Sez. 3, Sentenza n. 6450 del 01/02/2006 Cc. (dep. 21/02/2006 ) Rv. 233314
Presidente: Papadia U. Estensore: Lombardi AM. Relatore: Lombardi AM. Imputato: Falcione. P.M. Fraticelli M. (Conf.)
(Rigetta, Trib. Campobasso, 29 Settembre 2005)
DEMANIO - Demanio marittimo - Realizzazione abusiva di manufatto su area demaniale - Ultimazione dell'opera - Sequestro preventivo - Adattabilità - Fondamento.

In tema di tutela del demanio, la avvenuta ultimazione dei manufatti realizzati abusivamente su area demaniale e la conseguente accessione degli stessi al suolo demaniale non è ostativa alla adozione del provvedimento di sequestro cautelare, in relazione all'ipotesi di reato di cui all'art. 1161 cod. nav. (abusiva occupazione di spazio demaniale), trattandosi di reato che permane sino a quando si protrae la occupazione illegittima.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. PAPADIA Umberto - Presidente - del 01/02/2006
Dott. MANCINI Franco - Consigliere - SENTENZA
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - N. 158
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - N. 41175/2005
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Avv. Di Giandomenico Giovanni, difensore di fiducia di FALCIONE Esmeralda, n. a Pescopennataro il 20/11/1934;
avverso l'ordinanza in data 29/09/2005 del Tribunale di Campobasso, in funzione di giudice del riesame, con la quale è stato confermato il decreto di sequestro preventivo di beni immobili emesso dal G.I.P. del Tribunale di Larino in data 12/07/2005.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Alfredo Maria Lombardi;
Visti gli atti, la ordinanza denunziata ed il ricorso;
Udito il Sost. Procuratore Generale, Dott. Mario Fraticelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore, Avv. DI GIANDOMENICO Giovanni, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN FATTO E DIRITTO
Con la impugnata ordinanza il Tribunale di Campobasso, in funzione di giudice del riesame, ha confermato il decreto di sequestro preventivo di beni immobili emesso dal G.I.P. del Tribunale di Larino in data 12/07/2005 nei confronti, tra gli altri, di Falcione Esmeralda. Si osserva in punto di fatto nella ordinanza che il G.I.P. del Tribunale di Larino ha disposto il sequestro preventivo di numerosi immobili, in quanto realizzati nella località Rio Vivo del Comune di Termoli sul litorale marino o comunque entro la fascia di rispetto di trenta metri, senza la prescritta autorizzazione, sicché nel fatto deve ravvisarsi l'ipotesi contravvenzionale di cui all'art. 1161 c.n.. 11 giudici del riesame hanno poi ritenuto inconferenti le deduzioni difensive dell'istante, con le quali, tra l'altro, era stata dedotta l'incertezza della demanialità dell'area in questione, la risalenza nel tempo del manufatto realizzato, il fatto che l'immobile era stato acquistato da terzi e la conseguente buona fede dell'acquirente, l'inesistenza delle esigenze cautelari. Si è osservato, in contrario, nell'ordinanza che allo stato degli accertamenti eseguiti dal personale della Capitaneria di Porto, posti dal G.I.P. a fondamento del provvedimento di sequestro, deve ravvisarsi la sussistenza del fumus commissi delicti con riferimento alla natura demaniale dell'area; che, quanto alle deduzioni dell'istante, risultano, invece, inconferenti: 1) la circostanza che il terreno era stato acquistato direttamente dall'amministrazione statale, dovendosi rilevare la nullità di tale atto, per avere avuto ad oggetto la alienazione di un bene indisponibile; 2) la circostanza che il dante causa dell'istante era stato prosciolto dalla medesima imputazione con la formula perché il fatto non costituisce reato, non incidendo tale formula assolutoria sulla materialità del fatto illecito e sulla ulteriore commissione dello stesso, considerata la natura permanente del reato, e non essendovi, peraltro, neppure prova della identità delle opere di cui alla precedente pronuncia con quelle oggetto del sequestro; 3) la eccezione di prescrizione del reato, stante il già ricordato carattere permanente dello stesso; 4) la invocata buona fede della indagata, considerata la natura contravvenzionale della violazione; 5) la circostanza che la proprietaria dell'immobile potesse essere ritenuta estranea alla commissione del reato, prescindendo le misure cautelari reali dall'accertamento della colpevolezza dell'indagato; 6) la asserita insussistenza del periculum in mora, per essere stato ultimato da tempo l'immobile, essendosi rilevato in contrario che nella specie trovano applicazione i principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza in tema di abusivismo edilizio con riferimento al pericolo derivante dall'aggravamento del carico urbanistico e dalle ulteriori conseguenze dovute all'uso ed al godimento dell'opera abusiva.
Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso il difensore dell'indagata, che la denuncia per violazione di legge con vari motivi di gravame. La ricorrente premette in punto di fatto di essere proprietaria dell'immobile sequestrato per averlo ricevuto per successione dal marito, De Vincenzo Giovanni; che quest'ultimo aveva acquistato il medesimo immobile una prima volta da Delli Veneri Silvestro con rogito notarile del 23/12/1968; che successivamente con atto del 1981 il De Vincenzo Giovanni e la stessa ricorrente avevano acquistato l'area su cui insiste la costruzione dall'Amministrazione dello Stato, previo accertamento da parte dell'Intendenza di Finanza di Campobasso che la predetta area rientrava nel patrimonio disponibile dello Stato; che, infine, il De Vincenzo Giovanni era stato assolto dal Pretore di Termoli con sentenza del 30 aprile 1976 proprio dal reato di cui all'art. 1161 c.n..
Tanto premesso, la ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione dell'art. 27 Cost. e dell'art. 649 c.p.p., deducendo sull'elemento oggettivo del reato: a) che l'area su cui insiste il fabbricato non è demaniale ma è stata ceduta alla ricorrente sul presupposto della sua disponibilità, avendo la medesima ricorrente ed il suo dante causa acquistato l'area su cui insiste il fabbricato direttamente dallo Stato; b) che l'accertamento della demanialità dell'area è stato erroneamente fondato su una linea di demarcazione tracciata in un verbale del 19 marzo 1912, al quale non può esser più attribuito valore, ne' è stato attribuito valore nel corso del tempo dalle stesse pubbliche amministrazioni competenti; c) che la ricorrente non ha posto in essere alcuna arbitraria occupazione dell'area demaniale, essendo state realizzate le opere sequestrate circa trenta anni prima da altri soggetti; nonché sull'elemento soggettivo del reato: d) che doveva essere rilevata l'inesistenza dell'elemento psicologico del reato, stante la buona fede dell'indagata sulla natura disponibile dell'area e del fabbricato, evidenziata dalla circostanza che la Falcione ha sempre pagato le imposte dovute allo Stato ed all'Ente locale e che varie pronunce giurisdizionali hanno suffragato tale convincimento; e) che nella specie doveva ritenersi sussistente la preclusione derivante dal principio del ne bis in idem, essendo stato assolto il De Vincenzo Giovanni dal reato di cui all'art. 1161 c.n. proprio per la rilevata incertezza in ordine alla natura demaniale dell'area. Con un ulteriore motivo di gravame la ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione dell'art. 936 c.c., e artt. 54, 49 e 1161 c.n. e deduce la prescrizione del reato. Si deduce in sintesi che, ai sensi della citata disposizione del codice civile, il fabbricato realizzato su un'area demaniale, per il principio dell'accessione, diviene ipso iure anche esso demaniale, sicché può essere configurato quale fatto illecito solo la costruzione, senza la prescritta autorizzazione di un fabbricato su area demaniale, ma non la successiva persistenza del manufatto sulla stessa, non appartenendo più l'immobile all'autore del reato.
La ricorrente denuncia, infine, la violazione ed errata applicazione dell'art. 321 c.p.p., deducendo che la motivazione addotta a sostegno della sussistenza delle esigenze cautelari non tiene conto della fattispecie contravvenzionale oggetto di indagini, in relazione alla quale doveva, invece, escludersi la sussistenza del periculum in mora, non potendo configurarsi alcun aggravamento del reato quale conseguenza della disponibilità della cosa da parte dell'indagata;
disponibilità che peraltro si protrae da circa trenta anni. Con memoria difensiva depositata il 25/01/2006 la ricorrente ha sostanzialmente ribadito le precedenti censure in punto di insussistenza del reato oggetto di indagine e di carenza dell'elemento psicologico dello stesso. Il ricorso non è fondato. Secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte, peraltro richiamato nella stessa ordinanza impugnata, ai fini della valutazione della legittimità del sequestro preventivo, deve essere accertata esclusivamente la sussistenza degli elementi atti a configurare la fattispecie di reato
oggetto di indagine, mentre è preclusa ogni valutazione sulla consistenza degli indizi di colpevolezza a carico dell'indagato e, più in generale, sulla fondatezza dell'accusa (cfr., tra le altre, sez. un. 23/04/1993 n. 4, Gifuni).
