Consiglio di Stato, Sez. VI n. 5751 del 14 novembre 2012.
Urbanistica. D.I.A. e potere inibitorio dell’Amministrazione comunale.
Decorso il termine di trenta giorni per l’esercizio del potere comunale inibitorio rispetto alla d.i.a., il Comune conservava il potere di controllo sulla sussistenza dei presupposti per la d.i.a. e il conseguente potere inibitorio e sanzionatorio, ma deve necessariamente farlo con le forme dell’autotutela. Tale potere, con cui l’amministrazione è chiamata a porre rimedio al mancato esercizio del doveroso potere inibitorio, condivide i principi regolatori sanciti, in materia di autotutela, dalle norme citate, con particolare riguardo alla necessità dell’avvio di un apposito procedimento in contraddittorio, al rispetto del limite del termine ragionevole, e soprattutto, alla necessità di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo, idonea a giustificare la frustrazione dell’affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere inibitorio. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 05751/2012REG.PROV.COLL.
N. 02822/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2822 del 2012, proposto dalla signora Antonietta Poerio Piterà, rappresentata e difesa dagli avvocati Marziale Gidaro e Giuseppe Gidaro, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Gidaro in Roma, via Tor Vergata, n. 12;
contro
Il Comune di Catanzaro, rappresentato e difeso dall'avv. Anna Maria Paladino, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Valerio Zimatore in Roma, via Angelo Secchi, n. 9;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA – CATANZARO, sez. I n. 172/2012, resa tra le parti, concernente demolizione opere abusive realizzate e ripristino stato dei luoghi
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Catanzaro;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2012 il Cons. Rosanna De Nictolis e uditi per le parti l’avvocato Gidaro e l’avvocato Zimatore, per delega dell'avvocato Paladino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’odierna appellante, già ricorrente in primo grado, è proprietaria di una unità immobiliare sita in Catanzaro, via E. Vitale n. 134 e di una porzione di terreno destinata a servizio della stessa ed unita ad essa come giardino di pertinenza.
Successivamente il Comune di Catanzaro ha realizzato al confine un parcheggio pubblico, così da intercludere il giardino rispetto al parcheggio.
A seguito di ricorso innanzi al giudice ordinario promosso dalla odierna ricorrente e con il quale si lamentavano i danni derivanti alla sua proprietà dai lavori di realizzazione del parcheggio, il giudice monocratico ha, con ordinanza del 20 luglio 2009, ordinato al Comune la realizzazione di un muro di contenimento.
Con atto acquisito dall’amministrazione il 27 maggio 2009, la ricorrente ha presentato una denuncia di inizio attività (d’ora innanzi d.i.a.) relativa alla costruzione di un cancello carrabile e di uno pedonale sul muro di recinzione dell’area di parcheggio di proprietà comunale.
Decorso il termine di trenta giorni di cui all’art. 23 d.P.R. n. 380/2001 (t.u. dell’edilizia), ella ha quindi proceduto all’esecuzione dei lavori.
Con provvedimento 28 luglio 2009, n. 65684, il Comune di Catanzaro ha comunicato alla ricorrente la “non procedibilità” della d.i.a. del 27 maggio 2009 e la ha diffidata dall’intraprendere i lavori ivi previsti.
Con nota 9 settembre 2009, n. 74940, il Comune di Catanzaro ha confermato la legittimità del contenuto della precitata nota n. 65684 del 28 luglio 2009.
Quindi, con ordinanza in data 21 ottobre 2009, n. 36, del dirigente del settore edilizia privata e SUAP, il Comune di Catanzaro ha ordinato alla ricorrente di demolire le opere abusivamente realizzate (“demolizione di un tratto del muro di recinzione e rimozione della sovrastante ringhiera di proprietà comunale…realizzazione di n. 3 (tre) pilastri in c.a., aventi un’altezza ed mt. 1,70 circa, al posto della recinzione demolita, con inserimento di un cancello carrabile e di uno pedonale…realizzazione di un battuto in cls. e ripristino dei cordoli, nel giardino prospiciente la recinzione del parcheggio comunale”).
Tali tre provvedimenti sono stati impugnati con il ricorso n. 1237 del 2009 al Tar Calabria – Catanzaro.
