Tribunale S. Maria C.V: sent. 4631 del 24 settembre 2008
Est. Pepe Imp. Luserta ed altri
Ambiente in geenre. Attività estrattive

Attività estrattive. In nessun caso l’approvazione di un O.S.E. può essere equivalente all’abilitazione a coltivare determinate particelle. Omesso versamento del contributo per la spesa necessaria per gli interventi pubblici ulteriori rispetto al mero ripristino dell\'area ex art. art. 18 della legge regionale della Campania 54/85. Truffa aggravata ai danni dello stato. Insussistenza. Disastro ambientale. Necessità di provare che il disastro ambientale sia il portato di modalità illecite di coltivazione posto che il mero danno all’ambiente o al paesaggio non può costituire minaccia per l’incolumità fisica dei cittadini.
(segnalazione e massima avv. Gennaro Iannotti)

 N. 15514/03 R G. notizie di reato

N.   4631/08 R.G. GIP

 

TRIBUNALE  DI  S. MARIA  CAPUA  VETERE

UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il  GUP di Santa  Maria  Capua  Vetere  dott. ANTONIO  PEPE,

all’udienza del 24 settembre 2008

ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente

 

SENTENZA

 

nei  confronti di:

 

1.      LUSERTA LUIGI,  nato a Caserta il 30-9-1945, ivi residente alla Via Appia, Parco    Luserta;

                         LIBERO – ASSENTE

 

2.      CICOTTI DIEGO,  nato a Napoli il 2-11-1956, residente in Caserta alla via Camusso, Parco  Giardini, frazione Ercole;

  LIBERO - PRESENTE

 

3.      RIBATTEZZATO SALVATORE, nato a San Nicola La Strada in data 8-1-1959, ivi residente alla Via Turati n. 21;

                                                             LIBERO – PRESENTE

 

4.      CASELLA VINCENZO,  nato a S. Maria Capua Vetere il 9-3-1953, residente in Caserta alla Via Caduti sul Lavoro n. 103;

                                                             LIBERO - CONTUMACE

 

  1. FENUCCIU DEMETRIO,  nato a Salerno il 19-1-1968, ivi residente alla Via Mobilio n. 174;

                                     LIBERO – PRESENTE

 

  1. ALBANESE GIOVANNI, nato a Napoli il 17-2-1958, residente in Caserta alla Via Pontone, Parco Casabella;

  LIBERO- ASSENTE

 

7.      IULIANO NICOLA, nato a Caserta il 3-4-1951, ivi residente alla Via Bersaglio, frazione San Clemente;

 

  LIBERO - PRESENTE

 

 

 

 

 

IMPUTATI

 

A) del reato p. e p. dall’articolo 416 c. p. perché si associavano tra loro nelle qualità rispettivamente:

 

   LUSERTA Luigi - di titolare della omonima ditta individuale esercente attività di escavazione con cava ubicata in Centurano - Caserta località Santa Lucia;

 

   CICOTTI Diego di socio di maggioranza e gestore della FRAN.CA. S.p.a esercente attività di escavazione con cava ubicata nel Comune di Caserta alla Località Soprapioppi;

 

   RIBATTEZZATO Salvatore - di direttore tecnico delle cave: LUSERTA, CEMENTI MOCCIA, D’AGOSTINO, FRAN.CA nel comune di Caserta;

 

   CASELLA Vincenzo di perito tecnico e socio dello studio di Ribattezzato Salvatore;

 

   FENUCCIU Demetrio - di avvocato e difensore di fiducia di Luserta Luigi, luliano Nicola, legale rappresentante Soc. Cementi Moccia, D’Agostino Sebastiano;

 

   FORTUNATO Manlio - di responsabile unità operativa cave Basso Casertano dell’ufficio del Genio Civile di Caserta pubblico ufficiale preposto in particolare ai controlli sulle attività estrattive in provincia di Caserta;

 

   CIOPPA Anna Angela Maria - di responsabile del Servizio Legale Cave del Genio Civile - pubblico ufficiale addetta, tra l’altro, alle istruttorie relative alla difesa processuale dell’Ente di appartenenza dinanzi alla Giustizia Amministrativa, nonché curatrice degli atti da trasmettere all’Avvocatura dello Stato;

 

    ALBANESE Giovanni - di funzionario del Servio Cave del Genio Civile di Caserta, pubblico ufficiale preposto in particolare ai controlli sulle attività estrattive in provincia di Caserta;

 

    IULIANO Nicola, di gestore di fatto della IULIANO Srl esercente attività di escavazione con cava ubicata nei Comune di Caserta alla Località Monte;

 

    D’AGOSTINO Sebastiano, di gestore della D’AGOSTINO Srl esercente attività di escavazione con cava ubicata nel Comune di Caserta alla Località Provine Pioppi;

 

in particolare, il Ribattezzato e il Casella quali promotori e coordinatori dell’associazione, al fine di perpetrare innumerevoli reati consistiti nel consentire ai titolari delle seguenti attività estrattive: Ditta Luserta Luigi, Iuliano S.r.l., Cementi Moccia S.p.a., Fran.Ca. S.p.a, D’Agostino S.r.l., Antonucci, di procedere ad una imponente ed illecita attività estrattiva sulle cave insistenti nel territorio dei Comuni di Caserta, Maddaloni, Valle di Maddaloni, Castel Morrone, Falciano del Massico e Mignano Montelungo mediante capillare attività di falsificazione degli atti e di documenti costituenti l’aspetto autorizzatorio dell’esercizio delle singole cave nonché mediante indebite pressioni e condizionamenti di vari uffici (tra gli altri Genio Civile, ARPAC, Comune di Caserta, Ufficio Provinciale di Caserta) affinché venissero sistematicamente omessi i controlli sulle attività estrattive imposti dalla normativa vigente, il FENUCCIU, il FORTUNATO e la CIOPPA, formando dolosamente i seguenti atti amministrativi illegittimi, viziati “  ab origine” in virtù di intese criminali intercorse tra i citati ultimi tre imputati, attività delittuose finalizzate a creare le premesse affinché gli atti amministrativi che di seguito si riportano venissero successivamente annullati in. sede di autotutela o dalla giustizia amministrativa:

 

a) Mignano Calcestruzzi: Decreto n. 41 del 26.5.2004 emesso dal Dirigente pro tempore del Settore Provinciale del Genio Civile di Caserta che autorizza illecitamente l’apertura della cava di basalto nei comune di Galluccio;

 

b) Cave Dolomitiche Srl: Relazione di difesa ( nota 210289 dell’11.3.2004 ) del Settore Provinciale del Genio Civile di Caserta diretta all’Avvocatura Regionale in merito al ricorso presentato al TAR Campania dalla società attraverso lo Studio Legale Associato Riccardi & Fenucciu;

 

c) Cava Iuliano Srl: Decreto n. 1389 del 17.7.2002 emesso dal Dirigente pro tempore del Settore Provinciale dei Genio Civile di Caserta che autorizza illecitamente l’esecuzione del progetto di coltivazione e recupero della cava di calcare sita nel Comune di Caserta, loc. San Clemente;

 

d) Cava D’Agostino Srl: Decreto n. 731 del 6.5.2002 emesso dal Dirigente pro tempore del Settore Provinciale del Genio Civile di Caserta che autorizza illecitamente l’esecuzione dei lavori di residua coltivazione e di recupero della cava sita nel Comune di Caserta, frazione Garzano, loc. Provine-Pioppi;

 

e)    Cava Antonucci Srl: Decreto n. 1390 del 17.7.2002, emesso dal Dirigente pro-tempore del Settore Provinciale del Genio Civile di Caserta, che autorizza illecitamente l’esecuzione dei lavori di cui al progetto inoltrato con prot. 702 del 17.1.2001, integrato con  elaborati grafici prodotti in data 24.5.2001 prot. 5301, della cava sita nel Comune dì Caserta, fraz. Garzano, loc. Provine-Pioppi.

 

 

 

TUTTI

 

B) del reato p. e p. dagli articoli 81 cpv, 110, 112 n. 1, 479 c.p., perché, in concorso e previo concerto tra loro, nelle qualità richiamate sub a,) in numero superiore a 5, con più atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso, formavano falsi Decreti Dirigenziali di autorizzazione per la prosecuzione delle attività estrattive e Ordini di Servizio per l’impiego di Esplosivi, e relazioni di servizio a favore delle ditte: Ditta Luserta Luigi, luliano S.r.l., Cementi Moccia S.p.a., Fran. Ca. S.p.a, D’Agostino S.r.l., attestando falsamente fatti dei quali dette autorizzazioni erano destinati a provarne la verità, in particolare l’esistenza di pericoli di crollo su estesi fronti di cava, nonché l’attestazione di risanamenti ambientali su aree di cava, risanamenti in realtà mai realizzati ovvero ultimati, ed in particolare:

 

LUSERTA Luigi, e RIBATTEZZATO Salvatore.

 

redigevano e sottoscrivevano i progetti e gli altri documenti necessari per l’ottenimento del Decreto Dirigenziale di autorizzazione prot. N. 2253 del 5/9/2001 e l’Ordine di Servizio per l’impiego di Esplosivi del 31.01.2001, dichiarando falsamente che particelle catastali sulle quali effettuare la coltivazione erano presenti nell’istanza di prosecuzione, nonché per gli Ordini di Servizio per l’impiego di Esplosivi del 19.10.2001 e 27.01.2004, attestando in modo non veritiero l’andamento plano-altimetrico della cava, al fine di ottenere l’autorizzazione ad utilizzare l’esplosivo necessario per la coltivazione anche in zone non consentite;

 

FORTUNATO Manlio

 

in concorso con LUSERTA e RIBATTEZZATO, quale pubblico ufficiale, nella qualità indicata sub a), assumeva come propria, la falsa documentazione prodotta dal Luserta e dal Ribattezzato, omettendo scientemente di controllarne il contenuto, di effettuare le dovute verifiche, pur se a ciò preposto, ovvero laddove queste erano state effettuate, di rilevarne i falsi commessi, formando conseguentemente a sua firma il decreto Dirigenziale di autorizzazione prot. 2253 del 5 settembre 2001 nonché le autorizzazioni e gli Ordini di Servizio per l’impiego di Esplosivi precedentemente indicati, utilizzati dalla ditta LUSERTA per l’acquisto il trasporto e l’utilizzo dell’esplosivo necessario per l’attività di coltivazione;

 

CICOTTI Diego, RIBATTEZZATO Salvatore

 

redigevano i progetti sottoscritti dal Ribattezzato e gli altri documenti necessari per l’ottenimento del Decreto Dirigenziale di autorizzazione prot. N. 2252 del 5-9-2001 e l’OSE del 4.12.2001 e 10.9.2003, dichiarando falsamente che particelle catastali sulle quali effettuare la coltivazione erano presenti nell’istanza di prosecuzione, nonché per gli O.S.E. del 4.12.2001 e 10.9.2003, attestando in modo non veridico l’andamento plano-altimetrico della cava, al fine di ottenere l’autorizzazione ad utilizzare l’esplosivo necessario per la coltivazione anche in zone non consentite;

 

FORTUNATO Manlio

 

in concorso con CICOTTI e RIBATTEZZATO, quali pubblici ufficiali, nelle qualità indicate sub a), assumeva come propria la falsa documentazione prodotta dal Cicotti e dal Ribattezzato, omettendo scientemente di controllarne il contenuto, di effettuare le dovute verifiche, pur se a ciò preposto, ovvero laddove queste erano state effettuate, di rilevarne i falsi commessi, formando conseguentemente a sua firma il decreto Dirigenziale di autorizzazione prot. 2552 del 5.9.2001 nonché le autorizzazioni OSE precedentemente indicate, utilizzate dalla FRAN.CA. Spa per l’acquisto il trasporto e l’utilizzo dell’esplosivo necessario per l’attività di coltivazione.

 

IULIANO Nicola e RIBATTEZZATO Salvatore.

 

redigevano e sottoscrivevano i progetti e gli altri documenti necessari per l’ottenimento del Decreto Dirigenziale di autorizzazione prot. N. 1389 del 17/7/2002 e l’Ordine di Servizio per l’impiego di Esplosivi del 30.05.2000, 26/4/2001, 25/7/2001, 10/10/2001, 22/5/2003 e 27/1/2004 attestando in modo non veritiero l’andamento planoaltimetrico della cava Iuliano, al fine di ottenere l’autorizzazione ad utilizzare l’esplosivo necessario per la coltivazione anche in zone non consentite;

 

FORTUNATO Manlio

 

in concorso con IULIANO Nicola e RIBATTEZZATO, quale pubblico ufficiale, nella qualità indicata sub a), assumeva come propria la falsa documentazione prodotta da Iuliano e Ribattezzato, omettendo scientemente di controllarne il contenuto, di effettuare le dovute verifiche, pur se a ciò preposto, ovvero laddove queste erano state effettuate, di rilevarne i falsi commessi, formando conseguentemente a sua firma il decreto Dirigenziale di autorizzazione prot. 1389 del 17.7.2002 nonché le autorizzazioni e gli Ordini di Servizio per l’impiego di Esplosivi precedentemente indicati, utilizzati dalla società Iuliano Srl per l’acquisto il trasporto e l’utilizzo dell’esplosivo necessario per l’attività di coltivazione;

 

    D’AGOSTINO Sebastiano e RIBATTEZZATO Salvatore

    

    redigevano e sottoscrivevano i progetti e gli altri documenti necessari per l’ottenimento  del decreto dirigenziale di autorizzazione prot. N. 731 del 6-5-02 e gli Ordini di Servizio Esplosivi del 16.6.1997, 12.01.1998, 5.6.1998, 17.2.2003 e 10.09.2003, attestando in modo non veritiero l’andamento planoaltimetrico della cava D’Agostino, al fine di ottenere l’autorizzazione ad utilizzare l’esplosivo necessario per la coltivazione anche in zone non consentite;

 

FORTUNATO Manlio

 

in concorso con D’AGOSTINO Sebastiano e RIBATTEZZATO Salvatore, quale pubblico ufficiale, nello qualità indicata sub a), assumeva come propria, la falsa documentazione prodotta da D’Agostino e Ribattezzato, omettendo scientemente di controllarne il contenuto, di effettuare le dovute verifiche, pur se a ciò preposto, ovvero laddove queste erano state effettuate, di rilevare i falsi commessi, formando conseguentemente a sua firma il decreto Dirigenziale di autorizzazione prot. 731 deI 06.5.2002 nonché le autorizzazioni e gli Ordini di Servizio per l’impiego di Esplosivi precedentemente indicati, utilizzati dalla società D’AGOSTINO Srl per l’acquisto, il trasporto e l’utilizzo dell’esplosivo necessario per l’attività dì coltivazione.

 

FORTUNATO Manlio e ALBANESE Giovanni

 

in concorso con LUSERTA, CICOTTI, D’AGOSTINO e RIBATTEZZATO, quali pubblici ufficiali, nelle qualità indicate sub a), redigevano e sottoscrivevano, in data 18 marzo 2003, un verbale di sopralluogo effettuato su cinque delle cave indagate (LUSERTA, FRAN.CA., MOCCIA, D’AGOSTINO, ANTONUCCI) attestando falsamente un inesistente risanamento ambientale avvenuto sulle suddette cave ed omettendo invece di far emergere le numerose irregolarità in materia di coltivazione dei siti ispezionati.

 

FENUCCIU Demetrio, FORTUNATO Manlio e CIOPPA Anna Angela Maria

 

perché in concorso tra loro formavano i seguenti atti amministrativi viziati “ab origine” ed illegittimi alla luce della normativa di settore vigente, contenenti errori ed omissioni inseriti ad arte per procurare il successivo annullamento in autotutela o da parte del Giudice Amministrativo:

 

a)   Mignano Calcestruzzi: Decreto n. 41 dei 26.5.2004 emesso dal Dirigente pro tempore del Settore Provinciale del Genio Civile di Caserta che autorizza l’apertura illegittima della cava di basalto nel Comune di Galluccio;

 

b)  Cave Dolomitiche Srl: Relazione di difesa (nota 210289 dell’11.3.2004) del Settore Provinciale del Genio Civile di Caserta diretta all’Avvocatura Regionale in merito al ricorso presentato al Tar Campania dalla società attraverso lo studio legale associato Riccardi & Fenucciu;

 

c)  Cava Iuliano Srl: Decreto n. 1389 del 17.7.2002 emesso dal Dirigente pro-tempore del Settore Provinciale del Genio Civile di Caserta che autorizza illecitamente l’esecuzione del progetto di coltivazione e recupero della cava di calcare sita nel Comune di Caserta, loc. San Clemente;

 

d)  Cava D’Agostino Srl: Decreto n. 731 del 6.5.2002 emesso dal Dirigente pro tempore del Settore Provinciale del Genio Civile di Caserta che autorizza illecitamente l’esecuzione dei lavori di residua coltivazione e di recupero della cava sita nel Comune di Caserta, fraz. Garzano, loc. Provine-Pioppi;

 

e)  Cava Antonucci Srl: Decreto n. 1390 del 17.7.2002 emesso dal Dirigente pro tempore del Settore Provinciale del Genio Civile di Caserta che autorizza illecitamente l’esecuzione dei lavori di cui al progetto inoltrato con prot. 702 del 17.1.2001. integrato con elaborati grafici prodotti in data 24.5.2001 prot. 5301 della cava sita nel Comune di Caserta, fraz. Garzano, loc. Provine Pioppi.

 

 

TUTTI

 

C) del reato p. e p. dagli articoli 81 cpv, 110, 112 n, 1, 323 1 e 2 comma c.p., perché FORTUNATO, LOSA (deceduto), CIOPPA e ALBANESE nella qualità di pubblici ufficiali in servizio presso il Genio Civile, Ufficio di Caserta, previo concerto con gli altri, beneficiari delle condotte illecite dei primi quattro, delle condotte con più atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso, con più atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso, abusavano delle funzioni e del servizio loro affidati ed in violazione delle norme di legge sulla disciplina della coltivazione delle cave nella Regione Campania, ed in particolare degli articoli 25 e segg. della Legge Regionale Campania n. 54/85, formando numerosissimi atti concessori ed autorizzatori illegittimi a favore dei titolari delle cave: Ditta Luserta Luigi, Iuliano S.r.l., Cementi Moccia S.p.a., Fran.Ca. S.p.a, D’Agostino S.r.l., nonché rilasciando i seguenti atti palesemente illegittimi:

 

Cava Luserta:

 

Decreto Dirigenziale di autorizzazione, prot. 2253 del 05 settembre 2001, Ordini di Servizio Esplosivi dei 21.03.1996, 12.06.1996, 08.10.1996, 29.01.1997, 09.05.1997, 17.09.1997. 22.12.1997, 16.04.1998, 30.10.1998, 24.5.1999, 16.02.2000, 31.01.2001, 19.10.2001, 15.11.2002 e 27.1.2004, autorizzando la coltivazione della cava LUSERTA Luigi in assenza dei presupposti e delle prescrizioni contemplate dalle leggi in materia, procuravano in tal guisa allo menzionata impresa un ingiusto e rilevante vantaggio patrimoniale, e segnatamente; Fortunato, quale funzionario dell’unità operativa cave basso Casertano del Genio Civile di Caserta, in relazione al decreto dirigenziale n. 2253/01, autore materiale dell’istruttoria compiuta sugli atti esistenti nel fascicolo e degli Ordini di Servizio del 19.10.2001 e 27.01.2004; FORTUNATO e ALBANESE quali funzionari del servizio Cave del Genio Civile di Caserta, in relazione all’ordine di servizio del 27. 1.2004 redigevano e sottoscrivevano, in data 18 marzo 2003, un verbale di sopralluogo effettuato sulla cava attestando falsamente un inesistente risanamento ambientale e omettendo invece di far emergere le numerose irregolarità in materia di coltivazione del sito ispezionato; in particolare, il provvedimento autorizzatorio innanzi indicato, riferito ad un nuovo progetto presentato dalla società per la coltivazione della cava, risulta in contrasto con le leggi regionali che sanciscono espressamente il divieto di rilasciare autorizzazioni per l’ampliamento di cave già esistenti;

 

Cava Iuliano:

 

Decreto Dirigenziale di autorizzazione prot. 1389 del 17 luglio 2002, Ordini di Servizio Esplosivi del 30.05.2000, 26.04.2001, 25.07.2001, 10.10.2001, 22.05.2003 e 27.1.2004 autorizzando la coltivazione della cava IULIANO srl in assenza dei presupposti e delle prescrizioni contemplate dalle leggi in materia, e procurando in tal guisa alla menzionata impresa un ingiusto vantaggio patrimoniale, e segnatamente: FORTUNATO, quale funzionario dell’unità operativa cave basso casertano del Genio Civile di Caserta, in relazione al decreto dirigenziale nr. 1389/2002, autore materiale dell’istruttoria compiuta sugli atti esistenti nei fascicolo ed agli Ordini di Servizio citati; in particolare, il provvedimento autorizzatorio innanzi indicato, riferito ad un nuovo progetto presentato dalla società per la coltivazione della cava, risulta in contrasto con le leggi regionali che sanciscono espressamente il divieto di rilasciare autorizzazioni per l’ampliamento di cave già esistenti; inoltre esso è sprovvisto delle autorizzazioni dell’Amministrazione Provinciale ai fini dello svincolo idrogeologico, decretando dolosamente e falsamente con numerose perizie un inesistente pericolo di crollo di fronte di cave al fine di consentire l’illegittimo prosecuzione dell’attività estrattiva, procuravano in tal modo un ingiusto, illegittimo e rilevante vantaggio patrimoniale a favore del titolare della cava sopra indicata;

 

Cava Fran.ca.:

 

Decreto Dirigenziale di autorizzazione, prot. 2552 del 5.9.2001, Ordini di Servizio Esplosivi del 4.12.2001 e 10.9.2003, autorizzando la coltivazione della cava FRAN.CA. spa in assenza dei presupposti e delle prescrizioni contemplate dalle leggi in materia e procurando in tal guisa alla menzionata impresa un ingiusto vantaggio patrimoniale, e segnatamente:

FORTUNATO quale funzionario responsabile dell’Unità Operativa Basso Casertano del Genio Civile competente sulla cava ed autore materiale dell’istruttoria in relazione ai due O.S.E. rilasciati; FORTUNATO e ALBANESE quali funzionari del servizio cave del Genio Civile di Caserta, in relazione all’Ordine di Servizio del 10-9-2003 redigevano e sottoscrivevano, in data 18 marzo 2003, un verbale di sopralluogo effettuato sulla cava attestando falsamente un inesistente risanamento ambientale omettendo invece di far emergere le numerose irregolarità in materia di coltivazione del sito ispezionato; in particolare, il provvedimento autorizzatorio innanzi indicato, risulta in contrasto con le leggi regionali che disciplinano le problematiche relative agli sconfinamenti, agli svincoli idrogeologici ed alla ricomposizione ambientale.

 

Cava D’Agostino:

 

Decreto Dirigenziale di autorizzazione. prot. 731 del 6.5.2002, Ordini di Servizio Esplosivi del 16.6.1997, 12.1.1998, 5.6.1998, 17.2.2003, 10.9.2003 autorizzando la coltivazione della cava D’AGOSTINO Srl in assenza dei presupposti e delle prescrizioni contemplate dalle leggi in materia e procurando in tal guisa alla menzionata impresa un ingiusto vantaggio patrimoniale, e segnatamente: FORTUNATO quale funzionario responsabile dell’Unità Operativa Basso Casertano del Genio Civile competente sulla cava ed autore materiale dell’istruttoria in relazione al citato decreto dirigenziale e agli O.S.E. rilasciati il 17.2.2003 e 10.9.2003; FORTUNATO e ALBANESE quali funzionari del servizio cave del Genio Civile di Caserta in. relazione all’ordine di servizio del 10.9.2003 redigevano e sottoscrivevano, in data 18 marzo 2003, un verbale di sopralluogo effettuato sulla cava attestando falsamente un inesistente risanamento ambientale omettendo invece di far emergere le numerose irregolarità in materia di coltivazione dei sito ispezionato; in particolare, il provvedimento autorizzatorio innanzi indicato, riferito ad un nuovo progetto presentato dalla società per la coltivazione della cava, risulta in contrasto con le leggi regionali che disciplinano le problematiche relative agli sconfinamenti, agli svincoli idrogeologici ed alla ricomposizione ambientale.

 

TUTTI

 

D) del reato p. e p. dagli articoli 81 cpv, 61 n. 7, 110 e 112 n. 1, 640 comma 1 e 2 n 1 c.p. perché, in concorso e previo concerto tra loro, con più atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso, procedendo in più di cinque persone, mediante artifizi e raggiri consistiti nell’avere adottato le condotte indicate sub b) e c) e nel presentare falsi elaborati progettuali attestanti un andamento plano-altimetrico delle attività estrattive, diverso dalla realtà, nonché attestando inesistenti pericoli di crollo su estesi fronti di cava, falsa attestazione che consentiva un ulteriore prosieguo illecito di attività estrattiva, facendo credere di avere iniziato un risanamento ambientale di determinate aree di cava mediante il momentaneo riporto di terreno vegetale e la piantumazione di alberi, per poi, al termine delle ispezioni degli organi di controllo, rimuovere il terreno e proseguire illecitamente l’escavazione, così inducendo in errore gli enti pubblici preposti ai controlli ed alla riscossione dei prescritti e dovuti canoni alle amministrazioni comunali, procuravano agli esercenti delle attività estrattive: Ditta Luserta Luigi, Iuliano S.r.l., Cementi Moccia S.p.a., Fran. Ca. S.r.l, D’Agostino S.r.l., un ingiusto profitto, consistito nell’aver venduto materiale di cava asportato in aree non legittimate, con conseguente danno Erariale di rilevante gravità, stimato complessivamente in. oltre 11.000.000 di euro, nonché sia omettendo il versamento dei contributi dovuti al Comune di Caserta per il materiale estratto negli anni dal 1986 al 2003, ovvero provvedendo ad un versamento minore rispetto a quello dovuto in relazione ai quantitativi di materiale estratto, risultati essere enormemente sottostimati; e sia omettendo di effettuare i dovuti risanamenti ambientali delle aree di cava non più intaccabili alla luce di una acclarata diversa conformazione plano-altimetrica, difforme rispetto ai progetti approvati con - ad esempio - altissime pareti verticali, rendendo di fatto impossibile il risanamento ambientale come imposto dalla legge, se non mediante l’adozione di difficilissime ed onerosissime metodologie di ingegneria ambientale la cui realizzazione avrebbe comportato costi erosissimi e non sopportabili per il danneggiato Stato, il cui recupero non trova neppure capienza nelle polizze fideiussorie all’uopo stipulate dalle singole cave a garanzia proprio della ricomposizione ambientale.

 In particolare procurandosi gli ingiusti profitti qui di seguito elencati:

per la:

Società

me. estratti su

 

.

 

aree non legittimate

Prezzo                    di
mercato/mc. euro

Ingiusto profitto pari ad euro

D’Agostino

1.969.861

5

9.849.305

Iuliano

571.471

5

2.857.355

Luserta

2.121.643

5

10.608.215

Fran.Ca.        2.402.087

5

12.010.435

                                                                                   TOTALE                      35.325.310

 

 

 

Procurando i danni erariali di seguito elencati ai danni del Comune di Caserta in persona del legale rappresentante p. t.

 

 

 

 

Società

Contributi versati in euro

Contributi
accertati in euro

Contributi non versati in euro

Contributi non versati in percentuale

LUSERTA Luigi

198.480,30

657.748,11

459.267,81

69,8%

IULIANO srl

19.788,25

127. 166,42

107.378,17

84,4%

FRAN.CA. srl

196.542,18

357.319,29

160.777.11

45,0%

D ‘AGOSTINO
srl

129.155,36

286.341,71

157.186,35

54,9%

Totali

543.966,09

1.428.575,53

 

884.609.44

61,9%

 

Determinando enormi danni ambientali con i costi per la collettività (specifici e complessivi) di seguito elencati:

 

 

 

 

 

 

 

 

Società

Costi di
rinverdimento in
€/mq. per tipo d di superficie

Totale costo di
ri
nverdimento
in €/mq.

 

Costo di
recupero
ambientale

in Euro

(oltre IVA)

 

(45% costi scheda B) + (52% costi scheda C)

 

Area di cava

Rappresentativo
degli oneri di
configurazione
dell’area di cava e
spese generali

 

-_________________

 

 

 

 

D’Agostino

Rinverdimento Sup. orizzontali:
45%x€/mnq.  13.28=,5976 Rinverdimento sup.sub-verticali:
30%1.733x
€/mq.9,70 = 5,044

11,02 €/mq

mq. 97.520

1,766

 

1.900.000

luliano

Rinverdimento Sup. orizzontali:
45%x€/mq.13.28 =5976 Rinverdimento sup. sub-verticali: 30%1.733x€/mq.9.70= 5,044

11,02 €/mq

mq. 53.362

2,724

1.600.000

Luserta

Rinverdimento Sup. Orizzontali:
45%x€/mq.13.28=5,976
Rinverdimento sup.
sub-verticali:
30%x1.733X €/mq,9.70=5,044

 

 

 

 

Rinverdimento Sup. orizzontali:
45%x€/mq.13.28=5,976
Rinverdimento sup.
sub-verticali:
30%X1.733x €/mq.9.70=5,044

11,02 €/mq

mq. 332.660

1,227

4.500.000

Fran.Ca.

 

11,02€/mq

mq. 126.125

1,654

2.300.000

TOTALE €

10.300.000

 

 

 

 

TUTTI

 

E)  del reato p. e p. dall’articolo 20 lettera c) Legge 47/85, come modificato dall’articolo 44 del DPR 380/01, perché - con le condotte adottate ai capi che precedono - formando falsamente numerosissimi atti concessori ed autorizzatori a favore dei titolari e dei gestori delle cave indicate sub a) effettuavano illegittime ed imponenti attività di escavazione comportanti modificazioni e stravolgimenti dell’assetto territoriale in ampie zone nei comuni di Caserta e Maddaloni, modificazioni e stravolgimenti non previsti e non consentiti dallo strumento urbanistico vigente nei comuni indicati.

 

TUTTI

 

F)  del reato p. e p. dagli articoli 81 c.p., 110, 112 n. 1 e 328 c.p., perché FORTUNATO LOSA CIOPPA e ALBANESE, nelle qualità citate, dolosamente omettevano di effettuare i prescritti controlli ed accertamenti loro imposti dalla normativa vigente ed in particolare dall’articolo 25 della LR n. 17/95, omissioni che dolosamente consentivano l’attività di escavazione abusiva presso le cave in particolare di Luserta e Franca S.p.a della quale il Cicotti era il gestore.

 

TUTTI

 

G)  del reato p. e p. dagli articoli 81 cpv, 112 e 434, 1° e 2° comma c.p. perché procedendo ad un’imponente ed illegale attività di escavazione abusiva, adottando le condotte indicate ai capi a) b) c) d), facendo letteralmente scomparire le montagne oggetto delle escavazioni già sopra descritte, con modalità illecite, violente ed abusive che rendevano di fatto impossibile il recupero ed il risanamento ambientale delle zone oggetto di escavazione, asportando illegalmente circa mc. 30.000.000 di materiale, cagionavano dolosamente un gravissimo ed irreparabile disastro ambientale, consistito nella illegale ed innaturale scomparsa di montagne, stravolgendo il territorio ed il paesaggio naturale di una fascia pedemontana insistente sui comuni di Caserta e Maddaloni estesa per km 10 circa.

 

TUTTI

 

I)               del reato p. e p. dall’art. 24 comma 4 e 5 del D.P.R. 24.5. 1988 n. 203 e in relazione all’art. 2 e allegato 6 del D.M. 12. 7. 1990, perché gestendo dolosamente, con le modalità adottate ai capi che precedono, l’attività di escavazione nelle cave sopra descritte, omettendo di adottare le dovute prescrizioni stabilite dalla legge in materia di emissione in atmosfera di polveri diffuse (copertura dei materiali sfusi, copertura delle superfici, manti erbosi, costruzione di terrapieni coperti di verde, piantagioni e barriere frangivento, superficie del suolo mantenuta costantemente umida ) ed attraverso una condotta negligente ed imprudente sulle cave Luserta e Fran.Ca., cagionavano un inquinamento ambientale dovuto all’emissione in atmosfera di una quantità di polvere calcarea verificatasi con continuità, e tale da portare in maniera costante il tasso di inquinamento atmosferico oltre i limiti consentiti dalla legge.

 

                          Accertato in Caserta e Maddaloni fino al 2 dicembre 2004

 

 

 

 

 

 

 

 

CONCLUSIONI

 

Per il Pubblico Ministero: affermare la penale responsabilità di tutti gli imputati in ordine ai reati loro ascritti e condannarli alle seguenti pene:

Ribattezzato Salvatore alla pena di anni dodici di reclusione ed euro ottocento di multa;

Luserta Luigi, Iuliano Nicola, Casella Vincenzo e Albanese Giovanni alla pena di anni dieci di reclusione ed euro ottocento di multa ciascuno;

Cicotti Diego alla pena di anni sei di reclusione ed euro novecento di multa;

Fenucciu Demetrio alla pena di anni tre mesi otto di reclusione ed euro ottocento di multa.

Condannare inoltre tutti gli imputati, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali, nonché a quelle di costituzione delle parti civili, con concessione di una provvisionale a favore delle parti civili medesime.

Confisca di tutti i beni in sequestro.

Applicarsi a tutti gli imputati le pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, dell’interdizione legale durante il periodo d’esecuzione della pena e dell’incapacità di contrarre con la Pubblica Amministrazione per anni tre.

Applicarsi l’ulteriore pena accessoria dell’interdizione dall’esercizio dell’attività professionale nei confronti di Ribattezzato Salvatore e Casella Vincenzo – per anni cinque – e di Fenucciu    Demetrio – per anni tre, nonché – nei confronti di Luserta Luigi e Cicotti Diego - quella dell’interdizione per anni dieci dagli uffici direttivi di persone giuridiche e imprese.

 

Per la parte civile Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare: condannare gli imputati alla pena di giustizia e, in solido tra loro, all’integrale risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, conseguiti ai reati in contestazione, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali, danni da liquidarsi nella misura risultante dagli atti o rinviando tale liquidazione alla sede civile; condannare inoltre gli imputati – in solido tra loro - al pagamento di una provvisionale, pari ad almeno euro un milione, e a quello delle spese processuali.

 

Per la parte civile Regione Campania: condannare gli imputati alla pena di giustizia e, in solido tra loro, all’integrale risarcimento dei danni, da liquidarsi nella misura di euro 25 milioni per il danno patrimoniale all’ambiente e di euro 500.000 per il danno non patrimoniale all’immagine dell’Ente Regione; condannare inoltre gli imputati – in solido tra loro - al pagamento delle spese processuali  e infine porsi a carico dei medesimi il pagamento di una provvisionale pari ad euro cinque milioni o comunque non inferiore ad euro 100.000 per ciascun imputato.

 

Per la parte civile Comune di Caserta: condannare gli imputati alla pena di giustizia e, in solido tra loro, all’integrale risarcimento dei danni, da liquidarsi nella misura di euro 100 milioni, con il riconoscimento di una provvisionale pari ad euro venti milioni; condannare inoltre gli imputati – in solido tra loro - al pagamento delle spese processuali, da distrarsi in favore del procuratore anticipatario Avv. Alfonso Martucci.

 

Per la parte civile Provincia di Caserta:  condannare gli imputati alla pena di giustizia e, in solido tra loro, all’integrale risarcimento dei danni, da liquidarsi – per la componente patrimoniale - nella misura di euro 100 milioni e secondo equità per la componente non patrimoniale; riconoscersi una provvisionale pari ad euro venti milioni; condannare inoltre gli imputati – in solido tra loro - al pagamento delle spese processuali.

 

Per la parte civile WWF Italia: condannare gli imputati al risarcimento dei danni materiali e morali, nonché del danno ambientale ex art. 18 l. n. 349/86, da liquidarsi nella misura di euro un milione o, in subordine, secondo equità; riconoscersi una provvisionale pari ad euro centomila; condannare inoltre gli imputati – in solido tra loro - al pagamento delle spese processuali.

 

Per la parte civile Adiconsum: condannare gli imputati alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni patrimoniali e morali, da liquidarsi in separata sede; condannare inoltre gli imputati – in solido tra loro - al pagamento delle spese processuali.

 

Per la parte civile Legambiente Campania: condannare gli imputati alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni materiali e morali, da liquidarsi nella misura di euro un milione; riconoscersi una provvisionale pari ad euro centomila; condannare inoltre gli imputati – in solido tra loro - al pagamento delle spese processuali, con distrazione in favore del procuratore anticipatario           Avv. Giuseppe Sparaco.

 

Per la parte civile Comitato di Quartiere San Clemente:  condannare gli imputati alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni materiali e morali, da liquidarsi nella misura di euro due milioni; riconoscersi una provvisionale pari ad euro duecentomila; condannare inoltre gli imputati – in solido tra loro - al pagamento delle spese processuali, con distrazione in favore del procuratore anticipatario Avv. Mario Mangazzo.

 

Per la parte civile Comitato di Quartiere Parco Cerasole e Parco degli Aranci: condannare gli imputati alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni materiali e morali, da liquidarsi nella misura di euro quattro milioni; riconoscersi una provvisionale pari ad euro quattrocentomila; condannare inoltre gli imputati – in solido tra loro - al pagamento delle spese processuali, con distrazione in favore del procuratore anticipatario Avv. Mario Mangazzo.

 

Per la parte civile Lega Italiana Protezione Uccelli – LIPU: condannare gli imputati alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni materiali e morali, da liquidarsi nella misura risultante dagli atti processuali; riconoscersi una provvisionale non inferiore ad euro 200.000 nell’ipotesi di complessiva liquidazione del danno in sede penale o ad euro 600.000 nell’ipotesi di rinvio di detta liquidazione al giudice civile; condannare inoltre gli imputati – in solido tra loro - al pagamento delle spese processuali.

 

Per Luserta Luigi ( Avv. Domenico Cesaro ): assoluzione da tutti i reati in contestazione perché il fatto non sussiste o non costituisce reato, ovvero per non aver commesso il fatto.

 

Per Cicotti Diego ( Avv.ti Alberto Barletta e Luciano Costanzo ): assoluzione da tutti i reati in contestazione perché il fatto non sussiste o non costituisce reato, ovvero per non aver commesso il fatto.

 

Per  Ribattezzato Salvatore ( Avv.ti Giuseppe Stellato ed Ernesto De Angelis ):  assoluzione da tutti i reati in contestazione perché il fatto non sussiste.

 

Per Casella Vincenzo ( Avv.ti Giuseppe Stellato ed Ernesto De Angelis ): assoluzione da tutti i reati in contestazione perché il fatto non sussiste.

 

Per Iuliano Nicola ( Avv.ti Giovanni Riccardi e Gennaro Iannotti ): assoluzione da tutti i reati in contestazione perché il fatto non sussiste o non costituisce reato.

 

Per Fenucciu Demetrio ( Avv.ti Carmine Giovine ed Emilio Nicola Buccico ): assoluzione da tutti i reati in contestazione perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto.

 

Per Albanese Giovanni ( Avv.ti Francesco Picca e Vincenzo D’Alessandro ): assoluzione perché il fatto non sussiste.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

In data 19 luglio 2004 il Pubblico Ministero presso questo Tribunale avanzava al GIP richiesta di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Luserta Luigi, Cicotti Diego, Ribattezzato Salvatore, Casella Vincenzo, Fenucciu Demetrio, Fortunato Manlio, Losa Antonio, Cioppa Anna Angela, Albanese Giovanni,  ritenendo sussistere a carico dei medesimi gravi indizi dei delitti precisati nella richiesta medesima; con lo stesso atto, il Pubblico Ministero chiedeva disporsi il sequestro preventivo di sette cave facenti rispettivamente capo al Luserta, titolare dell’omonima ditta estrattiva, al Cicotti ( quale gestore di fatto dell’attività estrattiva formalmente svolta dalla Srl Fran.Ca. ), nonché alla Srl Iuliano, alla Srl D’Agostino, alla Srl Antonucci, alla Spa Cementi Moccia, alla Spa Cementir.

Entrambi le richieste erano motivate dalle risultanze di complesse indagini preliminari prolungatesi per alcuni mesi, poste in essere attraverso attività di intercettazione telefonica di numerose utenze, nonché mediante consulenze tecniche affidate all’Istituto Geografico Militare di Firenze e ad un collegio di tre ausiliari ( l’Arch. Alfredo Maciariello, il geologo Giuseppe Russo e l’esperto di informatica Raffaele Russo ), le cui risultanze persuadevano il PM della illiceità della coltivazione di tutte le cave appena menzionate.

Con ordinanza emessa in data 8 novembre 2004, il GIP applicava la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di tutti gli indagati sopra menzionati; con il medesimo provvedimento, disponeva il sequestro preventivo delle sette cave innanzi citate, nonché dei mezzi e dei macchinari  strumentali alla coltivazione.

