Cons. Stato Sez. VI n. 5057 del 24 settembre 2012
Urbanistica. Legittimità diniego condono e ordine di demolizione dell’ampliamento dell’autorimessa interrata.

E’ legittimo il diniego per il condono, l’ingiunzione di demolire la rimessione in pristino della parte di edificio realizzati abusivamente in ampliamento dell’autorimessa interrata, realizzata in violazione delle distanze minime dalla strada stabilite in m. 5,00. La specifica previsione dell’esclusione della sanabilità delle opere lesive delle distanze stabilite dagli strumenti urbanistici locali, deve ritenersi del tutto coerente con la natura pubblicistica degli interessi coinvolti, in quanto secondo consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità le norme degli strumenti urbanistici locali, che impongono di mantenere le distanze fra fabbricati o di questi dai confini, a differenza dalle norme sulle distanze di cui all’art. 873 c.c., dettate a tutela di reciproci diritti soggettivi dei singoli e miranti unicamente ad evitare la creazione di intercapedini antigieniche e pericolose, come tali suscettibili di deroga mediante convenzione tra privati, non sono derogabili, perché dirette, più che alla tutela di interessi privati, a quella di interessi generali e pubblici in materia urbanistica. A maggior ragione, l’interesse pubblicistico al rispetto delle distanze è ravvisabile nella disciplina dell’arretramento delle costruzioni in funzione dell’osservanza della fascia di rispetto stradale. Infatti, il vincolo di rispetto stradale ha carattere assoluto, in quanto persegue una serie concorrente di interessi pubblici fondamentali ed inderogabili, a prescindere da qualsiasi accertamento sulla effettiva pericolosità della costruzione realizzata in sua violazione per il traffico stradale. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 05057/2012REG.PROV.COLL.
N. 02069/2003 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2069 del 2003, proposto dalla signora Paolazzi Albertina, rappresentata e difesa dall’avv. Maria Alessandra Sandulli, con domicilio eletto presso la medesima in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 349;
contro
il Comune di Merano, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Luigi Manzi e Karl Zeller, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Federico Confalonieri, 5;
per la riforma
della sentenza del T.R.G.A. - SEZIONE AUTONOMA DELLA PROVINCIA DI BOLZANO, n. 00399/2002, resa tra le parti, concernente DINIEGO CONDONO EDILIZIO E ORDINANZA DI DEMOLIZIONE E RIMESSIONE IN PRISTINO

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 maggio 2012 il Cons. Bernhard Lageder e uditi per le parti gli avvocati Maria Alessandra Sandulli, Luigi Manzi e Karl Zeller;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza in epigrafe, il T.r.g.a. - Sezione autonoma di Bolzano respingeva il ricorso n. 193 del 1999, proposto dalla signora Paolazzi Albertina avverso i seguenti atti:
(i) il diniego di condono del Comune di Merano del 22 febbraio 1999, relativo all’ampliamento dell’autorimessa interrata realizzata sulla p.f. 307/15 C.C. Merano via Mozart, angolo via Zandonai, di proprietà della ricorrente, basato sul duplice rilievo del mancato versamento degli oneri concessori e della violazione delle distanze dalla strada stabilite dall’art. 3 della norme di attuazione del p.u.c. in m 5,00;
(ii) del provvedimento comunale del 23 febbraio 1999, di non approvazione della seconda variante per la costruzione suddetta, sempre per la parte riguardante il piano interrato;
(iii) l’ordinanza sindacale n. 93 del 23 aprile 1999, recante l’ingiunzione di demolire la parte di edificio realizzati abusivamente in ampliamento del piano interrato e di ripristinare lo stato dei luoghi in conformità alle previsioni progettuali poste a base delle concessioni edilizie n. 92/183 del 27 maggio 1992 e n. 94/207 del 27 luglio 1994.
