Consiglio di Stato Sez. II n. 2373 del 21 marzo 2025
Urbanistica.Inammissibilità della sanatoria condizionata
E' inammissibile un’istanza ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 condizionata all’esecuzione di ulteriori prescrizioni e/o interventi, fosse anche solo di eliminazione di una parte delle opere abusive. Una tale istanza dimostra infatti, ex se, che l’abuso originariamente commesso non era conforme alla normativa vigente al momento della realizzazione ed esclude la sussistenza della c.d. “doppia conformità”.
Pubblicato il 21/03/2025
N. 02373/2025REG.PROV.COLL.
N. 05511/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5511 del 2021, proposto dalla signora -OMISSIS- rappresentata e difesa dall’avvocato Nunzio Currao, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, nonché dai signori -OMISSIS- e -OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati Massimiliano Gamba e Pierfrancesco Gamba, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Comune di Finale Ligure, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Massimiliano Rocca e Massimiliano Pozzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
dei signori -OMISSIS-, rappresentati e difesi dagli avvocati Ferdinando Acqua Barralis, Guido Fiorentino e Paolo Rilla, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
dei signori -OMISSIS-, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 196/2021, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Finale Ligure e dei signori -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, c.p.a.;
Relatrice all'udienza straordinaria del giorno 15 gennaio 2025 la consigliera Silvia Martino;
Uditi avvocati Pierfrancesco Gamba, Massimiliano Pozzi, Ferdinando Acqua Barralis;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Oggetto del contendere è l’ordinanza n. 160 del 3 settembre 2020 con cui il Comune di Finale Ligure ha ingiunto agli odierni appellanti la rimessione nel pristino stato delle seguenti opere:
- “soppalco con aumento di superficie utile che genera spazi sovrastanti e sottostanti in contrasto con quanto previsto dal Regolamento edilizio, art. 70 e 74:
- cambio di destinazione d’uso dell’immobile in parola con il conseguente ripristino della destinazione originaria”.
1.1. Per una migliore comprensione dei fatti di causa, giova richiamare anche le premesse di tale provvedimento.
Il dirigente comunale ha anzitutto richiamato gli esiti del sopralluogo effettuato in data 28 marzo 2019, presso l’unità immobiliare in esame “da cui è emersa la realizzazione di opere in assenza di Scia ex art. 23 d.P.R. 380/01 ed in difformità dal Regolamento edilizio vigente consistenti in:
- cambio di destinazione d’uso in assenza di Scia ex art. 23 d.P.R. 380/01:
- realizzazione di soppalco che genera spazi sovrastanti e sottostanti in contrasto con quanto previsot dal Regolamento edilizio art. 70 e 74 in relazione alle altezze [...]”.
Nel provvedimento viene quindi sottolineato il fatto che l’immobile ricade “in ambito di conservazione e riqualificazione ACR1 – Marina del P.U.C.: in ambito di nucleo storico del P.U.C.; in zona A per il P.R.G.”.
Segue il richiamo:
- alla fitta interlocuzione intercorsa nel 2019, in particolare con il progettista direttore dei lavori;
- all’istanza di accertamento di conformità presentata in data 3 luglio 2019;
- alla nota prot. 26481 del 6 agosto 2019 “con la quale è stata comunicata la non accoglibilità dell’accertamento di conformità”;
- alla nota prot. 27572 del 20 agosto 2019, con la quale sono stati indicati dettagliatamente indicati “i motivi di rigetto dell’istanza di accertamento”;
- alla nota prot. 28615 del 24 settembre 2019 “contenente la dettagliata disamina inerente le motivazioni della non accettabilità dell’accertamento”;
- alla nota pervenuta in data 20 gennaio 2020 da parte del proprietario;
- alla nota prot. 3265 del 29 gennaio 2020 “dello scrivente ufficio con cui si è preso atto della richiesta di ripristino dello stato dei luoghi e pertanto si è rimasti in attesa di apposita Scia con descrizione dettaglia e puntuale [...] delle opere che si intenderà intraprendere;
- al fatto che “ad oggi non sono pervenute altre note od istanze o Scia e che pertanto permangono sul posto le opere in assenza di titolo rilevate in sede di sopralluogo”.
1.2. Il ricorso di primo grado avverso siffatto provvedimento è stato affidato a sei mezzi di gravame (non numerati), estesi da pag. 14 a pag. 45.
2. Il T.a.r., con la sentenza oggetto dell’odierna impugnativa, ha respinto il ricorso e compensato tra le parti le spese di lite.