Il successivo 30 novembre, il Pubblico Ministero avanzava nuova richiesta di sequestro preventivo sia dei beni mobili e immobili, sia delle somme di denaro di pertinenza del Luserta, delle Srl Fran.Ca., Iuliano, Antonucci e D’Agostino e delle Spa Cementi Moccia e Cementir; anche tale richiesta era accolta dal GIP con decreto del 2-12-04.

L’ordinanza custodiale cui si è innanzi accennato trovava esecuzione nei confronti di tutti i suoi destinatari ( ad eccezione del Losa, deceduto nelle more ) in data 3 dicembre 2004; nello stesso giorno, il PM provvedeva all’esecuzione di due decreti di fermo nei confronti di Iuliano Nicola e D’Agostino Sebastiano, fermi che venivano convalidati dal GIP, il quale applicava allo Iuliano la misura degli arresti domiciliari e al D’Agostino quella dell’obbligo di dimora.

All’esito degli interrogatori di garanzia, il GIP disponeva l’immediata rimessione in libertà del Fenucciu ritenendo cessate le esigenze cautelari, mentre sostituiva l’originaria misura carceraria con quella degli arresti domiciliari nei confronti del Luserta, del Cicotti, del Ribattezzato, del Fortunato e della Cioppa, con quella dell’obbligo di dimora nei confronti dell’Albanese e con quella dell’obbligo di presentazione alla PG nei confronti del Casella; dette misure – così come quella riguardante lo Iuliano - erano tuttavia dichiarate inefficaci dal Tribunale del Riesame di Napoli con successive ordinanze del 15 ( per Ribattezzato, Casella, Fortunato, Cioppa e Iuliano ), 17 ( per Luserta e Albanese ) e 21 dicembre 2004 ( per Cicotti ), con le quali si constatava l’omessa trasmissione, nel termine di legge, degli atti posti a fondamento della misura cautelare; analoga sorte aveva il decreto di sequestro preventivo.

Preso atto della prima ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame di Napoli, il Pubblico Ministero reiterava, in data 16 dicembre, la richiesta di misura carceraria a carico dei soli Ribattezzato, Casella, Fortunato, Cioppa e Iuliano; nella stessa giornata il GIP, in parziale accoglimento della richiesta, applicava nuovamente la misura degli arresti domiciliari ai suddetti indagati, escluso il Casella che veniva invece nuovamente sottoposto alla misura dell’obbligo di presentazione alla PG; anche l’ordinanza del 16-12-04 incorreva però in una seconda declaratoria d’inefficacia pronunziata il successivo 30 dicembre dal Tribunale del Riesame di Napoli, e ancora determinata dalla mancata tempestiva trasmissione degli atti da parte del PM procedente; tale ordinanza travolgeva anche la misura non custodiale applicata il 6 dicembre al D’Agostino.

In tal modo, aveva conclusione il sub-procedimento concernente le misure cautelari personali, non avendo il PM né riproposto ulteriori richieste per Luserta, Albanese e Cicotti a seguito delle ordinanze del Riesame in data 17 e 21 dicembre, né formulato altre istanze per i restanti indagati a seguito della declaratoria di inefficacia del 30 dicembre.

Viceversa, il decreto di sequestro preventivo – nuovamente disposto dal GIP il 24 dicembre 2004 – veniva confermato dal Tribunale per il Riesame in Sede con ordinanza del 21 gennaio 2005.

All’esito delle indagini preliminari, con richiesta di rinvio a giudizio del 4 agosto 2006, il Pubblico Ministero – stralciata la posizione dei restanti indagati, e in particolare separato il procedimento concernente le cave Antonucci, Moccia e Cementir  - esercitava l’azione penale nei confronti di Luserta Luigi, Cicotti Diego, Ribattezzato Salvatore, Casella Vincenzo, Fenucciu Demetrio, Fortunato Manlio, Cioppa Anna Angela, Albanese Giovanni, Iuliano Nicola e D’Agostino Sebastiano, contestando loro i reati di cui alla richiesta medesima; nella fase delle notifiche degli avvisi di fissazione dell’udienza preliminare si aveva notizia dell’intervenuto decesso della Cioppa.

Alle udienze del 12-1-07 e 9-3-07 si costituivano parte civile il Ministero dell’Ambiente, nonché: gli enti territoriali Regione Campania, Provincia di Caserta, Comune di Caserta;

le associazioni WWF Italia, Lipu Campania, Italia Nostra, Adiconsum, Legambiente Campania, Consorzio per la Tutela del Formaggio, Terra Nostra, Italia Nostra, Ambiente e Vita, Gruppi Ricerca Ecologica, Fare Verde;

i comitati San Clemente, Macrico Verde, Parco Cerasole e Parco degli Aranci;

numerosi privati cittadini ( Murgia Giovanni, Murgia Francesco, Battimieri Maria, Ferraiuolo Michele, Gentile Francesco, Fiorino Giovanni, Di Lauro Rosaria, Smarra Domenico, Leone Domenico, Ricciardi Vincenzo, Malatesta Ciro, Corbo Carmela, Casapulla Francesco e Di Nuzzo Clara ).

Preso atto delle dichiarazioni di costituzione di parte civile, i difensori degli imputati ne chiedevano a vario titolo l’esclusione del processo, sollevando una serie di eccezioni e deduzioni che formavano oggetto di esame nell’ordinanza letta dal Giudice alla successiva udienza del 18 maggio 2007, ordinanza della quale si riporta di seguito il testo:

 sciogliendo la riserva sulle richieste – avanzate dai difensori degli imputati - di esclusione di tutte le parti civili costituitesi nel presente procedimento penale alle  udienze del 12 gennaio e 9 marzo 2007 ( con la sola esclusione del Ministero dell’Ambiente );

rilevato che le richieste di esclusione si fondano:

a)       per ciò che concerne l’Adiconsum e tutte le parti assistite e rappresentate dall’Avv. Luigi Adinolfi, sulla dedotta irritualità della costituzione, in quanto operata da difensore delegato dal titolare del potere di rappresentanza, non intervenuto in udienza;

b)       per tutte le parti civili diverse dal Ministero dell’Ambiente, sul difetto di legitimatio ad causam dei soggetti diversi da tale Ministero, al quale soltanto sarebbe riconosciuta – ex art. 311 D. Lvo. 152/06 -  la legittimazione a far valere in giudizio pretese risarcitorie connesse a danno ambientale derivato da fatti illeciti;

c)       per gli enti e le associazioni ambientaliste, sulla mancata titolarità in capo ai medesimi di un autonomo diritto risarcitorio, essendo gli stessi portatori di un mero interesse diffuso, ovvero sull’assenza di collegamento tra l’attività svolta dalle suddette associazioni e il territorio interessato ai fatti di causa;

d)       per gli enti territoriali ( Regione Campania, Provincia e Comune di Caserta ), sulla mancata specificazione dell’oggetto della domanda;

e)       per i privati costituitisi, sulla mancata deduzione di un danno diretto e immediato;

udite le repliche del P.M. e delle parti civili interessate;

OSSERVA

Va preliminarmente esaminata la censura processuale enunciata sub A, sollevata dalla Difesa dell’imputato Fortunato Manlio.

La stessa appare infondata e deve essere perciò disattesa.

Invero, una volta soddisfatti i requisiti di cui all’art. 78 lett. c) ed e) c.p.p. ( nella specie, non si contesta che gli atti di costituzione contengano il nome e il cognome del difensore, la sua sottoscrizione e l’indicazione della procura ), non si rinviene nell’ordito normativo una specifica disposizione che vieti, per il materiale deposito in udienza dell’atto di costituzione ( e si ricordi che la costituzione può essere operata anche prima dell’udienza, mediante deposito dell’atto nella cancelleria del Giudice che procede ), la possibilità per il difensore investito della procura speciale di farsi rappresentare da un sostituto designato a norma dell’art. 102 c.p.p.

Non a caso, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che il sostituto del difensore di parte civile è abilitato al compimento di qualsiasi attività d’udienza ( Cass. 7-3-95, Prati ), e che non è dunque richiesto il conferimento di apposita procura speciale al sostituto, trovando l’art. 102 c.p.p. piena applicazione anche nei confronti del difensore di parte civile ( Cass. 4-11-99, Crepaldi ).  

Venendo alle obiezioni di merito formulate dalle Difese, giova premettere che i poteri riconosciuti al Giudice dell\'Udienza Preliminare investito della richiesta di esclusione della parte civile ex art. 80 cit. non comprendono alcuna delibazione di fondatezza dell\'azione civile in sé considerata, ma unicamente una statuizione sull\'ammissibilità della sua insinuazione nella sede penale.

Esclusa qualsiasi valutazione sull\'azione in senso sostanziale, il sindacato del Giudice deve concentrarsi - oltre che sulla tempestività dell\'atto di costituzione e sul rispetto del catalogo di requisiti formali dettato dall\'art. 78 c.p.p. - sulle precondizioni processuali enucleabili dalla prospettazione delle parti.

Tanto chiarito, reputa questo Giudice, in ordine all’argomento sub b), che la disposizione normativa invocata dalla Difesa dell’imputato Fenucciu non può essere interpretata nel senso di ricavarvi una sorta di riserva del diritto alla costituzione di parte civile in capo al solo Ministero dell’Ambiente, pur dovendosi atto dell’esistenza di alcune prime letture giurisprudenziali di divergente avviso ( Cass. 8-9-06 n. 29855, Pezzotti ) .

Se è vero, infatti, che l’art. 311 D. L.vo 3 aprile 2006 n. 152 attribuisce allo Stato - per il tramite del Ministro dell\'Ambiente - la legittimazione all\'azione risarcitoria, e omette di menzionare gli Enti territoriali minori e ogni altro soggetto, ciò non può far trascurare il carattere complesso del bene ambiente e delle lesioni che questo può subire.

La tutela di questo bene giuridico non trova la sua fonte genetica nel ricordato art. 311 D. L.vo n. 152/06, ma direttamente nella Costituzione, attraverso il combinato disposto degli artt. 2, 3, 9, 41, 42 e il loro collegamento con la norma fondativa della tutela aquiliana (art. 2043 c.c.).

In questo senso si sono più volte espresse tanto la Corte Costituzionale, quanto la Corte di Cassazione Civile e Penale (ex plurimis, v. Cass., III sezione civile, n. 5650 del 19.6.96; Cass., III sezione penale, n. 33887 del 7.4 - 9.10.06).

E\' proprio la complessità del bene giuridico a comportare la possibilità che la sua lesione involga interessi individuali, collettivi e/o pubblici facenti capo a soggetti diversi.

La concreta possibilità che un fatto illecito lesivo dell\'ambiente produca plurimi profili di danno in capo a soggetti diversi è stata resa icasticamente dalla S.C. nella sentenza n. 577/06, che testualmente afferma:

“ E\' evidente, ad esempio, che quando il danno ambientale consista nella contaminazione del terreno, solo l\'ente territoriale potrà pretendere un risarcimento rapportato alle operazioni di decontaminazione e di ripristino che istituzionalmente competono all\'ente territoriale medesimo; solo i privati proprietari dei terreni contaminati potranno pretendere il risarcimento dei danni subiti per il mancato godimento delle risorse naturali del terreno; mentre i danni alla salute conseguenti alla contaminazione potranno essere richiesti solo dalle persone fisiche concretamente danneggiate nella loro integrità fisica o psichica “.

Tale orientamento appare del resto ripreso anche nelle più recenti pronunzie della Suprema Corte, emesse anche dopo l’entrata in vigore del D. l. vo. 152/06.

Nella ricordata sentenza n. 33887/06, si è affermato che “ le associazioni ambientaliste, ancorchè non riconosciute dal Ministero dell’Ambiente, sono legittimate in  via autonoma e principale all’azione di risarcimento per danno ambientale …  quando siano statutariamente portatrici di interessi ambientali territorialmente determinati, concretamente lesi da un’attività illecita. In tal caso, infatti, tali associazioni non sono portatrici solo di interessi diffusi e astratti….comuni a tutti gli individui di una formazione sociale o addirittura della comunità      nazionale “,  ma sono invece titolari “ di interessi collettivi legittimi, che sono comuni a più soggetti che si associano come categoria o gruppo omogeneo per realizzare i fini del gruppo stesso e sono quindi suscettibili di tutela giurisdizionale “.

Analogamente, nella sentenza della III Sez. Pen, 3-11-06 n. 36514, richiamando proprio l’art. 311 del D. Lgs. 152/06, si afferma che in materia ambientale la legittimazione a costituirsi parte civile spetta non soltanto ai soggetti pubblici, in nome dell’ambiente come interesse pubblico, ma altresì alla persona singola o associata, in nome dell’ambiente come diritto fondamentale di ogni uomo e valore di rilevanza costituzionale.

Il problema allora non può essere posto in via generale ed astratta – il che impone di disattendere l’impostazione difensiva che sta alla base delle deduzioni riassunte sub b) e c), prima parte – bensì va affrontato sul piano delle singole posizioni giuridiche che si assumono lese; diventa cioè dirimente stabilire se soggetti privati, Enti e associazioni costituitisi parte civile abbiano articolato le loro prospettazioni di danno in termini tali da far emergere un interesse che, per essere sufficientemente soggettivizzato e differenziato, meriti di essere etichettato come interesse collettivo      ( e tale sembra essere lo spirito dei rilievi sub c), seconda parte, ed e).

Nessun dubbio, al riguardo, può sussistere circa il potere di Regione Campania, Provincia di Caserta, Comune di Caserta di agire in giudizio a tutela dell’interesse dei loro cittadini all’integrità dell’ambiente in cui vivono, dovendosi in particolare sottolineare la specifica competenza regionale in materia di cave; né può accogliersi la deduzione ( vedi lettera d ) inerente la presunta mancata specificazione dell’oggetto della domanda, essendo pacifico in giurisprudenza che l’oggetto possa essere anche implicitamente desunto dalla qualità del soggetto che opera la costituzione e dal tenore delle imputazioni; così, nella fattispecie, il collegamento tra l’attività istituzionale dei tre enti pubblici e la tipologia di condotta illecita descritta nelle contestazioni è di per sé sufficiente a comprovare la sussistenza della legittimazione all’azione civile.

Quanto alla posizione delle associazioni ambientaliste, in forza delle argomentazioni innanzi sviluppate occorre appunto adottare come parametro valutativo le linee guida dettate dalla giurisprudenza prima ricordata, e quindi soffermarsi sul collegamento territoriale tra l\'ambito operativo dell\'associazione e l\'area interessata dalla lesione, sul collegamento con scopi statutari di tutela che l\'ente alleghi di avere concretamente perseguito e che i fatti criminosi abbiano frustrato, sulla lesione dell\'immagine dell\'ente associativo e sulla demoralizzazione dei suoi membri che può conseguire al reato ambientale, sulla vanificazione degli sforzi economici già profusi dall\'associazione per la salvaguardia o il recupero di aree poi devastate dal crimine.

Alla stregua di tali principi, deve ritenersi ammissibile la costituzione di parte civile di Legambiente Campania, WWF Italia, LIPU Campania e Adiconsum, i cui statuti attestano il perseguimento di scopi di protezione, difesa del bene ambientale, diffusione della cultura ambientale, scopi peraltro direttamente collegati all\'ambito territoriale ove hanno avuto luogo i fatti illeciti contestati nel processo.

A conclusioni analoghe deve addivenirsi anche per le associazioni e i comitati aventi come principale finalità la tutela dell’ambiente nella città e nei quartieri più direttamente interessati dall’attività estrattiva di cui si contesta l’illegittimità: va pertanto ammessa la costituzione di parte civile del comitato Parco Cerasole – Parco degli Aranci, del comitato San Clemente, del comitato Ma.Cri. Co. Verde.

Non soddisfano invece gli enunciati requisiti le costituzioni di parte civile di:

associazione Coldiretti Campania e Consorzio per la Tutela del Formaggio, non essendo stato adeguatamente specificato il legame tra la principale finalità sociale ( promozione e tutela del prodotto alimentare italiano in generale per la Coldiretti Campania, della mozzarella di bufala per il Consorzio ) e i fatti di causa, né essendo tale nesso evincibile aliunde;

dell’associazione Terra Nostra con sede in Caserta, valutata negativamente l’estrema genericità dell’oggetto sociale e l’assenza di ogni indicazione in merito alla pregressa attività svolta a tutela dell’ambiente;

dell’associazione Italia Nostra, per la mancata allegazione dello statuto sociale all’atto di costituzione;

delle associazioni Ambiente e Vita con sede in Roma, Gruppi Ricerca Ecologica con sede in Palermo e Fare Verde, con sede in Roma, difettando qualsiasi allegazione in ordine al rapporto tra scopi ed attività statutari da un lato, territorio concretamente inciso dai fatti di causa dall’altro.

Venendo infine alle costituzioni in giudizio di soggetti privati, certamente inammissibile è la costituzione ( operata con unico atto ) di Murgia Giovanni, Murgia Francesco e Battimieri Maria, non riscontrandosi nell’atto di costituzione il minimo chiarimento sulla natura del danno che gli stessi avrebbero subito e sulla relativa causa petendi.

Allo stesso modo, non sono ammissibili le costituzioni di Ferraiuolo Michele, Gentile Francesco, Fiorino Giovanni, Di Lauro Rosaria, Smarra Domenico, Leone Domenico, Ricciardi Vincenzo, Malatesta Ciro, Corbo Carmela, Casapulla Francesco e Di Nuzzo Clara, posto che le stesse non sono sorrette dall’enunciazione di un danno personale, immediato e diretto connesso ai reati per cui si procede; non basta, a tal scopo, la deduzione circa il luogo di residenza e la contiguità fra lo stesso e le zone dove si svolge l’attività di cava, poiché tale dato geografico al più comprova la sussistenza di un mero interesse diffuso alla salubrità dell’ambiente, azionabile solo secondo i parametri innanzi precisati”.

Con detta ordinanza, in parziale accoglimento delle argomentazioni difensive, era quindi disposta l’esclusione dal processo di alcune delle parti civili ( le associazioni Coldiretti Campania, Consorzio per la Tutela del Formaggio, Terra Nostra, Italia Nostra, Ambiente e Vita, Gruppi Ricerca Ecologica, Fare Verde e tutti i privati intervenuti ).

Superata in tal modo la fase della costituzione delle parti, l’esame del merito del processo aveva inizio con i rilievi, svolti da parte dei difensori degli imputati, circa la genericità della contestazione degli addebiti mossi ai loro assistiti; all’esito della discussione sul punto, il Giudice pronunziava la seguente ordinanza:

“ uditi i rilievi della Difesa di Cicotti Diego in ordine alla dedotta genericità e lacunosità delle contestazioni mosse al Cicotti ai capi C e F;

sentite le repliche del PM e delle parti civili intervenute sul punto;

osservato, preliminarmente, che l’udienza preliminare costituisce naturale sede per la definitiva precisazione delle contestazioni che rappresenteranno l’oggetto dell’eventuale dibattimento; 

che detta precisazione può essere sollecitata tanto dall’imputato che ritenga violato il suo diritto alla Difesa ( anche in vista dell’opzione per eventuali riti alternativi ), quanto disposta d’ufficio dal Giudice, onde evitare che l’eventuale decreto che dispone il giudizio sia affetto dalla nullità prevista dall’art. 429 co. 1°, lett. c), c.p.p.;

che il codice di rito non prevede invece, nella fase dell’udienza preliminare, l’adozione da parte del GUP di provvedimenti meramente ricognitivi della nullità del capo d’imputazione;

che pertanto, al fine di sanare l’aporia normativa, la giurisprudenza ritiene ammissibile – se non doveroso  – che il Giudice dell’udienza preliminare evidenzi al PM i profili della contestazione che reputa generici e solleciti perciò le opportune precisazioni nella descrizione della condotta oggetto di incriminazione;

ritenuto che nella concreta fattispecie siano necessarie le seguenti integrazioni: 

per la contestazione del reato associativo ex art. 416 c.p., occorre almeno specificare quali siano gli atti amministrativi viziati ab origine dalle intese che si assumono intercorse tra Fenucciu Demetrio da un lato, Fortunato Manlio e Cioppa Anna dall’altro, e quindi contenenti errori ed omissioni inseriti ad arte per procurarne il successivo annullamento da parte del Giudice amministrativo;

per il delitto sub B, è necessario chiarire quali siano i decreti dirigenziali di autorizzazione e gli OSE  alla cui falsificazione abbiano concorso gli imputati, posto che l’incolpazione è elevata nei confronti di tutti, ma un addebito analitico viene invece mosso solo nei confronti degli imputati Luserta, Cicotti, Fortunato e Ribattezzato;

per il capo C, va invece osservato che all’enunciazione dell’esistenza di numerosissimi atti concessori e autorizzatori illegittimi a favore dei titolari delle cave segue una specifica elencazione solo di quelli concernenti la ditta Luserta, onde dovranno essere indicati quali siano gli atti che interessano i titolari delle altre cave;

per il capo D, deve invece rilevarsi che la contestazione di truffa viene effettuata collettivamente attraverso la sommatoria del volume di materiale di cava estratto da tutte le ditte interessate e del globale importo del danno provocato agli Enti pubblici in conseguenza dell’omesso versamento dei contributi o di un versamento di contributi minori del dovuto; orbene, l’oggettiva ed innegabile autonomia delle varie imprese coinvolte ( nulla incidendo sul punto l’esistenza di un’ipotesi associativa ) richiede invece che sia specificato, per ognuna di esse, in cosa sia consistita l’attività fraudolenta e quale sia stato il divario tra contributi dovuti e quelli pagati ( ove pagamenti vi siano stati ).

Non si reputano invece indispensabili ulteriori arricchimenti dei capi E-F-G-H, che sono in effetti articolati in forza del richiamo, esplicito o implicito, delle contestazioni già esaminate”. 

Con il riportato provvedimento, il Pubblico Ministero veniva quindi invitato ad una sostanziale integrazione delle contestazioni, con il conseguente differimento dell’udienza.

La celebrazione dell’udienza preliminare riprendeva così il 5 ottobre 2007.

In apertura dell’udienza il Pubblico Ministero procedeva alle richieste specificazioni delle condotte criminose ascritte agli imputati, conferendo quindi alla contestazione l’attuale e definitiva veste; subito dopo, il Ministero dell’Ambiente formulava richiesta di sequestro conservativo dei beni di Luserta Luigi, alla quale i difensori di tale imputato si opponevano; dalle Difese erano poi dedotte una serie di eccezioni concernenti la presunta inutilizzabilità degli atti e dei verbali riproduttivi del contenuto delle intercettazioni telefoniche, nonché - più in generale – di quasi l’intero materiale investigativo, lamentandosi  la violazione delle disposizioni dettate dal codice di rito in tema di iscrizione dei rispettivi assistiti nel registro degli indagati, di termine di durata delle indagini preliminari e di proroga di tale termine.

Tutte le questioni così proposte erano affrontate e decise dal Giudice con l’ordinanza letta all’udienza del 7-12-07, che di seguito si trascrive:

“ Sciogliendo la riserva sulle eccezioni formulate all’udienza preliminare del 5 ottobre u.s., eccezioni inerenti:

1)           all’inutilizzabilità degli atti d’indagine compiuti dal Pubblico Ministero nell’ambito del p. p. n. 4825/02 Mod. 21, a far data dalla scadenza del primo semestre successivo all’iscrizione della notizia di reato;

2)           all’inutilizzabilità degli atti d’indagine compiuti successivamente al 15-6-04 nel presente procedimento;

3)           all’inutilizzabilità dei verbali e degli atti concernente l’attività di intercettazione telefonica; 

OSSERVA

La prima eccezione si fonda sul rilievo per cui il procedimento in corso di trattazione ( n. 15514/03 Mod. 21 ) deriva da uno stralcio del p. p. n. 4825/02.

Le indagini relative a quest’ultimo procedimento hanno avuto avvio - senza iscrizione di indagati - nel marzo 2002, per i reati di cui agli artt. 674 e 734 c.p., nonché per l’altra fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 2 l. n. 624/96, e si sono sviluppate principalmente attraverso una consulenza tecnica attribuita al geologo Russo Giuseppe e al tecnico informatico Russo Raffaele, nonché mediante una serie di deleghe investigative conferite dal PM alla GDF di Caserta; i risultati degli accertamenti di PG risultano riassunti nell’informativa del 24-11-03, ricevuta la quale il PM ha proceduto allo stralcio inizialmente citato, contestualmente iscrivendo in data 15-12-03 nel RGNR alcuni degli attuali imputati ( Luserta Luigi e Iuliano   Nicola, nonchè altre cinque persone ) e formulando ipotesi di reato più gravi, come l’associazione per delinquere, il falso ideologico, la truffa aggravata ed altro.

Secondo l’impostazione difensiva, la mancanza di una richiesta d’autorizzazione a proseguire le indagini nel periodo posteriore alla scadenza del primo semestre successivo all’iscrizione della notizia di reato ( 7 novembre 2002 ) renderebbe inutilizzabili, a norma dell’art. 407 co. 3° c.p.p., tutti gli atti compiuti dal Pubblico Ministero a partire dalla data appena precisata: sarebbero così travolti dalla suddetta sanzione processuale sia gli accertamenti posti in essere ancora nell’ambito del procedimento n. 4825/02, sia quelli effettuati invece in seno all’attuale procedimento, che costituisce diretta filiazione del primo e, quindi, ne perpetuerebbe l’originario vizio; in definitiva, quasi l’intero materiale acquisito al fascicolo del Pubblico Ministero non potrebbe essere impiegato ai fini della decisione.

L’eccezione è tuttavia infondata e va disattesa.

La più recente giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di chiarire la differenza che intercorre tra la richiesta di proroga prevista dall’art. 406 c.p.p. nei procedimenti iscritti nei confronti di indagati noti e il diverso istituto disciplinato dal capoverso dell’art. 415 c.p.p.

Infatti, quest’ultimo – a differenza del primo -  non è preordinato a garantire il potenziale indagato dal tentativo di aggiramento delle norme che prevedono  i termini massimi entro i quali deve svolgersi l’attività investigativa, bensì ad assicurare il rispetto del principio di obbligatorietà dell’azione penale, evitando che a tale principio si sottraggano indagati già noti attraverso l’utilizzo dell’espediente dell’iscrizione del procedimento nel registro ignoti ( Cass. 27-3-1998, D’Anna ); la diversa natura appena evidenziata comporta dunque che l’omissione della richiesta di proroga, nel procedimento contro ignoti, non può mai comportare l’applicazione della sanzione di inutilizzabilità degli atti d’indagine.

Tale conclusione è stata espressamente enunciata dalla Suprema Corte nella pronunzia n. 2837 ( imp. Pellegrini ) resa dalla I Sezione in data 16-12-04: la menzionata sentenza enuncia infatti il principio di diritto secondo cui “ nei procedimenti a carico di ignoti l’omessa presentazione nel termine di legge, da parte del PM, della richiesta di archiviazione o di autorizzazione a proseguire le indagini non comporta alcun tipo di sanzione processuale “.

Ne discende il rigetto dell’eccezione di inutilizzabilità di tutti gli atti d’indagine compiuti anteriormente alla data del 15-12-03, allorché vi fu la prima iscrizione nel RGNR di soggetti compiutamente generalizzati.

Sul punto, è il caso di ricordare che, per giurisprudenza assolutamente consolidata, il termine di durata massima delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il PM effettivamente iscrive l’indagato nell’apposito registro, non dal diverso e anteriore momento nel quale avrebbe dovuto procedere all’iscrizione; ne consegue che non è consentito al GIP alcun sindacato al riguardo, anche ove possa dirsi stabilito che l’iscrizione sia stata tardiva.

Ciò posto, occorre allora prendere in esame la seconda doglianza difensiva, incentrata sulla presunta inutilizzabilità - per omessa presentazione, da parte del PM, della richiesta di proroga nei confronti dei soggetti ( come detto, Luserta Luigi e Iuliano Nicola, oltre a Natale Pasquale, Ventrone Luciano, Moccia Gennaro, Caltagirone Francesco e Iuliano Elvira ) iscritti il 15-12-03 - degli atti d’indagine posti in essere dopo la scadenza del primo semestre seguito all’iscrizione stessa, e quindi dopo il 15 giugno 2004.

L’assunto è smentito dall’esame del fascicolo processuale, da cui si evince che, in realtà, la proroga fu ritualmente chiesta, nei confronti di tutti i sette indagati già iscritti, in data 1° giugno 2004, e fu accordata dal GIP con decreto del 27 ottobre 2004; ne discende che sono certamente utilizzabili, almeno sotto tale profilo, tutti gli atti d’indagine compiuti fino al 30-1-05, data alla quale gli accertamenti investigativi si erano già conclusi, tanto che erano stati emessi anche provvedimenti cautelari personali e reali da parte del GIP.

L’eccezione va perciò respinta.

Deve essere infine esaminata la doglianza concernente l’inutilizzabilità dei verbali e degli atti che documentano l’attività di intercettazione telefonica eseguita a far data dal 7 gennaio 2004; l’obiezione difensiva, come sopra accennato, investe la presunta violazione dell’art. 268 co. 3° c.p.p., sostenendosi che i decreti esecutivi emessi dal PM non offrirebbero adeguata spiegazione della ragione per cui le operazioni di captazione avvennero mediante impianti in dotazione alla GDF di Caserta, presso la sede di tale Corpo di Polizia; tanto sotto i due differenti aspetti dell’insufficienza o inidoneità degli impianti esistenti presso la Procura della Repubblica e dell’urgenza di dare avvio all’attività di ascolto.

La questione così proposta è una delle più dibattute nella giurisprudenza di legittimità, e ha dato spunto a un recente intervento delle Sezioni Unite ( sent. n. 30347 del 12-7-07, Aguneche ), nel quale la Suprema Corte ha affermato: a) la necessità che il decreto del PM che dispone l’esecuzione delle intercettazioni sia sorretto da congrua motivazione con riguardo a ciascuno dei presupposti legittimanti la deroga alla metodica ordinaria; b) l’impossibilità o comunque l’irrilevanza di una integrazione postuma del decreto se non da parte del Pubblico Ministero e in epoca comunque anteriore all’inizio delle intercettazioni.

Nel dettaglio, si è affermato che il requisito della “insufficienza o inidoneità “ degli impianti esistenti presso la Procura della Repubblica deve trovare un maggiore o minore riscontro motivazionale in dipendenza delle ragioni concretamente addotte nel Pubblico Ministero: se, cioè, l’insufficienza è determinata da considerazioni attinenti ad un giudizio di non proporzione tra gli impianti della Procura e particolari necessità investigative, è scontato che l’impegno motivazionale del PM debba essere maggiore e mettere in luce le specifiche ragioni di tale insufficienza; se, per contro, la ragione dell’insufficienza consiste nella mera indisponibilità di postazioni libere, giocoforza non può pretendersi null’altro che la constatazione di tale oggettiva situazione                ( specificamente, in fattispecie analoga, Cass. S.U. 26-11-03 n. 919, Gatto ).

Anche per quanto concerne il secondo presupposto del ricorso ad impianti esterni, e cioè l’urgenza di dare inizio alle operazioni di ascolto, è indiscussa la necessità di una specifica motivazione al riguardo, e si controverte soltanto sull’estensione di tale onere del Pubblico Ministero.

Nell’ipotesi di carenza di motivazione dei decreti esecutivi su uno dei due aspetti, diventa decisivo valutare se e in quali limiti il decreto carente sia suscettibile di integrazione. 

Con la sentenza S.U. 31-10-01 n. 42792, Policastro, la Cassazione ritenne eventuali deficit motivazionali integrabili con il richiamo per relationem al contenuto dei decreti autorizzativi del GIP che, ad esempio, dessero conto di una situazione di attuale e pieno svolgimento dell’attività criminosa e dell’indispensabile velocità del contro-intervento repressivo; numerose pronunzie successive hanno poi postulato la possibilità di integrazione anche successiva, addirittura ad opera del giudice di legittimità ( da ultimo Cass. Sez. V, 8-2-06, Santapaola; Cass., Sez. V., 12-4-06, Pulvirenti; Cass., Sez. VI, 31-5-06, Carbone  ).

Tale ultimo orientamento è stato disatteso dal più recente decisum delle Sezioni Unite, che – partendo dal postulato per cui le condizioni legittimanti la deroga “ in tanto possono rilevare in quanto non solo se ne prospetti la reale sussistenza fattuale, ma anche in quanto tale sussistenza sia stata accertata e ritenuta dal magistrato, conseguentemente apprezzata e fatta propria dallo stesso “ - hanno concluso che un potere di integrazione è ravvisabile solo in capo al Pubblico Ministero    ( “ è solo al magistrato inquirente, difatti, che si appartiene la delibazione in ordine al quomodo dell’attività intercettativa; non è dato al giudice…..di integrare un atto di parte…né di sostituirsi al magistrato inquirente nel rendere una motivazione giustificatrice che quello non ha affatto reso in ordine all’adozione di una scelta tecnica nel compimento dell’atto piuttosto che di altra “ ).

La pronunzia appena riportata appare, invero, eccessivamente formalistica laddove impedisce al Giudice della cognizione di operare un controllo sulla desumibilità aliunde della sussistenza dei presupposti richiesti dall’art. 268 co. 3° c.p.p. e ne restringe invece la delibazione alla congruità della motivazione testuale del decreto del PM, senza che tale singolare limitazione trovi solidi argomenti letterali o di sistema; non si comprende, cioè, per quali motivi dovrebbe essere ignorata l’effettiva ricorrenza dei requisiti di legge, ove desumibile dagli atti del procedimento, solo perché il PM non li ha messi nella dovuta evidenza nel proprio decreto.

Ma, al di là di tale rilievo ( che non si approfondisce ulteriormente perché irrilevante nel caso in esame ), reputa questo Giudice che sia necessario ben distinguere le diverse ipotesi di integrazione del decreto esecutivo delle operazioni di intercettazione, nel senso che neppure il più recente arresto delle Sezioni Unite impedisce di tener conto delle fonti integrative già esistenti al momento dell’emissione del decreto esecutivo: la Suprema Corte ha posto infatti l’accento sulla considerazione per cui il dato saliente è che dall’esame del decreto possa ricavarsi che la scelta del PM è frutto di una ponderata valutazione delle alternative a disposizione, ragion per cui, se nella sequenza procedimentale costituita dall’informativa di reato della PG, dalla richiesta di autorizzazione del PM, dal decreto autorizzativo del GIP e infine dal decreto esecutivo del PM è comunque rinvenibile un’adeguata traccia di tale ponderata valutazione, non v’è dubbio sull’utilizzabilità  delle intercettazioni, nonostante l’eventuale laconicità dell’atto in cui la tratteggiata sequenza sfocia. 

Così fissati i criteri cui conformarsi nell’analisi della ritualità delle operazioni intercettizie, non resta che applicarli alla concreta fattispecie .

Va subito evidenziato che nessuna questione si pone con riferimento alle richieste d’intercettazione ( in sigla RIT ) distinte dai numeri da 656/04 a 694/04 ( si tratta delle intercettazioni eseguite nella parte conclusiva delle indagini ), e a quella n. 54/04 ( relativa ad un’utenza in uso a Iuliano    Nicola ), posto che in tali casi le operazioni di captazione sono avvenute con l’utilizzo degli impianti in uso alla Procura.

Tra le intercettazioni invece eseguite nella sala ascolto della GDF di Caserta, pienamente utilizzabili devono ritenersi quelle di cui alle RIT n. 59/04 ( utenze in uso a Ferrigno Lucio e Vitale Marcello ), 107, 108 e 119/04 ( utenze in uso a Luserta Giuseppantonio e Maccauro Giuseppe ), posto che tutti i relativi decreti esecutivi contengono un’esaustiva e appagante motivazione.

Pure utilizzabili sono le intercettazioni oggetto della RIT n. 34/04, che abbraccia l’utenza cellulare n. 335/457634 in uso a Luserta Luigi, l’utenza cellulare n. 335/7822549 in uso a D’Agostino Sebastiano e l’utenza cellulare n. 335/444052 in uso a Cicotti Diego.

Invero, deve riconoscersi che il decreto esecutivo reso dal PM in data 2-2-04, oltre a dare atto dell’indisponibilità di postazioni libere nella sala ascolto della Procura della Repubblica ( così soddisfacendo, per le ragioni già precisate, al primo dei requisiti richiesti dalla norma ), contiene invece una mera clausola di stile quanto alla ritenuta urgenza ( “ considerata l’urgenza e indifferibilità “ ); tuttavia – e si rinvia sul punto alle argomentazioni che precedono – non può ignorarsi che il decreto autorizzativo emesso dal GIP in pari data operava invece un espresso riferimento ad attività delittuose in corso, riferimento evidentemente recepito dal PM e posto a base della sua scelta di dare avvio all’intercettazione senza attendere la sopravvenuta disponibilità di una postazione in Procura.

Per gli stessi motivi deve essere dichiarata utilizzabile l’intercettazione dell’ulteriore utenza ( n. 348/4007550 ) in uso a D’Agostino Sebastiano ( v. RIT 46/04 ), trattandosi di mera sostituzione della precedente scheda.

Considerazioni diverse si impongono per la RIT n. 570/03, avente ad oggetto l’utenza cellulare n. 328/2134362, in uso a Fortunato Manlio, e l’utenza fissa n. 0823/441210, indicata ( ma erroneamente ) come in uso a Ribattezzato Salvatore.

Il relativo decreto esecutivo menziona l’indisponibilità di postazioni libere presso la sala intercettazioni della Procura, ma omette qualunque riferimento a situazioni di urgenza; nessun cenno al riguardo si coglie neppure nella richiesta di autorizzazione ( che anzi preannunzia l’utilizzo degli impianti in Sede ) e quindi nel provvedimento di autorizzazione; del resto, come evidenziato dalla Difesa di Luserta Luigi, il tempo trascorso tra autorizzazione ed effettivo avvio delle operazioni ( venti giorni ) esclude che urgenza vi fosse.

Ne consegue l’inutilizzabilità delle intercettazioni in discorso, peraltro concretamente eseguite sulla sola utenza del Fortunato.

Ugualmente inutilizzabili, e per identici motivi, sono le intercettazioni telefoniche di cui alla RIT 12/04 ( utenza fissa n. 0823/210106 in uso a Ribattezzato Salvatore ) e l’intercettazione ambientale negli uffici del Genio Civile di Caserta ( RIT 33/04 ).

Un discorso più articolato meritano infine le intercettazioni telefoniche eseguite nell’ambito della RIT n. 23/04, sull’utenza cellulare n. 339/2073522 in uso a Ribattezzato Salvatore e su quella n. 333/1250295 in uso a Desiderio Mauro.

Anche in questo caso, il decreto esecutivo emesso dal PM in data 19-1-04 è certamente lacunoso, difettando di qualunque indicazione sia sull’insufficienza o inidoneità degli impianti esistenti presso la Procura, sia sull’urgenza delle operazioni.

Tuttavia, rimandando a quanto già osservato in tema di auto ed etero-integrazione del decreto in forza del contenuto di atti ( del sub-procedimento autorizzatorio ) anteriori o coevi, è agevole osservare che la mancanza di postazioni libere in Procura è stata espressamente menzionata nell’informativa della GDF dello stesso 19 gennaio ( v. fog. 6 ), mentre le ragioni d’urgenza sono state adeguatamente rappresentate proprio dal PM nella richiesta d’autorizzazione, in cui si evidenziava, in rapporto all’ipotizzato reato associativo, il pieno svolgimento dell’illecito, attuato tramite ripetuti contatti tra i titolari delle cave e i funzionari dell’Ufficio del Genio Civile.

Le intercettazioni in discorso vanno dunque dichiarate utilizzabili “.

Con tale provvedimento, venivano perciò accolte le sole eccezioni relative all’inutilizzabilità dell’attività di intercettazione ambientale esperita all’interno dell’ufficio del Genio Civile di Caserta ( RIT 33/04 ) e delle attività di intercettazione telefonica eseguite sulle utenze n. 328/2134362, n. 0823/441210, n. 0823/210106 ( RIT 570/03 e 12/04 ), con il rigetto di tutte le diverse questioni sollevate dalla Difesa.

In chiusura dell’udienza, gli imputati Cicotti, Fenucciu e Casella chiedevano di essere giudicati con il rito abbreviato; analoga istanza veniva avanzata dal Ribattezzato, dal Luserta e dallo Iuliano, che tuttavia subordinavano la loro richiesta all’escussione dei loro consulenti di parte, Ingg. Giuseppe Patti, Raffaele Poidomani, Paolo Pavarini e Giancarlo Atza; sul punto, il PM chiedeva che, in caso di accoglimento della condizione apposta alla richiesta di rito alternativo, fosse disposta – a prova contraria – l’audizione anche dei propri consulenti.