Il T.r.g.a, in particolare, provvedeva come segue:
- escludeva la dedotta violazione di giudicato con riferimento alla decisione del Consiglio di Stato, Sez. V, del 23 maggio 1980, n. 535, resa in una precedente vertenza tra le parti, ritenendo comprovato che le opere abusive di ampliamento dell’autorimessa fossero state realizzate solo nel 1985, mentre i provvedimenti illo tempore impugnati dinanzi al Consiglio di Stato risalivano agli anni 1975-1977, sicché la questione delle distanze dell’opera abusiva dal ciglio stradale esulava dai limiti oggettivi del giudicato;
- rilevava l’insanabilità delle opere lesive delle distanze stabilite dallo strumento urbanistico, sancita dall’art. 1, comma 2, lett. a), l. prov. 22 giugno 1995, n. 15 (Disposizioni in materia di sanatoria di violazioni edilizie e modifiche delle leggi provinciali riguardanti il rilascio del certificato di abitabilità);
- disattendeva la censura della consumazione del potere di decidere sull’istanza di condono in esito alla formazione del silenzio assenso per decorso del termine di 24 mesi dalla presentazione dell’istanza (in data 6 marzo 1995, seguita dall’integrazione documentale in risposta alla nota comunale del 29 settembre 1995), attesa per un verso l’insanabilità delle opere e stante per altro verso la mancata corresponsione degli oneri concessori, contrariamente alla tesi sostenuta dalla ricorrente ritenuti dovuti anche per le opere interrate;
- respingeva la censura di violazione dell’art. 124 l. prov. 11 agosto 1997, n. 13 (l. urb. prov.), che per la realizzazione di parcheggi pertinenziali prevedeva una possibilità di deroga agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi, sul rilievo che la deroga presupponesse un esplicito provvedimento su istanza dell’interessato, sicché si esulava dal “(…) modello procedurale del condono come regolato dalla più volte citata L.P. 22.06.1995 n. 15 (…)” (v. così, testualmente, l’appellata sentenza);
- riteneva infondata la censura del difetto di motivazione dell’ordinanza di demolizione e rispistino, trattandosi di atto dovuto consequenziale al rigetto dell’istanza di condono;
- respingeva di conseguenza anche la proposta domanda risarcitoria;
- condannava la ricorrente a rifondere all’Amministrazione resistente le spese di causa.
2. Avverso tale sentenza interponeva appello la ricorrente soccombente, deducendo i motivi testualmente rubricati come segue:
a) “violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 l.p. 22 giugno 1995 n. 15 e dell’art. 29, comma 12, l.p. 21 gennaio 1987 n. 4 per intervenuto “silenzio assenso”;
b) “violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 2 lett. a), l.p. 22 giugno 1995 n. 15 – violazione del giudicato di cui alla sentenza Consiglio di Stato, Sezione V, 23 maggio 1980 n. 535 – eccesso di potere per contraddittorietà con gli atti autoritativi precedenti”;
c) “violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 2 lett. a), l.p. 22 giugno 1995 n. 15, in relazione all’art. 124 l. urbanistica provinciale 11 agosto 1997 n. 13”;
d) l’erronea reiezione della domanda risarcitoria conseguente all’illegittimità degli impugnati provvedimenti.
L’appellante chiedeva dunque, previa sospensione della provvisoria esecutorietà dell’appellata sentenza e in sua riforma, l’accoglimento del ricorso di primo grado.
3. Si costituiva in giudizio il Comune di Merano, contestando la fondatezza dell’appello e chiedendone la reiezione.
4. Depositata ulteriore documentazione e scambiate memorie difensive, all’udienza pubblica del 29 maggio 2012 la causa veniva trattenuta in decisione.
5. I motivi d’appello, tra di loro connessi e da esaminare congiuntamente, sono infondati.
5.1. Premesso che l’istanza di condono, presentata il 6 marzo 1995, si fonda sulla l. prov. 22 giugno 1995, n. 15, si osserva in linea di diritto che l’art. 1, comma 2, lett. a), della citata legge provinciale esclude espressamente la sanabilità delle opere “che non rispettano le distanze stabilite nello strumento urbanistico approvato o adottato”.
