Consiglio di Stato Sez. VI n. 7286 del 29 ottobre 2021
Urbanistica.DIA illegittima e potere di intervento dell'amministrazione
In presenza di una DIA illegittima è consentito certamente all'Amministrazione di intervenire anche oltre il termine perentorio di cui all'art. 23, comma 6, del D.P.R. n. 380 del 2001, ma solo alle condizioni (e seguendo il procedimento) cui la legge subordina il potere di annullamento d'ufficio dei provvedimenti amministrativi e, quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili di illegittimità dei lavori assentiti per effetto della DIA, ormai perfezionatasi, dell'affidamento ingeneratosi in capo al privato per effetto del decorso del tempo, e, comunque, esternando le ragioni di interesse pubblico a sostegno del provvedimento repressivo
Pubblicato il 29/10/2021
N. 07286/2021REG.PROV.COLL.
N. 02500/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2500 del 2015, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato Andrea Abbamonte, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via degli Avignonesi, 5;
contro
Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Andreottola, -OMISSIS- Maria Ferrari, Anna Pulcini ed Eleonora Carpentieri, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Nicola Laurenti in Roma, via Francesco Denza, 50/A;
Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo, Soprintendenza Beni Architettonici, Paesaggistici, storici, artistici ed Etnoantropologici per Napoli e Provincia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi;
nei confronti
-OMISSIS- rappresentata e difesa dall'avvocato Giuseppe Sartorio, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via della Consulta 50;
-OMISSIS- non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Quarta) n. -OMISSIS-/2014, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Napoli, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo, della Soprintendenza Beni Architettonici, Paesaggistici, storici, artistici ed Etnoantropologici per Napoli e Provincia e di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 settembre 2021 il Cons. Francesco De Luca e uditi per le parti gli avvocati Granara Daniele per delega di Carpentieri Eleonora e Sartorio Giuseppe;
Viste le conclusioni delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Ricorrendo dinnanzi a questo Consiglio, la Sig.ra -OMISSIS-appella la sentenza n. -OMISSIS- del 2014 del Tar Campania, Napoli, chiedendone la riforma sulla base di tre motivi di impugnazione, con riproposizione del terzo, quarto, quinto e sesto motivo aggiunto al ricorso di prime cure.
A fondamento del gravame, l’odierna appellante deduce:
- di essere proprietaria di un appartamento, sito alla via -OMISSIS- nella storica -OMISSIS- (sottoposta a vincolo ai sensi della Legge n. 1089 del 1939), articolato su due livelli, di cui il primo ospitante l’appartamento, mentre il secondo, accessibile attraverso una scala condominiale, ospitante un grande terrazzo di copertura ed un giardino;
- di avere chiesto in data 29 luglio 2005 al Ministero dei Beni e le Attività Culturali un parere preventivo ai sensi dell’art. 23 L. n. 490 del 1999 per l’esecuzione di opere di restauro architettonico e consolidamento statico dell’immobile di proprietà;
- di avere ottenuto in data 12 gennaio 2016 dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e del Paesaggio l’autorizzazione alla realizzazione delle opere illustrate in progetto;
- di avere presentato in data 23 febbraio 2006 una DIA, dando comunicazione dell’inizio dei lavori anche al Ministero per i Beni e le Attività Culturali;
- di avere iniziato i lavori oggetto di DIA;
- di avere ricevuto in data 20 luglio 2007 una nota del Comune di Napoli, con cui l’odierna appellante veniva diffidata dal proseguire l’attività edilizia alla stregua di un presunto dissenso all’esecuzione dei lavori opposto dal precedente convivente della ricorrente, titolare per un terzo dell’immobile de quo;
-di avere ricevuto in data 27 luglio 2007, all’esito di apposito sopralluogo alla presenza delle amministrazioni interessate, ivi compresa la Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali, la revoca della sospensione dei lavori;
- di avere subito un sequestro preventivo del cantiere in data 31 agosto 2007, seguito da un dissequestro temporaneo per la realizzazione di una serie di interventi di messa in sicurezza del cantiere;
- di avere ricevuto in data 29 agosto 2007 un provvedimento comunale con cui l’Amministrazione diffidava la ricorrente dall’eseguire opere sulla parte dell’immobile oggetto di condono edilizio, invitando la stessa a produrre un’integrazione documentale volta a chiarire la consistenza della tipologia dell’intervento, con specifico riguardo all’interessamento delle zone della proprietà oggetto della pratica di condono;
- di avere provveduto all’integrazione documentale attraverso una relazione tecnica (e relativo allegati), in cui si dichiarava che le opere contestate (rappresentate dalla modifica dei cordoli delle aiuole e il raccordo di n. 5 gradini tra le quote del giardino) non sarebbero state realizzate;
- di avere proposto ricorso principale avverso la nota del 20 agosto 2007 cit., censurando l’erroneità delle relative determinazioni, contraddittorie rispetto agli esiti del sopralluogo riportati nel verbale del 27 luglio 2007;
- di avere ricevuto in data 20 ottobre 2008 la nota prot. n. 9177/2010, con cui il Comune di Napoli annullava in autotutela la DIA prot. n. 1199 del 23 febbraio 2006;
- di avere impugnato il provvedimento di autotutela con motivi aggiunti nell’ambito del giudizio pendente, denunciandone l’illegittimità con l’articolazione di plurimi motivi di censura;
- di essere risultata soccombente in primo grado, avendo il Tar dichiarato l’inammissibilità del ricorso principale e l’infondatezza dei motivi aggiunti.
2. In particolare, il giudizio di primo grado è stato definito con la sentenza odiernamente appellata, attraverso cui il Tar ha rilevato che:
- il ricorso principale doveva ritenersi inammissibile, in quanto l’atto impugnato era rappresentato da una sospensione, per sua natura temporanea, sostituita dal provvedimento di autotutela impugnato con motivi aggiunti;
- i motivi aggiunti risultavano infondati, in quanto a) l’annullamento della d.i.a. era correttamente motivato in base al fatto che le trasformazioni previste (ed in parte realizzate) consistevano in nuove opere non configurabili come interventi di restauro e risanamento conservativo, non riconducibili agli interventi assentibili nell’area in cui ricadeva l’intervento, come confermato dallo stesso accertamento tecnico preventivo allegato da parte ricorrente, che se per un verso escludeva danni o pericoli per persone o cose, per altro verso confermava che i lavori in questione comportavano una notevole alterazione dello stato dei luoghi, con conseguente configurazione di una ristrutturazione edilizia, vietata dal PTP di Posillipo e comunque non realizzabile mediante una semplice d.i.a.; b) l’interesse pubblico tutelato con l’annullamento d’ufficio doveva essere individuato nella conservazione di un bene vincolato, idoneo a legittimare l’intervento di autotutela, non potendosi neanche sostenere che l’annullamento fosse sopraggiunto dopo un lasso di tempo eccessivo, specie alla luce dell’importanza dell’interesse pubblico tutelato dall’annullamento d’ufficio e dell’esistenza di interessi privati contrapposti a quello della ricorrente.
3. La Sig.ra -OMISSIS-ha appellato la sentenza di prime cure, censurando sia l’erronea qualificazione delle opere per cui è causa, sia la violazione dell’art. 21 nonies L. n. 241/90, ritenendo non sussistenti i presupposti legittimanti l’intervento in autotutela. La stessa appellante ha, inoltre, riproposto il terzo, quarto, quinto e sesto motivo aggiunto al ricorso di prime cure ritenuti non esaminati in prime cure.
4. Il Comune di Napoli, le Amministrazioni statali intimate e la Sig.ra-OMISSIS-si sono costituite in giudizio nel presente grado di appello, svolgendo argomentazioni in controdeduzioni ai motivi di impugnazione (cfr. memoria del Comune di Napoli del 24 aprile 2015 e memoria della Sig.ra-OMISSIS-del 30 aprile 2015).
5. In data 28 febbraio 2019 la parte appellante ha depositato la sentenza di assoluzione pronunciata in sede penale, mentre in data 10 aprile 2019 il Comune di Napoli ha depositato due relazioni amministrative n. 320686 del 17 aprile 2015 e n. 233 del 2008 riferite alla pendenza di una procedura di condono avente ad oggetto talune opere realizzate nell’ambito dell’appartamento di proprietà dell’appellante.
6. In vista dell’udienza pubblica del 21 maggio 2019 l’appellante, il Comune di Napoli e la controinteressata in prime cure hanno presentato memoria difensiva, insistendo nelle rispettive argomentazioni e conclusioni; la controinteressata ha presentato, altresì, memoria di replica.
