Consiglio di Stato Sez. IV n. 1614 del 14 marzo 2018
Urbanistica.Concetto di vicinitas ai fini dell’impugnazione di un titolo edilizio

La c.d. “vicinitas”, cioè la una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato, appare sufficiente a radicare la legittimazione del confinante; non è necessario accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato comportino o no un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione; la realizzazione di consistenti interventi che comportano una rilevante e notevole alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio deve ritenersi pregiudizievole in re ipsa, in quanto il nocumento è conseguente alla minore qualità panoramica, ambientale, paesaggistica; ovvero alla possibile diminuzione di valore dell’immobile.


Pubblicato il 14/03/2018

N. 01614/2018REG.PROV.COLL.

N. 09297/2016 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9297 del 2016, proposto da Annalisa Poletti, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonio D'Aloia, Francesco Banchini e Silvia Marchi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Antonio D'Aloia in Roma, via Emilio De Cavalieri 11;

contro

Paolo Giandebiaggi e Gianluca Mora, rappresentati e difesi dagli avvocati Aristide Police e Paolo Michiara, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Aristide Police in Roma, via di Villa Sacchetti 11;

nei confronti di

Comune di Parma, Provincia di Parma, Maria Pietralunga e Giovanna Poletti non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA – Sez. staccata di Parma – Sez. I n. 00250/2016, resa tra le parti, concernente impugnazione RUE – modifica destinazione area


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti l’atto di costituzione in giudizio di Paolo Giandebiaggi e di Gianluca Mora;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2017 il Cons. Giuseppa Carluccio e uditi per le parti gli avvocati Paolantonio su delega di D'Aloia e Michiara.


FATTO e DIRITTO

1.La controversia concerne un’area - (foglio 1, mappale 129, superficie catastale mq 3160, catasto terreni del Comune di Parma, sezione Vigatto), di proprietà delle signore Annalisa Poletti, Giovanna Poletti e Pietralunga Maria, sita nel Comune di Parma, intimate in primo grado - la quale, con delibera dell’amministrazione comunale (n. 71 del 20 luglio 2010), in esito all’accoglimento di osservazioni alla variante del Regolamento Urbanistico Comunale (d’ora in poi RUE) del 2009, proposte anche dall’altra comproprietaria signora Pia Fontana, è stata in parte (mq 1.771) oggetto di modifica della destinazione d’uso da parco urbano e sub-urbano (ZB3) a zona di completamento residenziale (ZB5).

2. Al fine di rendere meglio comprensibili i termini delle questioni dibattute è opportuno dare conto di vicende che hanno riguardato l’area in argomento, rientrante in una originaria lottizzazione (1957) proposta da parte dei danti causa delle attuali proprietarie, quando l’area ricadeva nel Comune di Vigatto.

2.1. Dopo l’accorpamento del Comune di Vigatto con quello di Parma, quest’ultimo (con deliberazione del 2 ottobre 1964) ha modificato il disciplinare di lottizzazione (cd. “Cinghio”) per adattarlo a quello del nuovo Comune ed in considerazione della accettazione della proposta irrevocabile, proveniente dai proprietari lottizzanti, con validità biennale, dell’obbligazione di cedere gratuitamente al Comune un’area di mq 4.613.

Nella stessa delibera si prevedeva (art. 19) il passaggio al demanio comunale di tutte le opere pubbliche e delle aree destinate a verde pubblico, nelle forme di legge e senza compenso; si demandava (art. 28) al disciplinare di lottizzazione, da redigere con atto pubblico e da trascriversi, l’obbligo di prevedere il trasferimento al Comune delle aree destinate ad uso pubblico (strade, piazze, verde pubblico, ecc.).

Con delibera Comunale del 1966 veniva approvata la regolare esecuzione delle opere di lottizzazione realizzate (strada, fognatura, illuminazione) assumendo in carico gli impianti e la relativa manutenzione.

3. Nei successivi piani regolatori, come è pacifico in causa, l’area in argomento è individuata come verde pubblico urbano o di quartiere

Nel Piano Strutturale Comunale (d’ora in poi PSC) del 2007 l’area è compresa come parco urbano e sub urbano, disciplinato dall’art. 24, destinata alla realizzazione di attrezzature e spazi collettivi, attuabile mediante la perequazione prevista dall’art. 30 dello stesso PSC. Il suddetto art. 24 demandava al Piano Operativo Comunale (d’ora in poi POC) l’articolazione delle diverse tipologie di attrezzature e spazi collettivi da insediare nel parco. A tanto si conformava la variante del RUE del 27 gennaio 2009, finalizzata all’adattamento del regolamento alle leggi regionali sopravvenute e al PSC del 2007.