Con tale previsione il legislatore provinciale, nell’esercizio della sua competenza legislativa primaria in materia di urbanistica ai sensi dell’art. 8, n. 5), in relazione all’art. 4 dello Statuto speciale, ha espressamente sancito l’insanabilità, in sede di c.d. secondo condono edilizio – nell’ordinamento statale disciplinato dall’art. 39 l. 23 dicembre 1994, n. 724, contenente al comma 21 una clausola di salvezza con riguardo alla potestà legislativa spettante alle regioni a statuto speciale e alle provincie autonome di Trento e di Bolzano –, delle opere abusive costruite in violazione delle previsioni sulle distanze stabilite dallo strumento urbanistico.
Secondo ormai consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato (v., per tutte, C.d.S., 30 giugno 2010, n. 4181), da cui non v’è ragione di discostarsi, l’insanabilità delle opere, nelle ipotesi sancite dal citato art. 1, comma 2, l. prov. n. 15 del 1995, alla luce di un’interpretazione sistematica della normativa provinciale vigente in materia deve ritenersi ostativa alla formazione del silenzio-assenso sull’istanza di condono per decorso del biennio di cui al comma 9 del citato art. 1 (che testualmente recita: “Il pagamento dell’oblazione dovuta ai sensi della legge provinciale n. 4/1987, dell’eventuale integrazione di cui al precedente comma 8, degli oneri di concessione di cui all'articolo 2, nonché la presentazione della documentazione di cui al comma 6, la denuncia in catasto entro il termine di cui all’articolo 42 della legge provinciale n. 4/1987, modificato dall’articolo 39 della legge provinciale n. 47/1988, ed il decorso del termine di due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, senza l’adozione di un provvedimento negativo da parte del comune, equivale a concessione edilizia in sanatoria, fatto salvo quanto disposto dal comma 10”).
Invero, premesso che l’art. 1, comma 1, l. prov. n. 15 del 1995 contiene un richiamo generale al capo II (artt. 25-44) della l. prov. n. 21 gennaio 1987, n. 4 (recante “Modifiche all’ordinamento urbanistico provinciale”), l’art. 29, comma 12, della legge provinciale da ultimo citata, laddove prevede la formazione del silenzio-assenso sulle domande di condono non decise entro il biennio dalla presentazione della domanda, espressamente esclude la formazione dell’accoglimento tacito in tutte le ipotesi di insanabilità assoluta contemplate dal precedente art. 27, in tal modo ponendo un principio generale in materia di condono edilizio nell’ordinamento provinciale, per effetto del citato rinvio normativo applicabile anche alla disciplina provinciale sul condono del 1995. La specifica previsione dell’esclusione della sanabilità delle opere lesive delle distanze stabilite dagli strumenti urbanistici locali, deve ritenersi del tutto coerente con la natura pubblicistica degli interessi coinvolti, in quanto secondo consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità (v., ex plurimis, Cass. Civ., Sez. II, 31 maggio 2006, n. 12966) le norme degli strumenti urbanistici locali, che impongono di mantenere le distanze fra fabbricati o di questi dai confini – a differenza dalle norme sulle distanze di cui all’art. 873 c.c., dettate a tutela di reciproci diritti soggettivi dei singoli e miranti unicamente ad evitare la creazione di intercapedini antigieniche e pericolose, come tali suscettibili di deroga mediante convenzione tra privati –, non sono derogabili, perché dirette, più che alla tutela di interessi privati, a quella di interessi generali e pubblici in materia urbanistica.
A maggior ragione, l’interesse pubblicistico al rispetto delle distanze è ravvisabile nella disciplina dell’arretramento delle costruzioni in funzione dell’osservanza della fascia di rispetto stradale. Infatti, il vincolo di rispetto stradale ha carattere assoluto, in quanto persegue una serie concorrente di interessi pubblici fondamentali ed inderogabili, a prescindere da qualsiasi accertamento sulla effettiva pericolosità della costruzione realizzata in sua violazione per il traffico stradale.