Con ordinanza letta in udienza, il Giudice non accoglieva la condizione in parola, considerando – da un lato - superflua l’audizione del consulente ( l’ing. Patti ) che già aveva depositato una relazione scritta e – dall’altro – inammissibile la richiesta di audizione di tecnici di parte sganciata dalla precisazione degli aspetti sui quali gli stessi avrebbero dovuto essere ascoltati; nella stessa ordinanza era però fatta riserva di un possibile approfondimento ex art. 441 co. 5° c.p.p. dell’indagine tecnica su specifiche questioni di complessa risoluzione.

Presa conoscenza della decisione, anche il Ribattezzato, il Luserta e lo Iuliano dichiaravano di voler accedere al giudizio abbreviato ordinario; pertanto, all’udienza dell’11 febbraio 2008, nella quale si dava altresì atto dell’avvenuto deposito di vari elaborati tecnici nell’interesse degli imputati, era disposta la separazione del procedimento concernente il giudizio abbreviato da quello relativo agli imputati che non avevano compiuto tale opzione processuale.

Subito dopo il Giudice, ritenendo necessario lo svolgimento di un’attività di integrazione probatoria volta a chiarire l’origine delle numerose e radicali divergenze che si registravano fra il contenuto delle contrapposte consulenze, disponeva procedersi all’esame in contraddittorio dei consulenti tecnici della cui opera le parti processuali si erano avvalse.

All’udienza del 9-4-08, manifestata la scelta per il rito abbreviato anche da parte di Albanese Giovanni, si procedeva all’audizione ( documentata con stenotipia ) del Col. Enzo Santoro, in ordine alla consulenza redatta dall’Istituto Geografico Militare di Firenze; seguivano gli esami del Prof. Giancarlo Atza, tecnico di parte del Ribattezzato e dello Iuliano, e dell’Arch. Alfredo Maciariello, co-autore della consulenza del Pubblico Ministero; il Maciariello, in particolare, produceva note di controdeduzione avverso i rilievi critici mossi dall’Atza alla consulenza del Pubblico Ministero.

L’attività istruttoria proseguiva e si concludeva all’udienza del 7-5-08, con l’audizione del geologo Giuseppe Russo, nuovamente dell’arch. Maciariello, e degli Ingg. Giuseppe Patti, Raffaele Poidomani e Paolo Pavarini; nella stessa udienza, l’Ing. Atza depositava ulteriore memoria tecnica.

All’udienza del 30 maggio 2008 aveva così inizio la discussione finale: rassegnavano le rispettive conclusioni – nel senso trascritto in epigrafe - il Pubblico Ministero e alcune delle parti civili            ( Ministero dell’Ambiente, Regione Campania, WWF Italia e Adiconsum ).

All’udienza del 12 giugno seguente si avevano invece le conclusioni del Comune di Caserta, della Lipu, di Legambiente Campania, del Comitato del Quartiere San Clemente e del Comitato Parco Cerasole – Parco degli Aranci; l’udienza continuava con le discussioni degli avvocati  Gennaro Iannotti ( per Iuliano Nicola ) ed Ernesto De Angelis ( per Ribattezzato Salvatore e Casella Vincenzo ); l’Avv. De Angelis depositava nel contempo memoria difensiva.

In apertura dell’udienza del 16 luglio 2008, l’Avv. Francesco Ferraiuolo, premesso di essere stato nominato nuovo difensore e procuratore speciale della Provincia di Caserta, rappresentava che il mancato intervento del precedente difensore dell’Ente alle udienze del 30 maggio e 12 giugno 2008 era imputabile a mere disfunzioni organizzative e non poteva essere perciò interpretato come manifestazione tacita della volontà di rinunziare alla costituzione di parte civile; chiedeva quindi d’essere ammesso a rassegnare le proprie conclusioni, non essendosi ancora esaurita la discussione; il Giudice accoglieva la richiesta, ritenendo che la stessa non comportava sacrificio alcuno del diritto di difesa degli imputati, potendo essere abilitati a rinnovare la discussione, ove ne avessero avuto interesse, i difensori che vi avevano già proceduto.

Precisate in tal modo le conclusioni anche nell’interesse della Provincia di Caserta, procedevano alla discussione gli Avv.ti Luciano Costanzo ( per Cicotti Diego ), Rosario Giovine ed Emilio Nicola Buccico ( per Fenucciu Demetrio, il quale rendeva anche spontanee dichiarazioni ), Domenico Cesaro ( per Luserta Luigi ); venivano inoltre depositate note difensive nell’interesse del Fenucciu e del Luserta.

All’udienza del 17 luglio discutevano invece gli Avv.ti Francesco Picca ( per Albanese Giovanni ) e Giovanni Riccardi ( per Iuliano Nicola ).

La discussione veniva completata all’udienza del 17 settembre 2008 con l’intervento dell’Avv. Giuseppe Stellato, nell’interesse del Ribattezzato; nella circostanza veniva depositata ulteriore nota difensiva.

Si perveniva così all’odierna udienza, durante la quale il PM e i difensori delle parti private procedevano alla replica.

Il Giudice riservava quindi la decisione, pronunziando all’esito della camera di consiglio il dispositivo della sentenza.     

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

CAPITOLO PRIMO

LA RICOSTRUZIONE ACCUSATORIA E LE FONTI DI PROVA A SOSTEGNO

            

1.1  – L’ipotesi di accusa

 

La lettura del capo d’imputazione, sia nella originaria versione proposta con la richiesta di rinvio a giudizio, sia nel testo definitivo scaturito dalle modifiche e integrazioni apportate dal Pubblico Ministero all’esito dell’ordinanza emessa dallo scrivente all’udienza del 18 maggio 2007 ( cfr. la narrativa che precede ), fa comprendere quale sia stata l’interpretazione data dalla Pubblica Accusa alle risultanze delle indagini preliminari e quale sia lo scenario che viene prospettato al giudicante.

Secondo la valutazione operata dagli inquirenti, fino al 2 dicembre 2004 avrebbe operato nella provincia di Caserta un’associazione per delinquere formata da una pluralità di soggetti, di diversa provenienza e qualifica, avente come finalità quella di consentire ai titolari di alcune cave, quasi tutte collocate nelle immediate vicinanze della città di Caserta, di procedere illegittimamente all’attività di escavazione di materiale calcareo.

Protagonisti di tale criminoso sodalizio sarebbero anzitutto i titolari delle cave in questione, e quindi Luserta Luigi ( la cui omonima ditta individuale gestisce una cava sita in Caserta alla località            S. Lucia – Centurano ), Cicotti Diego ( indicato dal PM quale effettivo dominus della Srl Fran.Ca., che gestisce una cava in località Sovrapioppi ), Iuliano Nicola ( ritenuto dagli inquirenti reale gestore della Iuliano Srl, formalmente amministrata dalla figlia Elvira, come tale diretto responsabile della coltivazione della cava in località Monte, frazione San Clemente ) e D’Agostino Sebastiano ( anche lui individuato come il concreto titolare della D’Agostino Srl, il cui rappresentante legale è Ventrone Luciano, società che esercita l’attività di coltivazione di una cava in località Provine Pioppi ); i quattro esercenti appena menzionati, avvalendosi dell’opera e dell’intermediazione dell’Ing. Ribattezzato Salvatore, direttore tecnico delle cave Luserta, D’Agostino, Fran.Ca. e Moccia ( nonché direttore di fatto anche della cava Iuliano ), del collaboratore di questi Casella Vincenzo e di un legale, l’Avv. Demetrio Fenucciu, sarebbero riusciti ad instaurare una stabile relazione criminosa con alcuni funzionari del Genio Civile di Caserta ( la pubblica amministrazione deputata alla vigilanza sull’attività di cava esercitata nella provincia ), e in particolare con Cioppa Angela Maria ( responsabile del Servizio Legale ), con Albanese Giovanni ( il soggetto incaricato della materiale attività di controllo ) e soprattutto con Fortunato Manlio, responsabile dell’Unità Operativa Cave per il territorio del Basso Casertano; proprio attraverso l’illecita intelligenza con i citati pubblici funzionari, i titolari delle cave sarebbero riusciti a porre in essere una “ capillare attività di falsificazione di atti e di documenti costituenti l’aspetto autorizzatorio delle singole  cave “ e a ottenere che “ venissero sistematicamente omessi i controlli sulle attività estrattive imposti dalla normativa vigente “.

Più in dettaglio, come si evince dal catalogo dei delitti-scopo che correda l’imputazione associativa, sarebbero da ritenere ideologicamente falsi tutti i quattro decreti autorizzativi emessi dall’Ufficio del Genio Civile per ciascuna delle quattro cave in discorso ( decreti  n. 2252 e 2253 del 5-9-01, il primo in favore della Fran.Ca., il secondo concernente la ditta Luserta; n. 1389 del 17-7-02 per la Iuliano Srl; n. 731 del 6-5-02 per la cava D’Agostino ), essendo dette autorizzazioni in contrasto con le leggi che disciplinano l’attività estrattiva in Campania, e dovendo imputarsi detta violazione di legge al fine illecito di favorire gli esercenti delle cave; allo stesso modo, sarebbe viziata tutta una serie di atti ( i cosiddetti O.S.E. – Ordini Servizi Esplosivi ), volti a consentire l’utilizzo di esplosivo nella coltivazione delle cave, atti che si assumono aver permesso la coltivazione delle cave anche in aree in cui l’escavazione non era ammessa.

I titolari delle cave, in concorso con tutti gli altri imputati destinatari della richiesta di rinvio a giudizio, si sarebbero resi inoltre responsabili del delitto di truffa aggravata commesso mediante vari artifizi e raggiri ( presentazione di falsi elaborati progettuali attestanti un andamento plano-altimetrico delle cave difforme dalla realtà, falsa attestazione dell’esistenza di pericoli di crollo, simulazione dell’avvio dell’attività di risanamento ambientale ) e consistito nell’aver venduto materiale asportato in aree non legittimate, nell’aver omesso in tutto o in parte il versamento dei contributi dovuti al Comune di Caserta, nell’aver sottostimato dolosamente i quantitativi di calcare; il complesso di tali attività avrebbe provocato un irreversibile danno ambientale, tale da essere sussumibile nella fattispecie astratta di cui all’art. 434 c.p., cagionato anche attraverso la dolosa omissione  “ dei prescritti controlli e accertamenti imposti dalla normativa vigente, e in particolare dall’art. 25 L.R. n. 17/95 “ e delle “ dovute prescrizioni stabilite dalla legge in materia di emissioni in atmosfera di polveri diffuse “.     

 

1.2  – Rilievi critici sulla struttura dell’imputazione

 

Si è accennato, nella parte dedicata all’esposizione degli accadimenti processuali, che i pilastri su cui si fondano gli addebiti mossi agli imputati sono essenzialmente tre, e cioè:

a) le risultanze dell’attività di intercettazione telefonica, dalle quali dovrebbe essere fornita soprattutto la prova dell’esistenza della ventilata associazione per delinquere, posto che nessuno degli altri elementi di prova acquisito al processo offre la dimostrazione dell’esistenza di rapporti fra i titolari delle cave e i loro consulenti da un lato, i funzionari dell’Ufficio del Genio Civile dall’altro;

b) la consulenza tecnica redatta dall’Istituto Geografico Militare di Firenze, la cui valenza probatoria, come meglio si evidenzierà nel prosieguo, deve però ritenersi limitata – per espressa dichiarazione del Col. Enzo Santoro, resa all’udienza del 9 aprile 2008 – alla determinazione dei volumi del materiale estratto da ciascuna singola cava;

c) la consulenza a firma del collegio composto dall’Arch. Alfredo Maciariello, dal geologo Giuseppe Russo e dall’esperto informatico Raffaele Russo, che investe principalmente il profilo della ritenuta illiceità dei decreti dirigenziali di autorizzazione e degli O.S.E.

Prima ancora, tuttavia, di addentrarsi nell’esame delle descritte fonti di prova, corre l’obbligo di evidenziare alcune rilevanti perplessità suscitate dalla sola lettura della contestazione.

 

1.2.1 - In primo luogo, va rilevato che le accuse sono state formulate nella loro globalità nei confronti di tutti gli imputati, senza distinzioni di sorta fra le varie – e pur differenti – posizioni soggettive.

E’ appena il caso di segnalare che l’aver ipotizzato l’esistenza di uno stabile organismo criminoso cui – con diversi ruoli - avrebbero preso parte tutti gli imputati non autorizza a ritenere costoro coinvolti in ognuno dei delitti–scopo che l’associazione avrebbe perpetrato: sul punto, la giurisprudenza di legittimità è granitica nell’affermare che “ gli associati per delinquere non possono ritenersi, per ciò solo, autori o concorrenti nei delitti commessi in esecuzione del comune programma di delinquenza, richiedendo la riferibilità del reato-fine all’associato, anche a titolo di concorso nella realizzazione dell’azione delittuosa, la prova di una partecipazione materiale o morale al fatto, alla stregua dei comuni principii e in ossequio ai criteri fondamentali che presiedono all’accertamento della responsabilità penale “ ( Cass. 1-4-92, Bruno, in Cass. Pen. 93, 1987 ); si è anzi precisato che neppure nei riguardi dei dirigenti dell’organizzazione, ancorchè questa sia strutturata in modo fortemente verticistico, è consentito presumere il concorso nei      reati-fine “ in assenza di specifici elementi idonei a dimostrare sia un contributo causale alla verificazione del fatto, sia la volontà di cooperare nell’illecito “ ( Cass. 9-2-95, Avanzini, in Cass. Pen. 96,   2520 ).

Se le enunciazioni ora riportate sono esatte, non può essere allora assolutamente condiviso l’indiscriminato coinvolgimento di alcuni degli imputati in condotte che, per la natura dei fatti in contestazione, si palesano ictu oculi inconciliabili con la qualità professionale di taluni degli incolpati: così, a titolo di esempio, non si comprende come il Fenucciu e il Casella possano avere concorso nei reati di cui ai capi da D a I, ovvero come gli imputati diversi dal Ribattezzato o dai gestori delle cave possano rispondere del presunto mancato rispetto della disciplina in tema di immissioni di polveri; per di più, al di là di tali elementari considerazioni, manca spesso nelle singole contestazioni ogni concreto ed effettivo riferimento agli specifici comportamenti costituenti reato, cogliendosi in più parti della descrizione del fatto un’impostazione – certamente errata e fuorviante - tesa ad addebitare a tutti gli esercenti, collettivamente considerati, ciò che sarebbe invece accaduto in una singola cava; in sostanza, il Pubblico Ministero non ha considerato di trovarsi di fronte a tante autonome imprese, ma si è invece comportato come dovesse vagliare un’unica realtà fenomenica, nella quale ben potevano ricadere su tutti le ipotetiche violazioni dei singoli.

Di tale censurabile impostazione del processo l’articolazione degli addebiti reca invero vistose tracce.

Si allude – ad esempio - ai riferimenti, formulati senza chiarire con precisione quali imputati o quale cava riguardino, circa la presunta falsa attestazione dell’esistenza di “ pericoli di crollo su estesi fronti di cava “, ovvero di “ risanamenti ambientali su aree di cava in realtà mai realizzati o ultimati “  ( cfr. prima parte del capo B ); il medesimo vizio d’origine si rileva soprattutto per la contestazione di truffa sub D, dove ancora una volta le due condotte appena citate ( peraltro poco congruenti con la nozione di artifizio o raggiro comunemente accolta dalla giurisprudenza: tale argomento, però, sarà approfondito nella sua sede naturale )  vengono addebitate a tutti gli imputati senza che possano comprendersi nè i fatti materiali concretamente interessati dalla contestazione, nè chi li abbia posti in essere, né infine dove e quando gli stessi si siano verificati; analogo problema è ravvisabile al capo I, relativo all’omessa adozione delle prescrizioni in materia di emissione in atmosfera di polveri diffuse in quantità tali da determinare il superamento dei limiti di inquinamento di legge, non essendovi sul punto alcuna specificazione attinente alle quantità di polveri addebitabili a ciascuna cava e alla misura della descritta eccedenza.

 

1.2.2 – Un ulteriore aspetto di criticità della contestazione è poi legato al suo forte tasso di genericità, non completamente eliminato neppure dopo la modifica operata dal PM nel corso dell’udienza preliminare.

La lettura degli addebiti sub B e C ( che rappresentano, a ben vedere, il fulcro dell’intero processo ) permette infatti di notare che, nonostante lo sforzo di individuare i concreti profili di illegittimità/illiceità riscontrati nei decreti dirigenziali di autorizzazione e nei vari O.S.E., l’incolpazione è rimasta priva dell’indicazione di alcuni aspetti essenziali, tanto da aver costretto le parti e il Giudice ( operazione, questa, facilitata dal rito speciale e dalla conseguente disponibilità dell’intero fascicolo del PM )  ad enucleare autonomamente ( grazie soprattutto alle risultanze della consulenza tecnica ) gli aspetti rilevanti per la decisione.

Un esempio della doglianza in parola può trarsi dal capo B, laddove, nel descrivere la condotta materiale ascritta al Luserta e al Ribattezzato, il PM addebita loro di aver redatto e sottoscritto “ i progetti e gli altri documenti necessari per l’ottenimento del decreto dirigenziale di autorizzazione n. 2253 del 5-9-01 e l’Ordine di Servizio per l’impiego di Esplosivi del 31-1-01, dichiarando falsamente che particelle catastali sulle quali effettuare la coltivazione erano presenti nell’istanza di prosecuzione “, nonché, per gli O.S.E. del 19-10-01 e 27-1-04, “ attestando in modo non veritiero l’andamento plano-volumetrico della cava “.

Tale tecnica di contestazione, riproposta senza miglioramenti per tutti gli altri imputati, all’evidenza pecca di chiarezza e precisione ove si consideri l’insufficienza della menzione “ dei progetti e altri documenti necessari “ di fronte ad istanze ( quelle volte alla prosecuzione della coltivazione delle cave ) corredate da svariata documentazione e presentate dagli interessati nel lontano 1986, ossia quindici o sedici anni prima dei corrispondenti atti autorizzativi, per di più emessi all’esito di attività istruttorie spesso consistite nella produzione di nuovi documenti ad integrazione della pratica; l’incriminazione si pone quindi ai limiti dell’intellegibilità, tenuto anche conto della mancata indicazione delle particelle catastali cui si riferirebbe la falsa dichiarazione, e la sua traduzione in concreto è stata quindi addossata prima alla valutazione di chi dall’accusa ha dovuto difendersi ( o anche ha dovuto sostenerne, come parte privata, la fondatezza ) e poi all’ermeneutica del giudicante, con i connessi rischi di malintesi e fraintendimenti; le notazioni che precedono valgono anche per gli O.S.E., restando anche in tal caso da stabilire cosa si intenda, caso per caso, per falsa attestazione dell’andamento plano-altimetrico, senza che siano chiariti né quale sia l’atto falso, né quali siano le falsità che lo viziano.

La rilevanza dell’argomento ( che si è dovuto necessariamente affrontare non per amore di polemica, ma per consentire una piena ed effettiva comprensione delle problematiche processuali, e che ci si riserva peraltro di sviluppare ulteriormente allorché si procederà all’esame delle singole contestazioni ) è testimoniata dal fatto che, laddove il Pubblico Ministero ha meglio articolato la descrizione della condotta, procedendo ad una specifica e analitica elencazione degli atti investiti dall’addebito, ne è sortita una contestazione contraddittoria, in cui cioè la parte esemplificativa aggiunta ex novo finisce con lo smentire il postulato di partenza rilevandone la radicale infondatezza.

Si fa riferimento, a tal proposito, a quella parte della contestazione in cui la Pubblica Accusa, nella iniziale versione oggetto della richiesta di rinvio a giudizio, ascriveva al Fenucciu, alla Cioppa e al Fortunato la “ dolosa formazione “ di più atti amministrativi ritenuti viziati ab origine dall’inserimento – fatto ad arte - di profili di illegittimità destinati ad ottenerne la caducazione da parte del giudice amministrativo; in altri termini, il Pubblico Ministero addebitava ai predetti tre imputati una callida e occulta attività di favoreggiamento degli esercenti, ipotizzando che gli stessi – soprattutto grazie all’esperienza professionale e alla particolare competenza dell’Avv. Fenucciu – fossero in grado di provocare l’emissione di provvedimenti in apparenza loro sfavorevoli ( il che avrebbe naturalmente impedito ogni possibile rimprovero ai pubblici funzionari collusi ) ma in sostanza poggiati su fondamenta tanto instabili da consentirne il sicuro annullamento da parte del TAR.

Invitato – con l’ordinanza del 18 maggio 2007 – ad indicare su questo specifico punto a quali atti intendesse richiamarsi, il Pubblico Ministero ha fatto riferimento ai due decreti ( il n. 731 del 6-5-02 e il n. 1389 del 17-7-02 ) emessi dall’Ufficio del Genio Civile di Caserta allo scopo di consentire la prosecuzione delle cave di pertinenza della D’Agostino Srl e della Iuliano Srl, e inoltre ad un altro provvedimento ( il decreto n. 41 del 26-5-04 ) con il quale fu autorizzata l’apertura di una cava di basalto in Mignano Montelungo; l’elenco si chiude con una “ relazione di difesa “ dell’11-3-04, ossia con una memoria difensiva inviata dall’Ufficio del Genio Civile all’Avvocatura Regionale allo scopo di contrastare innanzi al giudice amministrativo proprio un ricorso presentato dal Fenucciu.

Orbene, anche a prescindere da ogni considerazione circa l’illegittimità di tali provvedimenti ( che sarà valutata quando saranno passate in rassegna le singole imputazioni ), sembra d’immediata percezione l’insanabile antitesi che si insinua all’interno del costrutto accusatorio, posto che tutti gli atti di natura provvedimentale appena menzionati sono ampliativi dei diritti delle parti private e sono quindi connotate da contenuto favorevole al privato medesimo: non vi sarebbe stata perciò ragione di alterarli scientemente per ottenerne un successivo agevole annullamento, dato che essi soddisfacevano in via immediata e diretta gli interessi dei titolari delle cave ( ciò senza neanche volersi soffermare sulla natura endo-procedimentale della nota difensiva del marzo 2004 e sulla oggettiva confutazione delle ragioni del ricorrente con essa operata dal Genio Civile ).           

 

1.3  – Le intercettazioni telefoniche: analisi delle loro risultanze

 

Come si è in precedenza anticipato, quanto emerso dall’attività di intercettazione delle conversazioni telefoniche intrattenute dagli imputati rappresenta il principale puntello della contestazione del reato associativo, e inoltre integra le ulteriori fonti di prova per quanto concerne alcuni dei delitti-scopo.

Va subito ricordato che la captazione delle conversazioni ha interessato una pluralità di utenze ( ben diciassette ), e in particolare quelle di pertinenza di Fortunato Manlio ( n. 328/2134632, oggetto della richiesta – in sigla RIT – n. 570/03 ), Ribattezzato Salvatore ( utenza fissa n. 0823/210136,  RIT 12/04, e utenza mobile n. 339/2073522, RIT 23/04 ), Iuliano Nicola ( utenza n. 333/5855311, RIT 54/04 ),  Luserta Luigi ( utenza n. 335/457634 ), Cicotti Diego ( utenza n. 335/444052 ) e D’Agostino Sebastiano ( utenza n. 335/7822549: le tre ultime utenze sono tutte oggetto del RIT 34/04 ); il D’Agostino è stato sottoposto ad intercettazione anche sull’utenza n. 348/4007550 ( RIT 46/04 ); si è infine proceduto ad intercettazioni ambientali all’interno dell’Ufficio del Genio Civile di Caserta, nelle stanze di pertinenza del Fortunato e della Cioppa ( RIT 33/04 ).

In forza dell’ordinanza emessa all’udienza del 7 dicembre 2007, testualmente riportata in narrativa, non sono utilizzabili ai fini della decisione le conversazioni registrate a seguito della predetta attività di intercettazione ambientale, come pure tutte quelle di cui alle RIT 12/04 ( utenza fissa del Ribattezzato ) e 570/03 ( utenza mobile del Fortunato ): peraltro, tale limitazione – tenuto conto del complessivo contenuto delle conversazioni – non può considerarsi influente sull’esito finale del giudizio, posto che dai dialoghi espunti non sarebbero stati comunque ricavabili elementi probatori aggiuntivi rispetto a quelli che sono stati invece validamente acquisiti al processo.

Nel procedere alla descrizione e alla valutazione dei risultati dell’attività intercettizia, peraltro esaustivamente compendiati nell’informativa finale della Guardia di Finanza di Caserta in data 8 luglio 2004, occorre ricordare che l’attività di captazione ha avuto inizio nel dicembre 2003 ( e per la sola utenza del Fortunato, colpita dalla dichiarazione d’inutilizzabilità ), investendo un lasso di tempo che riguarda principalmente il primo semestre dell’anno 2004.

Tale dato temporale fa di per sè comprendere la minima utilità delle intercettazioni ai fini della ricostruzione di tutti gli avvenimenti d’epoca anteriore, con particolare riguardo ai presunti illeciti che avrebbero caratterizzato l’emissione dei quattro decreti con i quali il Dirigente dell’Ufficio del Genio Civile permise la prosecuzione della coltivazione delle cave gestite dagli imputati Luserta, Cicotti, Iuliano e D’Agostino: lo iato temporale fra l’attività d’intercettazione e il momento in cui le autorizzazioni furono rilasciate ( settembre 2001 per il Luserta e il Cicotti, maggio e luglio 2002 rispettivamente per D’Agostino e Iuliano ) è infatti d’entità tale ( circa due anni ) da rendere all’evidenza problematico il collegamento tra le conversazioni e i fatti in discorso, specie per ciò che attiene alla ricostruzione dell’elemento soggettivo, che dovrebbe essere desunto presumendo come esistente negli anni 2001-2002 la medesima situazione appurata con riguardo al 2004.

 

1.3.1 – Compiuta tale doverosa e preliminare avvertenza, può subito evidenziarsi che il saliente dato probatorio ricavabile dall’analisi del contenuto delle conversazioni ( quasi tutte captate sull’utenza mobile n. 339/2073522, in uso al professionista ) consiste nell’esistenza di costanti e continuativi contatti tra Ribattezzato Salvatore e alcuni funzionari dell’Ufficio Genio Civile di Caserta, in concreto investito del controllo sull’attività di tutte le cave attive nella provincia.

Detto ufficio, nel triennio 2001/2004, ossia nel periodo di tempo che maggiormente interessa, era diretto dall’Ing. Vittorio Pagliarulo, seguito – nella scala gerarchica – dal Geom. Antonio Losa, dirigente del Servizio Cave, alle dipendenze del quale operavano il Geom. Vincenzo Santorelli ( per l’Alto Casertano ) e l’Ing. Manlio Fortunato ( per la zona del Basso Casertano, comprensiva della città di Caserta ); la dott.ssa Anna Angela Cioppa era invece la responsabile dell’Ufficio Legale. 

Le intercettazioni telefoniche hanno documentato i legami fra il Ribattezzato da un lato, il  Fortunato e la Cioppa dall’altro, provando che fra costoro si era di fatto instaurato un livello di confidenza assolutamente improprio e irrituale ( non è infatti pensabile, ad esempio, che un pubblico ufficiale incontri fuori dalla sede istituzionale persone sulla cui attività deve vigilare, o si abbandoni a pettegolezzi e insinuazioni con soggetti le cui istanze deve valutare ), confidenza spintasi fino alla comunicazione al Ribattezzato degli intenti e dei proponimenti dell’Ufficio e, talvolta, sfociata in un atteggiamento di compiacenza nei confronti dell’ingegnere, al quale veniva addirittura richiesta la preventiva stesura del testo dei provvedimenti che il Genio Civile avrebbe dovuto adottare; analoga facilità di colloquio il professionista aveva nei confronti di un tecnico del medesimo pubblico ufficio, Giovanni Albanese, il cui principale compito era quello di procedere alla materiale esecuzione dei sopralluoghi.

Peraltro, va messo nella dovuta evidenza che ( come meglio si comprenderà dalla lettura dei dialoghi ) i privilegiati rapporti vantati dal Ribattezzato con il Genio Civile appaiono costituire più la sommatoria di una pluralità di contatti individuali con ciascuno dei predetti funzionari, separatamente considerati, che non il sintomo di un consapevole e collettivo accordo criminoso; non è infatti infrequente il caso di conversazioni in cui ciascuno dei pubblici dipendenti invita il Ribattezzato a diffidare del proprio collega e a tenergli nascoste determinate circostanze.

Per comprendere le ragioni si cui si fondano entrambe le conclusioni appena anticipate, non può che farsi ricorso alla specifica menzione del contenuto di alcune intercettazioni, scelte fra quelle che si profilano come maggiormente significative.

 

1.3.2 – Per ciò che attiene al legame fra il Ribattezzato e Cioppa Anna Angela, vanno citate le seguenti telefonate:

n. 115 del 26-1-04, nella quale il Ribattezzato – commentando l’esito di un sopralluogo alla cava Luserta eseguito da Losa Antonio e Fortunato Manlio – confida alla sua interlocutrice: “ il sopralluogo per me è andato abbastanza bene…gli ho fatto vedere quello che gli altri non hanno mai visto…..questi due imbecilli……e li ho messi anche per strada…..però sono rimasto male ….Losa non lo ha firmato “; a tale notizia la Cioppa replica “ ma quanto è stronzo…lo vedi? Lo vedi che non merita niente ? “; sembra di comprendere che il riferimento all’atto non sottoscritto concerna un O.S.E., che peraltro sarà firmato dal Losa il giorno dopo ( infatti, nella telefonata n. 269 del 27-1-04, la Cioppa chiede al Ribattezzato: “ te lo hanno rilasciato poi, cioè l’hai costretto,   Salvatore ? No, perché ho visto che Losa stava sbuffando “ ); nella stessa conversazione la Cioppa solleva dubbi, peraltro generici, sulla rettitudine dei colleghi d’ufficio ( “ Salvatore, purtroppo hai perfettamente ragione, ma la situazione è questa….la difformità laddove esiste non si vede…laddove non esiste si va a creare “ ), e, tornando all’O.S.E. atteso dal Luserta, per il quale il problema sembra nascere dall’inclusione di alcune particelle non autorizzabili ( tanto che Ribattezzato si propone di eliminarle: “ io adesso ci tolgo le particelle da dentro “ ), la Cioppa conforta in tale scelta il suo interlocutore ( “ eh, fai prima Salvatore, fai prima “ ), per poi dargli anche alcuni suggerimenti al riguardo ( “ allargati…l’O.S.E invece di usarlo sulla strada, lo usi sulla montagna “ );

n. 730 in data 11-2-04, nella quale il Ribattezzato si informa con la Cioppa della possibilità di recarsi presso il pubblico ufficio senza incontrare i militari della GDF ( “ posso venire ? ci sono problemi là ? “ ), ricevendo dalla donna risposta affermativa ( “ non è venuto nessuno di quelli che dovevano venire “ );

n. 759 dell’11-2-04, nella quale la Cioppa avverte il Ribattezzato del giudizio favorevole espresso dalla Commissione d’Indagine Amministrativa della Regione sulla cava Fran.Ca;

n. 3284 del 13-3-04, nella quale Ribattezzato chiede alla responsabile dell’Ufficio Legale di potersi recare presso la di lei abitazione ( “ comunque io avevo pensato, se voi stavate a casa, di venirvi un attimo a parlare …perché sapete… su certe cose è meglio che si dicano a quattrocchi “ );

n. 4664 del 25-3-04 e 4926 del 31-3-04, che confermano l’assoluta informalità del rapporto tra i due (  nella prima il professionista invita la Cioppa a pranzo, nella seconda costei consente nuovamente a ricevere a casa il Ribattezzato, per affrontare dei “ problemi “ che il tecnico intende sottoporle );

n. 5052–5057 in data 1-4-04, nelle quali la Cioppa informa il Ribattezzato dell’imminente sopralluogo che l’Ufficio effettuerà presso la cava di tale Palladino, e n. 5083 del giorno seguente, che ha il medesimo oggetto e riguarda stavolta un sopralluogo presso tale “ Natale “                          ( forse da identificarsi in Natale Pasquale, legale rappresentante della Srl Fran.Ca., nei cui confronti non è stata esercitata l’azione penale, avendo il PM considerato gestore di fatto della società e della cava il solo Cicotti Diego ).

 

1.3.3 – Non dissimili sono i rapporti che legano il Ribattezzato al Fortunato, come può desumersi dalle conversazioni di seguito richiamate:

n. 1697 del 24-2-04, nella quale il pubblico ufficiale avvisa Ribattezzato dell’imminente effettuazione di un sopralluogo presso la Reggia Cave di San Felice ( “ sentite un poco….voi stamattina come state combinato? Piscitelli voleva andare a vedere S. Felice, la Reggia Cave “); la confidenza è subito valorizzata dal Ribattezzato, che, due minuti dopo ( tel. n. 1699 ) chiama l’impianto che dovrà essere esaminato, invitando a eliminare la tracce di alcune irregolarità ( “ fra un’oretta ci saranno delle visite… stiamo tutto apposto?  I camion caricano sistemati sopra la     pista ? “ );

n. 1975 del 27-2-04, che prova come il Fortunato – pervenuta presso il Genio Civile una telefonata anonima che segnalava l’abusivo utilizzo di esplosivo nella cava coltivata dalla Srl Beton Meca – prima di compiere qualsiasi altro accertamento ne chiede conto al Ribattezzato ( “ sentite un poco…la Beton Meca oggi ha sparato ? …è arrivata una telefonata….” );

n. 2002 del 27-2-04, nella quale, subito dopo l’accesso presso il Genio Civile di due sottoufficiali della GDF di Caserta ( accesso avvenuto nell’ambito delle indagini preliminari relative al presente procedimento ) e la correlata acquisizione di documenti, il Fortunato avverte l’esigenza di informare immediatamente della cosa il Ribattezzato ( “ io sto sotto l’Ufficio…abbiamo messo le carte nella macchina “ ), il quale mostra peraltro notevole interesse all’argomento ( “ io sono sotto il catasto…venite qua ..parliamo…stiamo qua “ );

n. 2093 in data 1-3-04, che prova come il Fortunato, per emettere un provvedimento che riguarda la cava di D’Agostino Sebastiano, richieda un promemoria al Ribattezzato;  

n. 2440 del 4-3-04, nella quale i due ancora si confrontano sulla medesima tematica di cui alla precedente conversazione;

n. 3756 del 18-3-04, relativa a un pranzo svoltasi quella mattina fra i due e tale “ Armando “;

n. 5066 del 2-4-04. che documenta una nuova anticipazione, da parte del Fortunato, della notizia di un sopralluogo che sta per avvenire ( “ questa mattina ci sono quei due personaggi…Cipolla e Albanese, che devono fare INCA, Del Monaco e Cave Parete “ ); anche stavolta il Ribattezzato non manca di informare a distanza di qualche minuto, nella telefonata n. 5068, il titolare della cava          ( “ sta venendo il Genio Civile “ ), il quale subito si premura di adottare qualche precauzione                ( “ faccio togliere l’escavatore da là sotto “ );

n. 5225 del 5-4-04, che invece attesta la risposta data dal Fortunato ad una richiesta di sopralluogo avanzata dal Ribattezzato onde rendere più celere l’effettuazione di un sopralluogo finalizzato al rilascio di un O.S.E. ( “ vengo io direttamente…ingegnere voi mi dovete fare una cortesia…non state addosso a quel cretino di Albanese…..per piacere non chiamate a questi cretini perchè quelli non vi fanno niente…..non vi preoccupate, adesso li preparo io “ ), risposta che fa percepire con immediatezza l’intento del Fortunato di guadagnarsi la benemerenza del direttore tecnico delle cave.

 

1.3.4 – Venendo ora ai rapporti tra Ribattezzato e l’Albanese, meritano invece citazione queste telefonate:

n. 1386-1389 del 19-2-04, in cui il Ribattezzato, non riuscendo a mettersi in contatto con l’Ing. Fortunato, si rivolge all’Albanese chiedendogli se stia accadendo qualcosa ( “ ma è successo qualcosa stamattina ? Fortunato lo chiamo e attacca il telefono “ ), sentendosi rispondere “ devi venire perché è una cosa seria…….quando vieni ti spieghiamo…..non posso parlare ora per telefono “ ( nella mattinata v’era stato un accesso dei Carabinieri presso l’Ufficio del Genio      Civile ) ;

n. 1443 del 19-2-04, che verte su un favore, che il Ribattezzato sta procurando all’Albanese, presso un ente di patronato presieduto da un esponente politico cittadino, l’Avv. Giuseppe Maccauro;

n. 1974 del 27-2-04, nella quale il pubblico dipendente – sempre in occasione della telefonata anonima che segnalava esplosioni nella cava Beton Meca – prima d’ogni altra cosa contatta il Ribattezzato, bruciando sul tempo anche il Fortunato ( che infatti parla con il professionista un minuto dopo dello stesso argomento, come già visto nella telefonata n. 1975 menzionata al precedente paragrafo );

n. 2897 del 9-3-04, nella quale il Ribattezzato confida all’Albanese che il Fortunato gli fa “ fare delle brutte figure “, ma che deve mantenere i contatti con lui perché “ comunque è gente che mi serve “;

n. 4549 del 26-2-04, in cui l’Albanese, dopo aver proceduto nella mattinata appena trascorsa a dei sopralluoghi presso alcune cave ( fra cui quella coltivata dalla Srl Beton Meca ), intrattiene una conversazione di contenuto criptico con il Ribattezzato, direttore tecnico della stessa cava ( “ devo iniziare il discorso dei sopralluoghi…qua c’è il discorso di quella Beton…si deve vedere un poco….hai capito? “ ), il quale replica “ ci organizziamo la settimana prossima “;

n. 5120 del 2-4-04, nella quale l’Albanese, compiuto il sopralluogo ( presso il già citato “ Natale “, sopralluogo al quale l’ingegnere non ha presenziato ) del quale il Ribattezzato aveva avuto notizia dalla Cioppa nella telefonata n. 5083 ( v. sopra ), ne riferisce l’esito al tecnico con toni preoccupati, specificando tuttavia d’essere stato il più possibile comprensivo con l’esercente ( “ Salvatore, là ci stava qualcosa che non andava…..il riempimento del piazzale non lo ha fatto proprio……abbiamo constatato questo e l’abbiamo scritto…..però abbiamo detto che il riempimento era appena iniziato proprio per cercare di non…..non c’era però gli ho detto fammi il piacere mettiamo appena iniziato  ….per cercare un po’ di salvarlo….però sempre con la massima chiarezza, massima        trasparenza “  ).

 

1.3.5 – Oltre ai descritti rapporti tra il Ribattezzato e i tre pubblici dipendenti, le intercettazioni hanno interessato varie conversazioni fra il direttore tecnico delle quattro cave ( per la precisione, l’incarico era formalmente ricoperto dal Ribattezzato solo per le cave Luserta, Fran.Ca. e D’Agostino, ma di fatto egli seguiva – come proprio le intercettazioni dimostrano - anche le vicende della cava Iuliano, per la quale l’incarico era formalmente affidato all’Ing. Salvatore Maietta ) e suoi collaboratori ( il coimputato Casella Vincenzo e tale “ Clemente “, mai identificato dagli     inquirenti ); inoltre sono stati captati dialoghi con i titolari delle cave e con i loro legali ( fra cui l’Avv. Fenucciu ).

In questa sede, nella quale si voleva far cenno solo al dato probatorio di maggior importanza e di carattere più generale, non rileva dar conto del contenuto di tali conversazioni, che saranno invece esaminate allorché si tratterà del reato associativo, ovvero – per le telefonate riferibili a specifiche condotte criminose in contestazione - quando saranno vagliate queste ultime.