4. Le proprietarie, nel settembre 2009, presentarono osservazioni (n. 535), rilevando che l’area era stata destinata sin dal 1989/1992 a verde pubblico, con destinazione impressa dal Comune che reiterava un vincolo espropriativo senza motivazione e senza alcun indennizzo, e chiesero la modifica dell’area a zona residenziale di completamento.

Come detto, l’amministrazione, con delibera n. 71 del 20 luglio 2010, accolse parzialmente le osservazioni, modificando nel RUE la destinazione d’uso di una parte dell’area (mq 1.771) da parco urbano e sub-urbano (ZB3) a zona di completamento residenziale (ZB5), confermando la classificazione a verde pubblico per l’altra parte dell’area. Con tale modifica, nell’area di completamento residenziale si consentiva un permesso di costruire convenzionato (ex art. 18 della legge regionale Emilia Romagna n. 20 del 2000) con previsione di contributo perequativo alla città pubblica.

5. I proprietari confinanti dell’area con destinazione a verde pubblico, signori Paolo Giandebbiaggi e Gianluca Mora (d’ora in poi confinanti), hanno proposto ricorso al Tar avverso la suddetta delibera comunale del 2010 di modifica del RUE.

5.1. In via principale hanno dedotto:

a) eccesso di potere, come sviamento, per essere stata prevista una parziale urbanizzazione a vantaggio dei privati di un’area - oggetto di un obbligo di cessione al Comune da parte dei danti causa, nell’ambito della lottizzazione di una cascina negli anni sessanta, del quale l’amministrazione non aveva mai chiesto l’adempimento, così restando di proprietà privata - destinata dai piani regolatori a verde pubblico, e anche di fatto utilizzata come campetto di calcio, con rinuncia dell’amministrazione ad un’area verde che avrebbe potuto pretendere;

b) violazione della legge regionale n. 20 del 2000, non avendo provveduto alla ripubblicazione del RUE dopo l’accoglimento della proposta di modifica della destinazione dell’area incidente sul PSC, così non consentendo la partecipazione dei controinteressati.

6. Il T.a.r., con la sentenza specificata in epigrafe, ritenuto l’interesse dei vicini ricorrenti, ha accolto i motivi di ricorso proposti in via principale.

7. Avverso la suddetta sentenza ha proposto appello la signora Annalisa Poletti e presentato memorie, anche di replica.

7.1. Si sono costituiti i confinanti, originari ricorrenti, depositando memorie, anche di replica.

7.2. Non si sono costituiti la Provincia di Parma, il Comune di Parma, né le signore Giovanna Poletti e Pietralunga Maria, originarie intimate, non costituite, nel giudizio di primo grado.

8. Ritiene il Collegio che - stante il rigetto dell’appello nel merito per le ragioni che si esporranno in prosieguo - in ossequio al criterio della ragione più liquida (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., n. 5 del 2015), possa prescindersi dall’esame della eccezione di acquiescenza sollevata dagli appellati, che sarebbe integrata dalla mancata impugnazione del diniego di permesso di costruire sull’area, successivo alla sentenza del T.a.r.; peraltro, emesso in adempimento della stessa.

9. Preliminare è il profilo della sussistenza dell’interesse all’originario ricorso in capo ai confinanti, ritenuto sussistente dal T.a.r. e censurato con l’appello.

9.1. L’appellante lamenta la mancata valutazione in concreto del pregiudizio derivante dalla perdita di pregio ambientale della zona mediante la diminuzione del verde pubblico, dedotto dai vicini ricorrenti, essendo necessaria una effettiva e documentata lesione delle facoltà dominicali.

9.2. L’assunto va respinto.

La giurisprudenza (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 1995 del 2014; n. 361 del 2013; n. 4926 del 2012) ha da tempo concluso che:

a) la c.d. “vicinitas”, cioè la una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato, appare sufficiente a radicare la legittimazione del confinante;

b) non è necessario accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato comportino o no un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione;

c) la realizzazione di consistenti interventi che comportano una rilevante e notevole alterazione del preesistente assetto urbanistico ed edilizio deve ritenersi pregiudizievole in re ipsa, in quanto il nocumento è conseguente alla minore qualità panoramica, ambientale, paesaggistica; ovvero alla possibile diminuzione di valore dell’immobile.