3. L’appello degli originari ricorrenti, rimasti soccombenti, è affidato ai seguenti motivi:
I. Relativamente alla questione della “destinazione d'uso funzionale dell’immobile in oggetto”, viene censurato il seguente capo: “il Collegio nota che l'allegazione dell'utilizzo del bene a lavanderia, che risalirebbe al 1971 è affermata anche nel provvedimento (pagina quattro), ma che l'amministrazione ha esposto che nel 1998 agli uffici comunali risultava che nel fabbricato fosse stato aperto un ufficio con attività direzionale.
Nell'assenza di precise prove in contrario offerte da parte ricorrente, deve pertanto ritenersi che la destinazione di ristorante richiesta per il locale fosse incompatibile con quella risultante all'amministrazione [...].
Tuttavia agli atti del Comune non risulterebbe autorizzato alcun cambio di destinazione d’uso, né in ufficio (destinazione semplicemente dichiarata nell’istanza di autorizzazione edilizia del 1998) né in negozio (destinazione dichiarata in una S.c.i.a. del 2013).
Sarebbe dunque rilevante la destinazione a “lavanderia” ante 1998 che i ricorrenti ritengono di avere comprovato.
II. Relativamente alla natura dell'attività edilizia intrapresa viene censurato il seguente capo “la previsione progettuale era nel senso di mutare in modo sistematico la conformazione del fabbricato abbassandone la pavimentazione e allargando l’ampiezza di una luce sino a darle la dimensione di una finestra, nonché di installare un soppalco capace di far accedere la clientela alla soprastante terrazza per la quale erano stati previsti mutamenti tali da permettere agli avventori di salire, passando dall’interno del locale. Ciò premesso in fatto, appaiono sussistenti i presupposti di cui all’art. 3, comma 1, lett. D) del dpr 380/2001 per ritenere che nell’immobile fosse in corso l’attuazione di una serie di opere tali da portare alla creazione di un organismo in parte diverso da quello esistente, integrandosi con ciò l’ipotesi appunto della ristrutturazione edilizia”.
Il primo giudice non avrebbe considerato il fatto che l’immobile era già provvisto di soppalco, del quale è stato “semplicemente” realizzato un ampliamento (di circa un metro) che si affaccia sul vano che volevasi adibire a ristorazione.
L’abbassamento del pavimento di circa venti centimetri consisterebbe soltanto nella rimozione del battuto in cemento con sottostanti tubi di scarico e non avrebbe interessato l’intero locale.
Gli appellanti ritengono di non avere commesso abusi “sostanziali” e che ciò che l’Amministrazione ha ritenuto non ammissibile è solo l’adibizione del soppalco, nella parte centrale, a passaggio per raggiungere il terrazzo (mentre in precedenza era adibito a locale deposito e ripostiglio).
Rinunciando al cambio di destinazione d’uso quanto posto in essere avrebbe potuto essere mantenuto, trattandosi – a dire degli appellanti – di meri interventi interni non comportanti aumento di superficie utile e/o di volumetria.
Il T.a.r. ha poi evidenziato che la determinazione del 6 agosto 2019, prot. n. 26481, con cui fu denegato il richiesto accertamento di conformità dei lavori sino ad allora svolti, non è stata impugnata, e ha conseguentemente accolto l’eccezione di inammissibilità sollevata dalle controparti.
Secondo gli appellanti, però, il provvedimento dell’agosto 2019 non avrebbe avuto carattere definitivo.
In tal senso, richiamano la nota di chiusura di siffatto provvedimento secondo cui “lo scrivente ufficio rimane a disposizione per ulteriori esplicitazioni sulla redazione dell’accertamento di conformità e del successivo progetto di adeguamento”.
Inoltre, 13 giorni dopo veniva adottato un ulteriore provvedimento, recante la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di sanatoria ai sensi dell’art. 10 bis della l. n. 241/90.
Nel rispetto dei termini assegnati essi presentarono osservazioni, disattese dall’Amministrazione e, nel gennaio 2020, rinunciarono al cambio di destinazione d’uso per poter completare i lavori di cui alla suddetta S.c.i.a.
In sostanza, tutti gli atti ai quali ha fatto riferimento il T.a.r., sarebbero meramente endoprocedimentali.
III. Questo motivo censura il “Primo motivo di cui al punto 5)” e il “Secondo Motivo di cui al punto 6) a pagina 7)” della sentenza.
Gli appellanti ribadiscono che l’immobile non era originariamente privo di soppalco e che sarebbe stato realizzato solo un modestissimo ampliamento dell’esistente; lo stesso è a dirsi per l’abbassamento del pavimento che non ha interessato l’intero locale.