E’ però già il momento di osservare:

1)       che l’impropria tipologia di rapporti che il Ribattezzato era riuscito ad instaurare con il Fortunato, la Cioppa e l’Albanese non ha comunque riguardato la figura apicale dell’Ufficio del Genio Civile, e cioè l’Ing. Vittorio Pagliarulo, diretto firmatario di tutti i quattro decreti autorizzativi ( ad onta dell’errore contenuto nell’imputazione, ove si sostiene che gli atti sarebbero   “ a firma “ del Fortunato ) la cui legittimità e liceità è oggetto di contestazione; proprio tale considerazione ha probabilmente determinato la scelta del Pubblico Ministero di non coinvolgere il Pagliarulo nella vicenda ( il che, peraltro, ha prodotto la singolare situazione per cui proprio l’autore dell’atto amministrativo resta estraneo al processo in cui la Pubblica Accusa sostiene la penale illiceità del provvedimento, e ciò nonostante che il Pagliarulo, nell’interrogatorio reso al Pubblico Ministero, si sia correttamente assunto la paternità delle decisioni, affermando d’essersi liberamente orientato al rilascio delle autorizzazioni, sia pure dopo un confronto con gli altri funzionari del settore cave che avevano proceduto all’istruttoria );

2)       che non sono stati individuati dagli inquirenti scenari di tipo corruttivo, pure in astratto compatibili con la riscontrata situazione di familiarità tra controllori e controllati: di tanto dà espressamente atto la Polizia Giudiziaria che ha proceduto alle indagini, nel corpo della        ( tutt’altro che benevola nei confronti degli imputati, suggestivamente accusati d’aver creato una “ vera e propria associazione per delinquere armata di esplosivi e bulldozer “ )  informativa finale del luglio 2004 ( cfr. pag. 30: “ giova precisare che nel corso di questi mesi di indagine non sono state individuate o comunque provate forme di corruzione  di funzionari del Genio Civile di Caserta aventi come prezzo dazioni di denaro….. sono state invece riscontrate forme di cortesia fatte dagli imprenditori e dall’Ing. Ribattezzato ai dirigenti dell’Ufficio come offerte di pranzi conviviali e regali nel corso delle festività  ) e, difatti, nessuna contestazione del reato ex art. 319 c.p. figura tra gli addebiti;

3)       che l’attività di intercettazione, come ha dimostrato la frequenza dei contatti tra il Ribattezzato e i tre pubblici dipendenti in discorso, al tempo stesso ha fornito l’opposta prova dell’assoluta labilità – se non della completa assenza – di legami tra gli esercenti delle cave e i funzionari medesimi;

4)       che, per restare sul piano della concretezza, gli unici fatti con chiarezza accertati riguardano i vari preavvisi ( cfr., al riguardo, anche le conversazioni n. 74 e 80 del 26-1-04, aventi ad oggetto l’anticipazione al personale della cava Luserta di un controllo che il Genio Civile effettuerà a distanza di pochi minuti ) di cui il Ribattezzato fruiva circa l’effettuazione dei sopralluoghi sugli impianti di cava ( sopralluoghi, peraltro, spesso attinenti a cave diverse dalle quattro cui si riferisce il processo e dalle sette investite dalle indagini ); non vi sono stati però specifici accertamenti diretti a far luce sul carattere o meno segreto di tali controlli, carattere negato dagli imputati, i quali hanno giustificato le anticipazioni in discorso sia con l’esigenza della presenza al sopralluogo di chi sapesse rispondere a quesiti di natura tecnica, sia con l’oggettiva impossibilità – per carenza della necessaria strumentazione – di effettuare in prima persona rilievi, sia infine con l’irrilevanza della preventiva conoscenza del controllo, non essendo possibile in un breve lasso di tempo alterare lo stato dei fronti di cava o nascondere radicali violazioni delle corrette modalità di coltivazione; in ogni caso, anche a voler dare per doverosa la segretezza della data prescelta per i sopralluoghi, è sufficiente constatare che non sono stati formulati addebiti inerenti la violazione del precetto di cui all’art. 326 c.p., e che il reato di rivelazione di segreto d’ufficio non risulta neanche ricompreso fra quelli cui sarebbe stata finalizzata l’azione dell’associazione per delinquere ( né, comunque, le “ soffiate “ sui controlli sono state dedotte come fatto costitutivo della fattispecie di abuso d’ufficio ).

 

1.4 – La consulenza tecnica affidata dal Pubblico Ministero all’IGM            

 

Gli accertamenti tecnici disposti dal Pubblico Ministero per la verifica dell’impostazione accusatoria consistono anzitutto nell’indagine demandata all’Istituto Geografico Militare di Firenze, indagine il cui oggetto è stato chiarito, anche negli aspetti più strettamente tecnici, dal Col. Enzo Santoro nel corso della sua audizione svoltasi all’udienza del 9 aprile 2008.

Come emerge dalla relazione tecnica a fol. 130 e ss. del fascicolo principale, il compito affidato all’Istituto ha riguardato il confronto tra lo stato della morfologia delle aree di cava oggetto d’indagine negli anni 1986 ( anno in cui entrò in vigore la legge regionale n. 54/85 ), 2001                ( allorché il Comune di Caserta ritenne opportuno procedere ad accertamenti sullo stesso tema, affidandoli ad un proprio tecnico di fiducia, il Geom. Marcello Vitale ) e 2003 ( anno d’avvio dell’indagine penale ), confronto diretto appunto a stabilire il volume di materiale estratto da ciascuna cava nei complessivi diciassette anni ( 1986-2003 ) presi in considerazione.

Detto confronto è stato effettuato anzitutto acquisendo tre rilievi aerofotogrammetrici eseguiti: a ) il 29 maggio 1986 dal CGR di Parma per conto dell’AIMA ad un’altezza di 2880 metri; b) il 2 maggio 2001, dal medesimo istituto e per lo stesso committente, ad un’altezza di 6560 metri; c) il 29 agosto 2003 proprio dall’IGM ad un’altezza di 4980 metri; come ha riferito il col. Santoro in udienza, i tre rilievi appena citati sono stati prescelti dalla Procura della Repubblica – tra tutti quelli disponibili – proprio con riferimento all’epoca cui risalivano, epoca che appunto consentiva l’istituzione di un raffronto tra la situazione delle cave al momento della fondamentale modifica legislativa introdotta dalla legge regionale n. 54 ( sul punto si tornerà al capitolo secondo della presente sentenza ) e quella all’attualità ( per tale intendendosi la data di svolgimento delle    indagini ); il Santoro ha pure precisato che, nonostante i rilievi in parola siano stati effettuati non per uno specifico controllo in materia di attività estrattive, ma per finalità diverse ( e cioè nel contesto di  indagini su eventuali frodi all’AIMA per i voli commissionati da tale Ente, per scopi di carattere cartografico per il volo IGM del 2003 ), ciò non ha inficiato in alcun modo la loro utilizzazione per lo specifico e particolare obiettivo perseguito dal Pubblico Ministero.

Acquisiti così i fotogrammi, gli stessi sono stati oggetto di scansione con apparecchio digitale che ne ha consentito un ingrandimento tale da consentire l’utilizzazione anche di quelli rilevati ad una quota aerea maggiore ( quella del 2001 e, in minor misura, del 2003 ).

I risultati in tal modo ottenuti hanno consentito la creazione di modelli stereoscopici, inquadrati geometricamente grazie alla determinazione – avvenuta con un’attività di rilevamento a terra con metodologia GPS - di dieci punti di riferimento plano-altimetrici esterni alle aree di cava, prescelti in quanto rintracciabili in tutti i tre rilievi foto-aerogrammetrici; gli operatori dell’IGM, oltre a rilevare le coordinate dei predetti dieci punti d’appoggio, hanno pure proceduto ( su richiesta del PM e del collegio di consulenti di cui si tratterà al prossimo paragrafo ) a determinare trentaquattro punti – sempre con la metodologia GPS, che consente una precisione centimetrica – all’interno delle cave, per stabilire alla data della determinazione ( 2 aprile 2004 ) l’esatta quota di alcuni piani; infine, l’IGM ( ancora su richiesta dei consulenti del PM ) ha proceduto a determinare sei punti fiduciali del catasto da utilizzare per gli accertamenti demandati al suddetto collegio di ausiliari.

Ottenuto l’orientamento del rilievo aerofotogrammetrico grazie ai menzionati dieci punti di riferimento, l’IGM ha proceduto alla costruzione geometrica del modello numerico del terreno          ( DTM ) per ciascuna area di cava e infine, valutando la differenza tra i volumi ( definiti come il        “ pieno del solido riferito alla quota prefissata “ ) ricavati dei differenti rilievi, al calcolo del materiale asportato negli anni in esame.

Chiarito il procedimento tecnico cui ha fatto ricorso l’Istituto Geografico Militare, deve subito osservarsi che lo stesso appare ineccepibile e non meritevole di censura alcuna, dovendosi considerare infondate le critiche mosse da alcuni consulenti di parte ( in particolare, si rinvia al contenuto delle consulenze a firma dell’Ing. Giancarlo Atza, ribadito all’udienza del 9-4-08 )  in relazione all’utilizzazione dei rilievi aerofotogrammetrici del 2001 e del 2003, ritenuti dall’Atza non adeguatamente precisi proprio in ragione dell’eccessiva altezza della quota dalla quale furono scattate le foto.

All’obiezione ha infatti persuasivamente replicato il Col. Santoro, segnalando che la fotogrammetria digitale consente oggi un ingrandimento “ ad libitum “ delle foto e, di conseguenza, permette di rilevare con precisione, anche partendo da rapporti di scala molto elevati ( come quello 1:40.000, caratterizzante il rilievo del 2001 ), singoli punti d’interesse.

Sgombrato allora il campo da ogni perplessità al riguardo, occorre però ricordare che – come  segnalato proprio dal Col. Santoro – unico fine degli accertamenti demandati dalla Procura all’IGM era quello di verificare la quantità di materiale estratto dagli esercenti delle cave; ciò - evidentemente – per poi controllare se il dato numerico emerso alla fine del complesso iter tecnico fosse o meno congruo rispetto alle dichiarazioni presentate dai gestori nel corso degli anni; sul punto, il Santoro ha affermato d’essere assolutamente certo della bontà dei risultati finali esposti nella tabella a fol. 157 ( cfr. allegato 5 alla consulenza, colonna intitolata “ differenze                1986-2003 “ ), assumendosene senza esitazioni la paternità, e ha al riguardo rilevato che il massimo scostamento possibile tra dato reale e dato calcolato – proprio per l’estrema affidabilità della metodologia seguita – non può essere superiore allo 0,70%; sempre il Santoro ha invece precisato, con estrema chiarezza, che altri aspetti dell’elaborato sono meramente descrittivi ( “ noi abbiamo presentato dei rilievi cartografici, il rilievo cartografico non serve a niente in questo caso, è solo un effetto scenografico per far capire a chi non è del mestiere di cosa si tratta……l’Istituto poteva presentare solo quella tabella per dire questi sono i risultati del lavoro, punto, fine del problema, cioè tutto il resto sono tutte chiacchiere, cioè la planimetria del 2000 o il DTM con cui io posso far vedere come si modella il terreno o come poteva essere la cava è solo un effetto scenografico “ ).    

Se ciò è vero, ne discende che le valutazioni finali dell’IGM, rispetto alle imputazioni che formano oggetto del procedimento, sono pertinenti soltanto in relazione alla contestazione di truffa aggravata sub D ( nella parte dedicata all’analisi di tale contestazione si procederà alla comparazione tra i volumi calcolati dall’IGM e le dichiarazioni degli esercenti, ove presentate ); gli accertamenti tecnici fin qui descritti non hanno invece affrontato ( né potevano farlo ) le complesse problematiche attinenti ai presunti falsi contenuti - secondo l’ipotesi d’accusa - nelle planimetrie, falsi che pure sarebbero stati individuati in forza dei dati ricavati dai rilievi sul terreno operati dai tecnici IGM; in realtà, nel corso delle operazioni di campagna strumentali all’incarico conferitogli, l’Istituto ha svolto anche una funzione ausiliaria del collegio di consulenti formato dall’Arch. Alfredo Maciariello, dal geologo Giuseppe Russo e dall’esperto informatico Raffaele Russo,  raccogliendo dei dati destinati ad essere utilizzati esclusivamente nell’ambito della consulenza dagli stessi redatta; così il raffronto tra i dati IGM da un lato, le planimetrie presentate dagli esercenti in relazione alle richieste di autorizzazione e soprattutto di O.S.E. dall’altro, non è stato operato dall’Istituto Geografico Militare ( sul punto il Col. Santoro ha anzi fatto trapelare le sue perplessità: “ se io voglio plottare, stampare queste immagini digitali su un prodotto cartaceo a scala, faccio inevitabilmente degli errori che inficiano la bontà del … e si rientra in una casistica completamente diversa da quello che è il sistema fotogrammetrico “ ), bensì soltanto dagli autori della consulenza tecnica disposta dal PM, sulla quale è ora il momento di soffermarsi.

 

1.5– La consulenza tecnica collegiale

 

In data 16 settembre 2002 il Pubblico Ministero conferiva al geologo Dott. Giuseppe Russo e all’esperto informatico Raffaele Russo l’incarico di verificare se gli esercenti delle cave gestite da Luserta Luigi e dalle società Cementir, Cementi Moccia, Fran.Ca. e D’Agostino rispettassero, nell’attività di coltivazione dagli stessi espletata, tutte le norme in materia dettate da leggi e regolamenti; la consulenza veniva depositata il 17 febbraio 2003.

A distanza di un anno, e precisamente il 22 marzo 2004, il PM investiva i medesimi due consulenti e l’Arch. Alfredo Maciariello di un nuovo e più complesso mandato, consistente:                              a) nell’accertamento della conformità alle leggi regionali n. 54/85 e 17/95 dei decreti autorizzativi emessi dal Genio Civile di Caserta ( nel quesito non viene specificato a quali decreti si facesse riferimento, ma sembra incontroverso che l’indagine riguardava le cinque cave già prese in considerazione nella prima consulenza del 2002/03, oltre alle cave Antonucci e Iuliano );

b) nell’analisi degli elaborati cartografici allegati ai piani di lavoro necessari per la richiesta degli O.S.E. e della loro compatibilità con i progetti di coltivazione e bonifica approvati;

c) nel confronto del volume del materiale estratto, come calcolato dall’IGM, con quello dichiarato dalle ditte esercenti;

d) nell’individuazione degli elementi essenziali per la valutazione del danno ambientale.

In adempimento dell’incarico, il collegio di consulenti depositava in data 2 luglio 2004 ( quindi immediatamente prima della redazione dell’informativa finale, a sua volta seguita a distanza di tempo quasi altrettanto breve dalla richiesta di misura cautelare ) un complesso elaborato il cui contenuto più rilevante – nell’ottica della valutazione circa l’effettiva sussistenza degli addebiti mossi agli imputati – è distinguibile in due fondamentali momenti.

Il primo di essi è di natura prettamente giuridico-amministrativa, ed attiene alla ricostruzione dell’iter che ha condotto all’emissione – da parte del Dirigente del Genio Civile di Caserta - dei provvedimenti di autorizzazione alla coltivazione delle cave in accoglimento delle istanze di prosecuzione presentate dagli esercenti nel luglio 1986, ai sensi dell’art. 36 legge regionale 54/85; detta ricostruzione è stata operata per poi procedere alla successiva valutazione della conformità di tali provvedimenti al dettato normativo, dei quali i consulenti hanno dato, come tra poco si vedrà, un’interpretazione ( sotto più profili contestata dalle Difese ) tale da sfociare in un giudizio di  illegittimità di tutti i decreti autorizzativi emessi per le sette cave prese in considerazione ( sul punto, si rinvia all’analitica trattazione che sarà svolta allorché si passeranno in rassegna le contestazioni di falso ideologico e abuso d’ufficio oggetto dei capi B e C ).

Il secondo principale aspetto della consulenza è invece di carattere tecnico, e riguarda la documentazione cartografica presentata dai gestori delle cave all’ufficio del Genio Civile in occasione della presentazione delle richieste di O.S.E.

Allo scopo di verificare la legittimità della concessione degli O.S.E. – qualificati dai consulenti come atti autorizzativi della coltivazione delle cave nelle zone indicate nelle planimetrie – gli ausiliari del Pubblico Ministero hanno preliminarmente proceduto ad un lavoro informatico di acquisizione al computer – tramite scanner -  degli elaborati cartografici prodotti dalle ditte; digitalizzati i files, gli stessi sono stati georeferenziati e ridotti in un’unica scala così da essere confrontati per sovrapposizione con le cartografie effettuate dall’IGM o con altra documentazione cartografica ufficiale; tale confronto, secondo le conclusioni dei consulenti, ha fatto emergere numerose false rappresentazioni delle quote nelle tavole planoaltimetriche redatte a sostegno delle richieste di O.S.E., falsità consistenti ( secondo l’accusa ) nella dolosa indicazione di quote maggiori di quelle reali, strumentale all’ottenimento dell’autorizzazione ad usare esplosivi nonostante l’avvenuto esaurimento del giacimento sfruttabile.

A tal proposito, l’Arch. Alfredo Maciariello, nel corso dell’esame sostenuto in udienza, ha precisato che “ a partire dai dati dell’IGM noi abbiamo proceduto ad operare delle sovrapposizioni delle cartografie – i piani topografici presentati dagli esercenti in occasione degli O.S.E. – li abbiamo scansiti e li abbiamo sovrapposti ai rilievi dell’IGM….per una ulteriore parte abbiamo utilizzato le cartografie catastali, cioè riferendoci ai confini catastali rappresentati sulle cartografie degli esercenti abbiamo potuto sovrapporre ( le planimetrie – NDR ) alle cartografie catastali……il processo di sovrapposizione avviene attraverso un processo di rotazione e traslazione in modo che le rappresentazioni cartografiche delle cave fatte dall’esercente con l’annotazione delle particelle….…potessero coincidere con le cartografie dell’IGM  “ ( cfr. verbale stenotipico dell’udienza del 9-4-08 ), in tal senso illustrando la concreta metodologia praticata.

Avverso il descritto modus operandi, i consulenti tecnici della Difesa ( e in particolare l’Ing. Giancarlo Atza ) hanno rilevato che il sistema di comparazione adottato dagli ausiliari del PM  deve ritenersi tutt’altro che idoneo a consentire l’acquisizione di dati assolutamente certi, e per più ordini di motivi.

La prima osservazione sul punto formulata riguarda la stessa idoneità delle planimetrie presentate dagli esercenti ad essere sottoposte ad una procedura di confronto del genere di quella utilizzata  dai consulenti del PM; il consulente ha infatti evidenziato l’inadeguatezza di tali cartografie,   consistenti – a suo avviso  - in rappresentazioni scenografiche del territorio non georeferenziate, prive di qualsiasi pretesa e valore scientifico e, per tale ragione, non comparabili con le cartografie IGM, peraltro a loro volta da valutare cum grano salis, alla stregua delle precisazioni fatte in udienza dal Col. Santoro.

In secondo luogo, l’Ing. Atza ha sottolineato i rischi della metodologia seguita dai consulenti del Pubblico Ministero, da lui definita con il termine di “ stiramento “ ( termine che appunto designa l’operazione di sovrapposizione fra due diverse cartografie), rischi di fatto consistenti nella possibilità che, assicurata la corrispondenza dei due rilievi in uno specifico e determinato punto, non sia assicurata un’analoga perfetta corrispondenza in altro punto delle mappe, e si pervenga quindi ad una deformazione e ad un confronto non corretto fra i rilievi; tale pericolo - sempre secondo la tesi propugnata dal consulente della Difesa – acquista maggior importanza pratica quando il paragone riguarda le rappresentazioni cartografiche di aree di cava ed è diretto ( come nel caso in esame ) a verificare la congruità delle quote dichiarate dagli esercenti.

Per loro natura, le aree di cava sono infatti caratterizzate da forti dislivelli di quota, il che comporta che anche il minimo spostamento del punto da prendere in considerazione, specie qualora detto punto si trovi nei pressi del ciglio di un gradone, può condurre a risultati gravemente inesatti ( in pratica, se il punto preso a base per il confronto si trova sopra il gradone, esso avrà un’altezza molto maggiore rispetto all’ipotesi che il medesimo punto da verificare sia invece posizionato alla base della scarpata ).

Che i dubbi prospettati dall’Ing. Atza non siano irragionevoli e - anzi – abbiano introdotto nel processo un elemento di critica alla consulenza del Pubblico Ministero tale da metterne in crisi le conclusioni relative ai presunti falsi contenuti nelle planimetrie ( non sempre e non necessariamente nel senso di una totale smentita e confutazione, ma sempre nel senso di trasferire dette conclusioni dal piano della certezza scientifica al piano della semplice probabilità o addirittura della mera possibilità, con la conseguente preclusione all’utilizzo di tale parte della consulenza ai fini dell’affermazione della penale responsabilità degli imputati ) è dimostrato da alcuni esempi pratici fatti dal consulente nell’analisi di taluna delle planimetrie che si assumono false ( si vedano le dirimenti note tecniche a firma dell’Ing. Atza, depositate all’udienza del 7-5-08, sulle quali si tornerà in sede di esame dei pertinenti addebiti ), ed inoltre risulta dalla convergente opinione del responsabile dell’IGM, il più volte citato Col. Enzo Santoro, teste di indiscutibile attendibilità e certamente non sospettabile di simpatie verso gli imputati.

Interpellato infatti sulla problematica in discorso all’udienza del 9-4-08, il Col. Santoro ha di fatto confermato l’oggettiva rilevanza delle problematiche agitate dalla Difesa, anzitutto precisando ( v. fol. 91 del verbale stenotipico )  che “ stiramento non è un termine tecnico……se ci si riferisce al posizionamento, alla sovrapposizione di alcuni particolari, perché se io ho due fogli – tanto per essere chiari – questi fogli su due carte diverse, io ho due particolari che sono esattamente individuabili sia sull’uno che sull’altro, se li vado a far coincidere, quindi uno lo stiro – fra     virgolette – su quell’altro, quindi i particolari corrispondenti vengono a coincidere, è chiaro che porto ad altri particolari delle deformazioni; l’entità di tali deformazioni dipende dal grado di sovrapposizione o di stiramento, se vogliamo dire, che si ottiene “ )    

Come si vede, nella stessa metodologia adoperata dai consulenti è insito un margine di errore – non si tratta quindi di inesattezze dell’operato degli ausiliari, ma di insuperabile limite tecnico – che rende impossibile la valorizzazione, in sede penale, dei risultati così raggiunti; l’esigenza di accertare la sussistenza del fatto-reato in modo non controvertibile si scontra infatti con la non eliminabile eventualità di una discrepanza, eventualità in parte riconosciuta anche dall’Arch. Maciariello ( il quale, alla domanda sull’argomento rivoltagli da un difensore, ha replicato che potevano essersi verificati piccoli problemi di mancanza di coincidenza perché magari un particolare coincideva e l’altro no…..la carta non l’abbiamo mai trasformata, l’abbiamo semplicemente sovrapposta facendo delle rototraslazioni rigide e basta, quindi ci può essere una sfasatura, piccole sfasature di un metro, di mezzo metro“ – v. pag. 92 del verbale già menzionato ).

In conclusione, le osservazioni che precedono sono autonomamente sufficienti ad impedire l’enunciazione della sicura esistenza di falsi nei rilievi plano-altimetrici presentati dagli esercenti delle cave, e ciò nella generalità dei casi; ad integrazione delle stesse, allorché si tratterà delle imputazioni inerenti agli O.S.E., si passeranno tuttavia in rassegna alcuni specifici esempi che confermano l’insicurezza delle conclusioni dei consulenti e anzi forniscono la prova positiva della non configurabilità del reato.   

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO SECONDO

 

LA DISCIPLINA NORMATIVA IN MATERIA DI CAVE

 

2.1 – La normativa statale

 

Per meglio comprendere i temi del processo, si rende a questo punto necessario un – pur sintetico, in quanto limitato alle disposizioni di maggior rilievo ai fini della decisione – resoconto delle principali fonti normative in materia di disciplina dell’attività di cava.

In tale ottica, va fatto anzitutto menzione del R.D. 29 luglio 1927 n. 1443, il cui art. 45 – nello stabilire che le cave sono lasciate nella disponibilità del proprietario del suolo, purchè egli provveda al loro sfruttamento, e nel ritenere quindi addirittura doveroso tale sfruttamento – costituisce significativa testimonianza della favorevole considerazione che il legislatore dell’epoca aveva verso la coltivazione delle cave:

“ Le cave e le torbiere sono lasciate in disponibilità al proprietario del suolo; quando il proprietario non intraprenda la coltivazione della cava o torbiera o non dia ad essa sufficiente sviluppo, l’ingegnere capo del Distretto minerario può prefiggere un termine per l’inizio, la ripresa o l’intensificazione dei lavori. Trascorso infruttuosamente il termine prefisso …..può dare la concessione della cava o della torbiera …..“.;

La norma, del resto, rappresenta la puntuale espressione di un momento storico in cui all’assenza di qualsiasi sensibilità verso le tematiche ambientali faceva da contraltare il trasparente favor verso ogni possibile forma di incremento della produzione e della ricchezza nazionale.

Con l’adozione della Costituzione repubblicana, l’art. 117 Cost. ( nel suo testo originario, anteriore alla modifica di cui alla legge costituzionale n. 3/2001 ) affida la materia delle cave ( e delle torbiere ) al legislatore regionale, abilitato ad emanare norme nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato.

Prima dell’attuazione della delega, avutasi solo con il DPR n. 616/77 ( si veda, in particolare, l’art. 82 ), interviene il DPR 9 aprile 1959 n. 128, che non muta il descritto atteggiamento di fondo, ancora improntato ad una sostanziale libertà dell’attività di coltivazione: le ragioni economiche che impongono di non porre limiti troppo rigidi al procacciamento di materiali da impiegare nell’edilizia – in una fase che precede immediatamente gli anni del “ boom” economico - prevalgono ancora sull’innegabile danno ambientale e all’impatto paesaggistico connesso all’attività di cava.

Ciò nonostante, ancorché emanato solo per disciplinare i profili più direttamente attinenti alla sicurezza delle modalità di coltivazione, il DPR 128/59 comunque detta una prima significativa regolamentazione della materia, che è necessario illustrare per i collegamenti che – per più aspetti – presenta con la materia processuale.

L’art. 28 del menzionato DPR, sotto la rubrica “ Denunce d’esercizio “, ne stabilisce in tali termini il contenuto:

“Almeno otto giorni prima dell’inizio o della ripresa dei lavori l’imprenditore di cava o un suo procuratore è tenuto a farne denunzia al Comune ove i lavori si svolgono…

Altro esemplare della denunzia di servizio e successive variazioni deve essere trasmesso contemporaneamente dall’imprenditore al Distretto minerario.

La denuncia deve indicare:

a )il titolo su cui si basa l’esercizio della cava;

b) l’ubicazione dei lavori;

c), d) , e ) omissis

f) se i lavori sono a cielo aperto o in sotterraneo…. “.

Come si vede, con la disposizione appena riportata, la denunzia d’esercizio diviene condizione necessaria al fine del legittimo svolgimento dell’attività di cava.  

Al DPR n. 128 occorre rifarsi anche per ciò che attiene alla disciplina normativa degli O.S.E., e segnatamente alle disposizioni degli artt. 296 e 305.

Il testo dell’art. 296 così recita:

“ Nei lavori delle miniere e delle cave l’uso degli esplosivi è consentito con le modalità e limitazioni del presente decreto.

Nei confronti degli imprenditori di miniere o di cave la concessione della licenza per il trasporto o il deposito di esplosivi ….è accordata su esibizione di un’attestazione rilasciata dal Distretto minerario comprovante l’avvenuto adempimento dell’obbligo della denunzia di esercizio di cui agli artt. 24 e 28 del presente decreto “.

La disciplina è poi completata dall’art. 305, che fornisce la nozione stessa di O.S.E.:

 le norme del presente titolo sono riportate in ordine di servizio del direttore unitamente alle modalità con le quali sono condotte le singole operazioni ….tale ordine di servizio è sottoposto all’approvazione dell’ingegnere capo”.

Le due norme delineano quindi le condizioni perché l’esercente della cava possa coltivarla mediante l’uso di esplosivi, prevedendo che il direttore di cava debba precisare le modalità di impiego degli esplosivi medesimi in un apposito ordine di servizio da sottoporre alla valutazione della P.A. ( alla figura dell’ingegnere capo è stata poi sostituita quella del Dirigente dell’Ufficio del Genio Civile ), chiamata ad approvare l’O.S.E.

 

2.2 - La legge regionale n. 54/85           

 

Una fondamentale svolta, per la coltivazione delle cave esistenti nella Regione Campania, è segnata dalla legge regionale 13-12-85 n. 54, il cui art. 36, sotto la rubrica “ Norme transitorie per le cave in atto “, prevede:

“ La coltivazione delle cave in atto alla data di entrata in vigore della presente legge ( 8 gennaio 1986 – NDR ), per le quali, a norma dell’art. 28 del DPR 9 aprile 1959 n. 128 è stata presentata denunzia al Comune e alla Regione Campania, potrà essere proseguita purchè, entro sei mesi dalla stessa data, l’esercente presenti domanda di proseguimento con la procedura e documentazione prevista dal precedente art. 8 e adempia agli obblighi previsti dagli artt. 6 e 8 della presente legge. In caso di mancata presentazione della domanda alla scadenza del termine predetto l’attività di coltivazione si considera cessata e l’eventuale continuazione dei lavori è sottoposta alle sanzioni di cui all’art. 28 …. “  

Come si vede, la legge 54 – oltre a stabilire procedure e condizioni per l’eventuale apertura di nuove cave -  stabilisce che quelle già “ in atto “ possono proseguire nella loro attività subordinatamente al deposito di una richiesta di prosecuzione ( da indirizzare ex art. 10 al Presidente della Giunta Regionale e da comunicare in copia al Comune nel cui territorio si trova la cava ), il cui contenuto è fissato dall’art. 8, sotto la rubrica “ Procedura per l’autorizzazione “:

“ La domanda in duplice copia, per la richiesta dell’autorizzazione deve riportare:

1)      le generalità del richiedente…..

2)      il numero di codice fiscale del richiedente;

3)      il titolo giuridico sul quale si fonda il godimento del giacimento;

4)      l’ubicazione della cava o torbiera e l’indicazione della superficie dell’area oggetto della domanda;

5)      l’indicazione della sostanza minerale oggetto di coltivazione;

6)      il periodo di tempo per il quale viene richiesta l’autorizzazione.

La domanda deve essere corredata dei seguenti allegati:

a)      il titolo dal quale risulta il diritto del richiedente alla coltivazione del giacimento…;

b)      corografia, in scala 1:25.000, con l’indicazione dell’ubicazione della cava;

c)      planimetria catastale nella quale siano indicati i terreni in disponibilità del richiedente, il perimetro dell’area oggetto dei lavori di coltivazione e i manufatti esistenti in un raggio di metri 500 da detto perimetro;

d)      una relazione sulle caratteristiche geomorfologiche, idrogeologiche e paesaggistiche dell’area oggetto di coltivazione. Nella stessa relazione dovranno essere specificati tutti i vincoli esistenti sulle aree…..

Come la lettura delle norme lascia agevolmente comprendere, la legge regionale 54/85 segna il passaggio da un’epoca di libero esercizio ad un sistema di gestione controllata dell’attività di coltivazione delle cave, attività che viene quindi ad essere sottoposta ad un regime autorizzatorio,  ovviamente introdotto sia per le nuove attività estrattive, sia per quelle preesistenti, sussistendo anche per queste ultime l’esigenza di verificare la compatibilità delle medesime rispetto ad interessi pubblici con le stesse confliggenti, come – ad esempio – quello alla salvaguardia dell’ambiente e alla tutela del paesaggio.

In particolare, il dettato dell’art. 11 co. 4° è nel senso che “ nelle zone sottoposte a tutela …….  nonché nelle aree sottoposte a vincolo idrogeologico e nelle altre zone soggette a vincoli statali o regionali, l’autorizzazione all’esercizio di cava è comunque subordinata al preventivo rilascio del nulla osta da parte delle autorità competenti alla tutela “.

In sostanza, la legge regionale delinea un organico sistema autorizzativo che – come d’altronde era naturale, per non incorrere in censure di incostituzionalità – pone sullo stesso piano sia le attività di coltivazione ancora da intraprendere, sia quelle già in atto, richiedendo ai rispettivi esercenti il rispetto di determinati requisiti, tra cui anche la presentazione di un progetto di coltivazione avente ad oggetto la ricomposizione ambientale ( come definita dall’art. 9 della legge ); di particolare importanza, per le cave oggetto del presente processo, tutte ubicate in aree escluse da vincoli ex lege 1089/39 e 431/85, è la tematica del vincolo idrogeologico, per superare il quale il titolare della cava doveva ottenere l’autorizzazione disciplinata dall’art. 7 R.D. 3-12-1923 n. 3267, secondo cui   “ per i terreni vincolati…. la trasformazione di terreni saldi in terreni soggetti a  periodica lavorazione è subordinata ad autorizzazione del Comitato Forestale ( poi Ispettorato Ripartimentale delle Foreste – NDR ) e alle modalità da esso prescritte”; la necessità dell’autorizzazione è ribadita dalla legge regionale 7-5-96 n. 11, il cui primo comma conferma che nei terreni sottoposti a vincolo idrogeologico i movimenti di terra finalizzati a una diversa destinazione o uso dei terreni medesimi sono soggetti ad autorizzazione ex art. 7 appena citato.

Nel sistema appena delineato, la presentazione della richiesta di prosecuzione legittima l’esercente della cava a continuare l’attività di coltivazione, fino all’emanazione del provvedimento di autorizzazione o all’eventuale diniego di esso; tale stato di provvisorietà, che avrebbe dovuto essere limitato ad un breve periodo di tempo, nella realtà dei fatti si è protratto – per le quattro cave in discorso - fino agli anni 2001/2002, allorché il Genio Civile di Caserta ha adottato i quattro decreti dirigenziali oggetto di contestazione.

 

2.3 – La legge regionale n. 17/95

 

Nel corso degli oltre quindici anni trascorsi tra la presentazione della richiesta di prosecuzione e il rilascio delle autorizzazioni della cui legittimità e liceità si controverte, la Regione Campania è stata autrice di un nuovo intervento normativo volto a disciplinare l’attività di cava, intervento costituito dalla legge 13-4-1995 n. 17, ispirata certamente a maggior rigore circa la valutazione dell’impatto ambientale prodotto dall’asportazione del materiale calcareo.

Cosi l’art. 6 al 1° comma espressamente prevede che nel rilascio dell’autorizzazione la Pubblica Amministrazione debba sì tener conto della “ rilevanza del materiale da estrarre per l’economia regionale “, ma anche “ della tutela e della salubrità della zona circostante, dell’ambiente e del paesaggio “.

Il fondamentale criterio ispiratore della riforma, che in numerosi punti novella la legge 54/85, è pure manifestato dalla modifica della disciplina dell’art. 9 della legge 54, che precisa l’ambito dell’attività di ricomposizione ambientale che grava sugli esercenti delle cave; mentre, infatti,  il testo originario stabiliva che la ricomposizione ( che consiste in lavori di sistemazione idrogeologica, intesa come modellazione del territorio atta ed evitare frane e ruscellamenti, di risanamento paesaggistico, nel senso di ricostituzione dei caratteri generali ambientali e naturalistiche dell’area, da attuarsi principalmente attraverso il riporto dello strato vegetale preesistente, seguito da semina e piantumazione di vegetazione analoga a quella preesistente, e infine di restituzione del suolo agli usi su di esso già praticati ) doveva esplicarsi “ a fine lavori di coltivazione “, la legge 17 prevede invece che la ricomposizione sia da  realizzare “ di norma “ contestualmente alla coltivazione della cava.

Ulteriore modifica da segnalare, per le implicazioni pratiche che la stessa ha poi avuto sulle valutazioni operate dagli ausiliari del Pubblico Ministero, riguarda il contenuto dell’art. 36 l. 54/85,  essendo stati introdotti dal legislatore del 1995 nuove previsioni del seguente tenore, fermo restando il disposto del co. 1°, già innanzi testualmente riportato:

“ 2. La denunzia di esercizio ai sensi dell’art. 28 del DPR 9-4-1959 n. 128 è titolo legittimante ai fini del precedente comma 1 purchè la stessa risulti presentata al Comune, al Distretto Minerario, alla Regione o alla Provincia e sia relativa a particelle già interessate dallo svolgimento del piano di coltivazione della cava.

3-4. OMISSIS

5. Nelle aree sottoposte a vincoli paesaggistici, idrogeologici e archeologici  derivanti da leggi nazionali o regionali e già oggetto di coltivazioni alla data di apposizione degli stessi l’attività estrattiva può essere proseguita nei limiti delle superfici oggetto di legittima coltivazione e, comunque, entro i limiti delle particelle ovvero della superficie già oggetto di coltivazione “.   

     

2.4 – L’interpretazione della disposizioni regionali offerta dai consulenti del Pubblico Ministero

 

Come già anticipato al precedente capitolo ( cfr. paragrafo 5 ), il primo quesito proposto dal Pubblico Ministero al collegio di consulenti dei quali si è avvalso è stato quello di  “ accertare la conformità di quanto riportato nei decreti autorizzativi emessi dal Genio Civile di Caserta con quanto stabilito dalle LL. RR. N. 54/85 e 17/95 “; in buona sostanza, i consulenti d’ufficio sono stati sollecitati a valutare la legittimità della determinazioni in questione attraverso un esame di corrispondenza tra contenuto degli atti amministrativi e norme di legge.

Prescindendo dalle pur innegabili perplessità suscitate dall’aver il PM rimesso ad un organo tecnico ( che, per di più, non vedeva al suo interno esperti in materie giuridiche ) un’analisi che - almeno in parte - consiste in un’attività di interpretazione della legge ( pur in un settore ostico e specialistico ), si deve allora esaminare quali risposte i consulenti abbiano fornito al mandato in questione e quanto le stesse trovino fondamento nel dettato delle norme ricordate ai precedenti paragrafi.

Ad avviso del collegio peritale, l’art. 36  L. R. n. 54/85 condiziona la legittimità della prosecuzione dell’attività di cava a quattro presupposti, tre dei quali ( la presentazione della denunzia di esercizio prevista dal DPR n. 128/59, quella della domanda di proseguimento nei termini di legge, l’assenza di vincoli idrogeologici, paesaggistici, archeologici e urbanistici ) assolutamente pacifici; secondo i consulenti del Pubblico Ministero, però, la Pubblica Amministrazione, in sede di rilascio dell’autorizzazione, era chiamata anche a verificare la “ corrispondenza tra le particelle individuate nella denunzia di esercizio e quelle inserite nella domanda di proseguimento “, con la conseguente  necessità di respingere le istanze nelle quali detta corrispondenza mancasse.

Tale ultima notazione è stata oggetto di reiterate censure da parte dei consulenti di parte degli imputati e dei loro difensori, i quali hanno obiettato che né l’art. 28 DPR 128/59, né l’art. 36 L.R. 54/85 ( già innanzi testualmente riportati ) impongono agli esercenti l’analitica indicazione delle particelle; al contrario, la prima delle due disposizioni richiede solo l’indicazione “ dell’ubicazione dei lavori “ e della loro natura ( a cielo aperto o in sotterranea ), mentre l’art. 36 specifica che la domanda di prosecuzione deve essere formulata ai sensi dell’art. 8 della stessa legge, e quindi riportare ( art. 8, co. 1° n. 4 ) “ l’ubicazione della cava o torbiera e l’indicazione della superficie dell’area oggetto della domanda “ ; più in dettaglio, si è eccepito ( si veda soprattutto il contenuto della consulenza tecnica a firma dell’Ing. Raffaele Poidomani ) che l’omessa o incompleta menzione di alcune particelle nella domanda di prosecuzione non può avere alcun effetto sfavorevole per il richiedente, essendo comunque sufficiente indicare l’estensione dell’area di cava e, soprattutto, dovendo l’istanza essere valutata unitamente a tutti gli allegati prescritti, tra i quali figura ( art. 8, co. 2°, lett. c) la “ planimetria catastale nella quale siano indicati i terreni in disponibilità del richiedente, il perimetro dell’area oggetto dei lavori di coltivazione e i manufatti esistenti in un raggio di metri 500 da detto perimetro”; ne consegue che detta planimetria  costituisce parte integrante dell’istanza di prosecuzione e ne rappresenta fondamentale elemento interpretativo, potendo solo la sua visione chiarire l’effettiva estensione dell’area di cava e le particelle di terreno nella stessa ricomprese ( in tal senso si è espresso anche il TAR Campania con la sentenza della III Sezione n. 1533/97, il cui contenuto è desumibile dalla nota della Regione Campania, Settore Contenzioso, del 28-11-97 – v. memoria Iuliano depositata in data 11/9/08 – nota che dà appunto atto del principio di diritto enunciato dal giudice amministrativo e della scelta della P.A. di farne proprio il contenuto ).

L’impostazione del problema, nei termini nei quali è stato operato dalle Difese degli imputati, appare a questo Giudice da condividere, in quanto del tutto aderente al dettato normativo applicabile alla fattispecie e convalidato anche dal tenore della circolare n. 242 emessa dalla Regione Campania il 19 gennaio 1996.

La circolare, al dichiarato scopo di uniformare le diverse interpretazioni delle leggi 54/85 e 17/95 manifestatesi nel concreto operare dei diversi Uffici provinciali del Genio Civile, prevede una varia casistica di problemi applicativi e, per quello che qui direttamente interessa, prende in diretta considerazione all’allegato 2 l’ipotesi della denunzia di esercizio priva dell’indicazione delle particelle catastali, stabilendo che “ ove non risultino indicate le particelle e/o il foglio di mappa, ovvero soltanto la località, potrebbero risultare utili ai fini dell’individuazione, alla data della presentazione della precitata D.E., della legittima superficie riportata nell’istanza ex art. 36: a) titolo di proprietà; b) se non proprietario, atto di affitto della cava o comunque altro idoneo titolo atto a dimostrare la disponibilità della legittima superficie su cui insiste la cava. In assenza di tali titoli potrebbero risultare utili eventuali attestazioni del tempo, accertamenti svolti da Uffici o Enti, anche ai fini del rilascio di nulla-osta o deroghe rispetto a eventuali vincoli già esistenti prima dell’8-1-86”.

