volto a consentire il deposito di materiali inerti nel Comune di Vanzago: secondo parte appellante la suddetta attività di deposito inerti sarebbe consentita proprio dall’autorizzazione provinciale a suo tempo ad essa rilasciata: la suddetta autorizzazione aveva recepito, secondo l’appellante, il progetto di coltivazione presentato dalla Società, il quale contemplava l’esercizio dell’attività di escavazione su terreni situati in Comune di Pregnana e lo stoccaggio dei materiali di risulta su terreni siti in Comune di Vanzago, per svolgere attività di coltivazione delle sostanze minerali di cava.

7.1. Ha precisato la Società che fino all’anno 2012 il territorio del Comune di Vanzago era inserito nel Piano Provinciale Cave; in seguito, con sentenza di questo Consiglio di Stato n. 3473 del 13.6.2012, a seguito di contenzioso promosso dal Comune di Vanzago, il relativo territorio é stato stralciato dal perimetro dell’ambito estrattivo e, ad oggi, non risulta ancora esservi stato reinserito; per tale ragione la Società, ricevuta l’ordinanza di sgombero dal Comune di Vanzago ha spontaneamente provveduto a rimuovere il materiale depositato dopo l’annullamento del piano regionale delle cave; e tuttavia, ritenendo che fino a tale momento il deposito, sui fondi situati nel Comune di Vanzago, fosse avvenuto legittimamente, non ha invece rimosso il materiale depositato fino all’anno 2010.

7.2. Il TAR ha ritenuto legittima l’ordinanza impugnata, rilevando che il deposito di materiale prodotto dall’attività di escavazione, come il deposito di materiali inerti, è soggetto al rilascio di uno specifico titolo abilitativo, ulteriore rispetto all’autorizzazione regionale a svolgere l’attività di escavazione, non rilevando a tal fine alcuna distinzione tra il materiale accumulato.

7.3. Il motivo d’appello non è fondato.

7.3. Partendo dal dato normativo, occorre osservare che l’art. 12 della L.R. della Lombardia, n. 14 del 18 agosto 1998, prevede la necessità di dotarsi dell’autorizzazione a svolgere attività di coltivazione delle sostanze minerali di cava: la suddetta autorizzazione compete alla Provincia e deve prevedere, inter alia, “gli obblighi assunti dal titolare dell' autorizzazione con riferimento alla convenzione di cui all' art. 15”. Il successivo art. 15 prevede che il rilascio della autorizzazione è subordinato alla stipula di una convenzione tra il richiedente e il Comune interessato, a mezzo della quale il richiedente si impegna (i) a versare il contributo annuale al Comune quale contributo alla spesa necessaria per le spese di recupero ambientale, (ii) la versare la quota di tale contributo annuale all’ente di gestione del parco regionale, nel cui perimetro insista l’attività estrattiva, (iii) a realizzare a proprie spese, secondo modalità concordate con il Comune, le opere che il richiedente dovrà effettuare al termine dell’attività estrattiva per il riassetto ambientale; (iv) a rispettare ogni altra prescrizione tecnica. In caso di mancato accordo tra il richiedente e il Comune interessato, il soggetto richiedente può chiedere che sia la Provincia a determinare gli obblighi scaturenti dalla convenzione: in tal caso il richiedente è tenuto sottoscrivere un atto con il quale assume gli obblighi così determinati.

7.4. La norma evidenzia, in maniera assai chiara, l’efficacia condizionante, rispetto all’autorizzazione all’esercizio dell’attività di coltivazione, della convenzione con i comuni interessati, tant’è che prevede il caso in cui il richiedente non trovi l’accordo con il comune/i interessato/i, stabilendo che in tal caso il richiedente deve chiedere l’intervento della provincia, la quale andrà a stabilire degli obblighi che il richiedente dovrà sottoscrivere a tutela del comune dissenziente. E’ quindi palese che nei confronti dei comuni nel cui territorio si deve esplicare l’attività estrattiva, l’autorizzazione provinciale non può ritenersi efficace se con essi non sia stata sottoscritta la convenzione prevista dall’art. 15 della L.R. n. 14/1998, o se questa non sia stata sostituita dalla sottoscrizione degli impegni determinati dalla provincia a tutela degli interessi dei comuni medesimi.

