Cass. Sez. III n. 55028 del 10 dicembre 2018 (Ud 9 nov 2018)
Pres. Di Nicola Est. Ramacci Ric. Betolami
Urbanistica.sanatoria e disciplina regionale

Il giudice dell’esecuzione, in presenza di una domanda di sanatoria, non deve limitarsi a prenderne atto ai fini della sospensione o revoca dell’ordine di demolizione impartito con la sentenza di condanna, ma deve esercitare il potere-dovere di verifica della validità ed efficacia del titolo abilitativo, valutando la sussistenza dei presupposti per l’emanazione dello stesso e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio oltre, ovviamente, alla rispondenza di quanto autorizzato con le opere destinate alla demolizione, con l’ulteriore precisazione che il rispetto dei principi generali fissati dalla legislazione nazionale richiesto per le disposizioni introdotte dalle leggi regionali riguarda anche eventuali procedure di sanatoria.



RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, quale giudice dell'esecuzione, con ordinanza del 17 aprile 2018 ha rigettato l'istanza, presentata nell'interesse di Salvatore BERTOLAMI, finalizzata ad ottenere la revoca ovvero la sospensione dell'ordine di demolizione di opere abusive disposto con la sentenza numero 251/2009 del medesimo Tribunale, irrevocabile il 17 gennaio 2013.

2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione di legge, rilevando che la richiesta formulata al giudice dell'esecuzione aveva, quale presupposto, un provvedimento amministrativo che, mediante silenzio assenso, a seguito della procedura di cui all'articolo 20, comma 5 della legge regionale n. 4/2003, avrebbe mutato la precedente situazione giuridica delle opere oggetto dell'ordine demolitorio, rendendola incompatibile con l'esecuzione della sentenza.
Osserva, a tale proposito, che il giudice dell'esecuzione avrebbe adottato un provvedimento esorbitante dalle proprie attribuzioni, avendo egli sostanzialmente sindacato nel merito i presupposti e la legittimità del provvedimento di regolarizzazione ai sensi dell'articolo 20, comma 5 della richiamata legge regionale con riferimento alle caratteristiche costruttive, alle dimensioni ed alla precarietà strutturale, esercitando conseguentemente una potestà riservata dalla legge ad organi amministrativi ed incorrendo, quindi, nella dedotta violazione di legge.
Aggiunge che, peraltro, il giudice non avrebbe affatto indicato le ragioni per le quali le opere in questione non avrebbero posseduto la necessaria caratteristica della precarietà così come prevista dalla disciplina regionale.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Il Procuratore Generale, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Va preliminarmente ricordato come la giurisprudenza di questa Corte sia unanime nel riconoscere al giudice dell’esecuzione, in presenza di una domanda di sanatoria, un ampio potere-dovere di controllo sulla legittimità dell'atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci e altro, Rv. 260972; Sez. 3, n. 42164 del 9/7/2013 , Brasiello, Rv. 256679; Sez. 3, n. 40475 del 28/9/2010, Ventrici, Rv. 249306; Sez. 3, n. 17066 del 4/4/2006, Spillantini, Rv. 234321; Sez. 3, n. 46831 del 16/11/2005, Vuocolo, Rv. 232642).
Si è anche attribuita al giudice dell’esecuzione, con rifermento alla mera pendenza di una richiesta di sanatoria, la verifica dei possibili esiti e dei tempi di definizione della procedura (in tema di condono edilizio v., ad es., Sez. 3, n. 35201 del 3/5/2016, Citarella e altro, Rv. 268032; Sez. 3, n. 47263 del 25/9/2014, Russo, Rv. 261212; Sez. 3, n. 16686 del 5/3/2009, Marano, Rv. 243463; Sez. 3, n. 42978 del 17/10/2007, Parisi, Rv. 238145; Sez. 3, n. 38997 del 26/9/2007, Di Somma, Rv. 237816; Sez. 3, n. 23702 del 27/4/2007, Agostini e altro, Rv. 237062;  Sez. 3, n. 3992 del 12/12/2003 (dep.2004), Russetti, Rv. 227558).

3. Nel caso di specie, il giudice dell’esecuzione, correttamente uniformandosi ai richiamati principi, ha posto in evidenza la insussistenza di elementi di fatto che consentissero di ritenere sanato l’intervento edilizio abusivo.
Nel fare ciò, oltre ad adeguarsi correttamente ai richiamati principi, ha correttamente analizzato l’ambito di operatività della disciplina regionale la cui applicazione era stata invocata dal condannato, il quale attribuisce validità alla procedura di “regolarizzazione” delle opere abusive avviata ai sensi dell’art. 20 legge regionale 4/2003 e conclusasi mediante un provvedimento definito di “silenzio assenso”, il quale nel ricorso viene individuato sulla base dell’apposizione, in calce alla relativa istanza, della dicitura “OK salvo diritti dei terzi 14-5-2012” seguita da una sigla (attribuita all’allora responsabile dell’ufficio tecnico comunale) e dell’ulteriore annotazione “Atti”, a penna.