In prosieguo l’amministrazione comunale ha adottato i seguenti provvedimenti:
- ordinanza n. 40 del 4 novembre 2009, con cui la demolizione di cui trattasi è ordinata d’ufficio;
- provvedimento del dirigente del settore patrimonio – demanio del Comune di Catanzaro del 20 ottobre 2010, con cui è revocata l’autorizzazione in data 13 luglio 2009 concernente la realizzazione di un passo carrabile a titolo precario e temporaneo.
Tali due provvedimenti sono stati impugnati con motivi aggiunti.
2. Con il ricorso di primo grado e i motivi aggiunti la ricorrente ha lamentato il difetto dei presupposti per l’adozione dei provvedimenti inibitori, in quanto era decorso il termine di trenta giorni dal deposito della d.i.a. e si era dunque ingenerato un legittimo affidamento della parte privata. Semmai l’amministrazione avrebbe dovuto esercitare il proprio potere di autotutela nel rispetto delle garanzie partecipative, che sarebbero nella specie mancate del tutto.
2.1. Nel corso del giudizio di primo grado è stata respinta la domanda cautelare, in prosieguo accolta dal Consiglio di Stato con ordinanza della IV sezione 3 febbraio 2010, n. 607, con la seguente motivazione:
“Ritenuto che le carenze documentali addotte a fondamento della declaratoria di “non procedibilità” della d.i.a., non afferendo a una radicale difformità dell’intervento dal paradigma delle opere assentibili con d.i.a., ove non rappresentate nel termine di cui all’art. 25 d.P.R. n. 380/2001, avrebbero potuto essere fatte valere dal Comune solo mediante attivazione di procedimento di autotutela, atteso il consolidarsi degli effetti della D.I.A. per decorso del termine di legge”.
3. In prosieguo l’amministrazione comunale ha adottato un formale provvedimento di autotutela in data 11 febbraio 2011, provvedimento su cui pende ancora un ricorso di primo grado.
4. Il Tar adito, con la sentenza in epigrafe, ha respinto il ricorso e i motivi aggiunti contro i cinque provvedimenti sopra menzionati, con i seguenti argomenti:
- le opere realizzate incidono sulla proprietà pubblica, per cui non erano realizzabili mediante d.i.a. e di esse deve essere ordinata la demolizione senza che ci sia possibilità di sanatoria dell’abuso (art. 35, t.u. edilizia);
- pertanto non rileverebbe il decorso del termine di 30 giorni dalla presentazione della d.i.a., essendo la d.i.a. radicalmente difforme dal paradigma legale.
5. Ha proposto appello l’originaria ricorrente, ritualmente e tempestivamente notificato e depositato.
Si lamenta con l’appello che:
- già il Consiglio di Stato in sede cautelare ha ritenuto che le opere rientrano, in astratto, tra quelle realizzabili mediante d.i.a.;
- pertanto l’eventuale difetto di presupposti formali o sostanziali per la d.i.a. doveva essere fatto valere dal Comune entro trenta giorni dal deposito della denuncia;
- decorsi tali trenta giorni l’amministrazione avrebbe dovuto ricorrere all’esercizio dei poteri di autotutela, cosa che non ha fatto, se non nel 2011, sicché tutti i provvedimenti, adottati anteriormente a tale epoca, sarebbero illegittimi;
- il Tar non si è pronunciato sui motivi di ricorso proposti contro il provvedimento di revoca dell’autorizzazione alla realizzazione del passo carrabile, provvedimento illegittimo per difetto dei presupposti per l’esercizio del potere di autotutela.
6. L’appello è fondato.
6.1. Va ricordato che la d.i.a. è stata introdotta disciplinata, in via generale, dall’art. 19 della 7 agosto 1990, n. 241 e, con riferimento alla materia edilizia, dagli artt. 22 e 23 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Dispone, in particolare, l’art. 23, comma 1, d.P.R. n. 380/2001 che il proprietario dell'immobile o chi abbia titolo per presentare la denuncia di inizio attività, almeno trenta giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori, presenta allo sportello unico la denuncia, accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati e non in contrasto con quelli adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie.