Si è dato rilievo, altresì, alle implicazioni urbanistiche ed alle conseguenze prodotte dal nuovo insediamento sulla qualità della vita di coloro che per residenza, attività lavorativa e simili, sono in durevole rapporto con la zona in cui sorge la nuova opera (Cons. Stato, sez. IV, n. 2849 del 2007); così consentendo una maggiore tutelabilità di quegli interessi che, contrastando una nuova edificazione, mirano a preservare le condizioni dell'area e l'assetto edilizio ed urbanistico ed ambientale della zona (Cons. Stato, sez. IV, n. 2861 del 2015).

9.3. Nel caso di specie è indubbia la vicinanza, per essere gli originari ricorrenti confinanti con l’area della quale è stata mutata la destinazione. Sussiste l’interesse degli stessi alla conservazione a verde pubblico dell’area in luogo della parziale edificazione, incidendo la variazione sul contesto territoriale ed urbanistico sotto il profilo della perdita di pregio ambientale, con impatto anche sul valore della proprietà vicina.

10. Prima dell’analisi del merito dell’appello, è opportuno premettere che le parti concordano sulle seguenti circostanze: - che non sia stato mai rinvenuto l’atto d’obbligo di cessione gratuita proveniente dai danti causa, richiamato nella delibera del 1964, di cui si è detto; né la planimetria che individuasse l’area ceduta; - che la titolarità dell’area in argomento sia restata in capo ai danti causa e poi agli attuali proprietari; - che l’amministrazione comunale non abbia mai preteso la cessione dell’area.

10.1. Inoltre, nella decisione della controversia, non può assumere rilievo, stante la novità, l’eccezione sollevata solo con l’appello in ordine alla diversa estensione tra l’area ceduta con l’atto d’obbligo (mq 4.613.) e quella oggetto della richiesta della modifica di destinazione (m.q. 3160); tanto più in assenza di una esatta individuazione anche catastale di quella oggetto dell’atto d’obbligo di cessione gratuita e della contrapposta certezza – non messa in discussione in primo grado - che l’area in argomento rientrava nella lottizzazione fatta dai danti causa negli anni sessanta del secolo scorso.

11. Il primo giudice ha ritenuto sussistente l’eccesso di potere sulla base di due argomentazioni strettamente collegate:

a) è stata parzialmente accolta una osservazione dei proprietari, infondata in fatto, perché nella osservazione hanno taciuto la vicenda relativa all’obbligo di cessione al Comune assunto dai danti causa; infondata in diritto, perché hanno sostenuto che l’area era gravata da vincolo espropriativo decaduto, mentre si trattava di vincolo conformativo e non espropriativo;

b) l’obbligo di cessione restato non eseguito e non richiesto, anche se non più attivabile per via della prescrizione del termine, in presenza di una destinazione continuativa a verde pubblico negli strumenti urbanistici e di un concreto utilizzo dell’area a fini sportivi, senza opposizione della proprietà, avrebbe dovuto indurre il Comune ad agire per usucapione, stante il possesso ultraventennale o a rivendicare una servitù di uso pubblico.

11.1. Il T.a.r., inoltre, ha ravvisato la violazione dell’obbligo di ripubblicazione del RUE.

Ha richiamato la giurisprudenza di questo Consiglio, elaborata in riferimento alla legge urbanistica n. 1150 del 1942 e ritenuta riferibile ed, anzi applicabile con maggior rigore, nel caso di legge regionale (come nella specie, art. 33 l.r. n. 20 del 2000) che demandi l’approvazione al Comune. Giurisprudenza, che esige la ripubblicazione del Piano Regolatore nel caso di accoglimento di osservazioni proposte da soggetti diversi dal proprietario che possano arrecare a questi un nocumento. Inoltre, il primo giudice, ritenuta la necessità di valorizzare la finalità partecipativa assicurata dalla ripubblicazione, ha sostenuto che in presenza di modifiche sostanziali, quale è quella della specie incidente sulla destinazione di zona, il principio partecipativo debba ritenersi esteso anche all’ipotesi in cui l’osservazione accolta, che ha comportato la modifica ed ha inciso sulla posizione giuridica di soggetti terzi (i confinanti), sia stata proposta dai formali proprietari dell’area.