4. Va a tale proposito ricordato, come puntualmente osservato nel provvedimento impugnato, che questa Corte si è ripetutamene occupata dei rapporti tra la summenzionata disciplina regionale e la normativa statale contenuta nel d.P.R. 380\01.
Si è così avuto modo di chiarire che, in ogni caso, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali fissati dalla legislazione nazionale e, conseguentemente, devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi (Sez. 3, n. 30657 del 20/12/2016 (dep. 2017), Calabro' e altro, Rv. 270210; Sez. 3, n. 28560 del 26/3/2014, Alonzo, Rv. 259938; Sez. 3, n. 2017 del 25/10/2007 (dep. 2008), Giangrasso, Rv. 238555; Sez. 3, n. 33039 del 15/6/2006, P.M. in proc. Moltisanti, Rv. 234935. Conf., ma con riferimento ad altre disposizioni normative della Regione siciliana, Sez. 3, n. 4861 del 9/12/2004 (dep. 2005), Garufi, Rv. 230914; Sez. 3, n. 6814 del 11/1/2002, Castiglia V, Rv. 221427).
Con specifico riferimento alla individuazione in via di eccezione, ad opera della Legge regionale 4\2003, di opere precarie non soggette a permesso di costruire, si è osservato che il legislatore regionale ha privilegiato il "criterio strutturale", considerando la circostanza che le parti di cui la costruzione si compone siano facilmente rimovibili, in luogo di quello "funzionale", relativo all'uso realmente precario e temporaneo cui la costruzione è destinata e che dette disposizioni non possono trovare applicazione al di fuori dei casi in esse espressamente previsti (Sez. 3, n. 48005 del 17/9/2014, Gulizzi e altro, Rv. 261156; Sez. 3, n. 16492 del 16/3/2010, Pennisi, Rv. 246771; Sez. 3, n. 35011 del 26/4/2007, Camarda, Rv. 237533).
Si è infine specificato, come pure ricordato in ricorso, che la legislazione regionale in disamina è applicabile con riferimento alla sola disciplina urbanistica, restando quindi sottratta quella relativa alla disciplina edilizia antisismica e quella per le costruzioni in conglomerato cementizio armato, le quali attengono alla sicurezza statica degli edifici, rientrante nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'articolo 117, comma secondo, Cost., con la conseguenza che dette opere continuano ad essere soggette ai controlli preventivi previsti dalla legislazione nazionale (Sez. 3, n. 37375 del 20/6/2013, P.M. in proc. Serpicelli, Rv. 257594; Sez. 3, n. 16182 del 28/2/2013, Crisafulli ed altro, Rv. 255254; Sez. 3, n. 38405 del 9/7/2008, Di Benedetto e altro, Rv. 241287).

5. Come correttamente ricordato dal Procuratore Generale nella sua requisitoria, si è pervenuti a conclusioni non dissimili anche con riferimento alla “speciale” sanatoria prevista, per taluni interventi, dall'art. 18, comma quarto, della L. Reg. Sicilia 16 aprile 2003, n. 4 , ritenendola inidonea a produrre l'effetto estintivo del reato edilizio, in quanto questo, ai sensi del combinato disposto degli artt. 36 e 45 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, consegue unicamente al rilascio della concessione o permesso di costruire in sanatoria (Sez. 3, n. 5482 del 12/12/2013 (dep. 2014), Cunsolo, Rv. 258931; Sez. 3, n. 11132 del 15/2/2008, Zappala', Rv. 239072).

6. Tanto premesso, appare evidente che, in linea generale, considerati i richiamati principi, non possono essere riconosciuti effetti estintivi del reato urbanistico alla procedura di mera regolarizzazione delle opere già realizzate consentita dall’art. 20, comma 5 della legge regionale 4/2003, aventi le caratteristiche di quelle descritte nei commi precedenti del medesimo articolo, poiché una tale lettura della richiamata disposizione si porrebbe in stridente contrasto con i principi generali fissati dalla legislazione nazionale e, segnatamente, con quanto stabilito dai già richiamati articoli 36 e 45 del Testo Unico dell’edilizia.
L’ordinanza impugnata risulta pertanto, sul punto, del tutto immune da censure.
Il giudice dell’esecuzione, inoltre, ha correttamente valutato la effettiva consistenza degli interventi da demolire, escludendo, ancora una volta in perfetta consonanza con la richiamata giurisprudenza, che gli stessi fossero comunque riconducibili tra quelli descritti dall’art. 20 della legge regionale 4/2003.

7. In definitiva, occorre ribadire che il giudice dell’esecuzione, in presenza di una domanda di sanatoria, non deve limitarsi a prenderne atto ai fini della sospensione o revoca dell’ordine di demolizione impartito con la sentenza di condanna, ma deve esercitare il potere-dovere di verifica della validità ed efficacia del titolo abilitativo, valutando la sussistenza dei presupposti per l’emanazione dello stesso e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio oltre, ovviamente, alla rispondenza di quanto autorizzato con le opere destinate alla demolizione, con l’ulteriore precisazione che il rispetto dei principi generali fissati dalla legislazione nazionale richiesto per le disposizioni introdotte dalle leggi regionali riguarda anche eventuali procedure di sanatoria.

8. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità  consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 2.000,00



P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 (duemila) in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 9/11/2018