Come può comprendersi al di là dell’involuto e burocratico linguaggio adoperato dall’estensore della circolare, l’Autorità regionale è ben lungi dall’attestarsi sulla radicale posizione dell’irrilevanza di denunzie d’esercizio non corredate dall’indicazione delle particelle catastali, al fine ( l’unico che in questa sede interessa ) di stabilire la possibilità di inserire nell’istanza di prosecuzione le relative superfici; la circolare si preoccupa invece di affermare il principio per cui, laddove l’omissione delle particelle possa suscitare dubbi sulla corretta individuazione dell’area di cava, può farsi ricorso ad altri elementi integrativi ugualmente idonei ad attestare la disponibilità della superficie che l’esercente chiede di poter continuare a coltivare.          

Siffatta possibilità, del resto, è stata riconosciuta – durante l’udienza del 7 maggio 2008 ( cfr. resoconto stenotipico, pagg. 85 e ss. ) – anche dal geologo Dott. Giuseppe Russo il quale, pronunziandosi a nome dell’intero collegio di consulenti, ha di fatto ammesso che le denunzie di esercizio con le caratteristiche di incompletezza in discorso potevano essere ritenute valide, purchè atti di data certa dimostrassero che le “ particelle erano state già intaccate “.

In realtà, come si desume dal testo della circolare, questa si limita a richiedere la prova della sicura disponibilità dell’area al momento della presentazione della denunzia d’esercizio, e non già la sua  pregressa cavatura; l’equivoco si profila, peraltro, come diretta conseguenza di un’altra linea interpretativa generale seguita dai consulenti e che pure deve ritenersi erronea, linea consistente nella presunta impossibilità di estendere l’attività di coltivazione a particelle che, pur non cavate prima dell’otto gennaio 1986, ricadevano comunque all’interno del perimetro di cava.

 

2.5 – La tematica appena accennata è inscindibilmente connessa al problema della rilevanza, sempre in vista della possibilità di favorevole decisione sull’istanza di prosecuzione, degli svincoli idrogeologici ottenuti dagli esercenti successivamente alla data di entrata in vigore della legge 54/85.

I consulenti hanno letto la normativa regionale come se essa, per le cave già in atto al momento della sua introduzione, vietasse in modo totale e assoluto ogni allargamento della coltivazione; in altri termini, gli ausiliari del PM hanno ritenuto che potesse essere proseguita la coltivazione solo nell’ambito delle particelle al gennaio 1986 già intaccate dallo scavo, a nulla rilevando il fatto che il terreno ancora non coltivato rientrasse nel comprensorio della cava, come delimitato dalla planimetria allegata all’istanza di prosecuzione; giocoforza, muovendo da tale presupposto, i consulenti non hanno preso in considerazione, come valido titolo idoneo a rimuovere i vincoli idrogeologici ancora esistenti su varie particelle delle cave prese in esame, gli svincoli rilasciati dalla competente autorità amministrativa in data posteriore all’entrata in vigore della regge regionale.

Tale convincimento è tuttavia infondato.

Il primo rilievo da formulare al riguardo attiene all’asistematicità dell’interpretazione così proposta, non comprendendosi per quale ragione il legislatore regionale, con la stesso strumento normativo con il quale ha disciplinato le condizioni per l’apertura di cave del tutto nuove, avrebbe dovuto imporre un divieto di tale rigidità per quelle già in atto; per altro verso, alla domanda concernente l’indicazione della fonte normativa alla base della loro opinione, i consulenti ( si veda ancora il verbale stenotipico del 7-5-08, foll. 69/70 ) hanno risposto invocando gli artt. 5 e 36 co. 2° della legge 54, che tuttavia non sembrano autorizzare una simile conclusione.

L’art. 5 ( anche nella versione posteriore alla novella di cui alla legge 17/95 ) si limita infatti a stabilire che l’autorizzazione è rilasciata con riferimento all’intero complesso estrattivo e concerne perciò un tema del tutto diverso da quello in trattazione; è invece verosimile che sia stato il disposto letterale dell’art. 36 capoverso a generare confusione, laddove stabilisce che la denunzia di esercizio debba essere “ relativa a particelle già interessate dallo svolgimento del piano di coltivazione della cava “.

Senonchè, a prescindere dal rilievo per cui tale previsione è stata introdotta nove anni dopo la presentazione delle domande di prosecuzione, e non avrebbe quindi potuto incidere sui diritti medio tempore quesiti dagli esercenti, è agevole rilevare che la dizione del legislatore non significa ( o almeno non significa necessariamente ) particelle “ già intaccate “, giacchè ben può ritenersi che le particelle “ già interessate dallo svolgimento del piano di coltivazione della cava “ siano semplicemente quelle prese in considerazione dal piano di coltivazione per uno sfruttamento anche futuro.

 

2.5.1 - A sostegno dell’infondatezza dell’interpretazione letterale e restrittiva fatta propria dai consulenti ( e recepita anche dal Tribunale del Riesame chiamato a pronunciarsi sul sequestro preventivo degli impianti di cava, peraltro sulla base di un materiale processuale assai più scarno di quello ora a disposizione di questo Giudice, non essendovi ancora stato il deposito delle consulenze della difesa e di molteplici documenti ) militano peraltro numerosi atti amministrativi.

Anche sotto tale profilo occorre anzitutto richiamare l’allegato 2 della circolare 242/96, che, nel trattare l’argomento, espressamente contempla il caso dello svincolo in tutto o in parte acquisito dopo l’entrata in vigore della legge 54, esprimendo l’opinione che “ potrebbe ritenersi sanato dalla vigente normativa che consente la deroga, purchè riferito a particelle o superfici oggetto della D.E. e riportate nell’istanza ex art. 36 “.

In realtà, la “ vigente normativa “ cui fa riferimento la circolare attesta la piena legittimità degli svincoli idrogeologici anche post – 1986, dovendo a tal proposito farsi capo all’art. 11 co. 4° l. 54/85, il cui testo si è già riportato, e che non può considerarsi dettato per le sole cave di nuova apertura, salvo non voler postulare un’irrazionale disparità di trattamento con le cave già in atto: ne discende la conclusione che, in presenza di particelle non ancora svincolate ( e quindi ovviamente non ancora intaccate dall’escavazione ), l’esercente ben poteva richiedere la rimozione del vincolo e dunque estendere a dette particelle ( naturalmente in presenza di tutte le altre condizioni di legge, ossia l’inclusione dell’area nella denunzia d’esercizio e nell’istanza di prosecuzione ) la coltivazione.

I consulenti del Pubblico Ministero, a base della diversa posizione da loro assunta sul punto, hanno invece addotto la previsione di cui al co. 5° dell’art. 36, comma introdotto dalla legge 17/95, e il cui tenore letterale, in precedenza riportato, si trascrive qui nuovamente per una migliore intelligibilità della questione interpretativa ( “Nelle aree sottoposte a vincoli paesaggistici, idrogeologici e archeologici  derivanti da leggi nazionali o regionali e già oggetto di coltivazioni alla data di apposizione degli stessi l’attività estrattiva può essere proseguita nei limiti delle superfici oggetto di legittima coltivazione e, comunque, entro i limiti delle particelle ovvero della superficie già oggetto di coltivazione ).  

In realtà, come può desumersi anche dal mero tenore letterale della norma, essa disciplina l’ipotesi dell’apposizione ex novo di un vincolo su una superficie già destinata alla coltivazione al momento dell’introduzione del vincolo, e stabilisce - da un lato - che non sia sacrificato il diritto già acquisito dall’esercente di continuare lo scavo della particella già intaccata, dall’altro che l’area della coltivazione non possa essere più estesa a nuove superfici.

La ratio della disposizione appare evidente, e può essere individuata nel fatto che l’introduzione di un nuovo vincolo costituisce manifestazione di una valutazione, aggiornata e definitiva, da parte della P.A. competente in ordine alla prevalenza dell’interesse pubblico alla tutela dell’ambiente sul  contrapposto interesse dell’imprenditore alla prosecuzione della coltivazione, prosecuzione che resta perciò confinata nell’ambito del preesistente; laddove invece il vincolo concerne un’area che – pur facendo parte del perimetro di cava ed essendo stata contemplata ( nel senso innanzi precisato ) in una denunzia di esercizio o nell’istanza ex art. 36 – non sia ancora stata coltivata, non si vede perché sarebbe preclusa la richiesta di svincolo ( nulla osta, nella dizione usata dal legislatore regionale ) espressamente contemplata dal 4° comma dell’art. 11.

 

2.5.2 – Che questa sia la soluzione corretta è del resto comprovato da una serie di diverse fonti, che conducono tutte al medesimo e convergente risultato.

Restando all’esame delle circolari emesse sull’argomento dalla Regione Campania, va richiamata anche la nota n. 835 del 19-2-98 ( pure prodotta dalla Difesa di Iuliano Nicola ), che concorda sulla possibilità di nuovi svincoli su particelle ancora da coltivare, proprio in forza del disposto del citato art. 11 della legge regionale.

Non a caso, anche Uffici del Genio Civile di altre province campane si sono attestati sull’interpretazione qui sostenuta.

Come si evince dall’esame della documentazione allegata alla memoria difensiva depositata il        4-10-07 nell’interesse dell’imputato Fenucciu Demetrio, il Genio Civile di Salerno ha emesso numerosi provvedimenti, autorizzativi dell’attività di coltivazione, fondati su uno svincolo idrogeologico rilasciato all’esercente in epoca successiva al luglio 1986.

Va al riguardo fatta menzione:

dell’autorizzazione n. 2163 del 31-7-01 in favore della S.r.l. Carpa Costruzioni, nel cui corpo si accenna al rilascio di uno svincolo idrogeologico del 3-5-1991 da parte dell’Ispettorato Ripartimentale delle Foreste  di Salerno;

del decreto dirigenziale n. 31 del 21-3-2007 in favore della S.r.l. De. Cav., che pure si fonda sullo svincolo idrogeologico ( addirittura in sanatoria, giacchè in questo caso l’area era stata illegittimamente cavata ancora nella vigenza del vincolo  ) rilasciato dall’Amm. Prov. di Salerno in data 23-1-1989;

dell’autorizzazione prot. n. 692/094 del 27-1-1997 in favore della S.r.l. Italsud, in cui si dà atto di uno svincolo idrogeologico del 12-10-90, espressamente affermando che l’Ispettorato Ripartimentale delle Foreste aveva con tale atto consentito un ampliamento della cava, con il coinvolgimento di  nuove particelle;

dell’ulteriore autorizzazione rilasciata il 7-11-1997 in favore della Beton Cave S.a.s., a sua volta emessa sul presupposto di uno svincolo idrogeologico del 24-9-90 e 29-10-90;

dell’autorizzazione emessa il 14-12-1998 in favore della ditta individuale ME. CA., anche stavolta in forza di svincoli idrogeologici, con valenza ampliativa dell’area di cava, risalenti al 6-4-1987 e al 27-5-1998;

dell’autorizzazione, ancora  in data 14-12-1998, rilasciata alla ditta individuale MA.CE. Sud, ancora fondata su uno svincolo del 14-7-1988;

dell’autorizzazione del 17-4-01 emessa in favore di Cennamo Mauro, in forza di svincoli di varia natura ( per uso civico e di carattere idrogeologico ) concessi il 18-10-94 e il 22-10-92.

Il lungo elenco che precede dà allora conto – tenuto conto che si tratta di provvedimenti di epoca diversa e sottoscritti da differenti pubblici funzionari - di una costante prassi interpretativa seguita dall’Ufficio del Genio Civile di Salerno, prassi che deve considerarsi corretta in quanto perfettamente aderente alle linee ermeneutiche tracciate dalle circolari regionali; la sua esistenza fa da sola comprendere che le opposte conclusioni dei consulenti del PM – i quali non hanno peraltro allegato a riscontro delle stesse eventuali conformi interpretazione di organi della P.A. o della giurisprudenza amministrativa – non possono rappresentare un punto fermo dal quale inferire, con l’assoluta certezza richiesta ai fini dell’affermazione di responsabilità penali, la illegittimità dei decreti autorizzativi in discorso.

Del resto, l’utilizzabilità degli svincoli idrogeologici successivi al 1986, anche dopo la sostituzione del Pagliarulo e del Fortunato con nuovi funzionari, neppure oggi è messa in discussione dall’Ufficio del Genio Civile di Caserta.

Invero, con nota a firma dell’attuale Dirigente Ing. Vincenzo Di Muoio del 19-7-07 (  funzionario la cui integrità e fedeltà sono fuori discussione, se si considera che la Procura ne ha chiesto l’audizione ai sensi dell’art. 441 co. 5° c.p.p. durante l’udienza del 7-5-08 ), indirizzata alla Procura della Repubblica a seguito di chiarimenti richiesti dall’Ufficio requirente in ordine all’istanza di dissequestro della cava Fran.Ca. ( istanza poi accolta dallo scrivente soprattutto sulla base delle notizie fornite dal Di Muoio ), l’Ufficio del Genio Civile di Caserta ha giudicato legittimate alla coltivazione tutte le particelle su cui si apre il sito di cava della Fran.Ca., e ciò nonostante parte dell’area di cava sia stata svincolata soltanto nel 1987.

Per altro verso, la Difesa di Iuliano Nicola ha dimostrato ( cfr. provvedimento del Genio Civile di Caserta n. 401926 in data 8-5-06, allegato alla memoria conclusiva ) come anche una delle cave inizialmente oggetto d’indagine, ma escluse dalla richiesta di rinvio a giudizio ( quella esercita dalla S.p.a. Cementi Moccia ) e oggi attiva a seguito di provvedimento di dissequestro adottato dal PM gode, almeno in parte, di uno svincolo idrogeologico emesso soltanto il 17-3-93.

Infine, va pur notato che durante l’esame sostenuto all’udienza del 7-5-08 i consulenti del PM hanno essi stessi palesato delle incertezze sul tema in discussione: il geologo dott. Giuseppe Russo ha infatti prima replicato a una domanda dei difensori ( cfr. verbale stenotipico, pag. 89 ) affermando che “ in effetti gli svincoli potevano essere dati……sono stati dati anche successivamente al 1986, perché ….l’Ispettorato forestale in pratica dava a zone questi svincoli idrogeologici. In molti casi il Genio Civile li ha ritenuti validi, anche quelli successivi, se le aree sono legittimate “, poi ha tuttavia ribadito il giudizio già espresso circa l’impossibilità di intaccare ex novo particelle non coltivate;  di fronte alla contestazione inerente l’innegabile contraddizione tra le due proposizioni ( se non fosse stato possibile allargare la superficie, non avrebbe avuto senso richiedere e concedere nuovi svincoli, idrogeologici o di qualunque altra natura ), l’Arch. Maciariello prima ha ammesso d’aver nutrito anche lui delle perplessità sul punto, poi ha appunto indicato come fonte del suo convincimento il co. 5° dell’art. 36 L.R. 54/85, norma che – come già visto – ha in realtà un contenuto ben diverso.

 

 

 

 

CAPITOLO TERZO

 

I DELITTI DI FALSO E ABUSO D’UFFICIO

         

3.1 - Delineato il quadro generale dell’intera inchiesta e risolte le problematiche di carattere generale onde evitare la riproposizione delle medesime questioni per ciascuna delle singole fattispecie da affrontare, è ora possibile procedere all’esame degli specifici addebiti mossi agli imputati.

Uno dei principi-cardine si cui si fonda, nel nostro ordinamento, il processo penale è quello della necessità di una specifica contestazione all’imputato di condotte costituenti reato, contestazione che deve avere i connotati della chiarezza e precisione onde consentire un pieno dispiego del diritto di difesa; i fatti cui l’accusa riconnette la violazione di norme penalmente sanzionate devono essere perciò analiticamente indicati, in modo da tracciare il binario all’interno del quale l’intero procedimento è destinato ad avanzare.

Gli indici più significativi di tale basilare impalcatura del processo si rinvengono in numerose disposizioni del codice di rito, fra cui meritano espressa citazione:

l’art. 417, che, alla lettera b) richiede, quale requisito formale della richiesta di rinvio a giudizio, l’indicazione in forma chiara e precisa del fatto e dei relativi articoli di legge ( si tratta del primo momento dell’iter procedimentale in cui il carattere magmatico e tendenzialmente provvisorio che contraddistingue l’imputazione nella fase delle indagini preliminari viene ad essere sostituito da una contestazione tendenzialmente definitiva );

l’art. 423, che disciplina la modifica della contestazione in sede di udienza preliminare;

l’art. 429 co. 2°, che sanziona con la nullità del decreto che dispone il giudizio l’assenza dei requisiti di chiarezza e precisione dell’imputazione recepita nel decreto medesimo;

gli artt. 516- 517, destinati invece a regolare le eventuali nuove contestazioni in dibattimento;

l’art. 521, che stabilisce infine il fondamentale principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza e stabilisce come il giudice debba provvedere allorché accerti che il fatto è diverso da quello descritto nella contestazione.

Il complessivo sistema ordinamentale che se ne ricava dà conto della centralità della contestazione nel processo, centralità che, se si acuisce nella fase dibattimentale, non di meno caratterizza anche il giudizio abbreviato ( con l’unica eccezione della sostanziale non introducibilità in esso di nuove contestazioni, salve le ipotesi di cui agli artt. 438 co. 5° e 441 co. 5° c.p.p. ), posto che il fatto che esso si svolga sulla base degli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero non significa che la contestazione debba essere ricavata per implicito da taluno di tali atti; di conseguenza, anche nel giudizio abbreviato qualsiasi verifica sulla fondatezza della prospettazione accusatoria deve in primo luogo misurarsi con il tenore dell’imputazione.

La puntualizzazione che precede si è resa necessaria giacchè, come si vedrà nell’excursus dei singoli addebiti, alcuni di essi, anche dopo il rimodellamento di cui all’integrazione del 20-9-07, sono restati in gran parte generici e indeterminati, e il loro effettivo contenuto dovrà essere pertanto interpretato volta per volta, con le ulteriori difficoltà connesse al carattere tecnico della materia trattata.

 

3.2 - Non v’è dubbio che la questione centrale posta dal processo sia quella racchiusa nelle contestazioni di falso ideologico e abuso d’ufficio formanti oggetto dei capi B e C, contestazioni che sostanzialmente riguardano due diverse tipologie di atti, e cioè i decreti dirigenziali emessi in accoglimento delle istanze di prosecuzione da un lato, gli O.S.E. dall’altro; un terzo autonomo filone dell’imputazione di falso ideologico attiene invece a due atti ( il decreto autorizzativo n. 41/04 relativo alla Srl Mignano Calcestruzzi e la relazione difensiva inviata in data 11-3-04 dal Genio Civile di Caserta all’Avvocatura Regionale ) che si profilano pertinenti rispetto alla sola posizione del Fenucciu, per restare agli imputati che hanno formulato l’opzione per il rito abbreviato.

Stante la sostanziale indipendenza degli addebiti, si ritiene preferibile incentrare l’attenzione innanzitutto sulle problematiche connesse alla legittimità dei decreti autorizzativi, che appaiono antecedenti, sotto il profilo logico, agli ulteriori temi appena accennati.

 

PARTE PRIMA – I DECRETI AUTORIZZATIVI

 

3.3 – Il decreto dirigenziale n. 2253 del 5-9-2001 emesso in favore di Luserta Luigi

 

Secondo quanto contestato al capo B della rubrica, il decreto dirigenziale n. 2253/01 emesso dall’Ufficio del Genio Civile di Caserta in favore di Luserta Luigi sarebbe viziato da falsità ideologica: sulla premessa che tutti gli imputati ( si rinvia alle notazioni già svolte circa l’assenza di qualsiasi, e pur non improba, delimitazione soggettiva delle responsabilità ) avrebbero tra loro concorso nella formazione di più decreti autorizzativi, “ attestando falsamente fatti dei quali dette autorizzazioni erano destinate a provare la verità, in particolare l’esistenza di pericoli di crollo su estesi fronti di cava, nonché l’attestazione di risanamenti ambientali su aree di cava, risanamenti in realtà mai realizzati ovvero ultimati “, il Pubblico Ministero ha ascritto al Luserta e al Ribattezzato la redazione dei “ progetti e degli altri documenti necessari “ per l’ottenimento del decreto dirigenziale in parola, assumendo che i due indicati imputati avrebbero dichiarato falsamente che     “ particelle catastali “ sulle quali effettuare la coltivazione erano presenti nell’istanza di prosecuzione; il Fortunato, invece, avrebbe assunto come propria la falsa documentazione prodotta dal Luserta e dal suo tecnico, volutamente omettendo ogni controllo di legge, e avrebbe quindi        “ formato a sua firma “  il decreto 2253; ciò al fine di procurare al Luserta l’ingiusto vantaggio patrimoniale consistente nella possibilità di proseguire la coltivazione della cava in assenza dei presupposti richiesti dalla normativa vigente ( cfr. capo C dell’epigrafe, dove si precisa anche il ruolo del Fortunato, indicato quale materiale autore – nella sua qualità di responsabile dell’unità operativa competente per il basso Casertano – dell’istruttoria che precedette il rilascio dell’autorizzazione ). 

Dalla lettura del capo d’imputazione sembra emergere che l’ipotesi d’accusa fatta propria dal Pubblico Ministero sia allora quella di un falso concordato a tavolino fra il Luserta e il Ribattezzato da un lato, il Fortunato ( sulla cui figura è qui indispensabile soffermarsi, sebbene si tratti di imputato che ha optato per il rito ordinario ) dall’altro: i primi due avrebbero falsificato alcuni atti    ( non specificati nella contestazione ) inserendo nell’istanza di prosecuzione particelle di terreno       ( non individuate nell’addebito ) alla cui escavazione la ditta Luserta ( per motivi che il capo d’accusa non spiega ) non poteva essere abilitata, il tutto già sapendo di poter contare sulla complicità omissiva del pubblico funzionario.

Posta in tali termini l’imputazione, sarebbe invero sufficiente, per metterne in luce la radicale infondatezza, notare che – nel momento della presentazione dell’istanza di prosecuzione e negli anni immediatamente successivi, allorché furono presentati dal Luserta i documenti integrativi dei quali si farà tra poco menzione – il Ribattezzato non era ancora il direttore della cava in discussione ( tutti gli elaborati posti a fondamento della domanda di prosecuzione sono infatti sottoscritti da altro professionista, l’Ing. Rosario Maccarone ), né il Fortunato era titolare del pubblico ufficio da lui poi assunto soltanto nel maggio 2001, ossia appena quattro mesi prima il rilascio dell’incriminata autorizzazione e quando l’istruttoria sull’istanza volgeva ormai al termine; né può sottacersi che, contrariamente a quanto si assume nella contestazione, non è stato il Fortunato a firmare il decreto, bensì il dirigente Ing. Vittorio Pagliarulo.

Senonchè, l’avere gli imputati scelto di confrontarsi non con l’addebito loro formalmente elevato, ma con quello desumibile dalla lettura degli atti processuali, e in particolare dalla consulenza tecnica, ed essendo stato – sebbene per tale indiretta strada – comunque assicurato il rispetto delle garanzie difensive, questo Giudice ritiene di dover prendere in considerazione tutti i possibili elementi d’accusa al riguardo estraibili dal processo e sui quali si è instaurato il contraddittorio.    

 

3.3.1 -  Secondo quanto si legge nella consulenza tecnica a firma dell’Arch. Maciariello e degli altri due ausiliari che hanno con lui cooperato ( v. pagg. 166 e ss. dell’elaborato ), il decreto autorizzativo in questione sarebbe stato illegittimamente emesso perché “ autorizza attività di cava su superfici non richieste e su particelle non intaccate determinando così un notevole ampliamento vietato dalle LL. RR. N. 54/85 e 17/95 “.

Il fondamento di tale conclusiva enunciazione risiede nel rilievo per cui il decreto de quo  include alcune particelle ( le n. 27-28-29 del fol. 55 e quelle n. 54-77 del fol. 42 ) esterne all’area di cava indicata nel progetto di coltivazione; sul punto, va precisato che – sempre ripercorrendo l’analisi dei consulenti - il perimetro di cava è pari a mq. 180.000 se si tiene conto della situazione al 1986          ( ossia, sembra di capire, dell’estensione delle particelle già intaccate a quella data ), ma ascende a mq. 294.000 se si includono le zone idrogeologicamente svincolate nel 1987 dal competente Ispettorato, sale poi a mq. 335.000 se invece si valuta il perimetro dei confini disegnato da venti picchetti ( che corrisponde alla complessiva superficie per la quale era stato richiesto lo svincolo idrogeologico ) e raggiunge infine mq. 468.314 se si fa riferimento all’insieme delle particelle catastali a vario titolo ( affitto o proprietà ) nella disponibilità dell’esercente, particelle la cui estensione è stata graficamente determinata nella planimetria allegata all’istanza di prosecuzione e che ricomprendono anche quelle del cui legittimo inserimento i consulenti del Pubblico Ministero dubitano.

Conseguente alla prima notazione critica dei consulenti è quella inerente all’assenza dello svincolo idrogeologico.

In effetti, come si comprende dalla lettura del provvedimento di svincolo emesso in data 11-6-1987 dall’Ispettorato Ripartimentale delle Foreste di Caserta ( cfr. allegato 11 alla consulenza   Poidomani ),  confermato da identico provvedimento dell’Amm. Provinciale del 26 luglio 1993, esso riguarda – limitando l’esame alle particelle oggetto di controversia – soltanto la particella 54 del foglio 42, mentre non si estende alla particella 77 dello stesso foglio e a quelle nn. 27-28-29 del foglio 55, in relazione alle quali lo svincolo risulta solo richiesto, ma non invece accordato ( la circostanza  è stata efficacemente segnalata dall’Arch. Maciariello sempre durante l’udienza del     7-5-08 ).

In definitiva, quindi, l’intera contestazione investe – sotto il duplice ma collegato profilo appena menzionato – l’inclusione nel decreto delle cinque particelle in questione, ricavandosi da essa nell’impostazione accusatoria la prova della volontà dell’Ufficio del Genio Civile di favorire il Luserta, consentendogli di cavare anche particelle non svincolate e della cui coltivazione nulla si diceva neppure nello stesso progetto allegato dall’esercente all’istanza di prosecuzione.

 

3.3.2 – Occorre anzitutto ricordare che la valutazione dell’addebito va operata tenendo presente quanto osservato al precedente capitolo ( cfr. paragrafo 2.4 ) sia in merito all’assenza di specifiche disposizioni normative impositive dell’obbligo dell’analitica indicazione delle particelle nella denunzia di esercizio o nell’istanza di prosecuzione ex lege 54/86, sia in ordine ai criteri di delibazione di tale istanza, che doveva essere vagliata unitamente a tutti gli atti allegati ( ivi comprese le planimetrie descrittive dell’area di cava e il progetto di coltivazione a corredo).

Ciò posto, l’esame degli atti processuali induce ad affermare che l’inclusione delle cinque particelle sopra menzionate nel decreto autorizzativo non può considerarsi con certezza illegittima; da essa, a maggior ragione, è poi impossibile ricavare elementi sintomatici dell’esistenza di un illecito penale che di tale illegittimità sia causa.

Dalla documentazione prodotta dalla Difesa a corredo delle consulenze tecniche di parte degli Ingg. Poidomani e Patti emerge infatti la complessità della vicenda che ha condotto al rilascio dell’autorizzazione conclusiva.

Nel corso degli anni il Luserta e i suoi danti causa hanno presentato tre denunzie d’esercizio, precisamente in data 9-12-1960, 3-1-1967, 18-9-1980 ( tutte allegate sub 5 alla consulenza Poidomani ); in particolare, la denunzia d’esercizio del settembre 1980 ( che contiene sul frontespizio l’elencazione di alcune particelle, fra cui anche la n. 54 del fol. 77 ) è stata successivamente integrata con nota del 26-8-1981, che richiamava la medesima planimetria poi allegata sub 8 all’istanza di prosecuzione presentata cinque anni dopo; di tale integrazione il Comune di Caserta ha preso atto con comunicazione dell’11-9-1981 ( allegata alla consulenza    Patti ).

Va peraltro evidenziato che ogni eventuale lacuna ravvisabile nell’istanza di prosecuzione del luglio 1986 rispetto all’indicazione delle particelle risulta sanata da una nota di integrazione e rettifica presentata dall’esercente della cava in data 8 marzo 1989, nota in cui sono elencate tutte e cinque le particelle sulle quali è caduta la contestazione ( cfr. allegato n. 10 alla consulenza Poidomani ).

Proprio con riferimento alla nota del marzo 1989, l’Arch. Maciariello ha dichiarato all’udienza del 7-5-08 ( cfr. verbale stenotipico a fol. 62 )  di averne ritenuto la tardività, in quanto presentata dopo lo spirare del termine fissato dalla legge 54, omettendo pertanto di considerarne il contenuto.

Tale opinione non può essere però condivisa, in quanto la nota integrativa in parola, avendo solo valenza interpretativa della richiesta tempestivamente depositata e precisandone la portata, non può essere in alcun modo equiparata a una nuova istanza; in particolare, tutte le particelle ex novo indicate nella rettifica ( sul punto si tornerà nella trattazione concernenti gli OSE approvati alla ditta Luserta anteriormente all’emissione del decreto dirigenziale ) rientrano infatti nel perimetro di cava disegnato nella planimetria che corredava l’istanza di prosecuzione; non si vede perciò il motivo per cui il Genio Civile, nel settembre 2001, avrebbe dovuto ignorare l’esistenza dell’integrazione in parola.

Le notazioni che precedono fanno allora comprendere: a) che le particelle delle quali si dibatte ricadono comunque all’interno dell’estensione di mq. 468.000 nella disponibilità del Luserta e quindi nell’ambito dell’impianto estrattivo di pertinenza dell’imputato; b) che di tutte l’esercente aveva la disponibilità al luglio 1986.

Tanto appurato, assume decisiva valenza la considerazione per cui l’art. 5 co. 3° della legge 54/85 stabilisce che “ l’autorizzazione ha per oggetto il complesso estrattivo comprendente la coltivazione della cava o torbiera, le discariche, i connessi impianti di trattamento di materiali ubicati dentro il perimetro della cava o torbiera individuato a norma dell’art. 8 della presente legge, nonché le strade o piste di servizio del complesso estrattivo “; la disposizione appare infatti interpretabile solo nel senso che nessuna anomalia va ravvisata nell’inclusione nel decreto autorizzativo anche delle particelle di terreno da utilizzare non per il diretto sfruttamento, ma a servizio dell’attiguo giacimento ( è proprio la distinzione tra area di cava in senso stretto, pari a mq. 335.000, come calcolata anche nei rilievi IGM, e area comprensiva dei servizi pertinenziali, che abbraccia invece l’intera estensione di mq. 468.000, a permettere di comprendere la ragione dei differenti computi operati dalle parti ), potendosi al più ravvisare un’incompletezza del decreto nella parte in cui non fa distinzioni di sorta fra particelle citate nell’autorizzazione perché destinate alla coltivazione e altre invece suscettibili solo di essere utilizzate per l’allocazione degli impianti di supporto.

 

3.3.3 – In ogni caso, anche qualora si volesse affermare la necessità di esclusione dall’ambito del decreto quantomeno delle quattro particelle prive di svincolo idrogeologico ( che risulta infatti regolarmente rilasciato per la p.lla 54 ), sarebbe davvero problematico trarre dall’opposta determinazione dell’Ing. Pagliarulo la prova della volontà di avvantaggiare contra ius il Luserta.

Per espressa precisazione dei consulenti del Pubblico Ministero, proprio il progetto allegato dall’esercente all’istanza di prosecuzione non prevedeva la coltivazione delle particelle in discorso,  coltivazione che infatti ad esse mai è stata estesa, né prima nè dopo il rilascio del decreto n. 2253      ( v. memoria difensiva depositata dal Luserta all’udienza del 12-6-08 ), al punto che l’area di cava rilevata nel 2003 dall’IGM è in tutto identica all’estensione accertata al 1986; riesce allora difficile comprendere quale incremento patrimoniale sarebbe derivato all’esercente dall’allargamento dell’autorizzazione ad un’area che, neanche a livello di proposito, doveva essere cavata.

Significativo, al riguardo, è il contenuto della conversazione telefonica ( v. informativa GDF di Caserta in data 8 luglio 2004, pag. 137 ) tra la dott.ssa Cioppa ( allora responsabile del Servizio Legale dell’Ufficio Genio Civile ) e il Ribattezzato, conversazione avvenuta alle 13.54 del 10 marzo 2004 ( progressivo n. 2974 ): alla Cioppa, che gli contesta appunto la presenza nel decreto di particelle estranee al progetto di coltivazione ( “ senti un’altra cosa….26, 27 e 28 nel progetto non sono in coltivazione…..e perché quello te le ha decretate legittimate alla coltivazione? “ ), il direttore della cava Luserta ( certo inconsapevole dell’intercettazione e sicuro di parlare con un funzionario a lui tutt’altro che ostile )  replica appunto che le particelle non sono mai state coltivate e devono reputarsi legittime ( “ si, ma perché sono legittime….quello è foglio 55…..fanno parte della cava Luserta…….ma Luserta non ci è andato proprio sopra….neanche il progetto 86 prevedeva di andarci sopra “ ); la conversazione si conclude con la Cioppa che esterna il suo pensiero sulla vicenda, affermando che il decreto avrebbe dovuto contenere una precisazione al riguardo.

 

3.3.4 – In forza degli argomenti fin qui proposti, è allora assai più logico e persuasivo imputare la citazione delle controverse particelle nel dispositivo del decreto o alla già prospettata e consapevole interpretazione dell’art. 5 co. 3° l. 54/85, oppure ad un mero errore provocato dalla corrispondente erronea inclusione delle particelle nell’istanza di prosecuzione e nella richiesta di svincolo idrogeologico.

Tale conclusione trova un significativo elemento di riscontro nell’esistenza di un errore di segno diametralmente contrario, consistente nella mancata inclusione nel decreto dirigenziale della particella n. 46, certamente legittima per espressa affermazione anche dei consulenti del Pubblico Ministero e sulla quale era in corso un’intensa attività di escavazione.

Anche di tale vicenda v’è traccia nella stessa telefonata n. 2974 sopra citata, che anzi si apre proprio con la trattazione della relativa problematica, venuta alla luce a seguito di una richiesta di O.S.E.: in essa la Cioppa chiede al Ribattezzato delucidazioni sul punto ( “ senti una cosa….la particella n. 46 sulla quale tu hai chiesto l’O.S.E. …..ma non sta nel decreto del provvedimento di       autorizzazione ? “ ) e il tecnico risponde inizialmente sorpreso ( “ come non c’è ….sarà una dimenticanza vostra….nelle premesse ci sta….quella è la prima particella la 46 “ ) per poi ricordare alla Cioppa d’aver già sollevato la questione ( “ questa particella….questo fatto già ve lo dissi tempo fa …vi dissi ho trovato un errore da Luserta “ ); seguirà tutta una serie di conversazioni in cui il Ribattezzato manifesta la sua preoccupazione per una possibile chiusura della cava ( tel. n. 2990 con il suo collaboratore Casella Vincenzo ) per poi iniziare a prendere in considerazione le possibili iniziative da intraprendere tra cui la più ovvia e lecita, ossia la richiesta di un decreto di rettifica ( tel. n. 3009 con Luserta Giuseppantonio, figlio di Luigi ) ed altre decisamente meno rituali, come l’alterazione di una planimetria ( tel. n. 3033 in data 11-3-04 con tale Clemente, altro suo collaboratore ).

Quel che qui rileva è comunque il dato, oggettivo e indiscutibile, della provata esistenza di un errore in danno del Luserta in sede di emissione del decreto autorizzativo: ciò attenua grandemente la valenza indiziaria dell’inclusione nel medesimo decreto di particelle non coltivabili, inclusione     che – per tali motivi - ben può riconnettersi ad altro e del tutto opposto errore.

     

3.3.5 –  Per concludere sul punto, resta solo da osservare che sulla legittimità della coltivazione della cava Luserta sono intervenute conformi favorevoli pronunzie di due diversi organi amministrativi, prima e dopo l’emissione del decreto dirigenziale 2253.

Si allude in primo luogo alla valutazione favorevole formulata in data 30 giugno 1989 dalla Commissione Tecnico Consultiva della Regione Campania ( cfr. il relativo verbale allegato sub 4 g alla memoria difensiva depositata dal Luserta il 9-11-07 ), che era chiamata a rendere ( ai sensi dell’art. 3 l. 54/86 ) un parere obbligatorio e vincolante sull’istanza di prosecuzione.

Soprattutto, si fa però riferimento alla relazione ( v. allegato 4 n alla medesima memoria ) stilata dalla Commissione d’Indagine che operò coevamente agli inquirenti nel primo semestre 2004 e che, nel corso dei suoi accertamenti, ebbe ad occuparsi ex professo della legittimità del decreto 2253.

La Commissione, infatti, pur evidenziando le medesime perplessità dei consulenti circa l’inserimento nel dispositivo dell’autorizzazione delle cinque particelle non ricomprese nel perimetro del progetto di coltivazione, non si spinge per tale motivo a formulare un giudizio di illegittimità dell’intera autorizzazione, affermando anzi che “ le particelle ricadenti all’interno del perimetro del progetto di coltivazione, a meno della verifica da compiersi sulla titolarità del bene, sono legittimate all’applicazione della norma transitoria, mentre sono da escludere da tale procedura tutte quelle particelle che non rientrano nel perimetro su indicato, ma che sono state invece inserite nel dispositivo del provvedimento “; in buona sostanza, non emersero dall’inchiesta amministrativa profili di illegittimità diversi da quelli già presi in considerazione, e l’unico rimprovero di fatto formulato all’Ufficio del Genio Civile fu quello di un’insufficiente e carente attività istruttoria della domanda di prosecuzione.

  

3.3.6 – Le conclusioni fin qui raggiunte rendono superfluo verificare le singole posizioni soggettive degli imputati, essendosi peraltro già evidenziata l’assoluta marginalità delle figure del Ribattezzato e del Fortunato rispetto alla vicenda del decreto autorizzativo.

Solo per esigenza di completezza, sembra comunque utile aggiungere che la relazione istruttoria predisposta dall’Ufficio del Genio Civile e propedeutica al rilascio dell’autorizzazione ( cfr. allegato 8 alla memoria difensiva del 7-3-07 ) risale al 22-4-1996 e reca le firme di due funzionari mai inquisiti ( il dott. Giuseppe Miniero e il geologo Luigi Di Palo ).

 

3.4 – Il decreto dirigenziale n. 2252 del 5-9-2001 emesso in favore della S.r.l. Fran.Ca.

 

Ripercorrendo anche per tale decreto il tenore della contestazione, è agevole rilevare che le imputazioni di falso ideologico e abuso d’ufficio di cui ai capi B e C sono ricalcate sul medesimo schema utilizzato per la cava Luserta; identica è la premessa narrativa ( e cioè l’esistenza di pericoli di crollo su estesi fronti di cava, nonché l’attestazione di pseudo-risanamenti ambientali su aree di cava ), identico il cuore dell’addebito ( il Cicotti e il Ribattezzato avrebbero falsamente dichiarato che “ particelle catastali “ sulle quali effettuare la coltivazione erano presenti nell’istanza di prosecuzione, mentre il Fortunato avrebbe omesso ogni controllo di legge e sottoscritto il decreto 2252 ), identiche infine le finalità perseguite ( ossia procurare alla società esercente l’ingiusto vantaggio patrimoniale consistente nella possibilità di proseguire la coltivazione della cava in assenza dei presupposti richiesti dalla normativa vigente ); l’unico connotato peculiare a tale impianto di cava investe il presunto contrasto tra il contenuto del decreto in discorso e “ le problematiche relative agli sconfinamenti, agli svincoli idrogeologici e alla ricomposizione ambientale “. 

Richiamate tutte le considerazioni svolte al paragrafo 3.3 sia in ordine alla genericità della contestazione in merito all’individuazione degli atti che si assumono falsi e delle particelle indebitamente autorizzate, sia in relazione ai criteri di identificazione dei responsabili dei dedotti illeciti ( anche in questo caso l’autorizzazione, emessa in pari data a quella rilasciata al Luserta, è stata ovviamente sottoscritta dal  dirigente Ing. Vittorio Pagliarulo e non dal Fortunato ), va osservato che i consulenti tecnici del Pubblico Ministero hanno ritenuto l’illegittimità del decreto n. 2252 ( che autorizzava la coltivazione delle particelle 89 del foglio 49 e 11 del fol. 40 ) in forza di due argomenti, e cioè: 1) lo sconfinamento dell’attività estrattiva sulle particelle 46 e 106 del fog. 5, ricadenti nel territorio del Comune di Valle di Maddaloni e pacificamente esterne al perimetro di cava; 2 ) la mancata osservanza delle fasce di rispetto delle particelle 11 parte e 16 parte del fog. 40,  fasce di rispetto sottoposte a vincolo idrogeologico, sostenendosi che da siffatta violazione sarebbe conseguita la decadenza del provvedimento di svincolo.

