Pres. Papa Est. Marmo Ric. Di Luzio
Polizia Giudiziaria. Verbale accertamento ex articolo 354 c.p.p.
Il verbale di polizia giudiziaria relativo all'accertamento in ordine ad esalazioni o fumi maleodoranti costituisce un accertamento urgente su cose o situazioni suscettibili per loro natura di subire modificazioni o di scomparire in tempi brevi, secondo quanto previsto dall'art. 354 c.p.p. Ne consegue che esso va qualificato come atto irripetibile e quindi non soggetto alle limitazioni processuali circa i termini per la sua acquisizione. Rientrano infatti nel novero degli atti irripetibili quelli mediante i quali la polizia giudiziaria prende diretta cognizione di fatti, situazioni o comportamenti umani dotati di una qualsivoglia rilevanza penale, suscettibili, per loro natura, di subire modificazioni o di scomparire in tempi più o meno brevi così da risultare suscettibili di essere, in seguito soltanto riferiti o descritti.
Svolgimento del processo
Con sentenza pronunciata il 2 maggio 2006 e
depositata il 13 luglio 2006 il Tribunale di Avezzano dichiarava Maria
Laura Di
Luzio responsabile del reato di cui all’art. 674 c.p. perché,
destinando il
proprio capannone adiacente all’abitazione di Vincenzo Di Cristofaro, a
rimessa
a ricovero di un gregge di pecore, provocava emissioni di esalazioni e
versamenti di letame atti ad offendere, molestare, imbrattare persone e
il
luogo di comune o altrui uso (per fatti verificatisi in Magliano dei
Marsi sino
al 31 ottobre 2001) e, concesse le attenuanti generiche, la condannava
alla
pena di € 200,00 di ammenda, oltre che al pagamento delle spese
processuali.
Condannava l’imputata al risarcimento dei danni cagionati alla parte
civile da
liquidarsi in separata sede assegnando a quest’ultima una provvisionale
di € 500,00
e alle spese anche nei confronti della parte civile.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputata
chiedendo alla Corte l’annullamento della sentenza impugnata per i
motivi che
saranno nel prosieguo analiticamente esaminati.
Motivi
della
decisione
Con il primo motivo la ricorrente lamenta
l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di
inammissibilità e di
inutilizzabilità delle produzioni documentali, nonché violazione degli
artt.
501 e 191 del codice di procedura penale.
Deduce la ricorrente che la sentenza
impugnata poneva a base della decisione un documento, la relazione di
sopralluogo stilata dal medico in servizio presso l’ASL, acquisita in
violazione delle norme codicistiche, e precisamente dopo l’escussione
del
teste, mentre, a norma dell’art. 501 c.p.p., una simile produzione è
consentita
e prevista esclusivamente dopo l’audizione dei periti e dei consulenti
e non
dopo l’audizione di un testimone. Rileva il ricorrente che la difesa,
all’udienza del 4 novembre 2005, si era opposta all’acquisizione ma
tale
contestazione era stata disattesa dal Tribunale.
Il motivo è infondato.
Il verbale di polizia giudiziaria relativo
all’accertamento in ordine ad esalazioni o fumi maleodoranti
costituisce, a
giudizio del Collegio, un accertamento urgente su cose o situazioni
suscettibili per loro natura di subire modificazioni o di scomparire in
tempi
brevi, secondo quanto previsto dall’art. 354 c.p.p. Ne consegue che
esso va
qualificato come atto irripetibile e quindi non soggetto alle
limitazioni
processuali circa i termini per la sua acquisizione.
Come ha precisato questa Corte rientrano
infatti nel novero degli atti irripetibili quelli mediante i quali la
polizia
giudiziaria prende diretta cognizione di fatti, situazioni o
comportamenti
umani dotati di una qualsivoglia rilevanza penale, suscettibili, per
loro
natura, di subire modificazioni o di scomparire in tempi più o meno
brevi così
da risultare suscettibili di essere, in seguito, soltanto riferiti o
descritti.
(v. per tutte Cass. pen. sez. III sent. 3 aprile 1996, n. 4132). Va
quindi
respinto il primo motivo di ricorso.
Con il secondo motivo 44 ricorrente lamenta
l’inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale con
riferimento
all’art. 674 del codice penale e la manifesta illogicità della sentenza
impugnata rispetto alle risultanze delle prove testimoniali assunte nel
corso
del giudizio.