7. Con ordinanza n. 3444 del 27 maggio 2019 la Sezione ha disposto verificazione, ai sensi dell'art. 66 cod. proc. amm. sul seguente quesito: “Letti gli atti del procedimento e svolti i necessari accertamenti, anche sul posto, descriva il verificatore le opere di cui alla DIA oggetto di causa e quelle effettivamente eseguite. Dica il verificatore se le opere programmate, rispettivamente eseguite, possano considerarsi di “restauro e risanamento conservativo” e, in caso affermativo, quali. Dica il verificatore, se le opere di impermeabilizzazione comportino effettivamente un “peggioramento delle caratteristiche di permeabilità del suolo”. Dica, il verificatore, se le opere programmate rispettivamente eseguite abbiano comportato un abbassamento della quota di campagna”.
8. Con memoria del 14 ottobre 2019 la controinteressata in prime cure, rilevato il mancato espletamento della disposta verificazione, ha insistito nelle conclusioni in atti.
9. La parte appellante con note del 21 ottobre 2019, rilevato il mancato espletamento dell’incombente istruttorio, ha chiesto il suo rinnovo con rinvio dell’udienza pubblica fissata per il giorno 14 novembre 2019.
10. Con ordinanza n. 7916 del 20 novembre 2019 la Sezione ha reiterato l’incombente istruttorio di cui all’ordinanza n. 3444 del 2019.
11. Con deposito del 25 maggio 2020 il verificatore ha depositato la propria relazione istruttoria.
12. Con istanza del 12 giugno 2020 la parte controinteressata in prime cure, deducendo l’incompletezza della relazione di verificazione e la violazione del contraddittorio nello svolgimento delle operazioni istruttorie, ha chiesto la rinnovazione della verificazione.
13. Con atto del 20 giugno 2020 il verificatore ha nuovamente depositato la relazione di verificazione, completa dell’ultima pagina (mancante nel precedente deposito del 25 maggio 2020).
14. In vista della camera di consiglio del 9 luglio 2020, fissata per decidere sull’istanza istruttoria avanzata dalla controinteressata, l’appellante con note depositate in data 3 luglio 2020 si è opposta alla richiesta di rinnovazione della verificazione.
15. Con ordinanza n. 4443 del 10 luglio 2020 la Sezione ha assegnato all’istante termine fino al 21 settembre 2020 per lo svolgimento di eventuali osservazioni alla verificazione già depositata ed un successivo termine di 30 giorni al verificatore per replicare, confermando l’udienza pubblica già fissata per il 10 dicembre 2020.
16. Con nota del 18 settembre 2020 la controinteressata in primo grado ha depositato le controdeduzioni alla relazione di verificazione, cui ha replicato il verificatore con relazione integrativa depositata in data 21 ottobre 2020.
17. In vista dell’udienza pubblica del 10 dicembre 2020 le parti private hanno depositato memorie difensive e di replica, prendendo posizione, altresì, sulle risultanze della verificazione disposta nel presente grado di giudizio; in particolare, mentre l’appellante ha insistito nei propri motivi di impugnazione, ritenendone la fondatezza anche alla stregua di quanto emergente dalla relazione di verificazione in atti, reputata completa ed attendibile, la controinteressata in prime cure ha richiamato le osservazioni critiche svolte dal proprio consulente tecnico di parte, sulla cui base ha chiesto la rinnovazione della verificazione.
Il Comune di Napoli ha depositato memoria di replica in controdeduzione alle argomentazioni svolte dall’appellante.
18. Con ordinanza n. 8178 del 21 dicembre 2020 la Sezione ha rilevato che le osservazioni depositate dal verificatore non consentivano di indicare le specifiche ragioni per le quali le controdeduzioni svolte dalla controinteressata fossero inattendibili, tenuto conto che:
- in merito alla relazione geologica, non si rappresentavano le ragioni per le quali “una semplice piccola impermeabilizzazione con una guaina di due locali sottostanti il giardino” non fosse comunque idonea a produrre effetti sulle caratteristiche di permeabilità del suolo;
- in merito alla relazione tecnica della controinteressata, parimenti, il verificatore non specificava sotto quale aspetto lo stato dei luoghi rappresentato dal consulente tecnico di parte non corrispondesse al vero, né spiegava le ragioni di inattendibilità delle planimetrie risalenti al 1800 ca.
Inoltre, il verificatore valorizzava, in particolare, i lavori realizzati, sembrando trascurare gli effetti riconducibili alle opere programmate ma non ancora eseguite; quando, invece, i quesiti posti dalla Sezione facevano riferimento alle “opere di cui alla DIA oggetto di causa e quelle effettivamente eseguite”, occorrendo, dunque, una disamina sia delle opere programmate, come risultanti dal progetto allegato alla DIA annullata in autotutela dall’Amministrazione comunale, sia dalle opere effettivamente eseguite.
Per tali ragioni, in accoglimento dell’istanza avanzata dalla parte controinteressata, la Sezione ha disposto la rinnovazione della verificazione, incaricando del relativo incombente il Direttore del Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, con facoltà di delega ad un Professore di ruolo nell’ambito del medesimo Dipartimento in possesso di specifiche competenze per il tipo di attività da svolgere.
Al riguardo, sono stati reiterati i quesiti già formulati dalla Sezione, precisandosi la necessità che l’accertamento istruttorio avesse ad oggetto anche le opere progettate, onde verificarne la compatibilità con la normativa urbanistica e paesaggistica di riferimento, prescindendo dal concreto stato di avanzamento dell’intervento eseguito dall’odierna appellante.
Pertanto, previo esame della documentazione acquisita agli atti di causa, dello stato dei luoghi, e di ogni altro elemento rilevante, ivi inclusa la documentazione sussistente agli atti del Comune di Napoli, il verificatore è stato incaricato di rispondere ai seguenti quesiti:
“- descriva il verificatore quali siano le opere di cui alla DIA oggetto di causa (presentata il 23.2.2006, prot. 1199) e quelle effettivamente eseguite;
- dica il verificatore se le opere programmate di cui alla DIA a) possano considerarsi di “restauro e risanamento conservativo” e, in caso affermativo, quali; b) comportino un abbassamento della quota di campagna;
- dica il verificatore se le opere effettivamente eseguite siano conformi a quelle programmate e comunque: a) possano considerarsi di “restauro e risanamento conservativo” e, in caso affermativo, quali; b) abbiano comportato un abbassamento della quota di campagna;
- dica il verificatore se le opere di impermeabilizzazione comportino effettivamente un “peggioramento delle caratteristiche di permeabilità del suolo”.
19. Il verificatore ha depositato la relazione istruttoria in data 23 aprile 2021 (unitamente alle osservazioni delle parti e al riscontro al riguardo fornito dallo stesso verificatore).
20. Le parti private hanno ulteriormente argomentato a sostegno delle rispettive conclusioni con memorie conclusionali e repliche, prendendo posizione, altresì, su quanto emergente dalla relazione di verificazione.
La controinteressata e l’Amministrazione comunale hanno prodotto, pure, nuovi documenti, recanti (rispettivamente) le riproduzioni fotografiche relative allo stato dei luoghi all’attualità - prima delle operazioni di sbancamento e all’esito dell’avvenuta rimozione del terreno-, nonché la dichiarazione di improcedibilità di un’istanza di autorizzazione paesaggistica presentata dalla ricorrente per l’immobile in contestazione.
21. L’appellante ha depositato note di udienza in data 16 settembre 2021, chiedendo la decisione della causa.
22. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza del 24 settembre 2021.
DIRITTO
1. Il ricorso in appello consta di plurimi motivi di impugnazione, diretti, da un lato, a censurare l’erroneità della sentenza di prime cure, per avere escluso la sussistenza dei vizi di legittimità dedotti dalla ricorrente, dall’altro, a riproporre talune doglianze non esaminate in primo grado.
1.1 In particolare, con il primo motivo di appello la sentenza di prime cure è impugnata nella parte in cui ha ritenuto che le opere per cui è causa non fossero riconducibili agli interventi assentibili nell’area in cui ricade l’intervento e comunque, integrando gli estremi della ristrutturazione edilizia, non potessero essere realizzati mediante una semplice d.i.a.
Secondo la prospettazione dell’appellante, le opere in contestazione configuravano interventi di consolidamento al parametro murario esterno, lato mare, dell’abitazione ed ai muri a questo ortogonali, nonché interventi di impermeabilizzazione e drenaggio del giardino sovrastante, qualificabili, dunque, come opere di consolidamento statico e di restauro conservativo, senza abbassamento della quota di campagna antistante, assentibili ai sensi delle prescrizioni del PTP di Posillipo e del D. Lgs. n. 42 del 2004.
3.2 Con il secondo motivo di appello la sentenza di prime cure è impugnata nella parte in cui non ha tenuto conto che, sebbene il progetto originario prevedesse la realizzazione di n. 4 gradini per raccordare le due diverse e preesistenti quote del giardino, l’appellante si era comunque impegnata ad eliminare dall’originario progetto tale realizzazione, ottenendo il dissequestro temporaneo per la realizzazione delle opere di messa in sicurezza del cantiere; il che escludeva la necessità del rilascio di un'autorizzazione ex art. 146 D.Lgs 42/2004, in applicazione dell’art. 149, comma 1, lett. a), D. Lgs. n. 42 del 2004, ferma rimanendo comunque la possibilità di ottenere una sanatoria ex art. 167 D. Lgs. n. 42 del 2004.