7.3. Venendo al caso di specie risulta, dalla documentazione prodotta in giudizio, che la Società appellante ha ottenuto, dalla Provincia di Milano una prima autorizzazione rilasciata nel 1990, una seconda autorizzazione in revisione del 1997 e, dipoi:

(i) l’autorizzazione n. 330 del 12 dicembre 2006, per il proseguimento dell’attività estrattiva di sabbia e ghiaia in Comune di Pregnana, la quale autorizzazione menziona solo una convenzione stipulata con il Comune di Pregnana il 30 luglio 2001; quanto al Comune di Vanzago l’autorizzazione in parola richiama solo una certificazione del 3 ottobre 2005, rilasciata dal suddetto ente, nella quale si attesta che l’area di intervento, completamente ricadente nel Comune di Pregnana Milanese, è esterna alla fascia di rispetto di 200 metri dai pozzi ad uso potabile; tra le prescrizioni apposte all’autorizzazione, è presente quella che vincola la Società al rispetto degli obblighi assunti con la convenzione stipulata con il Comune di Pregnana, non menzionando, invece, alcun obbligo nei confronti del Comune di Vanzago;

(ii) autorizzazione della Provincia di Milano n. 435 del 18 settembre 2008, per la proroga di 24 mesi del termine fissato con l’autorizzazione n. 330/2006 per completare lo scavo del quantitativo residuo: anche in tale atto si menziona solo il Comune di Pregnana quale ente interessato dall’attività estrattiva, precisandosi che “la proroga fa riferimento All’Autorizzazione Dirigenziale n. 330 del 12/12/2006 – R.G. n. 16330/2006 – ATEg7 – C.na Madonnina PG1 – Bacino 2 che interessa aree catastalmente individuate a parte dei mappali n. 300 (ex 9), 10 e 302 (ex 119) – Fg. 8 del C.T. del Comune di Pregnana Milanese”; correlativamente viene menzionata solo la convenzione a suo tempo stipulata con il Comune di Pregnana Milanese, la certificazione rilasciata dal Comune di Vanzago al solo fine di attestare che l’attività estrattiva non ricade nella fascia di rispetto di 200 metri dai pozzi di acqua potabile di quel Comune, e la necessità di rispettare gli obblighi assunti a tutela degli interessi del Comune di Pregnana;

(iii) considerazioni del tutto identiche valgono per l’autorizzazione n. 4765 del 19 maggio 2011, finalizzata ad una ulteriore proroga del termine fissato per lo scavo del quantitativo residuo: ancora una volta si richiama solo la convenzione stipulata con il Comune di Pregnana e vincoli da essa derivanti; oltre alla certificazione del Comune di Vanzago relativa al rispetto della fascia a protezione dei pozzi; ,dunque non risulta che il Comune di Vanzago abbia acconsentito alla trasformazione del territorio connessa all’utilizzazione di alcune aree quale deposito di materiale risultante dall’attività di escavazione.

(iv) v’è, ancora, l’autorizzazione n. 178 del 30 giugno 2010, relativa al rinnovo dell’autorizzazione all’esercizio delle operazioni di messa in riserva e recupero di rifiuti speciali non pericolosi inerti; tale autorizzazione è stata rilasciata all’esito di una conferenza di servizi alla quale ha partecipato il Comune di Vanzago, che nell’occasione risulta aver espresso parere negativo al rinnovo dell’autorizzazione “per gli impatti negativi che l’attività oggetto di autorizzazione comporta sul territorio di Vanzago in merito all’acustica e all’abbattimento delle polveri”, parere che è stato superato dalla Provincia di Milano in considerazione del fatto che “l’impianto è collocato a più di 150 m dai recettori sensibili dal citato Comune”; l’autorizzazione in questione non cita alcuna convenzione, e comunque si riferisce a operazioni, di messa a riserva di rifiuti speciali non pericolosi e inerti “presso l’impianto in Comune di Pregnana Milanese località Cascina Madonnina”