Nel disattendere l’eccezione del Comune in ordine all’assenza del carattere sostanziale della modifica apportata, fondata nella modesta porzione dell’area in concreto interessata, il T.a.r. ha argomentato nel senso che non può venire in rilievo la dimensione fisica dell’area, essendo dirimente la mancanza di congruenza della modifica rispetto ai criteri generali della programmazione urbanistica in riferimento al mantenimento di aree di verde, sovvertita dall’utilizzo dell’area a fini residenziali.

12. A sostegno dell’appello, la signora Poletti così essenzialmente ha argomentato:

a) il riconosciuto eccesso di potere si fonda su un’erronea ricostruzione dei fatti, non essendoci alcuna certezza in ordine alla circostanza che l’area oggetto di cessione volontaria (quasi mq 4.600) da parte dei danti causa, nell’ambito di una lottizzazione dell’area dove vi era una cascina, sia la stessa area della quale ora si controverte (complessivamente di mq 2.900); non può darsi rilievo in diritto alla circostanza che la proprietaria, nel fare le osservazioni, abbia qualificato la destinazione ad area pubblica della sua proprietà come vincolo espropriativo, costituendo le osservazioni un mero apporto collaborativo; qualunque diritto nascente dall’atto di cessione volontaria sarebbe prescritto; lo stesso Comune, con la lettera del 15 maggio 2007, ha invitato i proprietari a cedere al Comune terreni non edificabili in cambio di ottenimento di edificabilità;

b) è errato ritenere necessaria la ripubblicazione, richiesta solo se il Comune accoglie osservazioni che comportino profonda modifica dei criteri posti a base del piano; mentre, nella specie, si tratterebbe di modifiche non sostanziali, essendo stata prevista la trasformazione urbanistica solo di parte del terreno a residenza restando la rimanente parte destinata a verde pubblico, in un contesto urbanistico di un assetto del comparto, composto da edifici abitati di piccole dimensioni.

13. L’appello è infondato e va rigettato.

13.1. In riferimento al riconosciuto eccesso di potere, le censure dell’appellante sono prive di pregio, atteso che:

a) per quanto già detto (§ 10.1.) non può assumere rilievo, per novità, l’eccezione sollevata solo con l’appello in ordine alla diversa estensione tra l’area ceduta con l’atto d’obbligo e quella oggetto della richiesta della modifica di destinazione, al fine di mettere in discussione per la prima volta in appello che l’area della quale ora si controverte rientri nella zona oggetto della originaria lottizzazione della cascina negli anni cinquanta/sessanta del secolo scorso;

b) quanto all’assunta irrilevanza della richiesta dei privati nel qualificare il vincolo come espropriativo piuttosto che come conformativo, la censura è inconferente atteso che nel percorso argomentativo seguito dal giudice nella sentenza impugnata non assume rilievo la prospettazione della parte nella osservazione, ma la effettiva consistenza del vincolo quale conformativo, come tale idoneo a destituire di fondamento la richiesta di modifica;

c) la sentenza gravata prescinde totalmente dal diritto nascente dall’obbligo di cessione volontario, per via della prescrizione;

d) inconferente è il richiamo alla lettera inviata dallo stesso Comune, nel maggio del 2007, essendo la stessa a carattere generale e inviata sulla base del RUE del 2007:

e) pure inconferente è la produzione della autorizzazione paesaggistica rilasciata, prima della sentenza di primo grado, in riferimento alla domanda di permesso di costruire condizionato relativo all’area, che ha come presupposto le disposizioni di destinazione urbanistica, poi annullate dal T.a.r.

13.1.2. Correttamente, invece, il primo giudice ha messo in rilievo un duplice errore dell’amministrazione nell’accogliere le osservazioni, atteso che:

a) nelle osservazioni era stato omesso ogni riferimento alla vicenda relativa all’obbligo di cessione al Comune assunto dai danti causa nella precedente lottizzazione; infatti, la circostanza della non conoscenza della vicenda, dedotta dall’amministrazione, non può certo valere a giustificare, quantomeno, un difetto di diligenza nella svolgimento dell’attività amministrativa, costituendo un errore di fatto dovuto a inefficienza dell’amministrazione nelle svolgimento delle proprie funzioni; b) era stata prospettata l’esistenza di un vincolo espropriativo decaduto, mentre sulla base dei successivi piani regolatori si trattava solo di vincolo conformativo; tanto in conformità con la giurisprudenza consolidata di questo Consiglio che riconosce carattere conformativo, con validità a tempo indeterminato, alle previsioni di un piano regolatore che destinano un'area a verde pubblico attrezzato, trattandosi di vincoli inquadrabili nella zonizzazione dell'intero territorio comunale o di parte di esso, che rendono possibile, anche ad iniziativa del proprietario, la realizzazione di opere e strutture intese all'effettivo godimento del verde (ex multis Cons. Stato, sez. V, n. 2116 del 2012; sez. IV, n. 2769 del 2015).