3.3 Con il terzo motivo di appello la sentenza di prime cure è impugnata nella parte in cui ha ravvisato la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 21 nonies L. n. 241 del 1990, sebbene il provvedimento comunale fosse carente, sotto il profilo motivazionale, di reali ragioni di pubblico interesse idonee a legittimare un intervento in autotutela su una DIA, a distanza di ben tre anni dalla presentazione della stessa, con un mero riferimento alle esigenze di tutela dell'interesse contrapposto della controinteressata, non pregiudicata nella propria sfera giuridica, come emergente dall’accertamento tecnico preventivo acquisito in atti.
3.4 Come osservato, la ricorrente, oltre ad articolare specifiche censure contro le statuizioni di prime cure, ha riproposto talune doglianze non esaminate dal Tar.
In particolare, è stato riproposto il terzo motivo aggiunto, con cui era stata censurata l’illegittimità del provvedimento di autotutela nella parte in cui aveva ravvisato la mancata acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, nonostante la ricorrente avesse ottenuto l’autorizzazione dalla competente Soprintendenza e, comunque, non trovasse applicazione la disciplina in materia di autorizzazione paesaggistica, facendosi questione di opere di consolidamento statico e restauro conservativo non alteranti lo stato dei luoghi o l’aspetto esteriore degli edifici.
3.5 Con il quarto motivo aggiunto in primo grado è stata censurata la ratio dedicendi sottesa al provvedimento comunale riguardante l’insufficiente integrazione documentale eseguita dalla ricorrente, ritenuta inficiata da un difetto motivazionale, non essendo stati identificati quali dei documenti trasmessi non fossero da considerare soddisfacenti.
3.6 Con il quinto motivo aggiunto in primo grado è stata censurata la ratio dedicendi sottesa al provvedimento comunale riguardante il "peggioramento delle caratteristiche di permeabilità del suolo".
Al riguardo, la ricorrente ha evidenziato che le opere di impermeabilizzazione non recavano pregiudizio alla proprietà altrui, nonché producevano effetti benefici nella prevenzione delle patologie del marciume radicale di tutta l’aria, come emergente anche da apposito accertamento tecnico preventivo acquisito agli atti del giudizio.
3.7 Con il sesto motivo aggiunto in primo grado è stata censurata la ratio dedicendi sottesa al provvedimento comunale riguardante l’inidoneità delle osservazioni presentate dalla ricorrente in sede procedimentale a condurre ad una decisione diversa.
Invero, secondo la prospettazione della ricorrente, l’accertamento tecnico preventivo in atti provvedeva non solo a valutare i lavori già eseguiti in riferimento ai danni paventati dall’interveniente, ma anche a verificare la rispondenza tra i lavori eseguiti rispetto ai lavori, così come risultati nel progetto di cui alla DIA.
2. I motivi di impugnazione, per ragioni di connessione, sono suscettibili di trattazione unitaria.
3. Preliminarmente, nel perimetrare il thema decidendum dell’odierno giudizio, occorre avere riguardo alle sole ragioni sottese al provvedimento di annullamento d’ufficio impugnato in primo grado, non potendo provvedersi all’integrazione in sede giurisdizionale dell’apparato motivazionale alla base della decisione amministrativa.
Nel processo amministrativo l'integrazione in sede giudiziale della motivazione dell'atto amministrativo è ammissibile infatti soltanto se effettuata mediante gli atti del procedimento - nella misura in cui i documenti dell'istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni della determinazione assunta - oppure attraverso l'emanazione di un autonomo provvedimento di convalida (art. 21-nonies, secondo comma, della legge n. 241 del 1990). È invece inammissibile un'integrazione postuma effettuata in sede di giudizio, mediante atti processuali, o comunque scritti difensivi.
La motivazione del provvedimento, in particolare, costituisce “l’essenza e il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata” (Consiglio di Stato, III, 30 aprile 2014, n. 2247), e non può certo essere emendata o integrata, quasi fosse una formula vuota o una pagina bianca, da una successiva motivazione postuma, prospettata ad hoc dall’Amministrazione resistente nel corso del giudizio” (Consiglio di Stato, sez. V, 10 settembre 2018, n. 5291).
Per l’effetto, non possono essere accolte contestazioni delle parti appellate che, pur tendendo ad evidenziare l’illegittimità delle opere per cui è causa, sono incentrate su autonome ragioni (quali il dissenso del comproprietario, la pendenza di procedure di condono sulle opere per cui è causa, la mancata acquisizione del parere della Soprintendenza in ordine alle esigenze di tutela archeologica), in ipotesi ostative alla prosecuzione dell’attività edilizia denunciata – e, dunque, suscettibili di fondare una decisione inibitoria ex artt. 19 e 21 nonies L. n. 241/90 -, tuttavia non esplicitate nell’ambito del provvedimento impugnato.
Parimenti, non assume rilievo ai fini della disamina del provvedimento per cui è causa, la dichiarazione di improcedibilità dell’istanza di autorizzazione paesaggistica depositata dal Comune in data 15 luglio 2021, afferendo ad un atto (del 30.9.2019) successivo all’annullamento d’ufficio impugnato in prime cure, tale, dunque, da non potere essere preso in esame per la soluzione dell’odierna controversia: alla stregua del principio tempuis regit actum, la legittimità del provvedimento amministrativo deve, infatti, essere valutata avuto riguardo allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione (tra gli altri Consiglio di Stato, Sez. III, 24 maggio 2021, n. 3992).
4. Ciò premesso, è possibile soffermarsi sulle ragioni dedotte nel provvedimento impugnato con i motivi aggiunti proposti in primo grado, recante l’annullamento del “titolo abilitativo conseguito per silentiun dalla sig.ra -OMISSIS- Marina a seguito di presentazione di DIA, avvenuta il 23.2.2006 prot. 1199”.
L’Amministrazione comunale, in particolare, ha posto a base della propria decisione sia ragioni di presunta incompatibilità dell’attività edilizia denunciata con la normativa di riferimento, sia ragioni di pubblico interesse militanti per l’intervento in autotutela.
Il provvedimento per cui è causa, pur assumendo la forma dell’atto di annullamento d’ufficio della DIA presentata dalla parte privata, costituisce, invero, esplicazione del potere inibitorio attribuito dal combinato disposto degli artt. 19 e 21 nonies L. n. 241/90.
La denuncia di inizio di attività (così come la segnalazione certificata di inizio attività) costituisce infatti uno strumento di liberalizzazione delle attività private non più sottoposte ad un controllo amministrativo di tipo preventivo, ma avviabili sulla base di una mera segnalazione da sottoporre al successivo controllo amministrativo.
Nella perimetrazione del potere di controllo esercitabile dall’Amministrazione procedente, il legislatore (art. 19 L. n. 241/90) ha distinto due periodi temporali, entro i quali è possibile inibire l’attività intrapresa dal privato in caso di accertata carenza dei relativi requisiti e presupposti abilitativi.
Il termine per l’esercizio del potere inibitorio, avuto riguardo alla disciplina applicabile in materia edilizia, è fissato in trenta giorni dal ricevimento della segnalazione (art. 19, comma 6 bis, L. n. 241/90 ); oltre tale termine i medesimi provvedimenti (di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli effetti eventualmente prodotti) possono essere assunti soltanto in presenza delle ulteriori condizioni previste dall'articolo 21-nonies, L. n. 241 del 1990; tra le quali acquista particolare rilevanza, ai fini dell’odierno giudizio, la sussistenza di un atto illegittimo all’uopo da riesaminare -rectius, in caso di DIA (non costituente un atto provvedimentale per cui sia predicabile un vizio di legittimità ex art. 21 octies L. n. 241/90), l’incompatibilità dell’attività denunciata con il quadro normativo di riferimento-, nonché la ricorrenza di un interesse pubblico differente dal mero ripristino della legalità urbanistico-edilizia e prevalente rispetto ai contrapposti interessi privati potenzialmente lesi dall’atto inibitorio, tenuto conto, altresì, dell’arco temporale intercorso fra la denuncia di inizio attività e l’intervento provvedimentale per cui è causa.
Anche nella formulazione dell’art. 19 L. n. 241/90 ratione temporis applicabile nella specie (avuto riguardo all'art. 3, comma 1, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni, dalla L. 14 maggio 2005, n. 80), l’Amministrazione era in condizione di assumere i provvedimenti inibitori, in caso di accertata carenza delle condizioni, modalità e fatti legittimanti, nel termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione; fermo rimanendo, per il periodo successivo, il potere dell'amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies L. n. 241/90.