 

3.4.1 – Può subito rilevarsi che, al di là del formale tenore della contestazione, nel caso in esame è fuori discussione la legittima inclusione nel decreto delle particelle ( 89 e 11 ) in relazione alle quali fu concessa l’autorizzazione alla prosecuzione; la migliore conferma di tale conclusione è offerta dalla nota dell’Ufficio del Genio Civile di Caserta ( ora diretto - si ribadisce – da funzionario considerato assolutamente attendibile anche dall’Ufficio requirente ) del 19-7-2007, già posta a base del provvedimento di dissequestro della cava alla località Sovrapioppi, nella quale si rileva che              “ entrambe le particelle sono indicate sia nella denunce di esercizio regolarmente presentate…..che nell’istanza di prosecuzione…..hanno avuto successivi pareri favorevoli ( 1973-1982-1987 ) in merito al vincolo idrogeologico da parte dell’Ispettorato Ripartimentale delle Foreste”; la medesima nota altresì precisa, eliminando ogni dubbio anche su un aspetto che neppure i consulenti avevano evidenziato, che il decreto dirigenziale è stato rilasciato con riferimento a un progetto di coltivazione integrato con nota n. 4977 del 25-3-1996 e con un rilievo topografico depositato nel maggio ’96, e quindi oltre dieci anni dopo la scadenza del termine ex lege 54/85; ciò ( e correttamente, come più diffusamente si dirà nel trattare la posizione della Iuliano Srl ) non è stato considerato ostativo al rilascio dell’autorizzazione, essendosi ritenuta la sostanziale conformità tra progetto iniziale e integrazioni del 1996.

Più controverso è invece il punto attinente alle concrete modalità di coltivazione della cava nel lasso di tempo compreso tra il 1986 e il 2001, affermando gli ausiliari del PM che gli sconfinamenti in territorio del Comune di Valle di Maddaloni ( e su particelle di terreno appartenenti proprio al demanio comunale ) avrebbero dovuto indurre i funzionari del Genio Civile a emettere una decisione sfavorevole sull’istanza di prosecuzione.

Siffatto convincimento non sembra tuttavia avere un adeguato sostegno normativo.

Invero l’art. 28 della legge 54/85 prevede che l’attività di abusiva coltivazione di una cava ( per abusiva intendendosi la coltivazione effettuata senza autorizzazione o concessione, ovvero in violazione delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione ) comporta esclusivamente una sanzione amministrativa di carattere pecuniario e, qualora vi sia stata alterazione dell’ambiente, l’obbligo di provvedere al ripristino dello stato dei luoghi ( o, in caso di impossibilità, alla ricomposizione ambientale ); se allora l’invasione di terreni esterni al perimetro di cava non preclude affatto la continuazione dell’attività di scavo in zone legittimamente coltivabili in presenza dei presupposti di legge, non si comprende per quale motivo il Genio Civile di Caserta avrebbe dovuto negare l’autorizzazione nei limiti delle particelle nella disponibilità della Fran.Ca. e idrogeologicamente svincolate, sia pure successivamente al 1986 ( sulla validità degli svincoli post-1986 ci si è ampiamente soffermati al precedente capitolo ).

Diverso, ma estraneo alla tematica in trattazione, è l’aspetto concernente i profili di responsabilità penale e civile connessi alla condotta in contestazione, profili che mai potrebbero influire sulla validità del provvedimento autorizzativo e che sono stati comunque oggetto di un procedimento penale e di una controversia civile, entrambi ormai definiti.

In sede penale, infatti, il giudizio ( nei confronti dell’allora legale rappresentante della società Moselli Michele ) è stato definito con una sentenza della Corte d’Appello di Napoli in data          30-3-2000 dichiarativa dell’estinzione del reato per prescrizione, mentre il procedimento civile pure è stato definito in secondo grado con la pronunzia n. 1529 del 22-3-06, che ha visto la Fran.Ca. condannata al risarcimento dei danni, anche di carattere ambientale, in favore del Comune di Valle di Maddaloni, nella misura di euro 72.000 oltre interessi legali.

Allo stesso modo, non inficia la validità del decreto autorizzativo neppure lo sconfinamento registrato nella parte alta della cava, e concernente una porzione della particella 11 del foglio 40: la stessa nota del luglio 2007 fa comprendere che si è verosimilmente trattato di uno sconfinamento incolpevole, cagionato da un errore delle quote sul rilievo del 1996, a sua volta determinato dall’esistenza di un caposaldo di riferimento con quota errata nell’area di Monte Calvo, ove appunto insiste la cava della Fran.Ca.

 

3.4.2 – Del resto, la conformità a legge del decreto dirigenziale n. 2252 era stata favorevolmente valutata, ancor prima delle citate e conformi conclusioni del Genio Civile di Caserta, sia dalla Commissione Tecnico Consultiva della Regione Campania, che – analogamente a quanto già visto per la cava Luserta – ebbe ad esprimere favorevolmente, sempre in data 30 giugno 1989, il suo parere obbligatorio e vincolante sull’istanza di prosecuzione, sia dalla Commissione d’Indagine che, come innanzi già rappresentato, di fatto svolse sul versante amministrativo i medesimi accertamenti posti in essere dai consulenti del Pubblico Ministero nel corso delle indagini preliminari ( vedi allegato 8/19 all’informativa finale della GDF di Caserta, in cui si riporta il lapidario giudizio espresso dalla Commissione sull’autorizzazione alla Fran.Ca. : “ La Commissione di Indagine non ha ritenuto di formulare alcuna osservazione sul provvedimento assunto dal Dirigente del Settore Provinciale del Genio Civile di Caserta “ ).

Le considerazioni che precedono dispensano da ogni ulteriore analisi sulla corretta identificazione di Cicotti Diego quale presunto responsabile dei fatti, nella qualità di gestore di fatto della cava        ( il legale rappresentante della Fran.Ca. è infatti altra persona, Natale Pasquale ).

 

3.5 – Il decreto dirigenziale n. 1389 del 17-7-2002 in favore della S.r.l. CLC Iuliano   

 

Le contestazioni di falso ideologico e abuso d’ufficio di cui ai capi B e C concernenti il decreto dirigenziale n. 1389, emesso il 17 luglio 2002 in favore della CLC Srl ( della quale è legale rappresentante Iuliano Elvira, ma pacificamente deve considerarsi gestore di fatto il padre Nicola ) sono in parte dissimili da quelle già mosse al Luserta e al Cicotti per i decreti 2252 e 2253; infatti, pur partendo dall’ormai consueta premessa della falsa dichiarazione relativa all’esistenza di pericoli di crollo su estesi fronti di cava ( che trova però in questo caso almeno un aggancio – sia pure mal interpretato – alla realtà fattuale, diversamente da quanto visto per le due cave già esaminate ) e di risanamenti ambientali, si innesta un addebito incentrato unicamente sulla non veritiera attestazione “ dell’andamento planoaltimetrico della cava Iuliano “ ( il capo B non esplicita altro ); solo la lettura dell’imputazione ex art. 323 c.p. sub C, o meglio delle integrazioni a detta imputazione che il PM ha apportato dopo l’ordinanza emessa da questo Giudice all’udienza preliminare del 18 maggio 2007 )  fornisce maggiori lumi, chiarendo che “ il provvedimento autorizzatorio…..riferito a un nuovo progetto presentato dalla società per la coltivazione della cava, risulta in contrasto con le leggi regionali che sanciscono espressamente il divieto di rilasciare autorizzazioni per l’ampliamento di cave già esistenti; inoltre esso è sprovvisto delle autorizzazioni dell’Amministrazione Provinciale ai fini dello svincolo idrogeologico …… “

Prima di verificare, sempre seguendo il medesimo criterio in precedenza adoperato, quali siano i complessivi ed effettivi profili di illegittimità dell’atto amministrativo sui quali vi è stato contraddittorio tra le parti, corre anche qui l’obbligo di avvertire che, a prescindere da ogni altra considerazione, anche il decreto n. 1389/02 non è stato sottoscritto ( come invece l’imputazione lascerebbe intendere ) dal Fortunato, bensì ancora una volta dall’Ing. Pagliarulo, essendo i funzionari Fortunato ( quest’ultimo con i limiti temporali già precisati ) e Losa responsabili della mera istruttoria dell’istanza di prosecuzione. 

    

3.5.1 – La lettura della consulenza tecnica a firma dell’arch. Maciariello e degli altri due ausiliari del PM fa comprendere che il primo rilievo di illegittimità mosso al decreto dirigenziale attiene all’inclusione in esso di alcune particelle ( le n. 32, 33, 39, e porzioni della 40/a e della 40/b ) che i consulenti ritengono prive di svincolo idrogeologico, in quanto ottenuto solo in data 26 ottobre 1992: dall’elaborato infatti emerge che sono state considerate legittimamente coltivabili soltanto le aree ( individuate dalle particelle 38, 39 parte, 40/a parte, 40/b parte, 41 e 42 ) oggetto di un precedente svincolo idrogeologico rilasciato il 15-3-1988.

Sul punto, è agevole osservare che – al di là della non chiara distinzione operata tra lo svincolo del 1988  e quello del 1992, trattandosi comunque di provvedimenti successivi al 1986 – si è già avuto modo di evidenziare ( cfr. supra, par. 2.5 ) l’insostenibilità delle tesi relative all’invalidità di tali svincoli e alla pretesa impossibilità di intaccare ex novo particelle ricomprese nell’area di cava, ma non ancora coltivate al luglio 1986; né, in proposito, v’è nulla da aggiungere.

 

3.5.2 - Un secondo argomento valorizzato dagli ausiliari del Pubblico Ministero riguarda invece la mancata presenza delle particelle 32, 33, 36 e 43 nella denunzia di esercizio presentata dall’imprenditore in data 6-4-1977; si tratta invero di una circostanza menzionata anche in un provvedimento di sospensione cautelativa della coltivazione adottato dalla Regione Campania in data 20-6-1994 ( quindi otto anni prima dell’emissione del decreto dirigenziale ) e soprattutto fatta propria dalla Commissione Regionale d’Indagine Amministrativa che, nella sua relazione conclusiva, nota appunto che le menzionate particelle non risultano inserite in alcuna delle denunzie di esercizio ed anzi aggiunge che non era autorizzabile neppure la coltivazione delle particelle 35 e 37, giacchè non incluse nell’istanza di prosecuzione del luglio 1986.

Nonostante le deduzioni al riguardo svolte nella consulenza tecnica trovino, nella concreta fattispecie, le pur autorevoli  conferme cui si è appena accennato, deve escludersi la loro rilevanza penale in virtù delle argomentazioni che seguono.

Si è invero già dimostrata l’insussistenza di un obbligo per i titolari di cava di procedere a specifiche e analitiche elencazioni delle particelle, tanto con riferimento alla denunzia di esercizio, quanto rispetto al testo dell’istanza di prosecuzione ( si rinvia alla motivazione di cui al paragrafo 2.4 ): in entrambi i casi, è ben possibile che l’area concretamente interessata dal progetto di coltivazione venga desunta dalla visione della documentazione allegata ( titoli di disponibilità prodotti unitamente alla denunzia di esercizio; planimetria corredante l’istanza di prosecuzione ), come del resto espressamente riconosciuto dalla Regione Campania con la ricordata circolare 242/96.

Fatta tale premessa, va osservato che dalla documentazione acquisita al fascicolo processuale emerge ( peraltro in conformità alla ricostruzione fatta dalla predetta Commissione Regionale ) che, per l’esercizio dell’attività di cava in località Monte del Comune di Caserta, furono presentate dallo Iuliano tre successive denunzie di esercizio: la prima, del 13-2-1977, indicava solo la predetta località senza ulteriori specificazioni; la seconda, del 6-4-1977, contemplava invece in modo analitico le particelle 38-39-40-41-42, illustrando anche il titolo di disponibilità delle medesime       ( affitto da Falcone Giulia ); la terza è del 25-10-1978 e identifica l’area solo mediante l’indicazione del Comune in cui è ubicata e del soggetto titolare del diritto dominicale ( ancora la Falcone ).

A questo proposito, va subito rilevato che la mancata menzione delle particelle 32-33-36-43 nella denunzia d’esercizio dell’aprile 1977 non può essere qualificata – come invece si opina nella consulenza – come implicita manifestazione della volontà dell’esercente di delimitare la cava nell’ambito dei confini rappresentati dalle diverse particelle in essa contemplate.                                                        

Depone in senso contrario a tale interpretazione il contenuto della domanda di prosecuzione, che da un lato riporta espressamente le quattro particelle in questione, dall’altro indica la complessiva estensione del perimetro di cava in mq. 63.113, dei quali 30.000 di giacimento calcareo sfruttabile.

In realtà, l’esame degli atti fa comprendere – come messo in evidenza nella consulenza dell’Ing. Poidomani – che le aree in questione pervennero nella disponibilità di Iuliano Nicola solo in epoca successiva alla presentazione delle denunzie di esercizio ( furono infatti acquistate con atto per Notaio Schettini del 24-4-1981, allegato sub 39 alla consulenza della Difesa ); l’esercente pertanto le indicò nell’istanza di prosecuzione del 1986, senza però preoccuparsi in precedenza di aggiornare il contenuto delle denunzie medesime ( non a caso, il profilo di illegittimità condiviso dalla Commissione d’Indagine finisce con il ricadere proprio sulla divergenza tra oggetto delle denunzie di esercizio e dell’istanza di prosecuzione ).

Il quesito da porsi è allora quello relativo alla possibilità di considerare legittimate alla coltivazione anche particelle formalmente non inserite in denunzie d’esercizio ante-1986, ma comunque contigue territorialmente con quelle oggetto delle denunzie e formanti con esse un unico complesso estrattivo, complesso in rapporto al quale è stata presentata istanza di prosecuzione ex lege 54/85.

Ad avviso dello scrivente, la soluzione affermativa data dall’Ing. Pagliarulo nel luglio 2002, in difformità dal negativo convincimento palesato dalla Commissione d’Indagine e dai consulenti del PM, non può essere considerata con certezza né sicuramente errata, né tantomeno sintomatica dell’illecita volontà di avvantaggiare indebitamente lo Iuliano.

 

3.5.3 - Per valutare correttamente l’operato di chi decise di rilasciare l’autorizzazione occorre tener presente quale fosse la situazione al 2002, e cioè il complesso di atti amministrativi intervenuti nel vastissimo lasso temporale ( sedici anni ) intercorrente tra deposito dell’istanza di prosecuzione e decisione finale sulla stessa adottata.

La prima pronunzia sull’argomento è rappresentata dal parere favorevole ( obbligatorio e   vincolante ) espresso dalla Commissione Tecnico Consultiva prevista dall’art. 3 l. 54/85; detto parere fu reso nella seduta del 28-12-1989 e approvò il progetto di coltivazione redatto dallo Iuliano prescrivendo una “ pendenza dell’alzata dei gradoni costituenti il fronte finale del recupero non superiore a     60° “; con la novella di cui alla legge 17/95, il legislatore regionale stabilì, introducendo il co. 5° dell’art. 38 ter, che tutti gli atti emanati prima dell’entrata in vigore della legge 17 ai fini dell’istruttoria delle istanze di prosecuzione conservassero intatta la propria efficacia; ne discende che il citato parere rappresentava comunque, nelle determinazioni che competevano al Genio Civile, un punto di riferimento non trascurabile.

Nel 1994, con il citato provvedimento n. 737 del 20 giugno, la Regione Campania contestò per la prima volta allo Iuliano l’illegittimità della coltivazione di alcune particelle, ma l’efficacia dell’atto fu subito sospesa da un’ordinanza del TAR Campania il 24 agosto seguente.

Ripresi i lavori, il mancato rispetto delle modalità di coltivazione previste dall’art. 119 DPR n. 128/59 provocò una nuova sospensione in data 12-10-95, poi ribadita con il decreto n. 731 del      27-12-95: ciò a causa della presenza - sull’unica parete di cava a strapiombo - di masse rocciose instabili comportanti potenziale pericolo di frana ( pericolo la cui effettiva esistenza non è mai stata messa in discussione da alcuno: di qui l’infondatezza del riferimento fatto nella contestazione alla falsa rappresentazione del medesimo ); con gli stessi provvedimenti, fu ordinato all’esercente della cava di recintare il tratto di parete interessata dalle rocce pericolanti e di predisporre un progetto di eliminazione della minaccia ( disgaggio ) che il loro incombere provocava.

Il 23 gennaio 1996 il Genio Civile di Caserta, con il provvedimento n. 4 a firma dell’allora dirigente Ing. Angelo Provenzano, rilevava che le descritte pregresse vicende avevano comportato un irreversibile mutamento dell’originario progetto di coltivazione e – ferma restando la sospensione dei lavori – invitava l’esercente alla presentazione sia del progetto di disgaggio, sia di un rilievo topografico plano-altimetrico riportante l’indicazione dei confini catastali delle particelle in disponibilità; nella motivazione del provvedimento, il Provenzano osservava che il parere favorevole della C.T.C. regionale del dicembre 1989 aveva “ legittimato la ditta Iuliano al proseguimento dell’attività estrattiva in applicazione delle linee tecniche del progetto di coltivazione, così come presentato e approvato “.

Presentata la documentazione e approvato il progetto di disgaggio in data 26-2-1996 con provvedimento n. 3474, quest’ultimo fu revocato con decreto dirigenziale n. 340 del 9-8-2000  a firma dell’Ing. Giovanni Paccone che – sulla scorta sia della più volte ravvisata escavazione di particelle non legittimate, sia del mutamento dell’originario progetto di coltivazione – decretava nuovamente l’immediata sospensione di ogni attività di cava.

Anche in questo caso il provvedimento aveva efficacia assai limitata nel tempo giacchè, a seguito della sua impugnazione innanzi al giudice amministrativo, interveniva il 15-12-00 in sede cautelare un’ordinanza di sospensione emessa dal Consiglio di Stato, motivata sulla riscontrata difformità tra motivazione e dispositivo, su carenze istruttorie dell’iter procedimentale, sulla possibilità per l’amministrazione di perseguire l’interesse ambientale anche in costanza dell’esecuzione del progetto di messa in sicurezza della cava, con conseguente restrizione del divieto di coltivazione alle sole particelle direttamente interessate dal disgaggio; proprio nel corso della fase cautelare svoltasi innanzi al TAR Campania ( conclusasi sfavorevolmente in primo grado per l’esercente ), la dott.ssa Cioppa ( che l’accusa indica come partecipe dell’ipotizzata associazione per delinquere )  stilava il 31-10-00 la relazione ( ricordata nella consulenza del PM ) in cui dichiarava di considerare “ cessata l’attività estrattiva per esaurimento delle superfici legittime “, relazione il cui contrasto con la successiva autorizzazione del luglio 2002 finisce con l’essere uno dei capisaldi dell’accusa.

 

3.5.4 – All’esito della rassegna degli atti amministrativi appena menzionati, sembra più agevole esplicitare le ragioni del convincimento circa l’impossibilità di ravvisare nella condotta dello Iuliano, del Ribattezzato ( quest’ultimo, peraltro, del tutto estraneo ai fatti oggetto di tale segmento processuale ) e – incidentalmente – del Fortunato  i contestati reati di falso ideologico e abuso d’ufficio.

In primo luogo, il dato che dovrebbe rappresentare il punto di partenza dell’intero costrutto accusatorio è privo della necessaria solidità, apparendo almeno discutibile che le particelle acquistate dallo Iuliano nel 1981 e quindi nella sua disponibilità al luglio 1986 non fossero sfruttabili, nonostante l’inserimento nell’istanza di prosecuzione, perché non citate in precedenti denunzie di esercizio; anche a voler confutare la tesi dell’esistenza di un vero e proprio diritto soggettivo alla coltivazione ex art. 45 R.D. n. 1443/27 ( prospettazione avanzata nelle consulenze Ramondini e Poidomani ), il fatto che si trattasse di aree contigue a quelle contemplate nelle denunzie precedenti non sembra ictu oculi irrilevante.

In ogni caso, non può trascurarsi che l’Ing. Pagliarulo dovè considerare, nell’economia della decisione concernente il decreto dirigenziale 1389, sia i precedenti provvedimenti ( il parere CTC del dicembre 1989 e il provvedimento n. 4/96 del suo predecessore Provenzano ) che avevano di fatto legittimato l’attività di escavazione sull’intero fronte di cava, sia l’esito dei giudizi – sebbene limitati alla fase cautelare – che avevano visto cadere tutti i provvedimenti basati sulla più rigorosa delle due interpretazioni possibili ( in tal senso, quindi, né il provvedimento a firma Paccone dell’agosto 2000 né la nota difensiva del successivo ottobre potevano rappresentare un precedente ostativo al rilascio dell’autorizzazione ).

L’ipotesi di un consapevole e volontario abuso è poi ulteriormente affievolita dal rilievo che sulle particelle 36 e 43 lo Iuliano mai ha progettato attività di coltivazione, né l’ha concretamente esercitata ( sull’area in questione ancora oggi insiste un uliveto ); nello stesso senso milita l’opposto errore  ( simile a quello già visto per la cava Luserta ) inerente l’omessa inclusione fra le particelle oggetto del decreto autorizzativo di quella n. 42, certamente legittima.

 

3.5.5 – Considerazioni analoghe – nel senso dell’impossibilità di ricavare dalle circostanze che saranno di seguito sceverate conclusioni che possano condurre ad un’affermazione di penale responsabilità degli imputati -  vanno svolte per che ciò che concerne le particelle 34, 35 e 37 ( su queste ultime due si soffermano anche i rilievi della Commissione d’Indagine ).

Per la particella 34, è sufficiente notare che essa non rientra nell’ambito dell’area autorizzata con il decreto dirigenziale in discorso: la sua coltivazione costituisce perciò uno scavo abusivo, la cui         ( eventuale ) preesistenza al luglio 2002 non poteva comunque né obbligare il Pagliarulo, né consentire al medesimo di rigettare l’istanza di prosecuzione: ciò per i motivi già esposti allorché si è trattato degli sconfinamenti imputabili al legale rappresentante della Fran.Ca. S.r.l.

Le particelle 35 e 37 sono state invece autorizzate senza che l’esercente neppure le avesse inserite nell’istanza di prosecuzione: tale rilievo fa da un lato cadere ex se l’addebito di falso ideologico       ( che, si ricorda, è riferito ai “ progetti e agli altri documenti necessari “ per ottenere l’autorizzazione ), dall’altro svaluta la tesi dell’accordo criminoso tra pubblici funzionari e titolare della cava, specie per ciò che concerne la particella 37, anch’essa mai oggetto di coltivazione, non comprendendosi quale fosse l’illecito vantaggio perseguito dallo Iuliano.

Quanto, infine, alla particella 35 ( oggi 159 ), va rilevato che la decisione dell’Ing. Pagliarulo di includerla nel campo di quelle autorizzate è stata verosimilmente determinata dal già ricordato decreto n. 4/96 a firma Provenzano, posto che in esso, pur riscontrandosi l’esistenza di interventi sulla particella in discorso e il mancato inserimento della stessa nell’istanza di prosecuzione, si valuta che “ lo sconfinamento rientra nelle azioni di miglioramento delle piste di servizio e rimodellamento del piazzale di cava, per eliminare in alcuni punti del terreno, di proprietà di Iuliano già prima delle legge 54/85, le varie contropendenze che potevano ostacolare il deflusso delle acque e realizzare un’unica pendenza verso il fondo della cava “; non può quindi escludersi che il Pagliarulo, ritenendosi vincolato da tale determinazione, abbia perciò ritenuto di fare menzione nel decreto 1389 anche della particella 35.

 

3.5.6 – Un ulteriore profilo di paventata illegittimità del decreto dirigenziale in esame è rappresentato dalla difformità tra l’iniziale progetto di coltivazione presentato dallo Iuliano del 1986 e quello, di diverso contenuto, approvato con il decreto de quo; secondo i consulenti del PM non sarebbe infatti possibile alcuna modifica del progetto originario.

Tale assunto può dirsi senz’altro infondato, alla luce della documentazione prodotta dalla Difesa dell’esercente della cava.

Depone infatti nel senso della possibilità di introdurre varianti al progetto iniziale, sia pure nei limiti del quantitativo massimo di volumi da estrarre, anzitutto la nota - datata 25 maggio 2007 - con cui la Regione Campania ha invitato l’attuale Dirigente dell’Ufficio del Genio Civile di Caserta ad annullare il decreto dirigenziale n. 42 del 24-4-07, con il quale era stata rigettata la richiesta di riesame di un precedente diniego concernente l’istanza di prosecuzione presentata dalla ditta Cave Alifane.

Nella suddetta nota, si rappresenta infatti che qualora il progetto del 1986 sia divenuto tecnicamente irrealizzabile, è obbligo dell’Amministrazione verificare “ la possibilità di un nuovo progetto di coltivazione per le sole aree legittime in uno al progetto di recupero dell’intera area, ponendo eventualmente come vincolo il non superamento dei volumi di cui al progetto ex art. 36 relativo alle sole aree legittime “.

Che quella espressa nell’atto amministrativo il cui testo si è appena riportato non sia un’opinione erronea o isolata può, del resto, comprendersi dallo stesso più recente operato dell’Ufficio del Genio Civile attinente ad altri siti di cava.

Sempre la Difesa di Iuliano Nicola ( che ha più volte, e senza giri di parole, lamentato una sperequazione del trattamento riservato al proprio assistito rispetto alle determinazioni adottate per altri siti di cava posti nel medesimo contesto territoriale ) ha prodotto copia dell’autorizzazione rilasciata in data 8 maggio 2006 alla Spa Cementi Moccia, nella cui motivazione si dà testualmente atto che essa interviene su una rielaborazione del progetto di coltivazione relativo alla “ zona alta “ della cava; analoga autorizzazione era stata peraltro rilasciata alla stessa società il 23-11-2005 stavolta con riguardo alla “ zona bassa “ della cava, sempre approvando un progetto di coltivazione diverso da quello del 1986.

Tali autorizzazioni devono reputarsi particolarmente significative perché la loro conformità a legge appare congruamente attestata dalla circostanza che la Spa Moccia agisce ancora oggi, alla data cioè di questa sentenza, in regime di dissequestro temporaneo ( ciò a seguito di autonoma determinazione assunta dalla Procura della Repubblica nel corso delle indagini preliminari ) e con la sorveglianza del geologo Dott. Antonio De Matteis, che figura in entrambi i provvedimenti ( con la qualifica di “ garante della cava “ ) tra i soggetti messi a conoscenza delle autorizzazioni, nel cui corpo si dà pure atto di un “ benestare “ manifestato dall’ufficio requirente.

Di particolare interesse, per la soluzione del problema in trattazione, è pure la documentazione esibita dalla Difesa di Fenucciu Demetrio, al quale esplicitamente si contesta ( ma senza che se ne  possa comprendere la ragione ) d’aver concorso al rilascio del decreto dirigenziale n. 1389.

Fra gli allegati alla memoria difensiva del 4 ottobre 2007 si rinvengono infatti una serie di autorizzazioni emesse dal Settore Provinciale del Genio Civile di Salerno con riferimento a cave i cui progetti di coltivazione sono stati modificati, come si evince dalla parte motiva dei provvedimenti ( si tratta dell’autorizzazione del 3-4-2001 in favore della Co.Bit. Spa, del decreto del 29-4-03 in favore della Ciliberti Srl, del decreto del 9-10-96 in favore della Snc Grippo Giovanni e figli, del decreto del 27-1-97 in favore della Italsud Srl, del decreto in data 13-2-98 in favore della Argentessa di Cupo Paolo Snc, del decreto in data 16-7-98 in favore della Italcementi Spa, del decreto in data 14-12-98 in favore della Ma. Ce. Sud, del decreto in data 28-3-01 in favore di Ferrara Andrea ).    

Il rilievo inerente la pluralità di tali autorizzazioni e soprattutto la diversità sia dell’epoca di rilascio, sia dei soggetti beneficiari, sia infine dell’identità dei pubblici funzionari che ne sono stati firmatari dimostra che si tratta di una collaudata interpretazione della normativa vigente da parte di quell’Ufficio, interpretazione peraltro più che plausibile e non smentita da dati di segno contrario capaci di avvalorare il convincimento degli ausiliari del PM, i quali peraltro non hanno citato a sostegno delle loro conclusioni atti amministrativi o pronunzie giurisprudenziali ( del TAR o del CDS ) di contenuto conforme.

Sull’argomento resta allora solo da osservare che neppure l’affermazione inerente il presunto esaurimento della cava Iuliano, affermazione che si rinviene nella già menzionata relazione dell’ottobre 2000 a firma di Cioppa Anna Angela, trova adeguata conferma nelle risultanze processuali, sul punto costituite solo dal contenuto dell’originario progetto di coltivazione, che prevedeva la complessiva escavazione di 1.600.000 mc., e dai calcoli effettuati dall’IGM sul volume dei materiali estratti nel periodo 1986/2003, pari a mc. 1.095.971; non essendovi argomenti per mettere in discussione il primo dato e dovendosi invece reputare assolutamente affidabile il secondo, al momento dell’emissione del decreto autorizzativo residuavano quindi ancora oltre 500.000 mc. di calcare da estrarre.                                                                                                                                                                                                                                                                         

 

3.5.7 - Vanno infine operate alcune conclusive notazioni su ulteriori profili di presunta illegittimità che si prestano a una più sintetica trattazione.

In ordine alla mancata osservanza della fascia di rispetto di metri venti dal confine stradale, prescritta dall’art. 104 DPR n. 128/59, e registrata dai consulenti del PM relativamente alle particelle 32, 40/a, 40/b, v’è da notare che – al di là dell’effettiva sussistenza della violazione, oggetto di decisa contestazione da parte della Difesa anche mediante la produzione di rilievi fotografici del sito di cava e del sovrastante asse viario – essa avrebbe potuto al più comportare        ( come per ogni sconfinamento ) l’applicazione di sanzioni pecuniarie e l’interdizione dalla coltivazione di detta fascia, ma non avrebbe invece potuto giustificare il rigetto dell’istanza di prosecuzione.

Per quanto invece concerne la presunta violazione delle prescrizioni di cui al parere favorevole della CTC regionale ( “ pendenza dell’alzata dei gradoni costituenti il fronte finale di recupero non superiore a 60° “ ) v’è da notare che il parere faceva testuale riferimento ad una situazione da verificarsi a coltivazione ultimata e non al momento di rilascio dell’autorizzazione; né in atti vi sono elementi alla stregua dei quali verificare l’assunto ( cfr. esame del consulente del PM dott. Giuseppe Russo all’udienza del  7-5-08 ) secondo cui la metodologia di coltivazione adottata dallo Iuliano lasciava comprendere, già nel momento di rilascio dell’autorizzazione, l’impossibilità di ripristinare la richiesta pendenza.   

Palesemente estranei all’ambito della contestazione sono poi alcuni aspetti introdotti incidentalmente nel processo o nel corso dell’attività di integrazione dell’indagine ( come quello relativo alla nozione di “ cava in atto “, messa in discussione sempre dal geologo dott. Russo durante l’udienza appena citata, senza che tuttavia tale profilo fosse mai stato oggetto di trattazione: appare dunque ultronea anche la replica difensiva contenuta nella memoria conclusiva, fondata sul contenuto della direttiva n. 242/96 ) o nel contesto delle memorie difensive ( si allude al tema della data di presentazione dell’istanza di prosecuzione, che risulta protocollata il 5 luglio 1986 ma reca il timbro del 7 luglio seguente: la discrasia non mette comunque in forse la tempestività della richiesta, giacchè il termine perentorio per il deposito era fissato all’otto luglio ). 

 

3.6 – Il decreto dirigenziale n. 731 del 6-5-02 in favore della S.r.l.  D’Agostino

 

L’imputazione di falso ideologico relativa al decreto dirigenziale n. 731, emesso il 6 maggio 2002 in favore della D’Agostino S.r.l. ( di cui era legale rappresentante all’epoca del fatto Ventrone Luciano, che tuttora ricopre tale carica ) è incentrata esclusivamente sulla non veritiera attestazione dell’andamento altimetrico della cava ( vedi capo B ); come per la cava Iuliano, maggiori ( ma comunque ancora generici ) elementi di specificazione sono invece forniti dalla lettura dell’imputazione ex art. 323 c.p., nella quale si chiarisce che “ il provvedimento autorizzatorio…..riferito a un nuovo progetto presentato dalla società per la coltivazione della cava, risulta in contrasto con le leggi regionali che disciplinano le problematiche relative agli sconfinamenti, agli svincoli idrogeologici e alla ricomposizione ambientale “.

Anche in questo caso occorre premettere che il decreto n. 731/02 è a firma dell’Ing. Vittorio Pagliarulo, mai indagato per tale atto; va pure evidenziato che, ai fini del presente giudizio abbreviato, la trattazione della tematica in discorso rileva solo per la posizione del Ribattezzato, posto che tanto D’Agostino Sebastiano quanto Fortunato Manlio non hanno fatto ricorso al rito alternativo.

 

3.6.1 – Come per gli altri casi già presi in considerazione, solo la consulenza tecnica del PM concretizza con riferimenti fattuali  l’addebito di cui innanzi, permettendo di comprendere ove sia ravvisato il denunziato contrasto tra il decreto autorizzativo e le disposizioni della legge regionale.

Scrivono i consulenti che la continuazione dell’attività di coltivazione della cava gestita dalla Srl D’Agostino ( ubicata alla località Provine Pioppi, e catastalmente individuata dalle particelle 13 e 15 del foglio 49 ) non poteva essere consentita giacchè lo svincolo idrogeologico rilasciato il       14-5-1987 dall’Ispettorato Ripartimentale delle Foreste ( e confermato negli stessi termini dall’Amm. Provinciale il 6-8-1993 ) fu concesso non sull’intera estensione dell’area indicata nel progetto di coltivazione ( mq. 97.500 ), bensì solo su una più limitata parte delle p.lle 13 e 15, per complessivi mq. 69.200; inoltre, lo svincolo era espressamente finalizzato non all’ulteriore coltivazione, bensì soltanto alla ricomposizione ambientale.

Di conseguenza, sempre secondo la prospettazione fatta propria dall’accusa, la coltivazione dell’area oggetto dello svincolo sarebbe da ritenersi illegittima perché non finalizzata alla ricomposizione ambientale, mentre quella praticata sulle superfici esterne alle particelle svincolate costituirebbe a tutti gli effetti un indebito sconfinamento, stavolta di particolare rilevanza per l’estensione dell’area interessata.

Ulteriore riprova della illegittimità ( e della correlata illiceità ) del decreto dirigenziale in questione sarebbe poi offerta dalla difformità tra il contenuto dell’autorizzazione e il decreto n. 745 emesso in data 13-10-00 dall’allora Dirigente del Genio Civile Ing. Paccone.

Con tale atto fu infatti disposta l’immediata sospensione dei lavori estrattivi essendo state ravvisate a carico della Srl D’Agostino plurime violazioni consistenti nello scavo del piazzale fino a una profondità ( compresa tra 320 e 306 metri sul livello del mare ) maggiore rispetto alla quota di progetto ( 330 metri ), nell’analogo maggior approfondimento dei gradoni di 20-40 metri rispetto al progetto iniziale, nel complessivo superamento dei limiti di escavazione che aveva reso di fatto già impossibile la coltivazione della cava secondo il progetto originario.

Se è vero, secondo i consulenti, che il decreto n. 745/00 comunque imponeva alla società esercente della cava la presentazione di un progetto alternativo, ma comunque solo ai fini del recupero ambientale, quello ( a firma del Geom. Michele Maione ) depositato dalla Srl D’Agostino il 7-3-01, poi recepito nel decreto dirigenziale n. 731, non poteva essere comunque oggetto di favorevole valutazione giacchè: a) riproponeva la coltivazione di particelle non svincolate affatto o svincolate a mero scopo di ricomposizione ambientale; b) era comunque difforme dal progetto originario; c) ometteva di considerare la problematica degli sconfinamenti; d) era corredato da uno stato di fatto, sempre predisposto dal Geom. Maione, che indicava una maggiore altezza del piazzale rispetto al dato reale ( circa sette metri in più ); tale alterazione della quota era stata riprodotta anche in due tavole integrative presentate il 12-12-01 stavolta a firma del Ribattezzato ( si tratta del primo atto effettivamente ascrivibile all’imputato nella complessa vicenda in esame), e doveva considerarsi funzionale all’illecito proposito di consentire alla D’Agostino Srl la commercializzazione del materiale calcareo invece non alienabile se l’autorizzazione fosse stata limitata al semplice recupero ambientale.

       

3.6.2 – Alle riferite conclusioni degli ausiliari del PM la Difesa del Ribattezzato, dopo aver rimarcato la limitata partecipazione dell’imputato alla vicenda della formazione del decreto autorizzativo, ribatte  – principalmente attraverso la consulenza di parte dell’Ing. Poidomani e le deduzioni di cui alla memoria difensiva prodotta all’udienza del 12 giugno 2008 – con una serie di argomenti che saranno di seguito passati in rassegna.

Si evidenzia in primo luogo l’esistenza di due svincoli idrogeologici non considerati dai consulenti del Pubblico Ministero nella loro relazione, il primo concernente una superficie di mq. 16.656 sempre ricompresa nell’ambito delle particelle n. 13 e 15 del fog. 49, il secondo riguardante altra area di mq. 25.000, rilasciato all’esercente della cava in data 5 febbraio 1983; l’esistenza di tali provvedimenti, nell’ottica difensiva, darebbe la prova dello svincolo dell’intera superficie di cava.

A tal riguardo, può subito osservarsi che del primo svincolo non v’è traccia in atti, e lo stesso consulente della Difesa, pur postulandone l’esistenza, riconosce di non avere “ precisi riscontri “ al riguardo; viceversa, è fuori discussione che nel febbraio 1983 D’Agostino Vincenzo ( allora amministratore della Srl D’Agostino ) ottenne il rilascio di uno svincolo di mq. 25.000, costituenti parte delle p.lle 13 e 15, da destinare all’ampliamento della preesistente cava ( cfr. allegato 30 alla consulenza Poidomani ).

Ciò posto, secondo la Difesa, nel rilasciare l’ultimo svincolo del 1987, l’Ispettorato Ripartimentale   ( e quindi la Provincia nel 1993 ) avrebbe ignorato il contenuto dello svincolo del 1983, così illegittimamente escludendo dall’autorizzazione un’area ( gran parte della particella 13 )  in realtà già oggetto di lavori estrattivi e creando i presupposti per l’irrealizzabilità del progetto di coltivazione, che era stata invece articolato con riferimento all’intera superficie delle due particelle sulle quali si sviluppava la cava.

Ne consegue che di sconfinamento potrebbe parlarsi solo relativamente a una modesta superficie ricadente nel territorio del Comune di Valle di Maddaloni, e che necessariamente, al momento della valutazione finale sull’istanza di prosecuzione, l’Ufficio del Genio Civile di Caserta dovè richiedere all’esercente un nuovo progetto modificativo di quello originario.

Proprio con riguardo al progetto presentato nel marzo 2001 dal Geom. Maione, rileva la Difesa che esso prevedeva soltanto lavori di recupero e di sistemazione dell’area già intaccata dalla pregressa coltivazione, peraltro condotta negli anni in difformità dal progetto proposto stante la diversa configurazione dei gradoni e il maggior approfondimento del piazzale ( tali circostanze non sono quindi contestate ), facendo solo salva la possibilità di proseguire l’attività estrattiva in approfondimento sull’area già interessata da lavori di escavazione, a norma dell’art. 38 ter, co. 2°, l. 54/85, nel testo novellato dalla legge regionale n. 17/95: di qui la legittimità dell’autorizzazione, che non abilitò la ditta esercente al mutamento del perimetro di cava, ma soltanto a scavi di approfondimento sul piazzale e sui gradoni, dei quali veniva anche consentito il rimodellamento.                                                                                                           

Quanto, infine, alla falsa rappresentazione della quota altimetrica del piazzale di cava di cui alla planimetria che corredava il progetto a firma del Maione, la Difesa ha rilevato – cfr. consulenza di parte a firma dell’Ing. Giancarlo Atza – che non solo la quota del piazzale, ma anche quella di tutta l’area di cava e delle zone adiacenti al sito preso in considerazione risulta più alta di circa sette metri rispetto ai rilievi effettuati dall’IGM e, prima ancora, dal Geom. Marcello Vitale ( si tratta, come si ricorderà, del tecnico incaricato dal Comune di Caserta di appurare i volumi di materiale effettivamente estratti dai titolari delle cave); ciò, secondo la spiegazione del Ribattezzato, dimostra che non si è trattato di una dolosa alterazione della situazione di fatto, bensì di un errore di origine del rilievo, dovuto al fatto che prima il Maione, poi il Ribattezzato ( che era stato chiamato soltanto ad integrare il progetto del precedente tecnico, deceduto nelle more tra presentazione del progetto del marzo 2001 e sua approvazione ) si erano basati sui dati ricavati da una rete locale già esistente, elaborata nel settembre 1998 ( in occasione della predisposizione del piano topografico allegato al programma dei lavori n. 3/98 ) da altro tecnico, l’Ing. Nicola Marra.