Relativamente alla terrazza, si è poi proceduto alla posa di un tavolato, per renderla maggiormente consona al suo utilizzo.
Al riguardo, i tecnici dell’Amministrazione, durante il sopralluogo, avrebbero volutamente ignorato l’esistenza del varco di accesso e il suo utilizzo come deposito per le vasche dell’acqua.
Le opere realizzate sarebbero in definitiva qualificabili come di manutenzione straordinaria e/o risanamento conservativo, per le quali sarebbe stata sufficiente la mera c.i.l.a.
L’Amministrazione non avrebbe comunque mai definito l’istanza di accertamento di conformità.
In tal senso, sottolineano che al punto 7) della sentenza impugnata, il T.a.r. ha accolto la censura afferente alla violazione delle norme sulla sanatoria degli illeciti edilizi (art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001) affermando che la norma non abilita l’Amministrazione comunale ad ingiungere la demolizione delle opere abusivamente realizzate prima di provvedere sull’istanza di sanatoria.
Il primo giudice avrebbe quindi dovuto “riflettere” maggiormente su quanto in precedenza statuito in merito all’ inammissibilità del gravame per omessa impugnazione del provvedimento del 6 agosto 2019.
IV. Sul punto 8) e sul punto 9) della sentenza impugnata.
Il T.a.r. ha affermato che le altezze del soppalco non rispettano il Regolamento edilizio senza tuttavia menzionare il fatto che il soppalco era preesistente.
Gli odierni deducenti ribadiscono di essere intervenuti sul tavolato mantenendo sempre le altezze preesistenti.
L’Amministrazione avrebbe potuto limitarsi a negare il chiesto cambio di destinazione d’uso, avendo peraltro gli odierni deducenti già ad esso rinunciato con la nota trasmessa nel mese di gennaio 2020. L’insieme delle opere progettate mirava solo a rendere più consono l’immobile alle esigenze per cui era stato locato.
In ogni caso si tratterebbe solo di opere di manutenzione e risanamento conservativo, in relazione alle quali è stata rilasciata anche l’autorizzazione sanitaria.
V. Sul punto 10) della Sentenza.
Le argomentazioni dedotte dal giudice di prime cure sulla mancata richiesta di applicazione della deroga di cui al D.M. 236/1989, sarebbero incomprensibili.
Sarebbe stato infatti compito dell’Amministrazione applicare tali norme, anche in deroga.
VI. Sul punto 11 della sentenza.
La questione attiene alla canna fumaria e sul punto il giudice di prime cure ha accolto le doglianze esternate dagli odierni deducenti.
VII. Sul punto 12 della sentenza.
Relativamente all’ampliamento “della luce che si affaccia sullo stretto passaggio che si interpone tra il fondo ricorrente e le altrui proprietà” e che comporterebbe anche la violazione dell’art. 905 c.c., il T.a.r. ha ritenuto che non vi sia prova della natura pubblica di tale passaggio.
Tuttavia i ricorrenti ribadiscono che il “vicolo” o “corridoio” non apparterebbe a privati e che comunque i controinteressati non sarebbero stati in grado di produrre i relativi titoli di proprietà.
Relativamente a tale questione, il giudice amministrativo sarebbe peraltro carente di giurisdizione.
VIII. Sul punto 13 della sentenza.
Secondo il T.a.r. “L’atto impugnato rileva che l’apertura al pubblico dell’accesso alla terrazza attraverso un’idonea bucatura dal piano terreno consentirebbe un illegittimo affaccio a coloro che frequenteranno il ristorante in progetto, dal che l’incompatibilità del progetto in relazione alle disposizioni sui diritti di vicinato.
Parte interessata oppone che la possibilità di calpestare il lastrico solare è stata sempre sussistente, ma le immagini versate in atti e non contestate in ordine alla loro provenienza e veridicità consentono di ritenere fondate le osservazioni critiche contenute al riguardo nell’atto impugnato.
Si rileva infatti che la parte ricorrente ha evidentemente escluso di far calpestare direttamente il lastrico solare dai futuri avventori del ristorante, e ha per ciò dato corso alla creazione di un sopralzo armato la cui realizzazione avrebbe necessitato di un titolo edilizio diverso dalla CILA, attesa la natura innovativa delle opere in corso di realizzazione”.
Gli appellanti sostengono che il terrazzo sarebbe stato accatastato come tale sin dal 1939.
La circostanza che gli odierni deducenti intendessero usufruire del terrazzo e utilizzare la relativa area non sarebbe ostativa alla legittimità dell’intervento in esame.