Come osservato da questo Consiglio, “In presenza di una DIA illegittima è consentito certamente all'Amministrazione di intervenire anche oltre il termine perentorio di cui all'art. 23, comma 6, del D.P.R. n. 380 del 2001, ma solo alle condizioni (e seguendo il procedimento) cui la legge subordina il potere di annullamento d'ufficio dei provvedimenti amministrativi e, quindi, tenendo conto, oltre che degli eventuali profili di illegittimità dei lavori assentiti per effetto della DIA, ormai perfezionatasi, dell'affidamento ingeneratosi in capo al privato per effetto del decorso del tempo, e, comunque, esternando le ragioni di interesse pubblico a sostegno del provvedimento repressivo (così, Cons. Stato, sez. VI, n. 4780 del 2014)” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 25 gennaio 2017, n. 305).
Al fine di statuire sulle censure attoree, è dunque necessario verificare se l’attività denunciata fosse compatibile con la disciplina di riferimento e se l’Amministrazione abbia adeguatamente motivato (altresì) in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico specifico da tutelare in concreto, prevalente sull’affidamento ingenerato nel privato dalla presentazione di una DIA non seguita da una tempestiva attività amministrativa repressiva.
5. Soffermandosi, pertanto, in via preliminare, sulle ragioni di incompatibilità ravvisate dal Comune appellato, alla stregua di quanto emergente dal provvedimento impugnato in prime cure, l’Amministrazione ha rilevato che:
- l’attività edilizia si sarebbe tradotta nell’esecuzione di opere di movimento di terreno vegetale su parte del giardino, con la realizzazione dei previsti canali di drenaggio in calcestruzzo, finalizzati ad assicurare l'impermeabilizzazione di due vani sottostanti, ben oltre il perimetro di detti vani; il che avrebbe procurato l’abbassamento, tra l'altro, della quota di campagna antistante una preesistente presa di aria e luce fino a ricavare una altezza utile per l'utilizzo della stessa quale collegamento con uno dei vani sottostanti, con conseguente messa a nudo degli apparati radicali delle essenze arboree messe a dimora del sovrastante giardino;
- dai grafici di rilievo e di progetto depositati con la DIA sarebbe emersa la previsione dell'alterazione dello stato esterno dei luoghi, consistente nella diversa perimetrazione dei cordoli delle aiuole e di un impianto di scalini di raccordo tra quote di progetto;
- per le trasformazioni previste e in parte eseguite non sarebbe stata prodotta l’autorizzazione di cui all'art. 159 del D.lgs. 42/04;
- l'elaborato grafico dello stato attuale non sarebbe stato corrispondente con la documentazione catastale, entrambi allegati alla denuncia di inizio attività, raffigurando la seconda, tra l'altro, una scala conducente da uno dei vani sottostanti il giardino al giardino stesso; trasformazioni non supportate da alcun provvedimento autorizzativo;
- l'integrazione prodotta il 4 settembre 2007, protocollo del servizio n. 5820, non sarebbe stata idonea a soddisfare quanto richiesto nella precedente diffida del 29 agosto 2007 n. 2109;
- le trasformazioni previste, ed in parte eseguite, sarebbero consistite in nuove opere non riconducibili agli interventi assentibili nell'area interessata dall'intervento, classificata dalla variante al PRG come zona A e ricadente nella zona di protezione integrale del Piano Territoriale Paesistico di Posillipo; tanto la impermeabilizzazione della parte di giardino sovrastante il banco tufaceo, quanto la previsione di un impianto di scalini di raccordo tra le quote di progetto, avrebbero violato lo specifico divieto di incremento delle superfici impermeabilizzate, con peggioramento delle caratteristiche di permeabilità del suolo, anche in conseguenza della prevista diversa perimetrazione dei cordoli delle aiuole;
- le osservazioni prodotte l'8 agosto 2008 protocollo n. 2960 prodotte su comunicazione e invito del 4 agosto 2008 protocollo n. 842 si sarebbero limitate ad asserire che l'intervento non avrebbe comportato il danneggiamento della vegetazione esistente, ivi compresi gli alberi, e non avrebbero fatto riferimento ad elementi di assentibilità degli interventi con riferimento alle conosciute disposizioni di P.R.G. e P. T.P. di Posillipo;
- l'Amministrazione non avrebbe perso il proprio potere di annullamento a fronte di interventi rilevatisi in contrasto con le prescrizioni urbanistiche e di protezione integrale, quantunque gli stessi si assumessero autorizzati per silentium a seguito di presentazione di D.I.A;
- l’interesse pubblico all’annullamento avrebbe coinciso non solo con il ripristino della legalità violata, ma anche con l’interesse generale alla tutela di un bene vincolato sia sotto il profilo paesistico ambientale che sotto quello architettonico.
Le rationes decidendi sottese al provvedimento comunale sono state censurate dall’odierna appellante sia con l’articolazione di specifici motivi di appello, sia mediante la riproposizione di motivi di ricorso non esaminati in prime cure.
Le questioni componenti il thema decidendum dell’odierno giudizio riguardano, in particolare:
- la descrizione dell’intervento edilizio oggetto della DIA annullata in autotutela dall’Amministrazione (rectius della DIA in relazione alla quale l’Amministrazione ha esercitato i propri poteri inibitori ex artt. 19 e 21 nonies L. n. 241/90, come osservato supra non facendosi questione di atto amministrativo riesaminabile con un intervento provvedimentale di secondo grado in senso stretto);
- la qualificazione dell’intervento edilizio in parola - se riconducibile alla categoria della ristrutturazione edilizia ovvero del restauro e risanamento conservativo - e, per l’effetto, la compatibilità dell’intervento edilizio denunciato con la normativa di riferimento;
- la sussistenza di un interesse pubblico specifico idoneo a giustificare l’esercizio del potere comunale inibitorio a distanza di anni dalla ricezione, presso gli uffici amministrativi, della denuncia di inizio attività per cui è causa.
6. Nella soluzione delle questioni poste dall’atto di appello, occorre tenere conto della relazione di verificazione depositata in data 23 aprile 2021.
Il verificatore, nel rispondere ai quesiti posti dalla Sezione, in particolare, ha rilevato che:
- tanto la DIA assunta il 23 febbraio 2006 al prot. 1199 del Comune di Napoli, quanto la precedente domanda di parere preventivo presentata in Soprintendenza (con grafici depositati il 29 luglio 2005, con prot. 21588 e poi integrati con relazione e documentazione fotografica in data 30 novembre 2005 prot. 032365) risultavano particolarmente sintetiche ed essenziali nella descrizione degli interventi rispettivamente previsti, che in qualche caso andavano dedotti piuttosto che essere esplicitati;
- la Soprintendenza aveva espresso parere favorevole ex art. 21 D. Lgs. n. 42/04 in relazione ai seguenti interventi, come desumibili dal confronto dei diversi tipi di tavole e dalle “scarne didascalie ove presenti”:
a) il rifacimento di parte del solaio di copertura in alcuni ambienti, classificato nella didascalia della tavola planimetrica 6 di progetto come intervento n. 1, e specificato in alzato nella sezione rappresentata tavola 10;
b) l’integrazione del banco tufaceo sottostante l’appartamento int. 15 di proprietà -OMISSIS-, classificato nella didascalia della tavola planimetrica 7 di progetto come intervento n. 2, e specificato in alzato nella sezione rappresentata tavola 10;
c) un intervento sul terrazzo, intuibile nella tavola 8 dalla intitolazione “progetto-pianta terrazzo”, e dalla scritta “cotto napoletano 20x20”, sul terrazzo;
d) un intervento relativo al giardino, i cui contenuti potevano essere messi insieme dalla intitolazione della tavola 9, “Impermeabilizzazione risanamento giardino”, dalla graficizzazione di alcuni canali di drenaggio e del tracciato di due fossi di guardia, di cui uno denominato dorsale, nonché da due sezioni di un ambiente non meglio precisato, ma che si presumeva essere la cucina, sul quale era riportato il sistema di strati sopra la volta in tufo, uno inferiore impermeabilizzante e uno superiore drenante, e il rapporto coi canali di drenaggio; nella medesima tavola 9 si rappresentava sinteticamente in pianta un diverso disegno del sistema dei viali del giardino e una scaletta che si dipartiva dal giardino;
- la relazione tecnica della DIA descriveva gli interventi, suddividendoli in due capitoli, concernenti:
a) “Dissesti legati alle vicende costruttive della villa: interventi di consolidamento”, con riferimento a lavorazioni finalizzate al consolidamento statico, aventi ad oggetto la sostituzione degli elementi in ferro e la realizzazione di un doppio tavolato ligneo (tavole di castagno) in sostituzione dei laterizi; la realizzazione di un cordolo in mattoni rossi leggermente armato e collegato alle murature ortogonali; nonché la ricostruzione nelle cavità di tale pannello, in parte poggiato sul banco tufaceo, in mattoni rossi pieni;