Ne consegue che, secondo un’interpretazione letterale, sistematica e teleologica della disposizione disciplinante la fattispecie d’insanabilità di cui al sopra citato art. 1, comma 2, lett. a), l. prov. n. 15 del 1995, l’ipotesi della violazione delle “distanze stabilite nello strumento urbanistico approvato o adottato” deve essere riferita anche alle distanze di arretramento dal ciglio stradale stabilite negli strumenti urbanistici, e non alle sole distanze dai confini e dalle costruzioni dei fondi privati limitrofi.
Né, nel presente contesto discorsivo, varrebbe richiamarsi all’orientamento di questo Consiglio (C.d.S., Sez. IV, 16 ottobre 1998, n. 1306), secondo cui a norma dell’art. 39 l. n. 724/1994, come sostituito dalla l. 23 dicembre 1996, n. 662, il rilascio delle concessioni edilizie in sanatoria non comporta limitazioni ai diritti dei terzi, con la conseguenza che la violazione delle norme in materia di distanze non è causa di preclusione del condono nel rapporto tra costruttore e pubblica amministrazione, salvo il diritto dei proprietari dei fondi finitimi, direttamente lesi dalla violazione delle distanze legali, a far valere tale violazione nella competente sede, in quanto:
- il richiamato orientamento, la cui condivisibilità o meno non va affrontata nella specie, si è formato sulla legislazione statale vigente in materia e dunque non è estensibile alla legislazione provinciale, emanata nell’esercizio di potestà legislativa primaria ed introduttiva di ulteriori casi di opere non suscettibili di condono rispetto a quelle previste dalla legislazione statale (sulla legittimità costituzionale di siffatte previsioni normative provinciali v., per tutte, C.d.S., Sez. IV, 23 gennaio 2006, n. 200);
- nel caso sub iudice si verte in fattispecie di distanze dal ciglio stradale, il cui mancato rispetto, per la sua immediata rilevanza pubblicistica nei rapporti diretti con la pubblica amministrazione, è da quest’ultima senz’altro rilevabile in sede di decisione sull’istanza di condono.
5.2. Quanto alla collocazione temporale dell’opera abusiva, rilevante ai fini dell’individuazione della disciplina urbanistica dell’epoca e delle correlative eventuali ipotesi d’insanabilità, secondo i principi generali che presiedono alla determinazione del tempo di realizzazione delle opere ammesse a condono occorre aver riguardo alla data di ultimazione delle opere, da ancorare, per gli edifici, al momento di esecuzione del rustico e di completamento della copertura, e, per le opere interne agli edifici già esistenti ed a quelle non destinate alla residenza, al momento del loro completamento funzionale (v. artt. 1, comma 1, l. prov. n. 15 del 1995 e 25, comma 2, l. prov. n. 4 del 1987, corrispondenti alla previsione dell’art. 31, comma 2, l. n. 47 del 1985).
Sotto il profilo processuale, secondo il criterio della vicinanza della fonte e dei mezzi di prova alla sfera delle rispettive parti processuali, l’onere della prova dell’ultimazione dei lavori grava sul richiedente la sanatoria (in termini, C.d.S., Sez. VI, 20 marzo 2012, n. 1563), in quanto, mentre l’amministrazione comunale non è normalmente in grado di accertare la situazione edilizia di tutto il proprio territorio alla data indicata dalla normativa sul condono, colui che lo richiede può, di regola, procurasi la documentazione da cui si possa desumere che l’abuso sia stato effettivamente realizzato entro la data rilevante (come ad es. fatture, ricevute, bolle di consegna, relative all’esecuzione dei lavori e/o all’acquisto dei materiali).
In tale contesto, la dichiarazione sostitutiva di notorietà dell’intervenuta ultimazione delle opere entro la data rilevante non ha alcuna valenza privilegiata e non preclude all’amministrazione, in sede di esame della pratica, la possibilità di raccogliere nel corso del procedimento elementi di segno contrario e di pervenire a risultanze diverse, senza che a ciò consegua, in sede processuale, l’inversione dell’onere della prova a carico dell’amministrazione medesima.