Il terrazzo sarebbe stato infatti sempre stato accessibile e i ricorrenti si sono limitati a creare un modesto sopralzo quale base per potere poggiare il tavolato (struttura leggera e facilmente amovibile) ed evitare di calpestare direttamente il terrazzo che presenta delle ondulazioni.
Quanto alla statuizione “secondo cui l’utilizzo del lastrico solare consentirà l’affaccio sull’altrui proprietà, con la conseguente violazione dell’art. 905 c.c.”, non sarebbe chiaro a quale proprietà il T.a.r. si riferisca, anche tenuto conto del fatto che, per come il terrazzo è stato progettato, nessuna affaccio sarebbe possibile.
In ogni caso, il primo giudice avrebbe esorbitato dal proprio ambito di giurisdizione.
IX. Sul punto 14 della sentenza appellata.
Secondo il T.a.r. “Il soppalco di che tratta il motivo costituisce [...] il mezzo utilizzato per ampliare la ricettività dell’esercizio in progetto, dal che la sussistenza dei presupposti per ritenere applicabile alla specie l’art. 3 comma 1 lett d) del tued”
Gli appellanti ribadiscono che l’utilizzazione della terrazza ai fini commerciali non costituirebbe una ristrutturazione, ma solo e semplicemente una forma di uso del bene.
Essi richiamano, al riguardo, la fattispecie relativa all’uso di dehors da parte di soggetti esercenti attività commerciali, occupando suolo pubblico.
L’utilizzo di superfici legittimamente esistenti non potrebbe quindi considerarsi un “ampliamento della ricettività”, considerando vieppiù che essi hanno chiesto, relativamente all’attività di ristorazione, il nulla – osta della Asl.
X. Sul punto 15 della sentenza
Le richieste avanzate nel 1998 e 2013 sono state archiviate, sicché rimane confermato che l’ultimo uso al quale l’immobile sarebbe stato adibito è quello di lavanderia.
XI. Sul punto 16 della Sentenza appellata.
Il T.a.r. ha concluso, richiamando un consolidato orientamento della giurisprudenza che vuole la conferma dell’atto, anche in presenza di mancato accoglimento di una sola censura.
Nel caso, all’esame, però, il primo giudice aveva accolto (punto 7 della decisione appellata) la deduzione relativa alla violazione delle norme sulla sanatoria degli illeciti edilizi.
Gli appellanti lamentano perciò il fatto che, nonostante l’accoglimento di tale censura, il ricorso sia stato respinto.
4. Si sono costituiti, per resistere, il Comune di Finale Ligure e i signori -OMISSIS- e consorti.
5. Le parti hanno depositato memorie conclusionali e di replica, in vista della pubblica udienza straordinaria del 15 gennaio 2025 alla quale l’appello è stato trattenuto per la decisione.
6. Si può prescindere dalle eccezioni di inammissibilità dell’appello sollevate dalle parti resistenti in quanto esso è infondato e deve essere respinto.
Al riguardo, si osserva quanto segue.
7. In via preliminare, giova richiamare gli snodi essenziali del provvedimento impugnato il quale si fonda, essenzialmente, sulle ragioni poste alla base del diniego di accertamento di conformità del 6 agosto 2019 e del successivo provvedimento di “comunicazione dei motivi ostativi” del 10 agosto 2019.
Il Comune faceva in particolare rilevare:
- “Che la SCIA presentata il 3.7.2019 doveva essere preceduta dall’eventuale ripristino delle opere non sanabili;
- Che, come indicato nella tav. 2 (sistemazione al momento della sospensione dei lavori) della sanatoria presentata il 3 luglio 2019, e peraltro come verificato dagli accertatori, l’altezza sottostante il tavolato del soppalco, senza tener conto dello spessore delle travi, è pari a mt. 2,29, quindi inferiore a mt. 3,00 ma anche a mt 2,40, mentre l’altezza massima soprastante il soppalco è pari a mt 2,40, quindi certamente qualsiasi media è inferiore a tale valore, in quanto ai lati della volta vi sono solo altezze inferiori [...];
- Che con riferimento alla destinazione d’uso si evidenzia che per la Regione Liguria la disciplina dell’attività edilizia è normata dalla l.r. 16/2008 il cui art. 13 elenca i mutamenti di destinazione d’uso ritenuti rilevanti sotto il profilo urbanistico ed edilizio. Tale elenco è più ampio (o meglio più dettagliato) rispetto a quanto riportato nell’art. 23- ter del d.P.R. 380/2001 e riporta sette categorie funzionali, tra cui, al punto f), “autorimesse, rimessaggi...magazzini e depositi ad uso privato non funzionali ad attività appartenenti ad altre destinazioni d’uso”.