Orbene, emerge dall'esame del provvedimento di sequestro preventivo in data 12/07/2005, emesso dal G.I.P. del Tribunale di Larino, che la misura cautelare ha avuto ad oggetto un'area pertinenziale, in parte incolta ed in parte pavimentata in betonelle, con accesso diretto alla spiaggia, che, secondo gli accertamenti effettuati dalla Capitaneria di Porto di Termoli, fa parte del demanio marittimo ed è stata arbitrariamente occupata, tra gli altri, dalla Falcione, sicché sussiste il fumus del reato di cui all'art. 1161 c.n., così come affermato nell'ordinanza impugnata.
Nè può costituire oggetto di accertamento in sede cautelare l'esattezza della verifica eseguita dagli organi di polizia giudiziaria in ordine alla demanialità dell'area in questione. Esattamente inoltre la ordinanza impugnata ha affermato la irrilevanza delle deduzioni dell'istante per il riesame, con le quali è stata contestata la legittimità del sequestro.
Deve essere preliminarmente rilevato sul punto che il reato di cui all'art. 1161 c.n. ha natura permanente, sicché l'illecito si protrae finché dura l'occupazione illegittima dell'area demaniale (sez. 3^, 18/02/1998 n. 1950 e giurisprudenza successiva tutta conforme).
Deriva, quale conseguenza della natura permanente del reato, che non è configurabile, nel caso in esame, la preclusione da giudicato dedotta dalla ricorrente, per essere stato assolto dallo stesso reato il dante causa di quest'ultima.
I giudici di merito hanno, infatti, rilevato che tale assoluzione è stata pronunciata con la formula perché il fatto non costituisce reato, afferente, quindi all'elemento psicologico dell'autore del fatto, sicché l'accertamento sul punto non esclude la illiceità della condotta in sè considerata.
Egualmente irrilevante si palesa la circostanza che l'indagata possa aver ricevuto in buona fede l'area oggetto del sequestro, afferendo l'indagine sul punto all'accertamento della colpevolezza della Falcione; accertamento che, per quanto già osservato in precedenza, resta estraneo al giudizio sulla legittimità della misura cautelare. Peraltro, l'utilizzazione in area del demanio marittimo, senza specifico titolo, di un'opera abusiva realizzata da terzi integra il reato di occupazione abusiva di spazio demaniale quando il fruitore, pur non avendo realizzato l'opera, ne abbia l'autonoma disponibilità e la abbia finalizzata al miglior godimento di una sua proprietà (sez. 3^, 25/05/1992 n. 6313, Guidobaldi).
Deve, poi, ribadirsi il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte Suprema, secondo il quale l'art. 35 c.n. esclude ogni possibilità di sdemanializzazione tacita del demanio marittimo, potendosi attuare solamente quella espressa mediante uno specifico provvedimento costitutivo da parte dell'autorità amministrativa competente (sez. 3^, 20/01/1995 n. 125, Paparo; sez. 3^, 10/11/1994 n. 11257, Ammendolia; sez. 3^, 20/01/1989 n. 599, Rizzi; sez. 3^, 07/09/1983 n. 7384, Marsilio), sicché si palesa irrilevante il dedotto acquisto dell'area oggetto della misura cautelare dalla pubblica amministrazione, non essendo stato preceduto tale acquisto da un provvedimento di sdemanializzazione della stessa. Nè l'eventuale immemorabile possesso del suolo da parte di privati in buona fede comporta implicitamente la perdita delle caratteristiche naturali della demanialità.
Deve essere ancora osservato, con riferimento alle ulteriori deduzioni della ricorrente, che la eventuale ultimazione dei manufatti realizzati arbitrariamente su area demaniale e l'accessione degli stessi al suolo demaniale non è certamente di ostacolo alla adozione della misura cautelare, protraendosi la commissione del reato finché si protrae l'occupazione illegittima dell'area e dei manufatti realizzati sulla stessa (cfr. sez. 2^, 198700269, Boscolofallo, riv. 174814; sez. 6^, 200103947, Sindoni, riv. 217890;
sez. 3^, 200347436, P.G. in proc. Armanno, riv. 227067; sez. 3^, 200316561, Barlotti e altro, riv. 227417).
Anche l'esigenza cautelare ravvisata dai giudici di merito di impedire l'ulteriore protrazione della commissione del reato, pertanto, deve ritenersi sussistente nel caso in esame. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Ai sensi dell'art. 616 c.p.p. al rigetto dell'impugnazione segue a carico della ricorrente l'onere del pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 febbraio 2006. Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2006.