7.4. Il Comune di Vanzago, quindi, non risulta sia stato coinvolto nel procedimento se non al limitato fine di attestare che l’attività estrattiva non avrebbe interferito con i pozzi di acqua potabile in uso al Comune medesimo, nonché al fine esprimere il proprio parere sull’attività di messa a riserva dei rifiuti prodotti, in relazione alle emissioni prodotte, e non già per aspetti connessi alla trasformazione del proprio territorio; non risulta, in particolare, che la Società abbia stipulato, con il Comune di Vanzago una convenzione ai sensi dell’art. 15 della L.R. 14/1998 né che, in mancanza di accordo, la Provincia abbia determinato gli obblighi che la Società avrebbe dovuto rispettare a tutela degli interessi del Comune di Vanzago, obblighi che infatti non sono menzionati nelle autorizzazioni sopra ricordate.

7.5. Conseguentemente, anche ammesso – ma non concesso, in mancanza di rigorosa dimostrazione – che il piano di coltivazione presentato alla Provincia contemplasse anche l’utilizzo di alcuni mappali situati nel territorio del Comune di Vanzago per lo stoccaggio di materiale, le varie autorizzazioni rilasciate dalla Provincia non potrebbero esplicare efficacia con riferimento al territorio del Comune di Vanzago, conseguendo da ciò che il deposito di materiale ivi effettuato deve considerarsi illegittimo, a prescindere dall’inserimento del Comune di Vanzago nel Piano Provinciale Cave.

7.6. Segue da quanto sopra che in relazione all’attività esercitata sui fondi situati nel Comune di Vanzago, questo ben poteva azionare i poteri di vigilanza sull’attività urbanistica ed edilizia che il D.P.R. n. 380/2001 attribuisce ai comuni. Da questo punto di vista a nulla giova l’orientamento giurisprudenziale, citato dall’appellante, che risale alla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 8/1991, secondo cui l’autorizzazione all’esercizio di attività di estrazione e sfruttamento di cave non sono soggette ad un titolo edilizio autonomo, da parte dei comuni, oltre all’autorizzazione all’esercizio dell’attività: non giova appunto per la ragione che le autorizzazioni sopra menzionate non possono esplicare efficacia nei confronti del Comune di Vanzago.

7.7. Merita rammentare, peraltro, che la recente giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha chiarito che tale principio non implica che l’attività estrattiva possa essere esercitata anche a dispetto di contrarie previsioni della disciplina urbanistica, ma significa piuttosto che la valutazione circa la conformità urbanistica dell’attività estrattiva viene eccezionalmente esercitata dall’ente individuato dalla legislazione regionale per il rilascio dell’autorizzazione, anziché dal comune: la conformità urbanistica dell’attività estrattiva deve, comunque, essere garantita, e ciò “alla luce dell’evoluzione della legislazione relativa al contenuto degli strumenti urbanistici comunali e della dilatazione della pianificazione urbanistica, che ha finito con l'identificarsi con la pianificazione di tutto il territorio del comune, in relazione non solo all'interesse connesso all'attività edificatoria propriamente detta, ma anche ad altri, diversi e molteplici interessi che sono comunque correlati alla salvaguardia del territorio, le misure di salvaguardia sono da considerare applicabili non solo all'attività edilizia in senso stretto, ma a tutte le altre forme di utilizzazione del territorio oggetto di pianificazione territoriale, compresa quindi l'attività estrattiva.” (Cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 6755/2014).

8. Con secondo motivo di appello parte appellante censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto l’ordinanza impugnata legittima anche con riferimento al termine assegnato per provvedere allo sgombero (240 giorni), reputandolo sufficientemente ampio e inoltre prorogabile stante l’inizio dell’esecuzione da parte della Società.

8.2. La società appellante rileva che in realtà non aveva denunziato solo la tempistica del provvedimento, ma anche la motivazione apparente della sentenza, l’irragionevolezza della misura, la violazione del principio di proporzionalità, la non necessità dell’ordinanza che “forzava una situazione procedurale ancora in itinere”; sulla tempistica data con l’ordinanza la Società ha riproposto gli originari argomenti, che fanno leva sulla “abnormità” della richiesta di allontanamento dell'intero materiale nel termine imposto.