Considerato che l’unità immobiliare in questione non è funzionale ad altra attività (è un’entità autonoma e indipendente) è evidente che la sua trasformazione in un bar-ristorante cioè in un’attività commerciale, espressamente individuata dal predetto art. 13 come una diversa categoria funzionale (punto d) costituisce un mutamento di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante. Peraltro anche facendo riferimento al solo art. 23 – ter del d.P.R. 380/01, il predetto cambio di destinazione d’uso configura sempre un mutamento di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante in quanto influisce sul carico urbanistico, essendo evidente che è ben maggiore quello di un bar ristorante rispetto a quello di un magazzino – deposito [...].
Che nel corso dell’istruttoria degli scritti difensivi sono stati prodotti riferimenti documentali (di carattere commerciale non urbanistico – edilizio) da cui si desume che nel 1971 nel locale vi era una lavanderia.
È però presente presso l’Ufficio tecnico del Comune di Finale Ligure una pratica edilizia risalente al 1998 (poi archiviata senza esito) in cui si rileva chiaramente che all’epoca la destinazione d’uso era direzionale (nello specifico, ufficio, come risulta sia da quanto dichiarato nella pratica, sia nelle foto allegate).
Esiste anche una pratica successiva, risalente all’anno 2013 (anch’essa poi archiviata), in cui viene genericamente dichiarato che la destinazione d’uso era “commerciale – negozio” [...].
Visto l’art. 13, comma 3, della l.r. 16/08 (il quale stabilisce che la destinazione d’uso di un fabbricato o di una unità immobiliare, in caso di assenza o indeterminatezza del titolo, si determina dalla classificazione catastale attribuita in sede di primo accatastamento oppure da atti probanti successivi all’accatastamento), l’istruttoria deve considerare la destinazione d’uso a ufficio dichiarata nella pratica del 1998, che ha interrotto quella a commercio, con la conseguenza che la realizzazione nel locale di un bar- ristorante configura un cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante da direzionale a commerciale [....].
Che [...] per identificare in modo chiaro l’intervento eseguito è dirimente la realizzazione del soppalco che pur avendo dimensioni modeste è stato concepito per essere utilizzato dai clienti per andare sul tetto dell’edificio e quindi come “superficie utile”. Ne consegue che il soppalco realizzato aumenta la superficie utile dell’immobile e può essere ricondotto solamente negli interventi di ristrutturazione edilizia realizzabili con permesso di costruire o Scia alternativa al Pdc;
Che quanto realizzato sull’immobile è un intervento di ristrutturazione edilizia, il bagno disabili si rende necessario ai sensi del D.M: 236/1989, art. 1 [...] Si ritiene di precisare che al punto 5.5. “altri luoghi aperti al pubblico” viene riportata la deroga dei 250 mq precedentemente citata ma solo per le destinazioni d’uso non descritte in precedenza. Appare quindi chiaro che per i ristoranti non sia consentito derogare.
Che per poter ottemperare a quanto previsto dal D.M. sanità 5 luglio 1975 sul rapporto aero-illuminante, il progetto prevede di abbassare la quota del davanzale della cucina di circa 70 cm, trasformando di fatto la luce in una finestra. Questa modifica permette l’affaccio sul fondo del vicino e può essere eseguita solo in conformità al codice civile.
Senza il preventivo consenso degli aventi diritto sull’area la finestra non potrà essere ampliata con le modalità previste a progetto [...]
Che la copertura prima dell’intervento non era praticabile, quindi dalla copertura dell’immobile non si poteva avere affaccio sul fondo dei vicini (vicolo privato posto sul lato nord-ovest). Si richiama come conseguenza la necessità che, anche in questo caso, il progetto sia conforme al codice civile (art. 905). Con la conseguenza che senza accordo con le parti in causa dovranno essere messe in opera idonee opere per precludere l’accesso alla porzione di lastrico da cui è possibile l’affaccio [...]
L’Amministrazione, infine, dopo aver “verificato che l’intervento in parola è riconducibile alla ristrutturazione edilizia in quanto ha previsto la realizzazione di un soppalco e il cambio di destinazione d’uso di un immobile ricadente in zona A, e che quindi ricade nelle casistiche di cui all’art. 23, comma 1, lett. a del D.P.R. 38072001 e dell’art. 10, comma 1, lett. c del D.P.R. 380 del 2001 e in difformità dal Regolamento edilizio”, ha ordinato la rimessione in pristino.