In particolare, come l’Ing. Atza ha meglio esplicitato all’udienza del 9-4-08 ( v. verbale stenotipico fog. 81 e ss. ), i punti di partenza utilizzati dal Marra ( denominati nel suo rilievo come “ cs 1 “ e      “ cs 2 “ ) presentavano appunto una quota ( rispettivamente 312,3 e 311,98 ) più alta di sei-sette metri rispetto a quella reale ( 306,083 e 305,765 ) calcolata dall’IGM per i corrispondenti punti         ( cfr. tabella allegata sub 62 alla consulenza Atza ); si sarebbe quindi trattato di un errore incolpevole cagionato dall’errato dato di partenza.

 

3.6.3 – L’intricata situazione delineata dai contrapposti argomenti proposti dalle parti esclude, ad avviso dello scrivente, la possibilità di interpretare l’eventuale illegittimità dell’autorizzazione        n. 731 come sintomo e prova dell’esistenza del reato di abuso d’ufficio.

Si è già sottolineato in precedenza che la modifica del progetto di coltivazione del 1986 appare pienamente consentita dalla legislazione vigente; allo stesso modo, si è notato ( si richiamano i rilievi sviluppati per la cava Fran.Ca. ) che l’esistenza di sconfinamenti, se poteva condurre alla sospensione dell’attività nelle zone illegittimamente cavate e all’irrogazione di sanzioni pecuniarie ex art. 28 L. R. 54/85, non è valutabile come fatto preclusivo al rilascio dell’autorizzazione alla coltivazione delle zone legittime; a tal riguardo, va per completezza rilevato che – similmente a quanto accaduto per la Fran.Ca. – i profili penali e civili dell’abusivo svolgimento dell’attività di escavazione su aree di proprietà del Comune di Valle di Maddaloni sono stati oggetto di due separati giudizi, definiti ( quello penale ) con sentenza di non doversi procedere per prescrizione       (  resa del 30-3-00 dalla Corte d’Appello di Napoli nei confronti di D’Agostino Sebastiano ) e           ( quello civile ) ancora dalla Corte d’Appello con sentenza del 22-3/16-5-06, che ha condannato la Srl D’Agostino al pagamento della somma di 88.206,47 euro ( cfr. documentazione prodotta all’udienza del 17 luglio u.s. ).

Tuttavia, deve pur considerarsi che -  a torto o a ragione – lo svincolo idrogeologico del 1987 riguardava comunque una superficie assai limitata dell’area di cava ed era espressamente limitato a finalità di ricomposizione ambientale, ragion per cui nessuna ulteriore attività di coltivazione poteva essere consentita, salva quella in approfondimento prevista dall’art. 38 ter co. 2°.

Invece, il decreto n. 731/02 di fatto non fa parola di tale modalità di coltivazione – come in fondo riconosce anche l’ing. Poidomani a pag. 45 del suo elaborato  – mentre nel dispositivo abilita la Srl D’Agostino ad “ eseguire i lavori di residua coltivazione “ di cui al progetto 1986, come emendato dal successivo progetto del marzo 2001; entro tali limiti il provvedimento dirigenziale si profila quindi come illegittimo.

Ricavare però da ciò la prova dell’esistenza di un abuso d’ufficio appare oltremodo problematico, in assenza di qualunque prova di un accordo criminoso tra i protagonisti della vicenda e tenuto conto della indiscutibile problematicità della materia, come fin qui illustrata.

Per colmare tale lacuna, non può infatti farsi riferimento al contenuto delle intercettazioni telefoniche, in quanto i contatti che esse attestano tra il Fortunato ( anche in questo caso autore della mera istruttoria, poi valutata dal suo superiore Pagliarulo ) e il Ribattezzato sono d’epoca di gran lunga successiva a quella in cui il decreto fu emesso; anzi, l’analisi delle conversazioni intercettate nel febbraio 2004 avvalora fortemente l’ipotesi dell’assenza di dolo in capo al pubblico ufficiale indicato come complice del Ribattezzato.

Particolarmente significativa si reputa la conversazione n. 1856 del 25-2-04, nella quale il Ribattezzato, dialogando con D’Agostino Giovanna ( parente di D’Agostino Sebastiano ) a proposito dei rilievi in quel frangente formulati dalla Commissione d’Amministrativa d’Indagine, così si esprime : “ stiamo nei guai….la parte superiore della facciata 13 non è stata svincolata….quello è Del Gaudio che sta facendo lo scemo…. oggi hanno messo in crisi Fortunato in merito a questa cosa…..venerdì ho un incontro con Fortunato e gli devo dimostrare che Del Gaudio sta sbagliando “.

Orbene, dovendosi presumere che, nel contesto di un dialogo liberamente intrattenuto con una esponente della società sua datrice di lavoro, il Ribattezzato dica la verità, si ha allora la dimostrazione del fatto che il Fortunato, almeno nella specifica vicenda in esame, non ha intrattenuto alcuna illecita collusione con il direttore tecnico della cava, giacchè, in caso contrario, nessuna necessità di dimostrargli alcunchè sarebbe sorta.

Nello stesso senso, va pure ricordato che, nella telefonata n. 1939 avvenuta il giorno seguente tra il Ribattezzato e il suo collaboratore a nome Clemente, i due discorrono ripetutamente di “ errore “ nel trattare il tema dell’insufficienza dello svincolo, sia pure temendo che dall’errore stesso               ( “ hanno indicato come area di ricomposizione ambientale sempre quella dello svincolo “ ) possano discendere pesanti conseguenze ( “ accidenti Clemente, questo è gravissimo….e questi lo chiudono “ ); le successive telefonate n. 1941 e 1971 del 26 e 27-2-04 non modificano la scena, attestando soltanto che il Ribattezzato e il suo collaboratore si attivano per individuare argomenti tecnici con i quali replicare alle negative conclusioni della Commissione d’Indagine Regionale        ( Clemente dice a Ribattezzato: “ ingegnere io ho verificato tutto per D’Agostino….stiamo a posto…. ho visto che il progetto 86 poteva arrivare anche oltre rispetto a quello che avete fatto voi…”)

Resta da esaminare l’aspetto più direttamente collegato alla concreta condotta del Ribattezzato, inerente le planimetrie da lui presentate il 12 dicembre 2001 ad integrazione di quelle a firma del Maione.      

Sul punto, risulta effettivamente accertato che l’alterazione della quota altimetrica nella misura di circa sette metri in più che le cartografie presentano riguarda l’intera area di cava ed è stata mutuata dai precedenti rilievi di cui fu autore l’Ing. Marra; tale ricostruzione è stata infatti confermata dall’Arch. Maciariello nel corso dell’udienza del 9-4-08, nella quale anzi il consulente del PM ha ricostruito ( v. pag. 83 del verbale stenotipico ) l’intera vicenda nei termini che seguono: “ nel 1986 l’ing. Russi progetta questa cava, presenta il progetto …….e pone il piazzale a quota 315 ( dato corretto, in quanto coincidente con i rilievi IGM - ndr ) ….succede che nell’occasione di un O.S.E., adesso non ricordo la data, l’ing. Marra ….cambia i punti di riferimento e porta il piazzale, attraverso questi cs 1 e cs 2 di cui vi diceva il Prof. Atza, e porta la quota di riferimento…che prima era del piazzale da 315 a 322; alza tutta la cava, non solo il piazzale, di sette metri….poi nell’esecuzione del progetto il D’Agostino ….. arriva a quota 315, cioè il progetto prevedeva che non si dovesse scavare niente su questo piazzale ( l’affermazione è inesatta – v. infra ), con questo artificio di cambiare il sistema di riferimento ottiene da un Genio Civile a dir poco disattento di abbassare sette metri di quota “.

Come può comprendersi dalle testuali parole dell’ausiliario del PM, è incontroverso in fatto che l’indicazione - nelle planimetrie a firma del Ribattezzato – di quote difformi ( perché più alte di circa sette metri ) da quelle reali poi rilevate dall’IGM sia derivata dal precedente errore commesso da diverso professionista; la discussione verte invece sulla conoscenza di tale errore da parte dell’imputato e sul carattere doloso della sua condotta, ritenendo i consulenti del PM che il Ribattezzato se ne sia avvalso per consentire alla D’Agostino Srl di compiere maggiori lavori d’escavazione sul piazzale; al riguardo, va subito precisato che – come lo stesso Arch. Maciariello ha più correttamente affermato nelle note di controdeduzione del 9/4/08 – il progetto 1986 di coltivazione della cava D’Agostino prevedeva l’abbassamento del piazzale da quota 315 a quota 310 ( quote reali ), ragion per cui l’elevazione da quota 315 a quota 322 del dato iniziale avrebbe facultato l’esercente a scavare in profondità non più per cinque, bensì per dodici metri.

Tuttavia l’ipotesi d’accusa, pur in astratto plausibile, appare sfornita di congrua prova.

Deve invero considerarsi che il Ribattezzato ha assunto come dato di partenza il rilievo effettuato da altro tecnico ( il Marra ), e ciò ha fatto nella prima occasione in cui è stato chiamato ad occuparsi della cava D’Agostino, peraltro per integrare documenti cartografici a firma ancora di diverso professionista ( l’Ing. Maione ); inoltre, la circostanza che tutte le quote altimetriche ( e non solo quelle del piazzale, alla cui maggiore cavatura l’operazione sarebbe stata finalizzata ) risultino accresciute di sette metri pone un ulteriore dubbio sulla presunta ed illecita finalità che si vuole ascrivere al Ribattezzato; né v’è alcuna certezza sul fatto che il Ribattezzato, nel dicembre 2001, fosse a conoscenza dei rilievi operati dal Geom. Marcello Vitale soltanto pochi mesi prima; in buona sostanza, non può escludersi che l’imputato si sia rifatto in buona fede ai dati di riferimento che aveva a disposizione.

Il costrutto accusatorio, soprattutto, si pone in contrasto con la modesta entità dei lavori di coltivazione praticati nella cava D’Agostino nel periodo successivo all’assunzione della direzione tecnica da parte del Ribattezzato.

Qualora costui avesse davvero perseguito, con le contestate planimetrie, lo scopo che il Pubblico Ministero ( tramite i suoi consulenti ) gli addebita, sarebbe stato naturale attendersi, da parte sua e subito dopo aver ricevuto il mandato professionale dall’esercente, un’intensa attività di sfruttamento della cava: in realtà, come messo in evidenza nelle note depositate dall’Ing. Atza in data 7 maggio 2008, i rilievi dell’IGM dimostrano che nel periodo compreso tra il maggio 2001 ( epoca che comunque ancora precede di molti mesi la presentazione delle planimetrie integrative ) e l’agosto 2003 sono stati estratti solo mc. 156.598 sui complessivi 2.625.811 mc estratti a far data dal 1986     ( dato anche questo ricavato dai rilievi IGM e illustrato dalle planimetrie allegate sub 19 alle note da ultimo citate  ).

             

PARTE SECONDA – GLI O.S.E.

 

3.7 – La tematica relativa ai falsi e agli abusi che sarebbero stati perpetrati dagli imputati in occasione della richiesta e del rilascio di numerosi O.S.E. è stata in parte anticipata al paragrafo 1.5, laddove si è messa in evidenza l’impossibilità di utilizzare le risultanze della consulenza tecnica del PM come prova capace di assicurare, al di là d’ogni incertezza, l’esistenza delle falsità ideologiche in discorso; in questa sede la trattazione merita però d’essere completata anzitutto attraverso l’analisi della natura giuridica degli O.S.E. ( il che rileva soprattutto ai fini degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 323 c.p. ) e poi mediante la valutazione dei rilievi critici formulati, in relazione ad alcuni specifici O.S.E., dalle consulenze difensive, reputando lo scrivente che detti rilievi esemplificativi abbiano in concreto dimostrato sia l’inadeguatezza della tecnica di raffronto    ( argomento appunto già preso in esame ), sia anche la presenza di specifici errori nell’analisi delle quote operata dagli ausiliari del PM.

 

3.7.1 -  Uno degli argomenti sui quali si è registrata una più serrata contrapposizione tra le parti processuali è proprio quello della valenza da attribuire agli O.S.E.

I consulenti del PM hanno considerato i provvedimenti in questione come vere e proprie autorizzazioni all’esercizio ( a mezzo dell’uso di esplosivi ) della coltivazione delle cave nelle aree di volta in volta indicate nelle planimetrie con le quali gli esercenti corredavano le richieste, e hanno quindi messo in discussione la validità di tali autorizzazioni, sostenendo – con motivazioni da caso a caso differenti – la loro illegittimità ed illiceità.

I difensori degli imputati e i consulenti di parte hanno invece negato il valore autorizzatorio degli O.S.E., rilevando principalmente: a) che di tale valore non v’è traccia nelle norme che disciplinano la loro emissione; b) che la coltivazione delle cave ben può essere esercitata senza dover far necessariamente ricorso ad esplosivi ( con la conseguenza che, qualora l’esercente avesse adoperato una diversa tecnologia, ben avrebbe potuto procedere alla coltivazione senza dover ricevere alcun benestare dall’Ufficio del Genio Civile ); c) che nessuna norma rende obbligatoria l’allegazione di una planimetria o comunque di rilievi plano-altimetrici alla richiesta di O.S.E.

In effetti, la breve ricognizione delle disposizioni vigenti operata al paragrafo 2.2  conforta l’assunto difensivo per ciò che attiene all’inquadramento giuridico dell’istituto.

Infatti, il combinato disposto degli artt. 296 (“ Nei lavori delle miniere e delle cave l’uso degli esplosivi è consentito con le modalità e limitazioni del presente decreto. Nei confronti degli imprenditori di miniere o di cave la concessione della licenza per il trasporto o il deposito di esplosivi ….è accordata su esibizione di un’attestazione rilasciata dal Distretto minerario comprovante l’avvenuto adempimento dell’obbligo della denunzia di esercizio di cui agli artt. 24 e 28 del presente decreto “) e 305 DPR 128/59 (  le norme del presente titolo sono riportate in ordine di servizio del direttore unitamente alle modalità con le quali sono condotte le singole operazioni ….tale ordine di servizio è sottoposto all’approvazione dell’ingegnere capo” ) fa comprendere che l’O.S.E., nel sistema normativo, in realtà costituisce soltanto un momento di verifica, da parte della P.A., delle modalità di impiego degli esplosivi decise dal direttore di cava; infatti è quest’ultimo a dover sottoscrivere l’ordine di servizio, nel quale è tenuto a chiarire le modalità di impiego dell’esplosivo ( indicando in particolare le quantità e le cautele da adottare ), mentre al Dirigente dell’Ufficio del Genio Civile compete l’approvazione dell’O.S.E., al fine di evitare che l’esplosivo venga utilizzato impropriamente ( come, ad esempio, nei casi in cui non sia necessario, o siano sufficienti quantità minori di quelle previste, o vengano previste esplosioni in zone che mettono a repentaglio edifici confinanti ) e possa quindi rappresentare un pericolo per la pubblica incolumità, o almeno per la sicurezza dei lavoratori presenti nell’area di cava; allo stesso tempo, l’approvazione dell’O.S.E. abilita l’esercente all’acquisto e al trasporto delle quantità di esplosivo il cui uso è stato consentito.

Compiute tali precisazioni, occorre interrogarsi sul significato dell’art. 33 co. 2° del DPR n. 128/59, che - come hanno ricordato i consulenti del PM ( in particolare il geologo Giuseppe Russo ) all’udienza del 7-5-08 - impone all’esercente della cava la presentazione, unitamente alla richiesta di approvazione dell’O.S.E., di un piano topografico dei lavori: detta norma potrebbe infatti all’apparenza confermare la tesi che una favorevole decisione del Dirigente dell’Ufficio del Genio Civile comunque rappresenta un avallo alla coltivazione della zona indicata in topografia.

Tuttavia, il deposito di rilievi planimetrici non può snaturare la funzione del provvedimento in discorso, che resta normativamente confinata a compiti di garanzia della pubblica sicurezza, anche attraverso l’individuazione topografica del sito di cava e la verifica dell’esistenza di un pregresso titolo legittimante la coltivazione di quell’area; in altri termini, in nessun caso l’approvazione di un O.S.E. può essere equivalente all’abilitazione a coltivare determinate particelle, poiché l’approvazione presuppone proprio l’esistenza di un titolo a monte, nella fattispecie costituito dall’istanza di prosecuzione ex lege 54/85 ( e dalle anteriori denunzie d’esercizio cui essa si ricollegava ) fino al momento dell’emissione dei quattro decreti dirigenziali esaminati nella parte prima di questo capitolo, e - successivamente – dai decreti medesimi.

Chiarito anche tale concetto, può allora già addivenirsi alla conclusione che, proprio perché gli O.S.E. non hanno contenuto autorizzatorio della coltivazione, di abuso d’ufficio in relazione ad essi  può discorrersi soltanto quando l’approvazione abbia riguardato lavori da svolgersi in zone palesemente esterne all’area di cava come delineata nei menzionati decreti dirigenziali o, anteriormente alla loro emissione, nelle planimetrie allegate dagli esercenti all’istanza di prosecuzione; invero, qualora l’ipotizzata estraneità all’area di cava sussistesse, il fatto che la coltivazione poteva essere praticata anche senza esplosivi ( e dunque senza sollecitare l’attenzione del pubblico ufficio deputato alla sorveglianza ) non farebbe venir meno la configurabilità del reato, posto che, consentendo l’approvazione dell’O.S.E. l’adozione di una tecnica più agevole, rapida e quindi economicamente redditizia, essa avrebbe consentito all’esercente di ottenere un ingiusto vantaggio patrimoniale in violazione di norme di legge.

 

3.7.2 – Sulla base di tale generale premessa – e di quella preliminare concernente la naturale approssimazione che caratterizza la comparazione tra planimetrie cartacee presentate dagli esercenti in occasione degli O.S.E. e rilievi digitali  operati dall’IGM – è allora possibile procedere all’esame in dettaglio delle singole contestazioni.

Per la cava Luserta, il Pubblico Ministero ravvisa il reato di abuso d’ufficio relativamente alle approvazioni degli O.S.E. del 21-3-96, 12-6-96, 8-10-96, 29-1-97, 9-5-97, 17-9-97, 22-12-97,       16-4-98, 30-10-98, 24-5-99, 16-2-00, 31-1-01, 19-10-01, 15-11-02, 27-1-04; la relativa contestazione laconicamente si incentra sulla dedotta “ assenza dei presupposti e delle prescrizioni contemplate dalle leggi in materia “, contenendo un quid esplicativo solo con riferimento ad alcuni dei menzionati O.S.E., e precisamente:

a) all’O.S.E. in data 31-1-01, per il quale si eleva anche l’imputazione di falso ideologico, consistente nell’aver dichiarato falsamente che “ particelle catastali sulle quali effettuare la coltivazione erano presenti nell’istanza di prosecuzione “;

b) agli O.S.E. in data 19-10-01 e 27-1-04, per i quali pure si ravvisa il delitto previsto dall’art. 479 c.p., in ipotesi accusatoria integrato dalla non veritiera attestazione dell’andamento                  plano-altimetrico della cava; per l’O.S.E. del 2004, v’è inoltre l’addebito al Fortunato e ad Albanese Giovanni, altro funzionario dell’Ufficio del Genio Civile, d’aver falsamente attestato nel verbale di sopralluogo a loro firma in data 18 marzo 2003 un “ inesistente risanamento ambientale “ .

Occupandoci anzitutto degli O.S.E. compresi tra quello del 21-3-96 e quello del 16-2-00, l’indicazione di specifici profili di illegittimità può trarsi solo dalla lettura della consulenza tecnica, nella quale si afferma che in tutte le richieste il Luserta e il Ribattezzato avrebbero fatto menzione di interventi da effettuare su particelle neppure indicate nella richiesta di prosecuzione.

Orbene, anche a prescindere dalle conclusioni raggiunte in tema di contenuto tipico dell’atto di approvazione dell’OSE, oppure dall’osservazione per cui firmatari delle approvazioni sono vari funzionari succedutisi alla dirigenza dell’Ufficio del Genio Civile ( Provenzano Angelo, Misuraca Giuseppe, Paccone Giovanni ) e i tecnici Di Palo Luigi e Santorelli Vincenzo, nessuno dei quali mai sottoposto ad indagini o sospettato di collusione con gli attuali imputati, v’è da rilevare che, anteriormente all’emissione del decreto dirigenziale, il termine di paragone per l’Ufficio del Genio Civile era rappresentato dalla domanda di prosecuzione, che nel caso di specie era stata però integrata dalla nota di rettifica depositata in data 8-3-1989, nota peraltro preceduta da un aggiornamento della denunzia di esercizio protocollata il 4-1-1988.

Come si evince dalla motivazione del decreto dirigenziale n. 2253 e, prima ancora, dalla relazione istruttoria sull’istanza di prosecuzione ( entrambi i documenti sono allegati alla memoria difensiva del Luserta in data 7-3-07 ), tutte le particelle che si assumono illegittimamente contemplate nelle approvazioni OSE ( nn. 46-49-68-96-63-102-103-86-139-69 ) sono in realtà inserite sia nell’aggiornamento della denunzia di esercizio, sia nella rettifica del 1989.

Si ripropone allora anche per gli OSE in discussione la medesima questione già affrontata in sede di valutazione del decreto autorizzativo, questione consistente nella rilevanza dell’atto del marzo 1989, non considerato dai consulenti del PM in quanto giudicato tardivo; qui non può che ribadirsi il convincimento, fondato sulle ragioni a suo tempo già rappresentate, circa l’inesistenza della postulata preclusione.

Ne consegue, quale inevitabile corollario, l’infondatezza della presunta illegittimità delle approvazioni degli OSE ricompresi nel segmento temporale innanzi precisato; tale infondatezza riguarda anche l’OSE del 31 gennaio 2001 che, benché oggetto di più dettagliata imputazione, sostanzialmente reitera i medesimi addebiti appena confutati.

Una notazione particolare merita d’essere sviluppata con riguardo all’OSE del 16-4-98, che, a dire dei consulenti ( cfr. pag. 177-178 dell’elaborato ), avrebbe consentito la realizzazione di una pista di accesso a servizio della cava proprio sulla verticale della sottostante galleria di un tracciato stradale ( la cd. “ variante Anas “ ); a tal proposito, l’Arch. Maciariello ha in realtà precisato all’udienza del 7-5-08 che tale affermazione non corrisponde alla realtà, giacchè i lavori programmati nell’OSE non erano estesi alla fascia di rispetto della galleria, essendo stata invasa detta fascia solo in sede di esecuzione dell’opera ( peraltro, a domanda di un difensore, il consulente ha spiegato di non essere sicuro neanche del fatto che la coltivazione illegittima fosse stata davvero praticata mediante esplosivi ).

Può così procedersi all’esame degli unici due OSE ( 19 ottobre 2001 e 27 gennaio 2004 ) per i quali la contestazione si struttura sulla denunziata falsità della rappresentazione plano-altimetrica, che si reputa finalizzata, attraverso l’enunciazione nelle planimetrie presentate dall’esercente di quote maggiori di quelle reali, ad una cavatura di materiale maggiore del consentito.

Per l’OSE dell’ottobre 2001,  a seguito del contraddittorio instauratosi con i consulenti della Difesa, gli ausiliari del Pubblico Ministero, nelle loro controdeduzioni depositate in data 9-4-08, hanno proposto una tabella di confronto tra il piano topografico redatto dal Luserta e dal Ribattezzato e il rilievo IGM del maggio dello stesso anno; detta tabella evidenzia che su ventinove punti presi in considerazione, solo otto ( quelli contraddistinti dai nn. 8-9-10-18-21-22-24-25 ) presentano difformità degne di attenzione ( un nono punto, il n. 27, è difforme ma in senso inverso, nel senso che la quota dichiarata dall’esercente è di otto metri più bassa di quella rilevata dall’IGM ), ossia superiori ai tre metri di scostamento indicati dal col. Santoro ( e accettati anche dagli ausiliari del PM: v. pag. 1 delle richiamate controdeduzioni ) come margine fisiologico di errore ( invero, le differenze individuate dai consulenti vanno dai cinque ai ventisette metri di maggiore altezza ).

Anche tale dato, di per sé già non estremamente rassicurante nell’ottica di un’affermazione di penale responsabilità, laddove si ricordi la notevole estensione della cava Luserta e la coincidenza della maggior parte degli altri punti considerati nella tabella, è stato però fortemente inficiato nelle ulteriori note - sempre a firma dell’Ing. Atza - prodotte all’udienza del 7 maggio 2008.

Invero dalla loro lettura e dalla diretta visione degli allegati si ricava che, in molti casi, vi è stata un’inesatta interpretazione - da parte dei consulenti del PM - delle planimetrie incriminate.

Anzitutto, per il punto n. 8, comunque caratterizzato da uno scostamento di soli cinque metri, va rilevato che lo stesso cade in una zona della cava del tutto diversa da quella oggetto dell’intervento, ragion per cui non vi sarebbe stato alcun motivo di falsificare tale altezza. 

Ancor più importante è quanto appurato per il punto n. 9: di fronte a una quota IGM di metri 127,40 s.l.m., gli ausiliari ascrivono agli imputati d’aver dichiarato una quota pari a 139,56, con una differenza di mt. 12,16; invece, dall’ingrandimento della planimetria allegato sub 2, si comprende che il punto 9 cade ad una quota che l’esercente indica in mt. 131,560, più alta di soli quattro metri rispetto a quella IGM.

Analoga critica va formulata per il punto n. 18 che, come si evince dall’allegato sub 3, si trova ai margini di una scarpata: i consulenti, nell’operazione di sovrapposizione da loro compiuta, hanno ritenuto di identificare il punto in discussione al ciglio superiore della scarpata, così attribuendo al Luserta e al Ribattezzato una dichiarazione di altezza pari a mt. 161,98; se invece – cosa ben possibile dato il margine di errore insito nell’indagine – il punto 18 si posiziona in fondo alla medesima scarpata, l’altezza rilevabile dalla planimetria in ipotesi falsa è di mt. 141,20, praticamente corrispondente a quella di 139,78 stimata dall’IGM.

Identiche considerazioni valgono per i punti n. 10, 21, 22 e 25, che pure sono posti sul margine superiore di un ciglio di scarpata, con la conseguente forte riduzione ( se non addirittura la completa eliminazione ) delle differenze altimetriche ove invece si consideri il piede della scarpata.         

Venendo ora all’OSE del gennaio 2004,  deve registrarsi che – già nell’elaborato del luglio 2004 – i consulenti del PM hanno proposto una tabella di raffronto ( cfr. pag. 190 della consulenza ) che evidenziava scostamenti assai poco rilevanti nella prospettiva del paventato falso ideologico: se è vero infatti che su ventisei punti in considerazione ben sedici presentano maggiori altezze, è altrettanto vero che si tratta quasi sempre di differenze intorno ai due/tre metri, compatibili con il margine di errore considerato ammissibile; solo nei punti 17-19-21 si evidenziano invece dislivelli più rilevanti ( nell’ordine rispettivamente di mt. 4,79, mt. 6,33 e mt. 12,83 ), ma si tratta di punti che ricadono tutti all’esterno dell’area nella quale avrebbero dovuto essere effettuati i lavori oggetto dell’OSE ( v. note difensive del 17-9-08 ); non avrebbe avuto allora alcun senso falsificare dolosamente quote di aree di contorno e invece rappresentare fedelmente proprio il sito dove si voleva cavare con esplosivi.

In definitiva, le argomentazioni che precedono sono tali, ad avviso di questo Giudice, da dimostrare l’inesistenza di elementi di prova - degni di questo nome e di questa valenza nel contesto di un procedimento penale - a sostegno della tesi accusatoria circa la voluta alterazione delle quote                   plano-altimetriche; l’esito del contraddittorio tecnico attesta invero la complessiva inaffidabilità del metodo d’indagine rispetto allo scopo perseguito.

 

3.8 – Venendo alla cava della S.r.l. Fran.Ca., gli OSE oggetto di imputazione sono quelli del           4-12-01 e del 10-9-03, trovando spunto la contestazione – anche in questo caso – nella presunta falsa attestazione, ascrivibile al Ribattezzato e a Cicotti Diego,  dell’andamento plano-altimetrico del sito di cava.

Nella consulenza del luglio 2004, gli ausiliari del PM hanno proposto due tabelle di confronto ( cfr. pagg. 209 e 213 ) tra le quote indicate nelle planimetrie allegate agli OSE e quelle invece rilevate dall’IGM, tabelle dalle quali emergerebbero a prima vista numerose e clamorose difformità, anche nell’ordine dei trenta metri di maggiore altezza; pure nelle controdeduzioni depositate dopo la lettura delle consulenze di parte difensiva si ribadisce la sussistenza di notevoli discrepanze, sia pure di entità più ridotta.  

All’opposto, proprio il caso della cava Fran.Ca. offre un’ulteriore prova dell’impossibilità di considerare i dati in questione come sicuro punto di partenza per le conclusioni che l’accusa ne fa discendere.

Premesso che la planimetria prodotta in occasione dell’OSE del 2001 non è a firma del Ribattezzato, ma dell’Ing. Renata Tecchia ( con la conseguente difficoltà di inquadrare la vicenda nell’ambito degli illeciti accordi che si ritengono intrattenuti dal Ribattezzato con i funzionari del Genio Civile ), appare preferibile incentrare l’attenzione sull’OSE del settembre 2003 e sulla relativa tabella, che è stata oggetto di analitica ( e, si reputa, demolitoria ) critica da parte del Prof. Atza nelle sue note del 7-5-08.

In relazione al punto 1, dai rilievi IGM si rileva che esso è a mt. 503,30 di altezza e cade sul secondo gradone ( dall’alto ) della cava; secondo gli ausiliari del PM, gli imputati avrebbero invece indicato un’altezza di mt. 527,26, con una maggiore quota di mt. 23,96; per contro, come si evince dal particolare della cartografia allegata sub 4 alle note del consulente della Difesa, l’altezza realmente indicata dall’esercente è di mt. 505,35, superiore perciò di soli mt. 2,05 rispetto al dato IGM  ( l’Atza ha altresì rilevato come la cartografia prodotta dal Ribattezzato fosse corredata – vedi allegato 5 sempre alle note del consulente di parte – di una sezione delle altezze dei gradoni, sezione nella quale l’altezza del secondo gradone era appunto indicata a quota 504 s.l.m., il che maggiormente comprova l’insussistenza di qualsiasi intento fraudolento ); l’altezza di mt. 527,26 individuata dai consulenti si trova invece nella planimetria del Ribattezzato addirittura al di sopra del primo gradone, e cioè all’esterno della cava: non può, allora, che trattarsi di un errore dei consulenti del PM, frutto dell’impropria sovrapposizione ( e del conseguente stiramento ) di due mappe originate da tecnologie diverse.

La verifica del punto 2 della tabella conduce ai medesimi risultati.

Identificato il punto in questione, in forza dei rilievi IGM, sul quarto gradone della cava e ad altezza pari a mt. 480,50, secondo i consulenti dell’accusa gli imputati avrebbero indicato una quota di mt. 516,83, difforme dalla realtà di oltre trentasei metri; invece, dall’allegato 6 alle note Atza si rileva che la quota effettivamente indicata in planimetria è di mt. 483,74, che supera in modo assai più esiguo ( mt. 3,24 ) quella IGM ( anche in questo caso la sezione dei gradoni colloca l’altezza del quarto alla realistica quota di 484 mt. ); quota 516,83 si rinviene soltanto sul primo gradone della cava, e il presumibile motivo è quella già rappresentato.

Allo stesso modo, per tutti gli altri punti ( nn. 3-4-5-7-8-9-10 ) per i quali la tabella di confronto predisposta dagli ausiliari del PM a pag. 213 denunziava forti difformità tra quote IGM e quote dell’esercente l’assunto accusatorio deve considerarsi manifestamente smentito dai contrapposti rilievi del Prof Atza e dalla documentazione cartografica allegata alle sue note; di seguito si riporteranno perciò solo i relativi valori altimetrici, secondo la stesso schema utilizzato per i primi due punti.

Punto 3: altezza IGM 468,50; altezza indicata dagli imputati secondo gli ausiliari del PM 504; maggior altezza in contestazione mt. 35,50; altezza invece effettivamente evincibile dalla cartografia Ribattezzato ( v. allegato 7 ) mt. 469,73; differenza reale mt. 1,23.

Punto 4: altezza IGM 460; altezza indicata dagli imputati secondo gli ausiliari del PM 484; maggior altezza in contestazione mt. 24; altezza invece effettivamente evincibile dalla cartografia Ribattezzato ( v. allegato 8 ) mt. 461; differenza reale mt. 1.

Punto 5: altezza IGM 489,90; altezza indicata dagli imputati secondo gli ausiliari del PM 504; maggior altezza in contestazione mt. 14,10; altezza invece effettivamente evincibile dalla cartografia Ribattezzato ( v. allegato 9 ) mt. 489,58; differenza reale mt. -0,32.

Punto 7: altezza IGM 450; altezza indicata dagli imputati secondo gli ausiliari del PM 468; maggior altezza in contestazione mt. 18; altezza invece effettivamente evincibile dalla cartografia Ribattezzato ( v. allegato 10 ) mt. 450,07; differenza reale mt. 0,07.

Punto 8: altezza IGM 450; altezza indicata dagli imputati secondo gli ausiliari del PM 467,2; maggior altezza in contestazione mt. 17,2; altezza invece effettivamente evincibile dalla cartografia Ribattezzato ( v. allegato 11 ) mt. 458; differenza reale mt. 8.

Punto 9: altezza IGM 435,10; altezza indicata dagli imputati secondo gli ausiliari del PM 450,12; maggior altezza in contestazione mt. 15,02; altezza invece effettivamente evincibile dalla cartografia Ribattezzato ( v. allegato 12 ) mt. 445; differenza reale mt. 9,80.

Punto 10: altezza IGM 434,30; altezza indicata dagli imputati secondo gli ausiliari del PM 450,07; maggior altezza in contestazione mt. 15,77; altezza invece effettivamente evincibile dalla cartografia Ribattezzato ( v. allegato 13 ) mt. 438; differenza reale mt. 3,70.

Come si può agevolmente desumere dalla comparazione in tali termini rivisitata, solo su due punti     ( i nn. 8 e 9 ) sussiste davvero l’indicazione di una maggiore quota in proporzioni non irrilevanti; anche in tal caso, tuttavia, a fronte del ben maggior numero di punti collimanti e, soprattutto, del fatto che i punti nn. 8 e 9 si trovano entrambi al di fuori dell’area nella quale doveva svolgersi l’intervento oggetto dell’OSE approvato, l’ipotesi d’accusa finisce con il restare priva di idoneo riscontro.

 

3.9 – Per ciò che attiene alla cava Iuliano, gli OSE oggetto d’imputazione sono quelli approvati in data 30-5-00, 26-4-01, 25-7-01, 10-10-01, 22-5-03 e 27-1-04; anche in questo caso, si fa menzione   ( al capo B ) della non veritiera attestazione dell’andamento plano-altimetrico della cava, oltre che    ( al capo C ) dell’assenza dei presupposti e delle prescrizioni di legge.

Poiché né dalla riferita contestazione, né dalla consulenza tecnica del PM si desumono elementi di illegittimità diversi ed aggiuntivi rispetto a quelli già passati in rassegna allorché si è valutata la legittimità del decreto autorizzativo n. 1389/02, in questa sede ci si può limitare all’analisi del profilo relativo alla presunta falsificazione delle planimetrie depositate a corredo degli OSE.

In realtà, i consulenti del Pubblico Ministero hanno soffermato la loro attenzione – per ciò che appunto concerne la presunta falsa rappresentazione delle quote della cava – esclusivamente su quella presentata dall’Ing. Salvatore Maietta in occasione dell’OSE dell’ottobre 2001.

La tabella proposta a pag. 88 dell’elaborato contiene un raffronto tra undici punti, che presentano tutti discrepanze d’altezza piuttosto contenute ( da mt. 0,36 a mt. 7,66 ), con l’unica eccezione del punto n. 6, che invece raggiunge la differenza record di mt. 80,30, originata dal contrasto tra una quota IGM di mt. 92.00 e una presunta dichiarazione dell’esercente di mt. 172,30.

Orbene, come si legge nelle stesse note di controdeduzione dei consulenti del PM Russo e Maciariello, “ il punto di misura in questione cade su una ripida parete rocciosa a strapiombo “: avendo i consulenti posto il punto 6 al piede della scarpata, essi hanno indicato in mt. 92 la corrispondente quota IGM, mentre, se soltanto si colloca il punto da considerare al ciglio superiore della parete a strapiombo, si raggiunge un’altezza compresa tra i 162 metri indicati dal Prof. Atza e addirittura i 168-170 metri indicati nelle controdeduzioni degli ausiliari del PM; ne consegue una drastica riduzione della differenza che dovrebbe costituire prova del falso ideologico, differenza che resta infatti nell’ambito di un valore compreso fra mt. 10,30 e mt. 2,30.

Tenuto presente tutto quanto rilevato circa l’inadeguatezza strutturale del metodo dello stiramento, sembra evidente che un dubbio di tale portata circa il corretto posizionamento del punto n. 6 sia tale da doversi considerare preclusivo di qualunque deduzione in tema di penale responsabilità; è quindi del tutto fuori luogo parlare di “ enormità “ delle alterazioni cartografiche, anche alla luce delle molto più modeste – e poco significative – differenze di tutti gli altri punti, nonché della quasi perfetta corrispondenza delle quote nei punti CAV ( v. pag. 23 delle note del Prof. Atza in data       7-5-08 ) .    

 

3.10 – Anche per la cava D’Agostino, la contestazione - riferita agli OSE approvati in data 16/6/97, 12/1/98, 5/6/98, 17/3/03 e 10/9/03 – è operata negli stessi termini già vagliati con riferimento al decreto dirigenziale autorizzativo, cui si aggiunge la presunta falsa attestazione dell’andamento pano-altimetrico; come però per la Iuliano Srl, pure in questo caso il profilo della falsità ideologica è preso in esame in relazione ad un unico OSE, quello del settembre 2003 ( cfr. tabella a pag. 60 della consulenza ), che evidenzia difformità che in buona parte sono però riconducibili a quell’elevazione, nella misura di circa sette metri, dell’intera area di cava, elevazione della quale si è già trattato nella parte relativa al decreto autorizzativo n. 731/02; per il resto, residuano anche in questo caso perplessità sul metodo della sovrapposizione per rototraslazione, accresciute nello specifico caso in esame dall’interferenza tra il tracciato stradale sovrastante la cava e l’area che, per effetto della sovrapposizione delle mappe, finirebbe per essere occupata dai gradoni superiori della cava.

 

3.11 – Per concludere l’argomento inerente gli OSE, resta soltanto da vagliare l’ulteriore falso ideologico del quale si sarebbero resi responsabili Fortunato Manlio e Albanese Giovanni ( la cui posizione deve essere vagliata nel presente giudizio abbreviato ) in occasione di un sopralluogo svolto il 18 marzo 2003 su cinque diversi siti di cava; secondo la contestazione, detto falso sarebbe infatti in rapporto di causa ad effetto con il rilascio degli OSE di data posteriore in favore del Luserta, della S.r.l. Fran.Ca. e della S.r.l D’Agostino.

Dalla lettura del verbale di sopralluogo in questione emerge che i due pubblici funzionari effettuarono un accesso presso le cave Luserta, Fran.Ca., Moccia, D’Agostino e Antonucci, accesso destinato proprio a verificare lo stato del recupero ambientale.

All’esito, il Fortunato e l’Albanese attestarono:

che la cava Antonucci non aveva ancora iniziato i lavori di ricomposizione;

che, per la cava coltivata dalla S.r.l. D’Agostino, v’era stata soltanto la costruzione di gradoni senza alcun apporto di terreno vegetale e nessuna piantumazione;

che la ditta Moccia aveva proceduto alla costruzione di gradoni, solo alcuni dei quali completamente recuperati con piantumazione e apporto di terreno vegetale;

che analoga situazione era stata verificata per la cava Fran.Ca., della quale solo il primo gradone già recuperato con apporto di terreno vegetale e piante;

che, infine, per la cava Luserta, il recupero ( effettuato tramite apporto di terreno vegetale e innesto di piante di olivi ) aveva riguardato parte dei gradoni e del piazzale;

che, per gli impianti estrattivi ( Luserta, Fran.Ca., Moccia ) in rapporto ai quali era stato accertato l’inizio dell’attività di recupero ambientale, la stessa doveva comunque essere sensibilmente incrementata.