Il comma 6 del medesimo articolo aggiunge che il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato al comma 1 sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento e, in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l'autorità giudiziaria e il consiglio dell'ordine di appartenenza. E' comunque salva la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio attività, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia.
Il modello della d.i.a. edilizia è ‘a legittimazione differita’, sicché l’attività denunciata può essere intrapresa, con contestuale comunicazione, solo dopo il decorso del termine di trenta giorni dalla comunicazione. Ai sensi dell’art. 23, comma 6, d.P.R. n. 380/2001 l’amministrazione competente, in caso di dichiarazione presentata in assenza delle condizioni, modalità e fatti legittimanti, può esercitare il potere inibitorio nel termine di trenta giorni dalla presentazione della dichiarazione, che, a sua volta, deve precedere di almeno trenta giorni l’inizio concreto dell’attività edificatoria.
Decorso senza esito il termine per l’esercizio del potere inibitorio, la pubblica amministrazione dispone del potere di autotutela ai sensi degli articoli 21 quinquies e 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Restano inoltre salve, ai sensi dell’art. 21 della legge n. 241/1990, le misure sanzionatorie volte a reprimere le dichiarazioni false o mendaci, nonché le attività svolte in contrasto con la normativa vigente, così come sono impregiudicate le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo previste dalla disciplina di settore.
6.2. Come ha chiarito di recente l’adunanza plenaria (nel risolvere un conflitto sulla natura provvedimentale o meno della d.i.a.), con tali disposizioni in materia di autotutela il legislatore, lungi dal prendere posizione sulla natura giuridica dell'istituto a favore della tesi del silenzio-assenso, ha voluto solo chiarire che il termine per l’esercizio del potere inibitorio doveroso è perentorio e che, comunque, anche dopo il decorso di tale spazio temporale, la p.a. conserva un potere residuale di autotutela.
Tale potere, con cui l’amministrazione è chiamata a porre rimedio al mancato esercizio del doveroso potere inibitorio, condivide i principi regolatori sanciti, in materia di autotutela, dalle norme citate, con particolare riguardo alla necessità dell’avvio di un apposito procedimento in contraddittorio, al rispetto del limite del termine ragionevole, e soprattutto, alla necessità di una valutazione comparativa, di natura discrezionale, degli interessi in rilievo, idonea a giustificare la frustrazione dell’affidamento incolpevole maturato in capo al denunciante a seguito del decorso del tempo e della conseguente consumazione del potere inibitorio (Cons. St., ad. plen., 29 luglio 2011 n. 15).
In sintesi la citata decisione della adunanza plenaria n. 15/2011, pur aderendo alla tesi della natura non provvedimentale della d.i.a., ha ritenuto che, a tutela dell’affidamento dell’autore della d.i.a., decorso il termine di trenta giorni dalla sua presentazione, l’amministrazione che intenda esercitare i poteri di inibizione e controllo non esercitati tempestivamente entro trenta giorni, può farlo a condizione del rispetto del modello paradigmatico del procedimento e dell’atto di autotutela.
6.3. Dunque non è contestabile che l’amministrazione conservi poteri di controllo, di inibizione e sanzionatori, se difettano i presupposti per la d.i.a., tuttavia tali poteri vanno esercitati nelle forme dell’autotutela.
6.4. Nel caso di specie, l’amministrazione non ha esercitato alcun potere inibitorio entro il termine legale di trenta giorni dal deposito della d.i.a.
Solo dopo il decorso di tale termine e l’esecuzione dei lavori, l’Amministrazione ha:
1) dichiarato improcedibile la d.i.a. con provvedimento 28 luglio 2009 prot. 65684;
2) confermato il provvedimento sub 1) con il provvedimento 9 settembre 2009 n. 74940;
3) ordinato la demolizione delle opere con provvedimento 21 ottobre 2009 n. 36;
4) ordinato la demolizione d’ufficio delle opere con provvedimento 4 novembre 2009 n. 40;
5) revocato l’autorizzazione 13 luglio 2009 n. 61868 alla realizzazione di un passo carrabile, con provvedimento 20 ottobre 2010 n. 95716.