b) “Fenomeni di infiltrazione d’acqua lungo le pareti confinanti con il banco tufaceo”, con riferimento ad interventi tesi a risolvere i problemi di umidità, compresi tra quelli contemplati nella tavola 9; in particolare, le lavorazioni descritte nella relazione presentata a corredo della DIA, da un lato, riguardavano l’impermeabilizzazione sulle volte, dall’altro, non operavano alcun riferimento ad una diversa sistemazione del giardino, né alla scaletta rappresentata nelle tavole autorizzate dalla Soprintendenza, né ad altro intervento che avrebbe potuto configurare un diverso assetto conformativo del giardino;
- pur nella estrema laconicità della relazione e dei grafici era, comunque, desumibile la necessità di svolgere lavorazioni provvisionali per realizzare gli interventi dichiarati, comprendenti l’asportazione del terreno soprastante; per restare nei limiti di quanto richiesto e di quanto eventualmente assentibile il terreno rimosso avrebbe dovuto essere ricollocato restituendo l’originaria conformazione, anche se nessuna precisazione veniva data sulle modalità di esecuzione, assolutamente implicite, anche per quanto attinente alla eventuale salvaguardia del verde; analogamente per quanto riguarda la realizzazione dei canali drenanti, gli interventi provvisionali di movimentazione del terreno, ritenuti tecnicamente necessari, erano rimasti impliciti;
- in particolare, “non sono esplicitate le opere o lavorazioni provvisionali indispensabili per poter eseguire gli interventi previsti, né tanto meno precisate le relative modalità, come ad esempio la movimentazione o lo smontaggio della vasca circolare, la realizzazione di sistemi di copertura provvisoria, e così via…”;
- per quanto attinente ai lavori di impermeabilizzazione nel settore del giardino, risultava opportuno distinguere tra opere e/o lavorazioni provvisionali ed opere e/o lavorazioni definitive;
- tra le opere provvisionali “in aggiunta”, quella prevalente e suscettibile di svilupparsi su tutta la zona interessata dalla impermeabilizzazione era costituita da una ampia copertura provvisoria, con struttura a tubi e copertura a lamiera grecata; tra le lavorazioni provvisionali “in sottrazione”, per tutta la zona interessata dai lavori di realizzazione della impermeabilizzazione e dei canali di drenaggio, risultava rimosso quanto si situava al di sopra della zona di intervento, ed essenzialmente il terreno, comprese alcune zolle contenenti le piante con i relativi apparati radicali, nonché la fontana circolare; tale intervento, sebbene non espressamente descritto, risultava necessario per la impermeabilizzazione delle volte e per la realizzazione delle canalizzazioni, essendo destinato a concludersi con un ripristino “com’era e dov’era” del terreno e della fontana;
- l’intervento configurato dalla DIA ricadeva nella categoria "restauro e risanamento conservativo" descritta nel Testo Unico dell’Edilizia, con la conservazione dell’elemento formale dell’edificio ritenuto di particolare pregio storico-tradizionale rispetto al contesto urbano in cui era inserito; non risultavano previsti nella DIA abbassamenti del piano di campagna, ragion per cui l’abbassamento riscontrato in fase di verificazione doveva ritenersi effetto di un lavoro provvisionale di rimozione del terreno teso a poter operare sulle volte e sul banco tufaceo, a cui sarebbe dovuto seguire necessariamente il riporto del terreno rimosso, e il ripristino degli elementi connotanti il giardino (essenze vegetali, fontana, etc.) “come era e dove era”;
- la scaletta di collegamento disegnata nello stato di progetto dei relativi grafici per il parere ex art. 21 D. Lgs 42/04 tra il torrino lucernario della cucina, nonché la realizzazione esecuzione di una porta finestra non risultavano contemplati nella relazione tecnica della DIA;
- gli interventi in esame avevano provocato ridotte ma non dettagliatamente misurabili variazioni al sistema del deflusso delle acque e della permeabilità del suolo; una volta completati i lavori con il ripristino della situazione di superficie (terreno asportato, della fontana, etc), non avrebbe potuto riscontrarsi un complessivo “peggioramento delle caratteristiche di permeabilità del suolo”; in particolare, “il sistema delle canalizzazioni organizza il deflusso ma non altera la permeabilità, se non in misura marginale, e resa ancora più marginale dalla consistenza del territorio interessato, e dalla presenza del banco tufaceo, si ritiene che non vi sia stata alterazione significativa. Piuttosto la riorganizzazione del deflusso ha consentito la salvaguardia, mediante adeguata impermeabilizzazione, di un bene soggetto a vincolo architettonico” (controdeduzioni del verificatore alle osservazioni di parte).
7. Tali risultanze istruttorie, in quanto fondate su puntuali e approfondite rilevazioni e considerazioni, oltre che sulla corretta applicazione del quadro regolatorio tecnico di riferimento, possono essere valorizzate ai fini della presente decisione.
7.1 Al riguardo, emerge, in primo luogo, una divergenza tra le lavorazioni oggetto del parere della Soprintendenza n. 32365 del 12.1.2006 e le lavorazioni oggetto della Denuncia di Inizio Attività per cui è causa.
Posto che nell’odierno giudizio si fa questione di un atto di annullamento d’ufficio, implicante l’esercizio di un potere inibitorio ex artt. 19 e 21 nonies L. n. 241/90, assumono rilevanza le sole opere descritte nella DIA.
Avendo il Comune deciso di annullare d’ufficio la DIA (rectius di inibire l’intervento edilizio denunciato dalla parte privata), non possono essere infatti valorizzate opere asseritamente eseguite in assenza o in difformità dal relativo titolo edilizio, le quali avrebbero potuto giustificare l’esercizio di un differente potere repressivo, incentrato, anziché sulla difformità del titolo edilizio (DIA) rispetto al quadro normativo di riferimento ex artt. 19 e 21 nonies L. n. 241/90, sulla generale attività di vigilanza in materia urbanistica ed edilizia, tesa a reprimere l’esecuzione di opere sine titulo o la realizzazione di opere difformi rispetto ad una DIA efficace (come tale, costituente il parametro di riferimento da assumere in sede amministrativa per scrutinare la liceità dell’attività privata ex art. 37 DPR n. 380/01).
Per l’effetto, avuto riguardo alle opere descritte nella relazione tecnica allegata alla DIA, si osserva che, come rilevato dal verificatore, con particolare riguardo ai lavori interessanti il giardino, la denuncia non comprendeva la realizzazione di scalini e il collegamento tra il giardino e il locale sottostante: tali opere non avrebbero potuto, dunque, formare oggetto delle contestazioni sollevate dall’Amministrazione, non essendo idonee a manifestare un’incompatibilità della DIA rispetto alla disciplina edile o urbanistica di riferimento, ma rilevando soltanto per giustificare un distinto potere di vigilanza (cfr. art. 37 DPR n. 380/01) non esercitato con l’atto impugnato in primo grado.
Del resto, la circostanza per cui le opere oggetto della DIA non comprendevano la realizzazione dei gradini di raccordo tra le quote del giardino e la ridefinizione dei cordoli delle aiuole, discendeva pure dalla relazione tecnica trasmessa al Comune con nota del 25 settembre 2007 (doc. 13 ricorso di primo grado), in cui si valorizzava l’intenzione della ricorrente di rinunciare alle opere in contestazione ai fini del ripristino della situazione esterna del giardino: si trattava di documento, anteriore all’adozione del provvedimento di annullamento d’ufficio impugnato in prime cure, che avrebbe dovuto essere valutato dall’Amministrazione comunale ai fini del decidere; anche il Ministero per il Beni e le Attività Culturali con la nota trasmessa all’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli (prot. in arrivo n. 885 del 4.1.2008) richiamava la dichiarazione del ricorrente di rinuncia alle opere implicanti una modifica dello status quo ante.
7.2 Le opere da valutare nella presente sede tendevano, dunque, al consolidamento statico e alla rimozione dei fenomeni di infiltrazione d’acqua lungo le pareti confinanti con il banco tufaceo: con particolare riguardo a tale ultima categoria di opere, si trattava di lavorazioni riguardanti l’impermeabilizzazione sulle volte, che non implicavano alcun riferimento ad una diversa sistemazione del giardino, né alla scaletta rappresentata nelle tavole autorizzate dalla Soprintendenza, né ad altro intervento che avrebbe potuto configurare un diverso assetto conformativo del giardino.
Tali interventi, da un lato, non possono ritenersi oggetto di una descrizione lacunosa o imprecisa, dall’altro, come correttamente ritenuto dall’appellante, sono idonei ad integrare gli estremi dell’intervento edilizio di restauro e risanamento conservativo.
7.3 Sotto il primo profilo, si osserva che il Comune non ha specificatamente contestato nel provvedimento per cui è causa l’impossibilità di individuare le opere denunciate, non potendo a tale fine valorizzarsi il riferimento all’inidoneità dell’integrazione documentale del 4 settembre 2007 a soddisfare quanto richiesto nella diffida del 29 agosto 2007, n. 2109: trattasi di rilievo non supportato da un’adeguata motivazione (come si osserverà infra) in ordine alle ragioni per cui l’integrazione comunque eseguita dall’odierna ricorrente non consentisse di soddisfare la richiesta comunale.
