Consiglio di Stato Sez. II n.7029 del 19 ottobre 2021
Urbanistica.Inderogabilità della distanza tra edifici
La disciplina dettata in materia di distanze fra fabbricati dall’art. 9 del Decreto Ministeriale numero 1444 del 2 aprile 1968, che prevede la necessità di una distanza minima inderogabile di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti si applica anche nel caso in cui la nuova costruzione risulti posta a una quota inferiore rispetto a quella antistante. La regola delle distanze legali tra costruzioni di cui al comma 2 dell’indicato art. 9 è applicabile anche alle sopraelevazioni e la distanza minima di dieci metri fra pareti finestrate deve essere rispettata anche in caso di interventi di recupero dei sottotetti a fini abitativi. La disciplina prevista dall’art. 9 del D.M. 1444/1968 vincola anche i comuni in sede di formazione o revisione degli strumenti urbanistici e è una norma imperativa in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza
Pubblicato il 19/10/2021
N. 07029/2021REG.PROV.COLL.
N. 06478/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6478 del 2014, proposto da:
Comune di Diano Marina, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Diego Vaiano e Matteo Borello, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Lungotevere Marzio, 3;
contro
Società Villa Marina Appartaments S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Francesco Massa e Bianca Giaccardi, domiciliato presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
Stefano Saguato, rappresentato e difeso dall'avv. Alvise Vergerio Di Cesana, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G. da Palestrina, 19;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 421/2014.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Società Villa Marina Appartaments S.r.l. e di Stefano Saguato;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatrice la Cons. Laura Marzano;
Udito, nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2021, l’avv. Alvise Vergerio di Cesena anche su delega dell’avv. Diego Vaiano;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso dinanzi al T.A.R. Liguria la Società Villa Marina Apartaments S.r.l., proprietaria di un immobile sito in Diano Marina, confinante con altro immobile di proprietà Saguato, presso il quale erano in corso di esecuzione lavori edilizi, chiedeva la declaratoria d’illegittimità del provvedimento con il quale il Comune di Diano Marina, in replica all’istanza-diffida di esercizio dei poteri inibitori sulla ristrutturazione intrapresa dal controinteressato, non aveva adottato alcun provvedimento, sostanzialmente affermando la legittimità dell’intervento edilizio.
A fondamento del ricorso la parte ricorrente deduceva, inter alia, la violazione dell’art. 9 D.M. 1444/1968 affermando che, con la DIA presentata per il recupero abitativo del sottotetto, il sig. Saguato Stefano, proprietario dell’immobile confinante, avesse realizzato un volume in sopraelevazione a meno di 10 metri dalla parete finestrata dell’edificio di proprietà dell’allora ricorrente.
Inoltre sosteneva che la violazione in parola realizzasse una veduta diretta, in contrasto con la disciplina civilistica di settore.
Il Comune di Diano Marina, costituitosi in primo grado, sosteneva la piena legittimità del suo operato.
Il giudice di primo grado accoglieva il ricorso con sentenza ex art. 60 c.p.a. sulla assorbente fondatezza del primo motivo ritenendo, in fatto, incontroversa la violazione dell’art. 9 D.M. cit. conseguente al recupero abitativo del sottotetto, mediante sopraelevazione a meno di m. 10 dalla parete finestrata.
Secondo il primo giudice l’art. 9 D.M. cit., alla stregua di giurisprudenza consolidata, è una disposizione tassativa ed inderogabile, che impone al proprietario dell’area confinante con il muro finestrato altrui di costruire il proprio edificio ad almeno dieci metri da quello, senza alcuna deroga, neppure per il caso in cui la nuova costruzione sia destinata ad essere mantenuta ad una quota inferiore a quella antistante.
Avverso tale sentenza propone appello il Comune di Diano Marina.
Con i primi quattro motivi l’appellante lamenta l’erroneità della pronuncia di primo grado per errata applicazione dell’art. 9 D.M. 1444/1968, per violazione del principio dispositivo, per difetto di istruttoria e per omessa pronuncia su un punto sostanziale della controversia.