6.5. Il Consiglio di Stato, già in sede cautelare, con ordinanza della sez. IV 3 febbraio 2010 n. 607, ha accolto la domanda cautelare con la motivazione già sopra riportata, rilevando che ”le carenze documentali” potevano giustificare l’attivazione di un “procedimento di autotutela, atteso il consolidarsi degli effetti della D.I.A. per decorso del termine di legge”.
6.6. Il Collegio non intende discostarsi dal principio espresso dall’ordinanza n. 607/2010 e ribadito dalla decisione della adunanza plenaria n. 15/2011.
Decorso il termine di trenta giorni per l’esercizio del potere comunale inibitorio rispetto alla d.i.a., il Comune conservava il potere di controllo sulla sussistenza dei presupposti per la d.i.a. e il conseguente potere inibitorio e sanzionatorio, ma avrebbe dovuto farlo con le forme dell’autotutela, vale a dire previo avviso di avvio del procedimento e previa valutazione comparativa dell’interesse pubblico e di quello privato.
Tutto questo è mancato, in quanto non risulta essere stato inviato all’interessata un avviso di avvio di procedimento specificamente volto a chiarire la natura del potere di autotutela che il Comune intendeva esercitare, mentre il provvedimento finale che dichiara improcedibile la d.i.a. si limita:
a) a dichiarare che non ricorrono i presupposti per la d.i.a., senza alcuna valutazione comparativa degli interessi pubblici e privati, essenziale nei provvedimenti di autotutela;
b) a dichiarare che alcune opere sarebbero state eseguite in difformità dalla d.i.a., ma tale circostanza di fatto da un lato non trova adeguato riscontro nei fatti di causa, dall’altro non era di per sé sufficiente a inibire l’attività edilizia, non essendo chiarita la portata e dimensione della difformità.
Solo nell’ordine di demolizione viene enunciata una ulteriore circostanza a giustificazione dell’ordine medesimo (ma non della declaratoria di improcedibilità della d.i.a.), ed è che le opere private incidono in parte sulla proprietà pubblica.
Ma anche tale circostanza doveva indurre il Comune ad inibire l’inizio dei lavori entro il termine legale o, decorso tale termine, doveva essere valutata in sede di esercizio dei poteri di autotutela.
6.7. Gli stessi vizi sin qui ravvisati in relazione alla declaratoria di improcedibilità della d.i.a. e al primo ordine di demolizione affliggono, per invalidità derivata, l’ordine di demolizione d’ufficio.
6.8. Gli stessi vizi inoltre comportano l’illegittimità derivata del provvedimento di revoca dell’autorizzazione a realizzare un passo carrabile.
Infatti anche tale revoca è un atto di autotutela, emesso dopo che si era consolidata la d.i.a., e avrebbe dovuto contenere una valutazione comparativa sugli interessi pubblici e privati in conflitto, laddove fa invece menzione solo dell’interesse pubblico ad avere un ampio numero di parcheggi, senza tener conto dell’interesse privato al passaggio dal fondo intercluso e senza chiarire quanti posti auto sarebbero sacrificati dal passo carrabile e se tale sacrificio è per l’interesse pubblico insostenibile a fronte del pur rilevante interesse privato, e senza la ricerca di una soluzione di mediazione.
6.9. Della necessità di un provvedimento di autotutela si è reso conto lo stesso Comune, che ha adottato un formale provvedimento di autotutela in data 11 febbraio 2011, su cui pende ricorso di primo grado.
Impregiudicato ogni esito giudiziale in ordine al sopravvenuto provvedimento 11 febbraio 2011, gli atti impugnati nel presente giudizio con il ricorso di primo grado e successivi motivi aggiunti sono illegittimi per violazione delle regole in materia dell’esercizio dell’autotutela e vanno annullati.
7. La complessità delle questioni e il contrasto di giurisprudenza sulla natura della d.i.a. all’epoca della adozione dei provvedimenti comunali giustifica la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello n. 2822, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla i cinque provvedimenti impugnati con il ricorso di primo grado n. 1237 del 2009 e i successivi motivi aggiunti.
Compensa tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere, Estensore
Maurizio Meschino, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/11/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)