Ne deriva che, non avendo il Comune espressamente annullato la DIA per l’indeterminabilità del suo oggetto, non potrebbe ravvisarsi la legittimità dell’atto provvedimentale sulla base di una ragione giustificatrice (impossibilità di individuare le opere oggetto di denuncia) non espressa dall’Amministrazione procedente.
In ogni caso, come emergente dalla relazione di verificazione, l’imprecisione caratterizzante la relazione tecnica allegata alla DIA non risultava tale da impedire l’individuazione delle opere finali e di quelle strumentali all’esecuzione dell’intervento edilizio complessivamente denunciato, non potendo, dunque, ritenersi che l’Amministrazione non fosse in condizione di esercitare il potere inibitorio per l’assoluta incertezza delle opere all’uopo da realizzare.
7.4 Sotto il secondo profilo, si rileva che gli interventi edilizi di restauro e risanamento conservativo (art. 3, comma 1, lett. c), DPR n. 380/01) devono essere distinti dagli interventi di ristrutturazione edilizia (art. 3, comma 1, lett. d), DPR n. 380/01).
Mentre la ristrutturazione può condurre ad un "un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente", il restauro e il risanamento conservativo “non possono mai portare a ridetto "organismo in tutto o in parte diverso dal preesistente", avendo sempre la finalità di "conservare l'organismo edilizio" ovvero di "assicurarne la funzionalità" (cfr. ancora art. 31, lett. c) della L. n. 457 del 1978, traslato testualmente nell'art. 3, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 380 del 2001)” (Consiglio di Stato, Sez. II, 26 dicembre 2020, n. 8337).
Ne deriva che si è in presenza di un restauro e risanamento conservativo, qualora l’intervento sia funzionale alla conservazione dell’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità, nel rispetto dei suoi elementi tipologici (in specie, architettonici e funzionali, suscettibili di consentire la qualificazione dell’organismo in base alle tipologie edilizie), formali (tali da contraddistinguere il manufatto, configurandone l’immagine caratteristica) e strutturali (concernenti la composizione della struttura dell’organismo edilizio).
In particolare, “la caratteristica degli interventi di mero restauro è quella di essere effettuata mediante opere che non comportano l'alterazione delle caratteristiche edilizie dell'immobile da restaurare, e quindi rispettando gli elementi formali e strutturali dell'immobile stesso, mentre la ristrutturazione edilizia si caratterizza per essere idonea ad introdurre un quid novi rispetto al precedente assetto dell'edificio (Cons. Stato Sez. VI, Sent., 02-09-2020, n. 5350)” (Consiglio di Stato, sez. II, 18 giugno 2021, n. 4701).
Questo Consiglio (sez. II, 2 aprile 2021, n. 2735), in definitiva, ha precisato che “la finalità di conservazione, caratteristica degli interventi di recupero e risanamento conservativo, postula il mantenimento tipologico e strutturale del manufatto; conseguentemente dovendosi ascrivere gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l’originaria consistenza fisica di un immobile (e comportino, altresì, la modifica e ridistribuzione dei volumi) non già nel concetto di “manutenzione straordinaria” (e, a fortiori, di restauro o risanamento conservativo), ma quale “ristrutturazione edilizia” (pertanto ravvisabile nella modificazione della distribuzione della superficie interna e dei volumi e dell’ordine in cui sono disposte le diverse porzioni dell’edificio anche per il solo fine di renderne più agevole la destinazione d’uso esistente)” (Consiglio di Stato, sez. II, 2 aprile 2021, n. 2735).
Alla stregua di tali rilievi, emerge che le opere per cui è controversia, tendendo a garantire il consolidamento statico del manufatto e a risolvere i problemi di umidità attraverso l’impermeabilizzazione sulle volte, come rilevato nella relazione di verificazione del 23 aprile 2021 (ai cui rilievi si rinvia) non determinavano una modifica degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo edilizio preesistente, bensì erano volte a garantire la sua conservazione e funzionalità: tali opere non avrebbero potuto integrare gli estremi della ristrutturazione edilizia, essendo riconducibili alla categoria degli interventi di restauro e di risanamento conservativo.
7.5 Una prima ragione di illegittimità del provvedimento censurato in prime cure risiede, dunque, nella individuazione e qualificazione giuridica dei lavori oggetto di DIA, non facendosi questione di nuove opere integranti gli estremi della ristrutturazione edilizia, come ritenuto dal Tar nel rigettare il ricorso, bensì di interventi di restauro e di risanamento conservativo che, come dedotto dall’appellante, non risultavano precluse nell’area in cui ricadeva l’organismo edilizio per cui è causa (cfr. l'art. 6, comma 10 del P.T.P. citato dalla stessa difesa comunale nella memoria del 19.4.2019).
L’ipotetica emersione di ulteriori opere, non comprese nella DIA e in ipotesi non assentite da titolo edilizio, come osservato, non avrebbe potuto invece giustificare l’atto di annullamento d’ufficio per cui è causa, dovendosi distinguere tra il potere inibitorio di cui agli artt. 19 e 21 nonies L. n. 241/90, avente come presupposto la difformità tra la DIA/SCIA (rectius, le opere denunciate) e il quadro regolatorio di riferimento, e il potere di repressione degli abusi edilizi, suscettibili di dare luogo a misure sanzionatorie differenti ex artt. 31 e ss. DPR n. 380/01, aventi distinti presupposti, dati dall’assenza o dalla difformità da un titolo edilizio esistente ed efficace (compatibile con la disciplina urbanistica ed edilizia di riferimento).
Avendo il Comune appellato ritenuto di esercitare il potere inibitorio di cui agli artt. 19 e 21 nonies L. n. 241/90, al fine di scrutinare la legittimità del provvedimento impugnato dinnanzi al Tar, doveva aversi riguardo alle sole opere denunciate dalla parte privata: per l’effetto, facendosi questione di interventi di restauro e di risanamento conservativo, gli stessi non avrebbero potuto ritenersi preclusi dalla disciplina urbanistica ed edilizia all’uopo applicabile.
8. Il provvedimento per cui è causa risulta inficiato, altresì, nella parte in cui valorizza il mancato rilascio dell’autorizzazione ex art. 159 D. Lgs. n. 42 del 2004 quale causa, di per sé, giustificativa dell’annullamento della DIA in contestazione.
8.1 L’Amministrazione comunale, nell’ambito del rilievo operato alla lettera c) del provvedimento per cui è causa, ha ritenuto necessaria la preventiva acquisizione dell’autorizzazione ex art. 159 D. Lgs. n. 42/04, “per le trasformazioni previste e in parte eseguite”: tali trasformazioni sono state descritte nell’ambito dello stesso atto di annullamento d’ufficio, in specie nella precedente lettera b), deputata alla rappresentazione delle opere riportate nei “grafici di rilievo e di progetto depositati con la citata D.I.A.”.
Le opere in parola, secondo la prospettazione comunale, prevedevano l’alterazione dello stato esterno dei luoghi consistente nella diversa perimetrazione dei cordoli delle aiuole e di un impianto di scalini di raccordo tra quote di progetto. Le trasformazioni previste nella DIA e, in parte eseguite, avrebbero richiesto, alla stregua di quanto ritenuto dal Comune, il previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.
La valutazione amministrativa è inficiata da una scorretta individuazione delle opere comprese nella DIA, suscettibili di essere apprezzate ai fini dell’esercizio del potere inibitorio ex artt. 19 e 21 nonies L. n. 241/90.
Come osservato supra, la DIA aveva riguardo ad un intervento di impermeabilizzazione sulle volte, senza operare alcun riferimento ad una diversa sistemazione del giardino, alla scaletta rappresentata nelle tavole autorizzate dalla Soprintendenza o ad altro intervento che avrebbe potuto configurare un diverso assetto conformativo del giardino.
Il travisamento dei fatti – sub specie di scorretta individuazione delle opere previste dalla DIA – rende invalida la valutazione comunale sulla necessaria previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica.
8.2 In ogni caso, il ricorrente deduce correttamente l’illegittimità dell’atto di annullamento d’ufficio anche in ragione della possibilità di sanatoria paesaggistica delle opere in contestazione.
Non emerge infatti dall’atto gravato in prime cure se il Comune abbia valutato la possibilità di sanatoria dell’intervento e, dunque, di una sua regolarizzazione entro un termine perentorio all’uopo assegnabile.
Ai sensi dell’art. 19, comma 3, L. n. 241/90, nella formulazione ratione temporis applicabile nella specie (cfr. all’attualità, 19, comma 4, L. n. 241/90), decorso il termine per l'adozione dei provvedimenti inibitori di trenta giorni dal ricevimento della denuncia di inizio attività, l'amministrazione competente, al ricorrere delle condizioni previste in materia di autotutela decisoria, è abilitata ad adottare i provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove possibile, l'interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall'amministrazione.