Con tali motivi l’appellante sostiene che il T.A.R. avrebbe errato nel fare applicazione dell’art. 9 D.M. 1444/1968 in quanto non avrebbe tenuto conto della circostanza che, nonostante la sopraelevazione, l’edificio oggetto di intervento risultasse ad una quota inferiore a quella della veduta del vicino; fa presente che tale profilo era stato espressamente evidenziato in primo grado e che, a fronte di tanto, sebbene la ricorrente nulla avesse controdedotto o provato, il giudice di primo grado non aveva svolto alcuna istruttoria, violando, altresì, il principio dispositivo che impone a chi agisce in giudizio di provare i fatti posti a fondamento della domanda.
Inoltre l’appellante lamenta che il giudice di primo grado non si sarebbe pronunciato su una serie di argomentazioni ivi prospettate, tese a sostenere: che l’intervento in questione fosse modesto, dunque tale da non potersi considerare “costruzione”, che non si trattasse di vera e propria sopraelevazione ma di modesto sopralzo privo di portata lesiva e che la ricorrente non avrebbe subito alcun vulnus tenuto conto che l’intervento aveva comportato anche la rimozione, con abbassamento di quota, della falda posta sul retro dell’edificio.
Infine lamenta che il T.A.R. avrebbe obliterato una ulteriore circostanza evidenziata in primo grado, riguardante la non configurabilità di alcuna intercapedine a seguito dell’intervento in parola il quale, anzi, avrebbe determinato l’ampliamento degli spazi fra gli edifici.
Con il quinto motivo l’appellante impugna il capo della sentenza di primo grado recante la condanna alle spese di lite, osservando che, ad ogni buon fine, il fatto che l’allora art. 18 della L.R. 16/2008 e l’art. 95 del PUC consentissero tali opere, avrebbe quanto meno dovuto indurre il giudice di prime cure a valutare diversamente la condotta del Comune e, di conseguenza, a compensare le spese di lite.
Infine ripercorre gli ulteriori motivi del ricorso di primo grado, non esaminati dal primo giudice, ribadendone l’infondatezza, segnatamente facendo rilevare che la parte ricorrente in primo grado avrebbe tenuto un comportamento dilatorio prima di proporre ricorso sicché ogni eventuale danno sarebbe alla stessa imputabile.
La società appellata Villa Marina Apartaments S.r.l. si è costituita in giudizio resistendo al gravame e chiedendone la reiezione con integrale conferma della sentenza di prime cure.
Anche il sig. Saguato Stefano si è costituito in giudizio instando per l’accoglimento dell’appello.
Dopo aver confermato il perdurante interesse alla decisione, la parte appellata e il Comune appellante hanno depositato memorie conclusive e repliche.
La causa è stata chiamata all’udienza pubblica del 12 ottobre 2021 e, all’esito, è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
L’appello è infondato.
1. Oggetto del titolo edilizio in contestazione è un intervento che prevede il recupero abitativo del sottotetto, con realizzazione di un volume in sopraelevazione.
Tale circostanza di fatto, come correttamente rilevato dal T.A.R., non è contestata.
Non possono quindi che applicarsi le conseguenze che derivano dal richiamo di consolidati principi giurisprudenziali secondo cui laddove vi sia una modifica anche solo dell’altezza dell’edificio (come nel caso di specie) sono ravvisabili gli estremi della nuova costruzione, da considerare tale anche ai fini del computo delle distanze rispetto agli edifici contigui (Cons. Stato, Sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 844).
Peraltro, secondo consolidata giurisprudenza (si veda, tra tante, in tal senso, Cass., Sez. II, 27 marzo 2001, n. 4413) la regola delle distanze legali tra costruzioni di cui al comma 2 dell'art. 9 cit. è applicabile anche alle sopraelevazioni (Cons. Stato, Sez. IV, 27 ottobre 2011, n. 5759).
Infine la distanza minima di dieci metri fra pareti finestrate deve essere rispettata anche in caso di interventi di recupero dei sottotetti a fini abitativi (Cons. Stato, Sez. IV, 16 settembre 2020, n. 5466).