Orbene, applicando gli enunciati principi alla fattispecie dedotta in giudizio, sulla base di una valutazione globale e onnicomprensiva delle risultanze istruttorie deve escludersi che le opere – contrariamente a quanto dichiarato dal tecnico incaricato dall’odierna ricorrente, geom. Rasc., nella relazione allegata all’istanza di condono – fossero state “(…) eseguite in parziale difformità e terminate nel Dicembre 1975 (…)” (v. relazione tecnica del 30 marzo 1995), dovendosi per contro ritenere comprovato che l’autorimessa interrata fosse stata ultimate solo nel corso dell’esecuzione dei lavori realizzati (in parte qua, in difformità) sulla base delle concessioni edilizie n. 92/183 del 27 maggio 1992 e n. 94/207 del 27 luglio 1994, mentre, per il periodo precedente l’anno 1992, può ritenersi dimostrata la sola esistenza dello scavo con i muri perimetrali a confine della strada (senza solaio a copertura della parte interrata e senza tramezzature, con conseguente prova positiva della mancata ultimazione nel dicembre 1975).
A favore di tale inferenza probatoria militano, segnatamente, le seguenti circostanze plurime, precise e concordanti.
In primo luogo, nella decisione inter partes del Consiglio di Stato n. 328/1985 – con la quale era stato rigettato il ricorso n. 910 del 1982, proposto dall’odierna appellante avverso il provvedimento sindacale n. 3225 del 14 giugno 1982, dichiarativo della decadenza dalla licenza edilizia n. 27 del 7 aprile 1975 per la mancata ripresa dei lavori, già sospesi in conseguenza della pendenza di precedente giudizio amministrativo definito dal Consiglio di Stato con decisione n. 535 del 23 maggio 1980, entro il termine di un anno ex art. 11 del regolamento edilizio comunale – risulta accertato, con efficacia di giudicato, che nel periodo in rilievo (dunque prima del giugno 1982) erano state eseguite opere di scarso rilievo, inidonee a dimostrare un’effettiva volontà di proseguire nei lavori di costruzione, consistite, tra le altre “(…) nel consolidamento delle pareti di scavo e di un muro di confine, nel tracciamento delle fondazioni a mezzo di fili e piombi, nella costipazione di terreno per la formazione di una rampa di accesso, nella predisposizione di un pozzo perdente e nella realizzazione parziale di alcuni muri per il consolidamento delle scarpate (…)” (v. così, testualmente, la citata decisione n. 328/1985). Atteso che il riferimento ai muri di consolidamento delle scarpate e delle pareti di scavo non può che riferirsi anche (e in primo luogo) alle pareti delimitanti la parte interrata posta a confine del cantiere, deve escludersi che la stessa all’epoca in considerazione (giugno 1982) fosse già stata ultimata.
In secondo luogo, dalla documentazione fotografica prodotta dall’amministrazione comunale – alla quale, sebbene non munita di data certa, può attribuirsi rilevante valore indiziario, poiché le relative risultanze collimano sia con il sopra richiamato accertamento giudiziale, sia con gli altri elementi di seguito evidenziati – emerge che, ancora nell’anno 1984, in corrispondenza dell’autorimessa interrata erano realizzati, allo stato grezzo, i soli muri perimetrali del cantiere, e, in parte, la rampa d’accesso, senza coperture.
Inoltre, il progetto (a firma dell’ing. Marra) presentato a corredo della domanda sfociata nella concessione edilizia n. 92/183 del 27 maggio 1992 prevede un arretramento dell’autorimessa interrata a m 5,00 dal confine di proprietà (verso le due strade, via Mozart e via Zandonai) e il correlativo riempimento dello scavo realizzato in base alla licenza edilizia n. 25 del 1975 (dichiarata decaduta nel 1982), senza che vi fosse menzione della demolizione di un eventuale solaio di copertura, che dunque non può ritenersi realizzato neppure all’epoca di riferimento (1992).
A ciò si aggiunga che nello stesso ricorso di primo grado viene enunciato che “(…) la domanda di condono permette di procedere ai lavori di ultimazione dell’autorimessa sotterranea (…)”, con conseguente sostanziale ammissione della mancata ultimazione dell’opera neppure all’epoca di presentazione della domanda di condono.