8. Ciò posto, per ragioni di ordine logico, va prioritariamente affrontata la questione – dedotta con i motivi n. III e n. XI - relativa alla contraddizione sussistente tra l’accoglimento dell’eccezione di inammissibilità per omessa impugnativa del provvedimento del 6 agosto 2019 e l’accoglimento del profilo di censura (contenuto nel secondo motivo di ricorso articolato in primo grado), in base al quale il Comune non avrebbe potuto ingiungere la rimessione in pristino senza prima definire l’istanza di sanatoria.
Al riguardo, reputa il Collegio che tale contraddizione sia solo apparente perché il T.a.r. ha comunque ritenuto dirimente l’accoglimento dell’eccezione di inammissibilità del ricorso avverso l’ordinanza n. 160 del 2020, per effetto della mancata impugnazione del presupposto provvedimento del 6 agosto 2019, espressamente qualificato come diniego del “richiesto accertamento di conformità”
In tal senso, ha ritenuto che “la determinazione in questione avrebbe dovuto essere gravata non appena conosciuta, posto che essa al più potrebbe essere denunciata di illegittimità per la scarsa cura apposta dall’amministrazione nella stesura della motivazione, che è invero assai succinta.
Il difetto di motivazione non si sanziona tuttavia con la nullità della determinazione che ne è affetta, sì che la mancata presentazione di un ricorso ha comportato l’inoppugnabilità dell’assunto sostenuto dal comune, secondo cui la realizzazione delle opere sopra descritte avrebbe dovuto essere accompagnata dal conseguimento di un permesso o dalla presentazione di una SCIA idonea allo scopo”.
Ne deriva che il T.a.r. ha proceduto all’esame degli ulteriori motivi dedotti dai ricorrenti solo al fine di rendere una pronuncia il più possibile esaustiva, stante l’esistenza di una preclusione in rito.
Non può infatti che ritenersi questo il senso dell’espressione “non di meno vanno esaminate partitamente le censure dedotte in accordo con la giurisprudenza del consiglio di Stato sul c.d. assorbimento dei motivi”.
Le censure dedotte con il ricorso di primo grado riguardano esclusivamente vizi propri dei provvedimenti presupposti con cui il Comune ha ritenuto non accoglibile l’istanza di accertamento di conformità.
Esse sono state pressoché integralmente respinte nel merito sicché l’accoglimento del solo profilo di censura relativo alla necessità che l’Amministrazione, prima di emettere un’ordinanza di demolizione, decida l’istanza di sanatoria eventualmente presentata, è rimasto su un piano meramente astratto e formale e non può comunque avere alcuna utilità per i ricorrenti a fronte delle restanti statuizioni reiettive.
9. Sempre nell’ordine logico delle questioni, va affrontata quella relativa all’effettiva natura del provvedimento del 6 agosto 2019.
Al riguardo i ricorrenti fanno osservare che a questo provvedimento ha fatto seguito quello del 19 agosto 2019, con il quale sono stati comunicati “i motivi ostativi” all’accertamento di conformità.
Da tale inversione procedimentale dovrebbe dedursi che anche il primo atto avesse natura interlocutoria.
Rileva tuttavia il Collegio che – come eccepito dalle parti resistenti – esiste un ulteriore provvedimento, parimenti rimasto inoppugnato, che ha chiuso l’intera sequenza procedimentale confermando il diniego opposto dal Comune sin dal 6 agosto.
In data 20 settembre 2019 (cfr. l’allegato 11 della produzione del Comune in primo grado), l’Amministrazione ha infatti adottato un ulteriore diniego, rigettando le osservazioni presentate dai ricorrenti.
Ne deriva che tutte le censure svolte nel ricorso di primo grado – relative ai vizi propri del diniego di accertamento di conformità – sono irricevibili perché tardive, mentre le contestazioni rivolte avverso la conseguenziale ordinanza di rimessione in pristino, che avrebbero dovuto essere rivolte avverso l’atto presupposto, sono inammissibili.
10. Ad ogni buon conto, come già anticipato, il T.a.r. ha anche esaminato nel merito le plurime ragioni che si oppongono al richiesto accertamento di conformità.
Al riguardo, il Collegio si soffermerà esclusivamente sui due essenziali rilievi che hanno determinato il contenuto dispositivo dell’ordinanza impugnata, relativi alla qualificazione degli interventi realizzati e alla loro difformità rispetto alla disciplina urbanistico – edilizia vigente nel Comune.
È infatti evidente che i restanti profili oggetto di censura da parte degli appellanti – relativi all’insussistenza di interferenze con i diritti di terzi – sono del tutto succedanei e, quand’anche fondati, non sarebbero idonei a determinare l’illegittimità del provvedimento impugnato.