8.3. La censura, nelle sue varie prospettazioni, è palesemente infondata.

8.3.1. In primo luogo non si può affermare che l’appellata sentenza rechi una motivazione apparente: l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha chiarito, con la sentenza n. 11 del 2018, che "la motivazione è apparente quando sussistono anomalie argomentative di gravità tale da porre la motivazione al di sotto del <<minimo costituzionale>> che si ricava dall'art. 111, comma 5, Cost. (<<Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati>>). Pertanto, dà luogo a nullità della sentenza solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé. Esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di <<sufficienza>> della motivazione, tale anomalia si identifica, oltre che nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, nella motivazione meramente assertiva, tautologica, apodittica, oppure obiettivamente incomprensibile". Tali condizioni all’evidenzia non si ravvisano nella sentenza oggetto d’impugnazione.

8.3.2. Va dipoi evidenziato che l’ordinanza di sgombero è stata adottata ai sensi del D.P.R. n. 380/2001, e in particolare ai sensi l’art. 31, il quale fissa inderogabilmente in 90 giorni il termine entro il quale il responsabile dell’abuso edilizio deve provvedere al ripristino dello stato dei luoghi, dopo l’ingiunzione di rimessione in pristino.

8.3.3. L’appellante, sul presupposto che l’intervento risultava già assentito dall’autorizzazione provinciale, non ha contestato che l’intervento in questione non fosse sanzionabile ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001. Poiché, come si è detto, non esiste alcun titolo autorizzativo che sia opponibile ed efficace nei confronti del Comune di Vanzago, ne consegue che l’imponente deposito di materiale di cava realizzato dall’appellante è stato correttamente sanzionato, peraltro con l’assegnazione di un termine di gran lunga più ampio di quello massimo previsto dalla legge, di talché l’appellante non avrebbe neppure interesse alla censura.

8.3.4. Quanto alla irragionevolezza insita nell’ordine di rimuovere tutto il materiale depositato, anziché solo quello necessario e sufficiente a ricondurre i depositi entro “limiti di tollerabilità”, il Collegio osserva che l’utilizzazione in via continuativa di terreni agricoli per il deposito di materiali di cava integra mutamento di destinazione d’uso, indipendentemente dalla quantità di materiali depositati e dalle dimensioni dei cumuli, essendo evidentemente impossibile l’insediamento di coltivazioni su fondi che siano ricoperti da cumuli di materiali. Più in generale si deve osservare che il fatto che su un terreno siano ritrovati cumuli di materiali di grandi dimensioni denuncia che essi cumuli sono frutto di azione prolungata nel tempo ed evidenzia l’intenzione, da parte del proprietario del suolo, di rendere il suddetto uso del suolo, diverso da quello agricolo, stabile per un periodo di tempo indefinito, o anche solo prolungato. Quindi, l’ordinanza impugnata, laddove afferma che “i relativi cumuli sono via via aumentati in altezza nel corso degli anni 2016 e 2017” e che “in ragione delle quantità di materiale depositato si è di fronte ad una inaccettabile e rilevante trasformazione del territorio comunale che confligge con l'interesse pubblico ad un corretto utilizzo del territorio stesso”, ha inteso semplicemente affermare che la situazione di fatto venutasi a creare evidenzia che si è al cospetto di un definitivo mutamento di destinazione d’uso del fondo, che come tale va sanzionato. Merita precisare, ulteriormente, che non è in sé la quantità di materiale depositato a determinare il mutamento di destinazione d’uso, ma la circostanza che il diverso utilizzo sia impresso al fondo con continuità nel tempo: la ingente quantità rappresenta, in tal senso, un indice di questa continuità nel tempo, che però può essere dimostrata anche in altro modo. Priva di rilievo è, poi, la circostanza che la destinazione d’uso possa essere ripristinata: a prescindere dalla considerazione che qualsiasi trasformazione del territorio, per quanto invasiva, può essere ripristinata con l’adozione delle misure appropriate, che possono comprendere anche costose azioni di bonifica ambientale, è evidente che nel momento in cui la destinazione prevista dalle norme urbanistiche è preclusa da una diversa utilizzazione si è al cospetto di un mutamento di destinazione d’uso, e le misure sanzionatorie hanno precisamente lo scopo di ripristinare l’uso pianificato dal comune.