In presenza di tali elementi, e in assenza di specifiche prove fornite dall’appellante circa la data di effettiva ultimazione delle opere, le sue deduzioni vanno respinte.
5.3. A fronte dell’accertata mancata ultimazione dell’opera abusiva (nella sopra enunciata accezione normativa) sotto la vigenza del piano regolatore generale e delle relative norme di attuazione risalenti all’anno 1970, che secondo la decisione inter partes del Consiglio di Stato n. 353/1980 del 23 maggio 1980, in mancanza di un’espressa previsione nello strumento urbanistico dell’epoca, consentivano la realizzazione di opere interamente interrate a confine delle strade pubbliche, la costruzione in oggetto deve ritenersi assoggettata ratione temporis alla disciplina dettata dall’art. 3 delle norme di attuazione del p.u.c. di Merano, approvato con delibera n. 4701 del 24 agosto 1981 della Giunta provinciale, secondo cui “(…) nella costruzione o ricostruzione di edifici comprese le parti sotterranee (…)” deve essere rispettata la distanza minima di m 5,00 dalle strade pubbliche.
Ne consegue, per un verso, l’infondatezza dell’eccezione di giudicato, sollevata dall’odierna appellante con riguardo alla decisione n. 353/1980, riferendosi quest’ultima ad una disciplina urbanistica diversa da quella che viene in rilievo nel presente giudizio, e, per altro verso, l’insanabilità ex lege dell’opera alla stregua della sopra delineata disciplina urbanistica provinciale sul condono, ostativa alla correlativa formazione del silenzio-assenso (con conseguente mancata necessità di adottare un provvedimento di annullamento e/o revoca in autotutela, attesa l’operatività ex lege dell’evidenziato elemento impeditivo del perfezionamento della fattispecie di silenzio-assenso in considerazione degli interessi pubblicistici coinvolti già considerati dal legislatore, desumibile da una lettura sistematica del combinato disposto degli artt. 1, commi 1, 2 e 9, l. prov. n. 15 del 1995 e 29, comma 12, l. prov. n. 4 del 1987; v. sopra sub 5.1.).
5.4. Quanto alla dedotta violazione dell’art. 124, comma 1, l. urb. prov. – che, a determinate condizioni, ammette la costruzione di parcheggi pertinenziali in deroga ai vigenti strumenti urbanistici e regolamenti edilizi –, si osserva che l’invocata disciplina, in disparte ogni questione attorno alla sua applicabilità ratione temporis alla fattispecie sub iudice, presuppone la verifica dell’esigenza di adeguamento dell’edificio esistente agli standard dello spazio per parcheggi stabiliti nel precedente art. 123, nella specie esulante dai limiti oggettivi del procedimento concessorio, e che, ad ogni modo, non risultano comprovati i presupposti oggettivi di operatività dell’invocata disciplina derogatoria, con conseguente infondatezza anche del motivo in esame.
5.5. Le esposte ragioni sono autonomamente sufficienti a confermare l’appellata sentenza, con assorbimento di ogni altra questione – comprese le questioni concernenti l’intervenuta notifica (o meno) all’odierna appellante della nota comunale del 29 settembre 1995, contenente il calcolo degli oneri concessori dovuti per la parte interrata, e la debbenza (o meno) di tale contributo per le opere sotterranee –, ormai irrilevanti ai fini decisori.
All’accertata legittimità dell’impugnato provvedimento di diniego di sanatoria e dei provvedimenti allo stesso consequenziali consegue l’inconfigurabilità dell’azionata pretesa risarcitoria.
6. Considerata l’annosità della vertenza e l’altalenante susseguirsi delle correlative vicende giudiziarie, si ravvisano i presupposti di legge per dichiarare le spese del presente grado di giudizio interamente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (ricorso n. 2069 del 2003), lo respinge e, per l’effetto, conferma l’appellata sentenza; dichiara le spese del presente grado di giudizio interamente compensate tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 maggio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere, Estensore
Andrea Pannone, Consigliere



L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE



DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 24/09/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)