Al riguardo, trova applicazione la giurisprudenza secondo cui allorché sia controversa la legittimità di un provvedimento fondato su una pluralità di ragioni di diritto tra loro indipendenti, l’accertamento dell’inattaccabilità anche di una sola di esse vale a sorreggere il provvedimento stesso, sì che diventano, in sede processuale, inammissibili per carenza di interesse le doglianze fatte valere avverso le restanti ragioni (ex plurimis, Cons. Stato, sez IV, 8 ottobre 2024, n. 8094).
11. Il primo gruppo di censure sviluppato dai ricorrenti (nei motivi I, II, III, IX e X), riguarda la pretesa ascrivibilità delle opere realizzate alla categoria degli interventi di manutenzione straordinaria e/o di restauro e risanamento conservativo, per i quali sarebbe stata sufficiente la c.i.l.a. originariamente presentata.
Al riguardo, il T.a.r ha fatto osservare che “la previsione progettuale era nel senso di mutare in modo sistematico la conformazione del fabbricato abbassandone la pavimentazione e allargando l’ampiezza di una luce sino a darle la dimensione di una finestra, nonché di installare un soppalco capace di far accedere la clientela alla soprastante terrazza per la quale erano stati previsti mutamenti tali da permettere agli avventori di salire, passando dall’interno del locale. Ciò premesso in fatto, appaiono sussistenti i presupposti di cui all’art. 3 comma 1 lett. d) del dpr 380/2001 per ritenere che nell’immobile fosse in corso l’attuazione di una serie di opere tali da portare alla creazione di un organismo in parte diverso da quello esistente, integrandosi con ciò l’ipotesi appunto della ristrutturazione edilizia: dal che l’infondatezza del rilievo in ordine alla tipologia dell’operazione intrapresa”.
I ricorrenti, a ben vedere, non contestano che gli interventi posti in essere siano quelli così descritti ma sostengono che il primo giudice non avrebbe dato rilievo al fatto che il soppalco fosse preesistente e che le modifiche complessivamente apportate (ampliamento del soppalco, copertura della terrazza, abbassamento del pavimento, ampliamento della finestra della cucina) fossero di modesta entità.
È tuttavia pacifica acquisizione giurisprudenziale quella secondo cui la distinzione fra le categorie del restauro/risanamento conservativo e della ristrutturazione edilizia risiede non tanto nell’entità quanto nella finalità degli interventi, essendo il risanamento destinato alla conservazione dell’organismo edilizio preesistente mentre la ristrutturazione concerne la sua trasformazione.
In questa prospettiva, ad esempio, la realizzazione di un soppalco costituisce intervento da valutarsi caso per caso, nel senso che soltanto se idoneo a generare un maggiore carico urbanistico esso sarà riconducibile all'ambito della ristrutturazione edilizia, mentre laddove sia tale da dare vita a una superficie accessoria, non utilizzabile per lo stabile soggiorno delle persone, ben potrà essere considerato un intervento minore, compatibile con il risanamento conservativo (Cons. Stato, sez. II, 5 agosto 2019 n. 5518).
Nel caso in esame, l’insieme degli interventi realizzati – quali risultano dagli elaborati allegati alla S.c.i.a. in sanatoria, nonché dal verbale e dal rapporto di sopralluogo del 28 marzo 2019 - hanno indubbiamente determinato, mediante la creazione di ulteriori superfici calpestabili e la redistribuzione dei volumi interni, la trasformazione dell’organismo preesistente ed integrano, pertanto, gli estremi della ristrutturazione edilizia.
L’aumento del carico urbanistico è poi un dato assodato poiché – sia che voglia prendersi a riferimento l’originaria destinazione a magazzino, risultante dalla documentazione catastale, sia quella direzionale, considerata dal Comune – i lavori realizzati hanno comportato un aumento di superficie utile al fine di destinare l’immobile all’attività di bar – ristorante.
Si tratta di un cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante (per di più in zona A del PRG), sia ai sensi dell’art. 23- ter del d.P.R. n. 380 del 2001, sia ai sensi dell’art. 13 della l.r. n. 16 del 2008, poiché ha comportato il passaggio dall’uso direzionale a quello commerciale.
11.1. Per quanto riguarda la deduzione relativa alla preesistenza, nei locali di cui trattasi, di un’attività di lavanderia, non risulta specificamente contestato il rilievo contenuto nel provvedimento impugnato, avallato dal T.a.r., secondo cui i ricorrenti non hanno fornito alcuna prova in ordine alla sussistenza di titoli urbanistico – edilizi idonei ad assentire questo tipo di uso, peraltro risalente ad epoca ancora precedente (1971) rispetto all’uso direzionale (1998) considerato dal Comune.