8.3.5. Relativamente al fatto che il provvedimento impugnato non reca una motivazione sulle ragioni di interesse pubblico che lo sorreggono, e ribadito che l’ordinanza impugnata è stata emanata ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001, ed ha quindi inteso sanzionare un abuso edilizio, giova richiamare quanto affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 9/2017, secondo cui “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino”.

8.3.6. Merita, infine, soggiungere, che, in difetto di una autorizzazione opponibile al Comune di Vanzago, anche se l’attuale contenzioso in essere sul Piano Cave dovesse concludersi in senso sfavorevole al Comune di Vanzago, e quindi con l’inserimento nel Piano Cave dei terreni di proprietà dell’appellante, situati nel territorio del suddetto Comune, tutto ciò non potrebbe, de jure condito, condurre ad una sanatoria dell’abuso (edilizio) integrato dal deposito di materiali in tutto il periodo precedente al 16 maggio 2006.

8.3.7. Come si evince dalla sentenza di questo Consiglio di Stato n. 3473 del 2012, pronunciata inter partes, fino al 16 maggio 2006 il territorio del Comune di Vanzago non era incluso nel Piano Cave provinciale. Il 15 gennaio 2004 la Provincia adottava un Piano cave che ancora escludeva il Comune di Vanzago dal perimetro dell’ambito estrattivo, ma la Regione Lombardia, con la citata delibera del 16 maggio 2006, in sede di approvazione definitiva, accoglieva alcune osservazioni prodotte dalla Società appellante, e modificava il Piano, includendo nell’ambito ATEg7 ulteriori 83.000 mq. ricadenti nel territorio del Comune di Vanzago. Tale delibera regionale veniva annullata dal TAR Lombardia, con sentenza confermata dalla citata decisione di questa Sezione n. 3473/2012.

8.3.8. In asserita ottemperanza a tale pronunciamento la Regione Lombardia, con delibera di Giunta Regionale dell’8 febbraio 2016 inseriva nuovamente il Comune di Vanzago nel Piano Cave della Provincia di Milano: anche tale delibera è stata annullata dal TAR Lombardia, con sentenza n. 2125 del 10 novembre 2017, confermata dalla sentenza di questo Consiglio di Stato n. 6578 del 21 novembre 2018.

8.3.7. Da quanto sopra consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dalla appellante, il territorio del Comune di Vanzago è stato inserito nel Piano Cave provinciale solo transitoriamente, in forza di provvedimenti che sono stati successivamente annullati in via giurisdizionale, e quindi con effetto retroattivo: quindi, se anche i fondi di proprietà dell’appellante siti in Comune di Vanzago fossero, in futuro, inseriti nel Piano Cave provinciale, ciò non sarebbe utile a sanarne l’utilizzo pregresso, poiché il Comune di Vanzago sarebbe tenuto ad adeguare lo strumento urbanistico, imprimendo ai fondi una destinazione diversa da quella agricola, solo in esito al definitivo inserimento di tali fondi nell’ambito estrattivo ATEg7, mentre la destinazione agricola rimarrà quella effettiva per tutto il periodo pregresso, in contrasto con l’uso in concreto impressovi dalla Società appellante.

8.3.8. Ciò considerato risulta completamente destituita di fondamento anche la pretesa dell’appellante a non rimuovere il materiale per evitare di “forzare una situazione procedurale ancora in itinere”.

9. In conclusione, l’appello va respinto.

10. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento, nei confronti del Comune di Vanzago, al pagamento delle spese relative al presente grado, che si liquidano in €. 5.000,00 (euro cinquemila), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 ottobre 2023, celebrata in videoconferenza ai sensi del combinato disposto degli artt. 87, comma 4 bis, c.p.a. e 13 quater disp. att. c.p.a., aggiunti dall’art. 17, comma 7, d.l. 9 giugno 2021, n. 80, recante “Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l'efficienza della giustizia”, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati:

Oreste Mario Caputo, Presidente FF

Giordano Lamberti, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere

Roberta Ravasio, Consigliere, Estensore

Annamaria Fasano, Consigliere