Non è, dunque, pertinente la tesi difensiva del Comune appellante secondo cui la asserita modesta modifica di altezza non impatterebbe sulla veduta del vicino, mantenendosi la sopraelevazione ad una quota più bassa, atteso che ciò che rileva, alla stregua dell’art. 9 D.M. 1444/1968, non è la distanza della sopraelevazione dalla specifica veduta bensì la distanza della stessa dalla parete finestrata.
Né è necessario accertare, come opinato dall’appellante, se l’edificio, come sopraelevato, raggiunga la quota della finestra del vicino, in quanto ciò che rileva è che, incontestata essendo la sopraelevazione, si è in presenza di una nuova costruzione, cui consegue l’effetto obbligatorio del rispetto delle distanze di dieci metri tra pareti finestrate e edifici antistanti: non è fondata, dunque, la censura di omessa pronuncia sul punto.
In materia di distanze tra fabbricati, l'art. 9 D.M. n. 1444 del 1968, che prescrive una distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, è applicabile anche nel caso in cui una sola delle due pareti fronteggiantesi sia finestrata e indipendentemente dalla circostanza che tale parete sia quella del nuovo edificio o dell'edificio preesistente, o che si trovi alla medesima altezza o ad altezza diversa rispetto all'altro (Cass., Sez. II, 1 ottobre 2019, n. 24471).
La disposizione di cui all'art. 9, comma 1, n. 2, D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, essendo tassativa ed inderogabile, impone al proprietario dell'area confinante col muro finestrato altrui di costruire il proprio edificio ad almeno dieci metri da quello, senza alcuna deroga, neppure per il caso in cui la nuova costruzione sia destinata ad essere mantenuta ad una quota inferiore a quella dalle finestre antistanti (Cons. Stato, Sez. IV, 30 ottobre 2017, n. 4992).
Le assorbenti considerazioni che precedono comportano la conferma dell’impugnata sentenza.
2. Quanto all’impugnazione del capo della sentenza che ha regolamentato le spese del giudizio di primo grado il Collegio ricorda che questo Consesso ha già avuto modo di osservare che le prescrizioni di cui al D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 integrano con efficacia precettiva il regime delle distanze nelle costruzioni, sicché l'inderogabile distanza di 10 m. tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti vincola anche i comuni in sede di formazione o revisione degli strumenti urbanistici.
Invero è stato affermato dalla costante giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. IV, 23 giugno 2017 n. 3093; id. 8 maggio 2017, n. 2086; id. 29 febbraio 2016 n. 856; Cass., Sez. II, 14 novembre 2016, n. 23136) che la disposizione contenuta nell'art. 9 D.M. 1444/1968, che prescrive la distanza di dieci metri che deve sussistere tra edifici antistanti, ha carattere inderogabile, trattandosi di norma imperativa che predetermina in via generale ed astratta le distanze tra le costruzioni, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza; tali distanze sono coerenti con il perseguimento dell'interesse pubblico e non già con la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione, tutela che è invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile.
Ne discende che, in presenza di strumenti urbanistici contenenti disposizioni illegittime perché contrastanti con la norma di cui all'art. 9 D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, il giudice avrebbe comunque l'obbligo di applicare la norma di rango superiore (così Cass., Sez. II, 27 marzo 2001, n. 4413; Cons. Stato, Sez. IV, 12 giugno 2007, n. 3094).
Ne discende che la presenza di una previsione regolamentare in contrasto con l'anzidetto limite minimo non è idonea ad elidere o limitare la responsabilità dell’ente, neanche ai fini della valutazione della soccombenza.
Conclusivamente l’appello va respinto, con integrale conferma della sentenza impugnata.
3. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge confermando la sentenza impugnata.
Condanna l’appellante e il controinteressato al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, liquidandole in complessivi € 3.000,00 (tremila) a favore dell’appellata Villa Marina Apartaments S.r.l., oltre oneri di legge, di cui € 1.500,00 (millecinquecento) a carico del Comune e € € 1.500,00 (millecinquecento) a carico di Stefano Saguato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2021 con l'intervento dei magistrati:
Giulio Castriota Scanderbeg, Presidente
Giancarlo Luttazi, Consigliere
Italo Volpe, Consigliere
Francesco Frigida, Consigliere
Laura Marzano, Consigliere, Estensore