Deduce la ricorrente che, come avevano
riferito tutti i testi escussi all’epoca della contestazione, non erano
presenti da anni gli ovini di cui all’imputazione, sicché, trattandosi
di
emissione di fumi, per i quali, secondo la giurisprudenza, è necessario
che
l’attività di emissione avvenga al di fuori e contro la
regolamentazione
vigente in materia, doveva escludersi la ricorrenza della ipotesi di
reato. Era
infatti stato accertato esclusivamente il cattivo odore in zona
agricola, ma
non il superamento del parametro di normale tollerabilità di cui
all’art. 844
c.c. nei casi in cui l’immissione di odori e fumi non sia ricollegabile
ad
attività per cui sia richiesta autorizzazione.
Rileva in proposito la ricorrente che la
contravvenzione in esame è un reato di pericolo soltanto in riferimento
al
getto dì cose atte ad offendere e non in riferimento alla emissione di
fumi nei
quali è indispensabile che l’attività di emissione avvenga al di fuori
e contro
la regolamentazione vigente in materia, mentre nel caso in esame vi era
stato
soltanto l’accertamento di un leggero cattivo odore.
Anche il secondo motivo è infondato.
La giurisprudenza di questa Corte (cfr Cass.
sent. 14 gennaio 2000, n. 407) riconduce l’emissione di odori molesti
alla
fattispecie disciplinata dall’art. 674 c.p. Anche le emissioni di
esalazioni
maleodoranti possono infatti integrare il reato di cui all’art. 674
cod. pen.,
a condizione che presentino un carattere non del tutto momentaneo ed
abbiano un
impatto negativo, non necessariamente fisico ma anche psichico,
sull’esercizio
delle normali attività di lavoro e di relazione (v. Cass. pen. sent. 1
dicembre
2005, n. 3678, Giusti).
Secondo consolidata giurisprudenza di questa
Corte, laddove esistano precisi limiti tabellari di tollerabilità delle
emissioni, (come nel caso della normativa speciale in materia
ambientale, con
riferimento all’inquinamento atmosferico, a quello idrico o a quello
elettromagnetico), si presumono consentite quelle immissioni che
abbiano le
caratteristiche qualitative e quantitative ammesse dal legislatore
speciale;
nel caso invece in cui non esista una specifica valutazione normativa
operata
preventivamente, la valutazione di tollerabilìtà consentita deve essere
operata
alla luce dei principi che ispirano le specifiche leggi di settore (v.
Cass.
pen. sent. 18 giugno 2004, n. 38297).
In proposito questa Corte ha affermato che il
parametro di legalità deve individuarsi nel contenuto del provvedimento
amministrativo di autorizzazione all’esercizio di una determinata
attività e,
nei casi in cui, - come quello in esame - non sia richiesta
l’autorizzazione,
si deve aver riguardo al criterio della stretta tollerabilità e non a
quello
della normale tollerabilità di cui all’art. 844 cod. civ. (Cass. pen.
sent. 26
maggio 2005, n. 19898) considerato che, secondo quanto ha ancora
precisato
questa Corte, il reato in esame costituisce un reato di pericolo,
essendo
sufficiente per la sua realizzazione l’attitudine dell’emissione di
gas, vapori
e fumi ad offendere o molestare le persone (Cass. 21 marzo 1998, n.
3531), si
rileva che, come risulta dalla sentenza impugnata, è rimasto accertato
che
l’imputata aveva adibito il proprio terreno sito alla via Poggio
Filippo di Magliano
dei Marsi a ricovero di ovini. E’ rimasto altresì acclarato che, a
causa ed in
conseguenza della presenza di tali animali e del conseguente versamento
degli
escrementi prodotti dagli stessi, nel frattempo accumulatisi,
derivavano
esalazioni di odore moleste, nauseanti e intollerabili, tali da
arrecare grave
pregiudizio al benessere del proprietario confinante Vincenzo Di
Cristofaro,
con relativo impatto sull’esercizio delle normali attività quotidiane
di
quest’ultimo.
Vi era inoltre pericolo di inquinamento delle
falde acquifere per infiltrazioni dì liquami, circostanza quest’ultima
rilevata
dal medico in servizio presso il Dipartimento di Prevenzione ASL di
Avezzano –
Sulmona.
Considerato che, come ha precisato questa Corte a Sezioni Unite, “l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla corte di cassazione essere limitato, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativi sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. (S.U. sent. 24 novembre 1999, n. 24), alla luce dell’adeguata ed esaustiva motivazione della sentenza impugnata, deve ritenersi accertata da parte del giudice di merito, con riferimento agli elementi probatori acquisiti agli atti e non sindacabili in questa sede, la violazione di cui all’art. 674 c.p. e respingersi il secondo motivo di ricorso.
Consegue al rigetto del ricorso la condanna del
ricorrente al pagamento
delle spese processuali.