In materia di DIA (oggi SCIA), dunque, l’Amministrazione è tenuta a verificare se le difformità riscontrate in sede di controllo successivo siano tali da precludere la prosecuzione dell’attività e la conservazione degli effetti prodotti dall’azione denunciata ovvero siano suscettibili di regolarizzazione entro un termine all’uopo da fissare.
Tenuto conto delle esigenze di conservazione dei valori giuridici sottese alla disciplina in commento e dell’amplia formulazione del dato letterale – che non limita la regolarizzazione a specifiche difformità – l’ammissibilità della sanatoria potrebbe essere apprezzata tanto a livello sostanziale e, dunque, attraverso la modifica dell’intervento denunciato al fine di renderlo conforme al quadro normativo di riferimento, quanto sotto il profilo procedimentale, mediante l’acquisizione postuma di titoli amministrativi a sanatoria di un illecito già commesso.
8.3 Avuto riguardo alla materia paesaggistica, ai sensi dell'art. 167, comma 4, D. Lgs. n. 42 del 2004, anche nella formulazione vigente al tempo di adozione del provvedimento censurato in prime cure, risultava ammissibile l'accertamento postumo di compatibilità paesaggistica, tra l’altro, "a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”.
Per l’effetto, a fronte della possibilità sanare l’illecito commesso, attraverso il rilascio di un titolo idoneo a legittimare le opere eseguite al ricorrere di puntuali presupposti di legge, l’Amministrazione, prima di adottare il provvedimento inibitorio impugnato in prime cure (rivestente la forma dell’annullamento d’ufficio della DIA), avrebbe dovuto comunque verificare la sussistenza dei presupposti per l’avvio del procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica, assegnando in caso affermativo alla parte un termine perentorio per provvedere alla regolarizzazione di quanto eseguito.
Nella specie, l’Amministrazione, salvo il riferimento al Piano Paesistico – Posillipo in ordine al divieto di incremento delle superfici impermeabilizzate - tuttavia oggetto di contestazione autonoma che sarà infra esaminata-, non ha assegnato il termine per la regolarizzazione, né ha motivato in ordine alle ragioni per cui non sarebbe stata possibile la sanatoria paesaggistica.
L’immediata adozione delle misure inibitoria senza avere previamente valutato la possibilità di concessione di un termine per la conformazione dell’attività privata e degli effetti dalla stessa scaturiti alla disciplina in materia di tutela paesaggistica integra, dunque, un ulteriore vizio di legittimità del provvedimento per cui è causa.
9. La legittimità dell’atto provvedimentale non potrebbe essere confermata neppure valorizzando la mancata acquisizione dell’autorizzazione della Soprintendenza per profili afferenti alla tutela archeologica ex art. 58 della NTA del PRG vigente, trattandosi di autonoma ragione impeditiva dell’attività privata non specificatamente posta a base del provvedimento impugnato in prime cure, con cui è stata contestata la mancata produzione della (differente) autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 159 D. Lgs. n. 42/04; né potrebbe diversamente argomentarsi sulla base del generico riferimento, operato nell’atto di annullamento d’ufficio, alla classificazione della zona dalla variante al PRG come zona A, non essendo esplicitato sotto quale profilo tale classificazione potesse rilevare in senso ostativo all’esecuzione dell’intervento denunciato, in specie in ordine alle esigenze di tutela archeologica.
10. Risulta fondata anche la censura attorea volta a denunciare il difetto di motivazione dell’annullamento d’ufficio, nella parte in cui il Comune ha riscontrato l’inidoneità dell'integrazione prodotta dalla parte privata il 4 settembre 2007, protocollo del servizio n. 5820, a soddisfare quanto richiesto nella precedente diffida del 29 agosto 2007 n. 2109.
Al riguardo, non si comprende, come dedotto dall’appellante, la ragione per cui l’integrazione documentale fosse insufficiente, non indicandosi nello specifico gli elementi incompleti o mancanti idonei a giustificare l’ordine inibitorio in concreto assunto, né avendo il Comune statuito sugli ulteriori documenti di cui alla nota del direttore dei lavori del 25 settembre 2007 prodotta sub doc. 13 del ricorso introduttivo del primo giudizio.
11. Parimenti, è meritevole di accoglimento la censura riguardante la violazione del divieto di incremento delle superfici impermeabilizzate con asserito peggioramento delle caratteristiche di permeabilità del suolo, anche in conseguenza della prevista diversa perimetrazione dei cordoli delle aiuole.
La verificazione, i cui rilievi anche sotto tale profilo devono essere richiamati ai fini della decisione, ha dato atto che:
- gli interventi per cui è causa hanno provocato ridotte ma non dettagliatamente misurabili variazioni al sistema del deflusso delle acque e della permeabilità del suolo, ragion per cui, una volta completati i lavori con il ripristino della situazione di superficie (terreno asportato, della fontana, etc), non avrebbe potuto riscontrarsi un complessivo “peggioramento delle caratteristiche di permeabilità del suolo”;
- buona parte del terreno insisteva su grotte e ambienti voltati, per il resto il sistema delle canalizzazioni organizzava il deflusso ma non alterava la permeabilità, se non in misura marginale, e resa ancora più marginale dalla consistenza del territorio interessato, e dalla presenza del banco tufaceo;
- per l’effetto, non risultava alcuna alterazione significativa; “Piuttosto la riorganizzazione del deflusso ha consentito la salvaguardia, mediante adeguata impermeabilizzazione, di un bene soggetto a vincolo architettonico”.
Al riguardo, rileva altresì l’accertamento tecnico preventivo del 3.3.2008 prodotto in primo grado dall’appellante, in cui si dà atto che “Dagli scavi eseguiti si deduce che i vani sottostanti il giardino erano originariamente, ovvero prima dell'inizio dei lavori per cui è Ricorso, impermeabilizzati mediante guaine bitumoplastiche e/o asfalto minerale” (pag. 13; cfr. anche pagg. 37/38).
Ne deriva che, alla luce delle emergenze istruttorie, le attività denunciate non potevano comportare un incremento delle superfici impermeabilizzate, riguardando pure vani originariamente impermeabilizzati, né hanno determinato un peggioramento delle caratteristiche di permeabilità del suolo.
12. Il riferimento, operato nel provvedimento impugnato in prime cure, alle osservazioni prodotte dalla parte privata in data 8 agosto 2008 e, in specie, alla loro non afferenza ad elementi di assentibilità degli interventi sulla base della disciplina urbanistica e paesistica di riferimento, parimenti, non consente di giustificare l’annullamento d’ufficio della DIA, dovendo aversi riguardo alla compatibilità delle opere denunciate rispetto alla normativa di riferimento, a prescindere dall’eventuale esercizio del diritto di difesa endoprocedimentale della parte privata o dall’incompletezza delle osservazioni difensive all’uopo trasmesse all’Amministrazione.
Pertanto, una volta rilevato, da un lato, che la DIA concerneva, anziché un intervento di ristrutturazione edilizia, un intervento di restauro e di risanamento conservativo non precluso nell’area di riferimento, dall’altro, che le esigenze di tutela paesaggistiche avrebbero dovuto essere valutate correttamente ricostruendo la portata oggettiva della DIA e, all’esito, verificando la possibilità di sanatoria ex art. 167 D. Lgs. n. 42/04 – in assenza, peraltro, di un peggioramento delle caratteristiche di permeabilità del suolo-, non avrebbe potuto essere assunto l’annullamento d’ufficio censurato in prime cure.
13. Infine, deve essere accolta, altresì, la censura riguardante la sussistenza di un interesse pubblico specifico idoneo a sostenere l’esercizio del potere amministrativo per cui è causa, diverso dall’esigenza di mero ripristino della legalità violata.
Come osservato supra, qualora l’Amministrazione, nell’esercizio del potere inibitorio ex art. 19 L. n. 241/90, intenda contestare l’assenza dei requisiti e dei presupposti legittimanti l’intervento segnalato, una volta decorso il termine di sessanta (trenta in materia edilizia) giorni dalla ricezione della denuncia di inizio attività, la cessazione dell’attività e la rimozione degli effetti prodotti possono essere ordinate al ricorrere delle condizioni proprie dell’autotutela decisoria, come previste dall’art. 21 nonies L. n. 241/90.
Per l’effetto, occorre che l’Amministrazione assuma un provvedimento corredato da una adeguata motivazione non soltanto in ordine alla incompatibilità dell’intervento con il quadro normativo di riferimento, ma anche in relazione alla sussistenza di uno specifico interesse pubblico attuale alla inibizione dell’attività privata (che non può ridursi all'esigenza del mero ripristino della legalità violata), alla comparazione tra gli interessi emergenti nel caso concreto (tenendo conto della posizione del beneficiario) e alla ragionevole durata del tempo intercorso tra l'atto illegittimo e la sua rimozione.