11.2. Alcun rilievo può inoltre essere attribuito al fatto che i ricorrenti, nel gennaio 2020, abbiano dichiarato di “rinunciare” al mutamento di destinazione d’uso.
Anche in questo caso è rimasta incontestata l’osservazione secondo cui (par. 5 della sentenza impugnata) “in sede ispettiva il comune aveva potuto ravvisare la quasi completa esecuzione di attività edilizie che, al di là dello scopo che le aveva ispirate, comportavano la modificazione dei locali a seguito della ristrutturazione che era in corso, dal che l’esigenza di munirsi per ciò di un titolo idoneo: la rinuncia alla richiesta di modificazione della destinazione d’uso era pertanto ininfluente, posto che la constatazione di un abuso edilizio impone all’ente locale di attivarsi immediatamente per contenere e se possibile eliminare quanto di illegittimo è apparso nel corso dell’ispezione”.
A ciò si aggiunga che la consolidata giurisprudenza ritiene inammissibile un’istanza ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 condizionata all’esecuzione di ulteriori prescrizioni e/o interventi, fosse anche solo di eliminazione di una parte delle opere abusive.
Una tale istanza dimostra infatti, ex se, che l’abuso originariamente commesso non era conforme alla normativa vigente al momento della realizzazione ed esclude la sussistenza della c.d. “doppia conformità”.
12. I motivi IV e V riguardano la questione relativa alla violazione delle altezze previste dal Regolamento edilizio nonché quella relativa alla mancata previsione del bagno per i disabili.
Secondo il T.a.r (par. 8) “Un primo profilo riguarda il soppalco, che l’atto impugnato denuncia come posto in opera in modo irrispettoso delle altezze minime e anche medie previste dal regolamento edilizio; tuttavia i ricorrenti non contestano le misurazioni effettuate durante l’ispezione dell’utc locale, che consentirono di appurare che l’altezza inferiore al tavolato è di m. 2,29, mentre quella soprastante giunge a m. 2,40. Lo spazio tra il tavolato di nuova installazione e il pavimento è destinato a sala ristorante o cucina, per cui esso è insufficiente dovendosi fare applicazione dell’art. 64 del regolamento comunale che dispone sia per gli immobili abitativi che per quelli a destinazione commerciale, e per questi ultimi l’altezza minima ammessa scende a m. 2,70 ricorrendo le condizioni igieniche previste.
Sembra pertanto che in nessun caso sia stato rispettato il limite minimo dell’altezza che deve esservi tra il tavolato e il pavimento sottostante, dal che l’infondatezza del motivo”.
Il Collegio rileva che sono in atti, in quanto prodotti dagli stessi ricorrenti, il verbale di accertamenti urgenti n. 80 del 2019 del 28 marzo 2019 e il rapporto relativo al sopralluogo svolto dai tecnici comunali nella stessa data (allegato n.17 al ricorso di primo grado), nei quali sono riportati i dati e le misurazioni richiamati dal T.a.r.
Essi, in quanto atti pubblici, fanno fede fino a prova di falso in ordine agli accertamenti effettuati.
Ai fini di cui trattasi, è poi irrilevante che siano state mantenute (in thesi) le altezze preesistenti, poiché esse non sono compatibili con l’uso al quale gli interventi di ristrutturazione erano finalizzati.
Si è poi già osservato che è inconcepibile un’istanza di accertamento di conformità sub condicione, con conseguente irrilevanza della prospettata “rinuncia” al progettato mutamento di destinazione d’uso.
12.1. Per quanto concerne, infine, i requisiti previsti dal D.M. n. 236 del 1989, art. 1, il T.a.r. ha osservato che “per questo specifico locale non è possibile invocare la deroga”, confermando quanto rilevato nel provvedimento impugnato circa il fatto che per i locali di cui trattasi, in quanto destinati all’uso di bar – ristorante, il suddetto D.M. dispone l’accessibilità ad almeno un servizio igienico, senza possibilità di deroga alcuna.
13. Per quanto sopra argomentato – assorbita ogni altra censura – l’appello deve essere respinto, con la conseguente conferma della sentenza impugnata.
14. In ragione della complessità e peculiarità della vicenda, si ritengono sussistenti i presupposti di legge per la compensazione integrale tra le parti delle spese del grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, di cui in epigrafe, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese del grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 gennaio 2025 con l'intervento dei magistrati:
Daniela Di Carlo, Presidente FF
Silvia Martino, Consigliere, Estensore
Carmelina Addesso, Consigliere
Annamaria Fasano, Consigliere
Roberto Michele Palmieri, Consigliere