13.1.3. Inoltre e soprattutto, il primo giudice ha fondato la decisione sull’omessa attivazione da parte del Comune di un’azione per usucapione dell’area o per rivendicare una servitù di uso pubblico, in presenza di un obbligo di cessione restato non eseguito e non richiesto, e non più attivabile per via della prescrizione del termine, e, nel contempo di una destinazione continuativa a verde pubblico negli strumenti urbanistici e di un concreto utilizzo dell’area a fini sportivi, senza opposizione della proprietà. Ma, la suddetta argomentazione, idonea da sola a configurare eccesso di potere come sviamento alla luce dei parametri di ragionevolezza e proporzionalità, non risulta sottoposta a specifica censura da parte dell’appellante.

13.2. In riferimento alla violazione dell’obbligo di ripubblicazione del RUE, il Collegio condivide le argomentazioni del primo giudice, non scalfite dalla riproposizione della tesi dell’appellante, la quale insiste sul carattere non sostanziale delle modifiche per via della limitata estensione dell’area coinvolta.

13.2.1. In particolare, si ritiene appropriata al caso di specie, anche in considerazione dell’eccesso di potere quale sviamento di cui si è detto, la valorizzazione della finalità partecipativa assicurata dalla ripubblicazione, quando l’osservazione accolta, che ha comportato la modifica ed ha inciso sulla posizione giuridica di soggetti terzi (i confinanti), sia stata proposta dai formali proprietari dell’area, stante la presenza di modifiche sostanziali, quale è quella della specie incidente sulla destinazione di zona.

13.2.2. In riferimento al carattere sostanziale o meno della modifica apportata al RUE in collegamento alla necessità o meno di ripubblicazione, questo Consiglio condivide, in generale, l’indirizzo consolidato che – sulla base del carattere di strumento di collaborazione delle osservazioni, funzionale alla migliore valutazione degli interessi coinvolti che non deve tradursi in una defatigante gestione procedimentale - tende a pervenire ad una interpretazione restrittiva del carattere sostanziale della modifica, come profonda deviazione dai criteri posti a base del piano stesso, ovvero un profondo mutamento dei suoi stessi criteri ispiratori (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 1241 del 2014; n. 1503 del 2011); negando, quindi, il carattere sostanziale per il caso di variazioni di dettaglio che comunque ne lascino inalterato l'impianto originario, anche quando queste siano numerose sul piano quantitativo ovvero incidano in modo intenso sulla destinazione di singole aree o gruppi di aree ( Cons. Stato, sez. IV, n. 5769 del 2013; n. 4313 del 2012).

13.2.3. Tuttavia, si ritiene che, nella fattispecie, ragioni peculiari consentano di ritenere integrato il carattere sostanziale della modifica, indipendentemente dall’effettiva estensione dell’area destinata all’edificazione invece che a verde pubblico. A tal fine rileva la destinazione dell’area a verde pubblico da innumerevoli anni, nonché il far parte dell’area di una originaria lottizzazione degli anni sessanta cui quel verde pubblico era funzionalizzato. Con la conseguenza, che il sovvertimento dell’utilizzo, sia pure di una sola parte di essa, fatto in accoglimento delle osservazioni dei proprietari senza la ripubblicazione, ha comportato la mancata partecipazione al procedimento dei vicini che di quel verde pubblico avrebbero potuto godere ed ha impedito la stessa emersione nel procedimento di quella originaria lottizzazione della quale l’amministrazione aveva perduto memoria.

14. In conclusione, l’appello è rigettato.

14.1. Le spese processuali seguono la soccombenza in favore dei confinanti.

14.2. Non sussistono i presupposti per la liquidazione delle spese nei confronti delle parti non costituite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, così provvede:

a) respinge l'appello e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza;

b) condanna l’appellante al pagamento, in favore degli appellati, in solido, delle spese ed onorari, che liquida in complessivi euro 2.000,00, oltre accessori come per legge (I.V.A., C.P.A.e rimborso spese generali al 15%).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 dicembre 2017 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Troiano, Presidente

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Nicola D'Angelo, Consigliere

Giovanni Sabbato, Consigliere

Giuseppa Carluccio, Consigliere, Estensore

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Giuseppa Carluccio        Paolo Troiano