In materia edilizia, peraltro, come precisato dall’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (n. 8 del 2017), l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione può essere attenuato in ragione della autoevidenza degli interessi pubblici tutelati al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso può essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico deponenti nel senso dell'esercizio del ius poenitendi.
L’applicazione di tali coordinate ermeneutiche al caso di specie evidenzia l’insufficienza e, comunque, l’inadeguatezza dell’apparato motivazionale riferito alla sussistenza di un interesse pubblico specifico suscettibile di giustificare l’atto di annullamento d’ufficio per cui è causa, intervenuto a distanza di oltre due anni dalla comunicazione della DIA, in relazione, peraltro, ad un contesto amministrativo connotato da precedenti interventi comunali (conclusisi anche con atti impugnati in primo grado attraverso il ricorso introduttivo del giudizio), idonei a porre il Comune in condizione di verificare tempestivamente l’eventuale incompatibilità tra le opere denunciate e la normativa di riferimento.
Nella specie, l’amministrazione si è limitata a richiamare l’esigenza di ripristinare la legalità violata e a fare riferimento al regime vincolistico di tutela architettonico e ambientale/paesistico.
Tuttavia, premesso che il riferimento all’interesse generico al ripristino della legalità violata, come osservato, non è sufficiente per considerare integrate le condizioni di cui all’art. 21 nonies L. n. 241/90, le esigenze di tutela architettonica dovevano ritenersi già soddisfatte per effetto del rilascio dell’autorizzazione ex art. 21 D. Lgs. n 42/04 (n. 32365 del 12.1.2006, relativa, altresì, alle opere per cui è causa), con cui la Soprintendenza per i Beni Architettonici ed il paesaggio e per il Patrimonio Storico Artistico aveva positivamente valutato la compatibilità delle opere progettate con l’interesse storico-architettonico (l’autorizzazione è stata resa “nei riguardi storico-architettonici”); ragion per cui non si comprende per quali ragioni l’intervento edilizio denunciato dovesse considerarsi lesivo dell’interesse architettonico.
Le esigenze di tutela paesistica implicavano una corretta individuazione delle opere denunciate e, comunque, avrebbero dovuto essere garantite valutando l’ammissibilità dell’accertamento di compatibilità paesaggistica postuma ed eventualmente assegnando un termine per consentire al denunciante di presentare un’istanza ex art. 167 D. lgs. n. 42/04 e all’Amministrazione di istruire il relativo procedimento con l’adozione del provvedimento conclusivo.
Le esigenze di tutela ambientale non sono state adeguatamente rappresentate, non emergendo sotto quale profilo nella specie sussistesse un vulnus al valore ambientale, considerate, altresì, le osservazioni supra svolte in ordine alla mancata violazione del divieto di incremento delle superfici impermeabilizzate e all’assenza di un peggioramento delle caratteristiche di permeabilità del suolo.
Nel caso in esame, pertanto, come correttamente dedotto dal ricorrente, difetta un’adeguata motivazione relativa al tempo in cui è stato deciso di intervenire con l’esercizio dei poteri inibitori postumi sulla denuncia di inizio attività presentata oltre due anni addietro, all’interesse pubblico prevalente nonché al bilanciamento degli interessi coinvolti; il che costituisce un’ulteriore e autonoma ragione, di per sé, idonea a giustificare l’annullamento del provvedimento gravato in primo grado, per mancata integrazione delle condizioni (riferite all’interesse pubblico alla base della determinazione amministrativa, alla tempestività dell’intervento in autotutela e alla comparazione degli interessi coinvolti) necessarie per sorreggere un valido atto inibitorio ex artt. 19 e 21 nonies L. n. 241/90.
14. Alla luce dei superiori rilievi, in accoglimento parziale dell’appello – ai sensi e nei limiti di quanto sopra precisato – deve pervenirsi alla riforma della sentenza appellata e all’annullamento del provvedimento ex artt. 19 e 21 nonies L. n. 241/90 impugnato con i motivi aggiunti proposti in primo grado.
15. Non può essere favorevolmente apprezzata la richiesta della parte controinteressata, costituita nel presente grado di giudizio, di nominare un tecnico/verificatore, al fine di verificare l’integrale ripristino dello status quo anteriore all’intervento denunciato, mediante la ricostituzione degli elementi del giardino dell’odierna appellante; attività effettivamente imposte dalla corretta esecuzione della DIA, alla luce di quanto pure rilevato dal verificatore.
Trattasi di una verifica da demandare all’Amministrazione comunale, titolare del potere di vigilanza in materia edilizia ed urbanistica ex art. 27 DPR n. 380/01, non potendo essere svolta in sede giurisdizionale attraverso la nomina di un tecnico/verificatore, altrimenti violandosi il principio di separazione dei poteri (avente un riconoscimento normativo, altresì, nell’art. 34, comma 2, c.p.a.), ostativo all’emissione di provvedimenti giurisdizionali su attività materiali ancora da realizzare sul piano sostanziale (ripristino dello stato del giardino anteriore agli interventi per cui è causa), oggetto di poteri amministrativi non esercitati.
16. Le spese del doppio grado di giudizio devono essere regolate in applicazione del criterio della soccombenza, nella misura indicata in dispositivo, in solido a carico dell’Amministrazione comunale e della Sig.ra -OMISSIS- (proponente richieste e difese disattese con la presente sentenza), nei cui confronti risulta parimenti riscontrabile una posizione di soccombenza in giudizio; le spese processuali possono, invece, essere interamente compensate nei rapporti tra l’appellante e le altre parti in ragione della loro sostanziale estraneità all’oggetto dell’odierno processo.
17. Con la presente sentenza il Collegio è chiamato a statuire, altresì, sulle spese di verificazione, il cui regime è correlato al riparto delle spese di giudizio (in termini, Consiglio di Stato, sez. VI, 11 dicembre 2015, n. 5632).
Pertanto, al pari di quanto disposto per le spese di giudizio, anche le spese di verificazione devono essere poste a carico del Comune di Napoli e della Sig.ra -OMISSIS-.
Al riguardo, si osserva che, nell’ambito dell’odierno giudizio, sono state acquisite due relazioni di verificazione.
Il primo verificatore (arch.-OMISSIS-) ha chiesto il pagamento di un importo complessivo pari a € 2.971,39 (richiesta del 21.10.2020), mentre il secondo verificatore (prof. -OMISSIS-) ha presentato una richiesta di liquidazione del compenso, per un importo complessivo di € 4.900,86 (richiesta del 23.4.2021).
Premesso che l’opera professionale del primo verificatore deve, comunque, essere remunerata nonostante il Collegio abbia avvertito l’esigenza di un ulteriore supplemento istruttorio ai fini della decisione (con la rinnovazione della verificazione) - facendosi questione di prestazione professionale resa in funzione del giudizio, tradottasi, in ogni caso, nella produzione di elementi istruttori ai fini della decisione -, le richieste di liquidazione del compenso dei verificatori incaricati nell’odierno grado di giudizio possono essere accolte.
Avuto riguardo alle previsioni e ai criteri di cui agli artt. 50, 51 e 52 D.P.R. 30/05/2002 n. 115 (recante il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia) e al D.M. 30 maggio 2002 (di adeguamento dei compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite su disposizione dell'autorità giudiziaria in materia civile e penale) - costituenti parametro assumibile nel presente caso a fondamento della liquidazione giudiziale-, rilevato il diverso approfondimento istruttorio idoneo a giustificare la differente liquidazione del compenso professionale in favore dei verificatori incaricati (in coerenza peraltro alle richieste dei professionisti incaricati), considerata la congruità delle spese oggetto delle istanze di rimborso rispetto alle attività occorrenti per l’espletamento dell’incarico istruttorio, nonché rilevata l’oggettiva complessità degli accertamenti richiesti, il Collegio ravvisa i presupposti per liquidare:
- in favore dell’arch.-OMISSIS-, l’importo complessivo di € 2.971,39;
- in favore del prof. -OMISSIS- l’importo complessivo di € 4.900,86.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, così provvede:
- accoglie l’appello e i motivi di ricorso riproposti in appello ai sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie nei predetti limiti i motivi aggiunti proposti in primo grado;
- condanna in solido il Comune di Napoli e la Sig.ra -OMISSIS- a pagare in favore della Sig.ra -OMISSIS-, a titolo di spese del doppio grado di giudizio, l’importo complessivo di € 3.000,00, oltre accessori di legge ove dovuti; compensa interamente le spese di giudizio nei rapporti tra le altre parti processuali;
- pone in solido, a carico del Comune di Napili e della Sig.ra -OMISSIS- le spese di verificazione, che quantifica in € 2.971,39 complessivi in favore dell’arch. -OMISSIS-OMISSIS- e in € 4.900,86 in favore del prof. -OMISSIS- -OMISSIS-.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti processuali.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 settembre 2021 con l'intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro, Presidente
Oreste Mario Caputo, Consigliere
Dario Simeoli, Consigliere
Giordano Lamberti, Consigliere
Francesco De Luca, Consigliere, Estensore