Tenuto conto del contenuto del verbale, sembra subito evidente che l’ipotizzata falsità ideologica non può avere ad oggetto quanto riferito circa lo stato dei luoghi riscontrato presso le cave D’Agostino e Antonucci, per le quali nessuna attività qualificabile come ricomposizione viene evidenziata nell’incriminata relazione.

Per le restanti tre cave, gli elementi di prova acquisiti al processo mettono in forte dubbio la fondatezza della tesi accusatoria.

Soffermando anzitutto l’attenzione sulla cava Luserta, fra gli allegati alle memorie difensive depositate dall’esercente il 9-11-2007 vi sono alcuni rilievi fotografici ( distinti con i nn. 3-4-5-6 ) che documentano la presenza di terreno vegetale e alberelli sia sui gradoni della cava, sia nel piazzale; circa l’epoca delle foto, al di là delle affermazioni della Difesa ( che ha dedotto l’inclusione della foto n. 6 in una pubblicazione del 2001 sulle cave del Casertano ), v’è da notare che l’anteriorità dell’attività di ricomposizione ambientale posta in essere dalla ditta Luserta rispetto al sopralluogo del marzo 2003 sembra inoppugnabilmente comprovata da altri rilievi fotografici, di analogo contenuto, che corredano la prima consulenza tecnica del Pubblico Ministero, quella depositata il 17 febbraio 2003 e sottoscritta dal geologo Giuseppe Russo e dall’esperto informatico Raffaele Russo.

Il fatto che – come scrivono gli ausiliari del PM a pag. 172 dell’elaborato del luglio 2004 – dal rilievo aerofotogrammetrico IGM del 9 agosto 2003 non emerga l’esistenza di “ aree allo stato vegetativo “ non può costituire valida prova contraria.

In primo luogo, non si chiarisce da parte dei consulenti quale sia la nozione di “ stato vegetativo “ cui intendono fare riferimento, potendo tale nozione non coincidere con l’attività di ricomposizione ambientale ( certamente di non trascendentale portata ) descritta nel verbale di sopralluogo.

In secondo luogo, si registra una sfasatura temporale di quasi cinque mesi tra la data di stesura del verbale e quella del rilievo IGM, periodo di tempo durante il quale il sito potrebbe aver subito modifiche per effetto di ulteriori escavazioni.

In definitiva, non v’è nessuna prova certa del fatto che la situazione reale della cava Luserta al 18 marzo 2003 fosse davvero diversa da quella descritta dall’Albanese e dal Fortunato.

Tale lacuna probatoria è ravvisabile anche per  le cave Moccia e Fran.Ca. e – per quest’ultima – viene resa ancora più grave dal fatto che gli stessi consulenti del PM danno atto ( v. pag. 207 della loro relazione ) dell’esistenza di un’area vegetativa estesa mq. 4712, addirittura più ampia di quella menzionata nell’ultimo OSE assentito.

In buona sostanza, non può addebitarsi agli imputati l’innegabile discrepanza ( ben illustrata a pag. 121 dell’informativa finale di reato:“ non può considerarsi risanata un’area di cava per il semplice fatto che si è distribuito su di essa un piccolo strato di terreno o si è provveduto a piantare degli sporadici alberelli “ ) tra il concetto di effettivo risanamento ambientale e le opere, certamente di minima valenza, concretamente realizzate dagli esercenti ( che, peraltro, avrebbero potuto rinviare il risanamento anche all’esito della coltivazione, posto che l’obbligo di recupero contestuale era soltanto tendenziale ) secondo quanto desumibile dal verbale del marzo 2003; oggetto di valutazione, ai fini della sussistenza del reato previsto dall’art. 479 c.p., deve essere solo la conclamata e sicura difformità tra circostanze di fatto riportate nel verbale e lo stato dei luoghi al momento dell’accesso sul posto; mancando la dimostrazione di tale difformità ( ciò senza dover neppure considerare l’ipotesi – formulata dalla stessa PG nell’informativa sopra richiamata – di una simulata attività di ricomposizione tramite la rimozione del terreno vegetale all’esito dei sopralluoghi degli organi di controllo ), non può che concludersi, almeno ai sensi del capoverso dell’art. 530 c.p.p., per l’assoluzione di Albanese Giovanni dall’imputazione ascrittagli perché il fatto non sussiste.

 

PARTE TERZA – LA POSIZIONE DI FENUCCIU DEMETRIO

 

3.12 – La contestazione di falso ideologico di cui al capo B – che di fatto coincide, per la parte relativa agli imputati Fenucciu, Fortunato e Cioppa, con l’apporto da loro fornito all’associazione per delinquere delineata al capo A – enuclea anche la partecipazione del Fenucciu ( avvocato amministrativista con studio in Salerno ) alla formazione di una serie di atti, alcuni dei quali già passati in rassegna ( i decreti dirigenziali 731 e 1389 autorizzativi della prosecuzione dell’attività estrattiva delle cave Iuliano e D’Agostino ), altri invece ancora da esaminare ( il decreto autorizzativo n. 1390/02 riferito alla cava Antonucci; la relazione a firma dell’Avv. Cioppa inviata in data 11-3-04 dal Genio Civile all’Avvocatura Regionale, nel contesto del giudizio innanzi al TAR promosso dalla Srl Cave Dolomitiche; il decreto autorizzativo n. 41 emesso il 26-5-04 dall’Ufficio del Genio Civile in favore della s.r.l. Mignano Calcestruzzi ed avente per oggetto l’apertura di una cava di basalto in Galluccio ); secondo il tenore dell’addebito, tutti i citati atti sarebbero infatti ideologicamente falsi perché viziati “ ab origine “ da “ errori od omissioni inseriti ad arte per procurare il successivo annullamento in autotutela o da parte del Giudice Amministrativo “.

Al di là della – ormai consueta e mai troppo deprecata – genericità del capo d’accusa, che lascia all’interprete il compito di individuare, atto per atto, a quali errori od omissioni si voglia alludere, nonché della già sottolineata intima contraddizione che lo contraddistingue ( si rinvia, a tal proposito, alle note critiche meglio sviluppate al paragrafo 1.2.2, alle quali non si reputa necessario aggiungere altro ), v’è subito da osservare che l’attuale articolazione dell’imputazione mossa al Fenucciu trae origine dall’informativa in data 11 settembre 2007 della GDF di Caserta.

Invero, dopo l’ordinanza pronunciata dallo scrivente all’udienza del 18 maggio 2007, nella quale veniva segnalata la necessità di chiarimenti sulle concrete condotte penalmente rilevanti di cui si sarebbe reso responsabile il Fenucciu, il Pubblico Ministero ( con nota del 15.6.07, richiamata nell’informativa qui in discorso ) ha ritenuto di demandare tale compito alla Polizia Giudiziaria, la quale, all’esito di un riesame degli atti d’indagine, ha focalizzato l’attenzione sui cinque atti amministrativi innanzi citati; ne discende che, per comprendere a quale titolo e sulla base di quali fonti di prova si sia ritenuto il Fenucciu compartecipe dei falsi in argomento, non può che farsi capo alla ricostruzione proposta proprio con l’informativa del settembre 2007.

Orbene, la lettura di tale atto dimostra che, quanto ai decreti dirigenziali autorizzativi della prosecuzione dei lavori estrattivi nelle cave Iuliano, D’Agostino e Antonucci, il Fenucciu null’altro  ha fatto che svolgere la sua attività di difensore degli esercenti degli impianti di coltivazione; nella relazione di servizio la Polizia Giudiziaria si limita infatti a menzionare la presentazione di ricorsi al TAR della Campania da parte dello studio associato Fenucciu-Riccardi e la presenza dei due legali ad una serie di riunioni svoltesi - fra l’autunno del 2001 e il gennaio dell’anno seguente - presso l’Ufficio del Genio Civile a seguito di formale e rituale convocazione da parte dell’Ufficio medesimo. 

Potendosi dare per pacifico che la proposizione di ricorsi al TAR non possa ex se integrare un reato, sembra sufficiente verificare, attraverso la lettura dei relativi verbali, quale sia stato il comportamento del Fenucciu nelle suddette riunioni, tutte dedicate all’istruttoria delle istanze di prosecuzione.

Proprio dai verbali in questione ( né vi è altra dissonante fonte di prova da cui arguire che sia accaduto qualcosa di diverso e di illecito ) emerge che, nelle quattro riunioni che hanno preceduto il rilascio dell’autorizzazione alla Iuliano Srl, il Fenucciu svolse un intervento nella sola seduta del 26 ottobre 2001, deducendo la validità degli svincoli idrogeologici post-1986 ( opzione interpretativa che ha peraltro ricevuto numerosi ed autorevoli avalli: v. supra ) e la possibilità di considerare legittimate alla coltivazione anche le particelle già nella disponibilità dell’esercente alla data di promulgazione della legge 54/85; quanto alle autorizzazioni attinenti alle altre due cave, la presenza dell’avv. Fenucciu alle riunioni istruttorie non è stata caratterizzata da specifici interventi. 

Si è dunque di fronte ad attività a pieno titolo comprese nel campo del mandato professionale conferito all’imputato, attività che si profilano da un lato addirittura doverose ( ciò nell’ambito del rapporto con il cliente ), dall’altro certamente legittime, difettando qualunque indicazione sul come e sul perché l’imputato avrebbe esorbitato dal ruolo che l’ordinamento giuridico gli assegna; non si comprende perciò come possa ravvedersi nella descritta assistenza legale anche soltanto l’ombra di un illecito.

Non resta, allora, che verificare se la tesi accusatoria sia dotata di maggiore congruità rispetto alle vicende delle cave non casertane, quelle cioè che riguardano le società Mignano Calcestruzzi e Cave Dolomitiche.

 

3.12.1 – La complessa pratica della Mignano Calcestruzzi riguarda l’apertura di una cava di basalto nel Comune di Galluccio, cava al cui esercizio la Mignano era stata autorizzata con un decreto della Giunta Regionale della Campania risalente al 31-7-90 ( di tale atto v’è menzione nella missiva del 23 giugno 2003 inviata dal Dirigente Regionale del Settore Cave, il dott. Ruggero Bartocci, all’Ufficio del Genio Civile di Caserta, missiva allegata sub 13 alla memoria difensiva depositata il 4-10-07 ); l’autorizzazione – che era sospensivamente condizionata alla presentazione del certificato antimafia e soprattutto alla stipula di una convenzione con il Comune di Galluccio ( v. sentenza n. 4132/01 del TAR Campania, prodotta dalla Difesa in sede di interrogatorio di      garanzia ) - non fu però seguita dal concreto avvio dell’attività estrattiva e solo nel 2003 la società interessata formulò istanza ad hoc al Genio Civile di Caserta, che ne investì appunto il settore regionale con nota del 26-5-03 ( allegato 12 alla suddetta memoria ); con la già citata nota del 23 giugno, la Regione ritenne che la verifica circa l’avvenuta realizzazione della condizione sospensiva competesse all’Ufficio di Caserta; questo, preso atto di ciò, sollecitò in data 30 luglio 2003 il Comune di Galluccio a procedere alla stipula della convenzione ( v. nota a firma congiunta degli Ingg. Vittorio Pagliarulo e Antonio Losa e del Geom. Vincenzo Santorelli, nota anch’essa esibita dalla Difesa fin dal momento dell’interrogatorio del Fenucciu ).

Come può comprendersi già dalla sequenza degli atti amministrativi passati in rassegna, non era dunque in questione una valutazione discrezionale sull’autorizzabilità della cava di basalto, posto che l’autorizzazione preesisteva da anni, bensì solo l’accertamento – necessariamente a carattere vincolato - sul verificarsi dei presupposti che nel 2003 impedivano l’avvio dell’attività estrattiva.

Non avendo il Comune di Galluccio ottemperato all’invito del 30-7-03, la Mignano Calcestruzzi chiese all’Ufficio del Genio Civile di poter sostituire detta convenzione con la presentazione dell’atto unilaterale ( cd. “ atto d’obbligo “ ) previsto dal co. 4° dell’art. 36 bis  l. 54/85 ( come novellata dalla legge 17/95 ); la disposizione in parola consentiva infatti agli esercenti, in caso di inerzia dell’Ente territoriale, di superare l’impasse attraverso il deposito, presso il Comune, di una dichiarazione “ avente i contenuti propri dello schema tipo della convenzione  “.

È allora sull’idoneità di tale atto d’obbligo che si innesta il successivo sviluppo dell’episodio.

Il 3-12-03 il Genio Civile di Caserta ricorda alla Mignano Calcestruzzi la necessità della convenzione; circa due mesi dopo, il 13 febbraio 2004, la società replica al Genio Civile d’aver depositato l’atto d’obbligo fin dal 2002 e manifesta il proprio orientamento sulla questione, deducendo l’equipollenza fra atto unilaterale e convenzione.

Il 19 febbraio 2004, viene intercettata sulla nota utenza n. 339/2073522 in uso al Ribattezzato ( che infatti assisteva anche la Mignano Calcestruzzi ) la telefonata n. 1479, nella quale il direttore di cava informa il Fenucciu d’aver parlato con il Santorelli e chiede all’avvocato quale sia il concetto che intende “ far uscire “ dal successivo provvedimento che il pubblico ufficio dovrà emettere; il Fenucciu, avendo compreso dal tenore della conversazione che il Santorelli non condivide la tesi dell’equipollenza nonostante una precedente apparente disponibilità ( “ prima dice una cosa poi ne fa un’altra “ ), esclama testualmente: “ deve dire: per quanto riguarda la convenzione si ritiene sufficiente l’atto d’obbligo “; il Ribattezzato gli chiede allora se l’omesso richiamo della problematica potrebbe comunque giovare e il Fenucciu risponde negativamente; il dialogo si chiude con la frase del Ribattezzato che palesa i suoi dubbi in relazione alla possibilità di convincere il Santorelli ( “ speriamo….domani mi siedo là e tanto me ne vado …..che devo fare più di          questo ? “ )  

Il giorno dopo ( tel. n. 1503 ) Ribattezzato spiega a Fenucciu che sono insorte perplessità, al Genio Civile, circa il contenuto dell’atto d’obbligo predisposto dalla Mignano Calcestruzzi; a tale obiezione, il Fenucciu replica che si sarebbe accontentato anche di un provvedimento che avesse evidenziato la necessità di rinnovare l’atto ( “ ci dicessero che dobbiamo rifare l’atto d’obbligo come dicono loro “ ); il pomeriggio dello stesso 20 febbraio ( tel. n. 1539 ) Ribattezzato anticipa a Fenucciu che sarà proprio questa la decisione del Genio Civile.

Invece, con nota del 25-2-04 ( sempre firmata dai funzionari Pagliarulo, Losa e Santorelli ), il Genio Civile si esprime in senso diametralmente opposto, negando nella concreta fattispecie la praticabilità dell’atto d’obbligo ( la motivazione è che l’atto d’obbligo non può sostituire la convenzione nelle istanze presentate ex art. 35 l. 54/85, e cioè per le cave considerate di preminente interesse regionale ).

Ciò nonostante, un mese dopo ( missiva del 24-3-04, allegata sub 13/4 alla memoria difensiva del   4-10-07 ), l’ufficio di Caserta interpella, con una richiesta di parere, l’Avvocatura Regionale sia sul controverso punto in questione, sia – sollevando ex novo una questione già risolta dal dirigente Bartocci nel giugno 2003 – sulla permanente efficacia dell’autorizzazione del luglio 1990; così, il 26 marzo, Fenucciu si interroga sull’opportunità di “ parlare con l’Avvocatura “ ( tel. n. 4472 ), e verosimilmente vi si reca, come si comprende dalla conversazione n. 5008 in data 1-4-04, nella quale il Ribattezzato e la Cioppa commentano la cosa.

In data 5 aprile, l’Avvocatura Regionale ( nelle persone degli avv.ti Maria D’Elia e Vincenzo Baroni ) risponde al Genio Civile di Caserta esprimendo il proprio favorevole avviso alla fungibilità dell’atto d’obbligo e, nel contempo, lamentando che la notizia della richiesta di parere ( di cui la nota sottolinea la valenza endoprocedimentale ) sia stata portata a conoscenza di “ terzi estranei all’Amministrazione “; letta la nota, la Cioppa chiama il Ribattezzato ( tel. n. 5279 ) e i due interpretano la doglianza dell’Avvocatura come una censura mossa alla irrituale condotta del Fenucciu.

Infine, il 26 maggio 2004, l’Ufficio del Genio Civile, con il decreto n. 41, autorizza la Mignano Calcestruzzi a dar corso all’attività estrattiva.

La riferita successione di provvedimenti, valutata in modo unitario e congiunto al contenuto delle contestuali intercettazioni con cui si interseca, non sembra in alcun modo idonea a suffragare le accuse mosse al Fenucciu e ai suoi coimputati.    

Risulta infatti smentito “ per tabulas “ che il Fenucciu, servendosi della mediazione del Ribattezzato, abbia di fatto dettato all’Ufficio del Genio Civile il contenuto dei provvedimenti concernenti la Mignano Calcestruzzi; tale interpretazione costituisce una evidente forzatura del significato della conversazione 1479, dalla quale – invece – altro non traspare che l’intento del Fenucciu di riuscire a rappresentare ai funzionari del Genio Civile quale fosse la posizione della società esercente in merito all’atto d’obbligo, persuadendoli della bontà della medesima; le parole    “ deve dire “ profferite dal Fenucciu non possono allora considerarsi come prova della capacità del tandem Ribattezzato-Fenucciu di dare ordini ai pubblici ufficiali, ma piuttosto come spiegazione data dal Fenucciu al Ribattezzato circa lo sperabile contenuto dell’atto.

Del resto, è il complessivo sviluppo degli avvenimenti ad offrire la migliore conferma della  fragilità del costrutto accusatorio.

Già nel contesto della stessa telefonata n. 1479, si coglie con assoluta evidenza come il Ribattezzato sia tutt’altro che sicuro del favorevole esito del suo intervento presso il Genio Civile; ed infatti, nonostante tutte le contrarie assicurazioni ricevute ( ovvero nonostante le erronee impressioni del Ribattezzato ), l’atto del 25 febbraio è del tutto negativo per la posizione della Mignano Calcestruzzi, addirittura al punto da rimettere in forse problemi già risolti, tanto che sarà solo il parere dell’Avvocatura Regionale a sbloccare poi la situazione.

Rispetto a tale parere, è ugualmente certo che esso non è stato minimamente condizionato dal Fenucciu, anche nell’ipotesi volesse darsi per provato un suo colloquio con gli Avv.ti D’Elia e Baroni ( i quali, interpellati in sede di indagine difensiva, hanno smentito la circostanza, pur senza spiegare di cosa volessero dolersi nella premessa al parere da loro reso;  lo scrivente deve peraltro rilevare che la nota del 24-3-04 con cui si richiedeva il parere fu inviata per conoscenza anche alla Mignano Calcestruzzi, e da ciò potrebbe originarsi la protesta dei due legali della Regione ): la pur pressante e ostinata rappresentazione delle proprie posizioni in tutte le sedi non può infatti costituire reato, mentre l’assenza di qualsiasi delittuosa intesa è appunto testimoniata dal fatto che, in questo caso, i due funzionari necessari partecipi di essa si sarebbero ben guardati dal rappresentare all’esterno – e per iscritto – l’eventuale interferenza del Fenucciu. 

 

3.12.2 – La vicenda concernente invece la Srl Cave Dolomitiche, pur presentando tratti che la accomunano a quella appena presa in considerazione, ha uno sviluppo più semplice. 

Anche in questo caso preesisteva un atto di autorizzazione all’esercizio della cava, costituito dal decreto n. 409 emesso il 15-3-02 dall’Ufficio del Genio Civile ( il provvedimento risulta sottoscritta dall’Ing. Pagliarulo ); detto decreto prevedeva però come data di cessazione della sua efficacia quella del 12 febbraio 2003, data entro la quale la società esercente non potè richiedere la proroga al Comune di Ailano ( nel cui comprensorio è ubicata la cava ) essendo necessario prima ottenere, da parte del competente ufficio della Regione Campania, il rinnovo dell’atto di assenso al mutamento di destinazione del fondo, gravato da uso civico.

Proprio allo scopo di sollecitare tale rinnovo e così consentire il rilascio della proroga, il 19 novembre 2003 il Sindaco di Ailano convocò una conferenza di servizi, invitando a parteciparvi l’Ufficio del Genio Civile di Caserta e le altre pubbliche amministrazioni interessate; tuttavia, alla prima riunione fissata per il 1° dicembre 2003, non si presentarono né il Genio Civile, né il Settore Usi Civici della Regione, entrambi deducendo l’incompetenza del Comune alla convocazione della conferenza; in particolare, il Genio Civile, con nota del 27 novembre, rivendicò che la convocazione era di propria esclusiva spettanza e chiarì che il Comune di Ailano poteva solo esprimere un parere sull’argomento indicato come oggetto della conferenza.

Ciò nonostante, ad una successiva riunione indetta per il 30 dicembre, presenziò invece – nella sua qualità di dirigente del servizio cave - il geom. Antonio Losa, il quale, preso atto dei pareri favorevoli espressi dai Sindaci di Ailano e Prata Sannita e registrata la perdurante assenza del Settore Usi Civici della Regione, formulò riserva di emettere il provvedimento finale autorizzatorio.

Tale riserva fu però negativamente sciolta con nota del 9-1-04, nella quale il Genio Civile fece presente che, all’esito di ulteriori approfondimenti sulla questione, riteneva non surrogabile dal mero silenzio-assenso del Settore Usi Civici della Regione ( derivante dalla mancata partecipazione  alla conferenza di servizi ) l’acquisizione di un formale atto autorizzativo per il mutamento della destinazione d’uso.

Pochi giorni dopo, e precisamente il 21 gennaio, perveniva al Genio Civile la relazione stilata dalla Commissione d’Indagine Regionale sulla cava di Ailano, relazione che rimetteva in discussione la stessa legittimità del decreto 409/02.

Della complessiva situazione in atto discutono allora il Ribattezzato e il Fenucciu nella conversazione n. 318 del 6 febbraio: il primo evidenzia al secondo che i problemi insorti a seguito della posizione assunta dalla Commissione ( viene fatto il nome di uno dei suoi componenti, l’Ing. Del Gaudio ) sono in via di soluzione perché ormai il geom. Santorelli sembra essersi persuaso della possibilità di rilasciare la nuova autorizzazione, all’esito però di un sopralluogo; tale prospettiva allarma il Fenucciu, timoroso che possa essere ancora agitato il problema della legittimità dell’autorizzazione del 2002 ( “ io penso che cose buone non escono da questo sopralluogo…..loro hanno già valutato favorevolmente …..io ho solo paura che ci mettono in discussione il         progetto “ ); l’avvocato insiste quindi con il Ribattezzato affinché questi convinca i funzionari del Genio Civile a limitarsi alla questione dell’uso civico, sulla quale si propone di ottenere una decisione del TAR ( “ per cui se li convincessimo a rispondere a Del Gaudio nel senso che abbiamo detto …li aiutiamo noi perché riteniamo che sia giusto così … poi loro ci devono solamente scrivere che non ci danno l’autorizzazione perché non c’è l’uso civico…dopodichè sarà il TAR a decidere”...).

Nessun nuovo provvedimento viene emesso dal Genio Civile e allora, con ricorso notificato il 21 febbraio, l’avv. Fenucciu impugna innanzi al TAR Campania la nota del 9-1-04; il Tribunale Amministrativo fissa quindi per l’11 marzo seguente l’udienza camerale per l’eventuale sospensione cautelare dell’efficacia dell’atto di diniego.

Proprio per controdedurre nell’ambito di tale giudizio all’istanza cautelare della società Cave Dolomitiche, l’Avvocatura Regionale chiede allora al Genio Civile di Caserta la relazione contemplata nel capo d’imputazione, la cui stesura viene affidata alla dott.ssa Cioppa.

Dell’argomento trattano il Fenucciu e il Ribattezzato nella telefonata n. 2984 del 10 marzo, ore 17.38, il cui tenore ancora una volta dimostra con chiarezza che la principale preoccupazione del legale è quella di evitare che si ridiscuta la validità dell’autorizzazione n. 409; l’avvocato chiede perciò al suo interlocutore di ottenere dalla Cioppa notizie al riguardo ( “ ma la potete chiamare…volevo solo sapere se hanno scritto cose di merito del progetto….come non dovrebbe essere…..oppure solamente…che si rimettono agli usi civici…. e mi fate sapere perché domani c’è la causa e la Regione ancora non ha depositato niente “ ).

Appena terminato il colloquio telefonico con Fenucciu, Ribattezzato chiama la Cioppa ( tel. n.   2985 ) e cerca appunto di comprendere come sarà articolata la relazione dell’Ufficio ( “ ma voi vi basate su cosa….sul fatto che non è colpa vostra, è colpa degli usi civici…sostanzialmente questo dite….” ), ottenendo una laconica conferma in risposta ( “ bè…diciamo…sì “ ); l’atto – depositato al TAR in apertura dell’udienza – conterrà effettivamente la trattazione del solo problema relativo alla mancanza dello svincolo dell’uso civico, ma in modo assolutamente contrario agli interessi del privato patrocinato dal Fenucciu, ribadendo la nota del Genio Civile l’inefficacia del            silenzio-assenso espresso in una conferenza di servizi convocata da soggetto ( il Comune di    Ailano ) al riguardo incompetente; l’argomento dell’Ufficio sarà accolto prima dal TAR, poi – in sede di gravame - dal Consiglio di Stato, con il conseguenziale rigetto dell’istanza dell’esercente.

Ad avviso di questo Giudice, l’ipotesi di un condizionamento del contenuto della incriminata relazione è del tutto in contrasto con le risultanze processuali, ed è anzi addirittura confutata dalle stesse intercettazioni che vengono addotte a prova di accusa.

Infatti, è fin troppo evidente che il Fenucciu e il Ribattezzato, ancora nel tardo pomeriggio del giorno precedente a quello dell’udienza, sono del tutto all’oscuro del contenuto della relazione ( che peraltro l’Avv. Cioppa, tardivamente incaricata della sua predisposizione, sta ancora scrivendo ) e non cercano di indirizzarla in un senso o nell’altra; l’obiettivo del Fenucciu è soltanto quello di non restare spiazzato innanzi al TAR dai ritardi di controparte ( “ e mi fate sapere perché domani c’è la causa e la Regione ancora non ha depositato niente “) e da deduzioni esorbitanti quello che peraltro doveva essere l’unico possibile oggetto del giudizio introdotto da Cave Dolomitiche             ( “ volevo solo sapere se hanno scritto cose di merito del progetto….come non dovrebbe essere…..oppure solamente…che si rimettono agli usi civici”)”; l’assenza di qualunque influenza sulla libera determinazione della Cioppa ( verosimilmente neanche consapevole di quale fosse il reale - ed eccessivo - timore del Fenucciu: sarebbe stato infatti del tutto arbitrario allargare la tematica processuale ad aspetti, come la validità della originaria autorizzazione, che sfuggivano al petitum processuale ) si desume del resto proprio dalla sua relazione, tutt’altro che favorevole per le sorti dell’esercente.

Le considerazioni che precedono esimono da ogni altro rilievo in diritto circa la configurabilità del delitto di falso ideologico riferito ad un atto di natura valutativa come la relazione de qua.

 

3.12.3 – Tirando allora le fila delle contestazioni mosse al Fenucciu in concorso con il Ribattezzato, deve riconoscersi che – una volta diradata ( peraltro solo in parte )  la nebulosità delle iniziali accuse, che aveva altresì pesantemente condizionato anche lo svolgimento dell’interrogatorio di garanzia, connotato da momenti di forte imbarazzo ( cfr. verbale stenotipico ) per la difficoltà dell’indagato di ottenere chiarimenti su cosa gli fosse in concreto addebitato  – la maggiore chiarezza raggiunta con la definitiva specificazione dell’incolpazione certamente non può giovare all’accoglimento delle richieste della Pubblica Accusa; al contrario, una volta per tutte enunciate le condotte ritenute criminose dal PM, si è potuto comprendere – con innegabile meraviglia - che a finire sotto accusa, in definitiva, è stata proprio l’attività di difensore del Fenucciu, attività presidiata da guarentigie di rango costituzionale ed esercitata con modalità del tutto legittime, ossia nelle sedi proprie ( che non solo soltanto quelle giudiziarie, ben essendo possibile per un amministrativista interloquire con i funzionari della P.A. suoi naturali contraddittori e cercare di orientare il pubblico ufficio verso la tesi più favorevole per il proprio cliente ) e senza il ricorso ad illeciti di sorta; assai spiacevole è poi che malintesi, fraintendimenti e cattive interpretazioni di una prova tanto fragile e inconsistente abbiano addirittura provocato la restrizione – sia pur di breve durata –  della libertà personale dell’imputato.    

 

 

CAPITOLO QUARTO

 

IL DELITTO DI TRUFFA AGGRAVATA

 

4.1 – L’articolata imputazione di truffa pluriaggravata di cui al capo D investe una pluralità di profili, invero notevolmente disomogenei.

Tutti gli esercenti delle cave prese in considerazione sono accusati d’essersi procurati un ingiusto profitto, consistito:

a) nell’aver venduto materiale di cava asportato in aree non legittimate, con conseguente danno erariale di rilevante gravità, stimato in complessivi undici milioni di euro ( tale almeno è il valore che si legge nell’addebito, peraltro corredato da una tabella che invece indica la ben maggiore cifra di euro 35.325.310 );

b) nell’aver omesso il versamento dei contributi dovuti al Comune di Caserta per il materiale estratto negli anni dal 1986 al 2003 o nell’aver comunque versato un contributo minore del dovuto in forza di una dolosa sottostima delle relative quantità, così sottraendo alle casse comunali oltre 884.000 euro;

c) nell’aver tralasciato di effettuare i dovuti risanamenti ambientali delle aree di cava, con un conseguente danno ambientale stimato in euro 10.300.000.

L’illecito arricchimento così conseguito sarebbe – secondo il tenore della contestazione – il frutto di artifizi e raggiri costituiti dalle false rappresentazioni plano-altimetriche delle quali si è trattato nel precedente capitolo, dall’altrettanto falsa attestazione dell’esistenza di pericoli di crollo dei fronti di cava ( dalla quale sarebbe derivato l’ulteriore illecito prosieguo dell’attività estrattiva ) e infine dal simulato inizio dell’attività di ricomposizione ambientale ( simulazione attuata attraverso il momentaneo riporto di terreno vegetale destinato a fungere da specchietto per le allodole in occasione dei controlli posti in essere dal Genio Civile ).

Le conclusioni in precedenza raggiunte ( v. capitolo terzo ) circa l’insussistenza di prove attestanti la presunta alterazione della rappresentazione plano-altimetrica non possono che essere in questa sede richiamate, dispensando da ogni ulteriore considerazione al riguardo.

Né maggiore valenza può riconoscersi alle deduzioni inerenti le condotte di carattere simulatorio additate dal PM come elemento costitutivo del reato.

Invero, la genericità dell’addebito raggiunge su tale aspetto il picco più elevato, riuscendo davvero ostico risalire a quali eventi la Pubblica Accusa si sia voluta riferire.

Un pericolo di crollo ( peraltro assolutamente reale ) si è verificato solo nella cava Iuliano, mentre accadimenti di tal genere non hanno mai interessato – neppure a livello di falsa rappresentazione – alcuna delle altre tre cave per cui è stata esercitata l’azione penale.

Quanto, invece, alle ingannatorie iniziative in tema di ricomposizione ambientale ( che dovrebbero peraltro presumersi rivolte a trarre in inganno quegli stessi funzionari dei quali, in altra parte della contestazione, si denunzia la collusione o l’inattività ) è fin troppo agevole notare che l’informativa della PG, pur operando un vago richiamo ( v. pag. 121 ) a fatti di tal genere, è priva di qualsiasi concreto riferimento agli impianti estrattivi e alle circostanze temporali in cui tanto si sarebbe verificato; né, peraltro, si comprende come la tematica possa essere ricollegata a quella inerente la truffa, attenendo invece il profilo del lamentato danno ambientale ad aspetti puramente civilistici e risarcitori.

 

4.2. – Il negativo riscontro relativo a tutte le condotte espressamente indicate in contestazione come fraudolente potrebbe di per sè esaurire l’argomento concernente l’ipotizzata truffa.

Invero, la sussistenza di artifizi o raggiri capaci di indurre taluno in errore rappresenta un indefettibile elemento costitutivo del delitto di cui all’art. 640 c.p., ragion per cui la sua mancata individuazione fa venir meno la configurabilità del reato in discorso.

Tuttavia, non sembra potersi ignorare che – come lo scrivente ha già avuto modo di sottolineare nell’ordinanza con la quale fu accolta la richiesta di restituzione avanzata dalla S.r.l. Fran.Ca. – nella condotta descritta nel capo d’imputazione è ravvisabile un ulteriore aspetto che può potenzialmente concretizzare il comportamento decettivo richiesto dalla norma incriminatrice; si allude alla “ enorme sottostima “, da parte degli esercenti, dei materiali estratti, finalizzata alla determinazione – in misura assai minore del dovuto – dell’importo dei contributi da versare al Comune di Caserta ( ferme restando le ormai consuete difficoltà nascenti dalla mancata indicazione, nel capo d’imputazione, degli atti da cui desumere la discrepanza da incriminare ).

Per meglio comprendere la problematica in oggetto, bisogna premettere che l’art. 18 della legge 54/85 prevedeva che fra il richiedente l’autorizzazione e il Comune interessato fosse stipulata una convenzione - secondo lo schema tipo approvato dalla regione – volta a disciplinare l’obbligo, da parte dell’esercente della cava, di versare ( in unica soluzione entro il 31 dicembre di ogni anno ) un contributo sulla spesa necessaria per gli interventi pubblici ulteriori rispetto al mero ripristino dell\'area; tale contributo doveva essere parametrato al tipo, qualità o quantità del materiale estratto nell\'anno ed in conformità alle tariffe stabilite dalla Giunta Regionale.

Per quanto riguarda gli impianti estrattivi per cui è processo, le convenzioni ( a seguito di iniziali controversie relativa all’applicabilità della disciplina alle cave operanti in regime di prosecuzione ex art. 36 ) furono sottoscritte a distanza di vari anni dall’entrata in vigore della normativa regionale, e precisamente il 20-6-1991 per le società Fran.Ca. e D’Agostino, il 29-11-1991 per la ditta Luserta e soltanto il 5-5-1994 per la Srl Iuliano ( reduce, come si ricorderà, da un lungo periodo di sospensione dell’attività di sfruttamento della cava ).

Tutte le convenzioni erano articolate nel senso che la concreta determinazione del contributo da versare al Comune di Caserta sarebbe avvenuta sia sulla base della produzione prevista dal piano di coltivazione, sia soprattutto in forza della presentazione, anno per anno, di una perizia giurata nella quale il titolare della cava ( o meglio un tecnico da lui nominato ) doveva precisare la quantità di materiale calcareo estratto nel periodo di riferimento.

Orbene, non c’è dubbio sul fatto che, qualora fosse stata dimostrata la falsa attestazione, in dette perizie, della quantità di materiali estratti, ciò avrebbe potuto – almeno in astratto - concretizzare quell’attività di induzione in errore necessaria per integrare il delitto di truffa: alla P.A. sarebbe stata infatti rappresentata una situazione idonea a quantificare il contributo in modo difforme dalla realtà, con il connesso ingiusto profitto per gli esercenti della cava e lo speculare danno patrimoniale per la P.A.

Senonchè, tale prova è assolutamente carente.

Va in primo luogo rilevato che, per il periodo compreso tra il deposito dell’istanza di prosecuzione e la stipula delle convenzioni, non v’è nessuna traccia documentale da cui desumere l’ampiezza dell’attività estrattiva svolta in tale segmento temporale.

Quanto al lasso di tempo seguente, risultano acquisite agli atti - ma in maniera assolutamente disorganica e frammentaria - solo alcune delle perizie giurate in argomento ( cfr. allegato 3 all’informativa GDF dell’otto luglio 2004 ), senza che talvolta si possa nemmeno comprendere se, per le annualità mancanti, vi sia stata omessa presentazione dell’attestazione ovvero, più semplicemente, il relativo documento non sia stato ricercato o reperito.

Ad esempio, per la ditta Luserta, v’è certezza della presentazione della dichiarazione solo per le annualità 1990-1991 ( in cui fu complessivamente dichiarata un’estrazione pari a mc. 503.773 ), 1992  ( mc. 258.000 ), 1993  ( mc. 160.000 ), 1994 ( mc. 217.080 ), 1995-1996 ( complessivamente mc. 315.000 ); allo stesso modo, per la Srl D’Agostino, risultano presentate solo le perizie giurate per gli anni 1991-92-95-96-98-99; l’unica dichiarazione della Srl Iuliano è invece quella                   afferente al periodo 17 luglio 2002 - 17 novembre 2003 ( periodo nel quale l’esercente ha affermato d’aver cavato 140.000 metri cubi ).

Una completa ricostruzione delle perizie è invece possibile per la Fran.Ca., ma soltanto grazie ai documenti che tale società ha allegato all’istanza di dissequestro poi accolta, istanza che è stata infatti corredata di tutte le perizie giurate presentate dal 1991 al 2003 ( l’indicazione delle relative volumetrie si rinviene nella tabella riassuntiva allegata sub 6 all’istanza, tabella che integra e completa quella redatta dalla GDF nella nota datata 8-3-05, che contiene anche i prospetti delle dichiarazioni degli altri esercenti  ).

Al di là di tale primo ostacolo, ogni valutazione sulla veridicità dei dati oggetto delle dichiarazioni giurate è resa problematica dal fatto che il più affidabile termine di paragone del quale si dispone è il calcolo effettuato dall’IGM all’esito dei rilievi aerofotogrammetrici di cui si è già ampiamente parlato; il computo – e non poteva essere altrimenti tenuto, essendo stato effettuato tramite comparazione dei rilievi degli anni 1986, 2001 e 2003 - è infatti onnicomprensivo dell’intera attività di coltivazione espletata dagli esercenti nell’arco del periodo considerato.

Se, perciò, è stato possibile determinare il complessivo volume dei materiali calcarei estratti per ogni cava nell’accennata lunga frazione di tempo, è invece assolutamente preclusa – con la certezza e la precisione che sono richieste per un’affermazione di responsabilità penale - ogni suddivisione delle quantità totali nell’ambito delle singole annualità che compongono il periodo; non a caso, nei prospetti di cui alla relazione GDF del marzo 2005, viene indicato per ogni anno un valore costante, corrispondente alla media annuale che si ottiene dividendo il risultato finale per il numero di anni.

 

4.3 - Stabilito in tal modo che neppure delle perizie giurate ( risalenti peraltro ad epoche che avrebbero in ogni caso condotto ad una declaratoria di prescrizione ) può affermarsi la natura fraudolenta, resta da osservare che, dopo le modifiche introdotte dalla legge regionale n. 17/95, tutti gli esercenti procedettero ( tra il marzo 2001 e l’ottobre 2002 ) a stipulare una nuova convenzione con il Comune di Caserta; quest’ultimo, dal canto suo, si attivò per giungere ad una determinazione dell’entità del contributo spettantegli che non fosse fondata soltanto su dati ricavati dalle dichiarazioni degli esercenti e, a tal scopo, affidò nel 2001 al Geom. Marcello Vitale l’incarico di effettuare rilievi planoaltimetrici su tutti i siti di cava; a tale mandato si aggiunse poi, nel settembre 2002, quello di determinare il volume di materiale estratto nel periodo 1986-2001 ( si tratta, quindi, dello stesso compito poi conferito dal Pubblico Ministero all’IGM, ma con riferimento anche agli anni 2002 e 2003 ).

Ciò premesso in generale, dagli atti emerge quanto segue con riferimento alle singole posizioni soggettive dei gestori degli impianti estrattivi.

 

4.3.1 - Per la ditta del Luserta, la nuova convenzione, stipulata il 26 gennaio 2001, prevedeva che l’esercente si sarebbe avvalso del disposto dell’art. 36 bis co. 3° della legge 54/85 ( come modificato dall’art. 23 della legge 17 ), secondo cui il Comune poteva accettare, in via totalmente o parzialmente alternativa al contributo, prestazioni di eguale importo fornite dal titolare della concessione; tale prestazione alternativa fu poi individuata ( con il protocollo di intesa del 29-1-01, integrato con appendice del 17-4-02 sottoscritta dal Luserta e da Messore Alfredo, dirigente del settore Pianificazione Territoriale del Comune di Caserta ) nella realizzazione a spese dell’esercente di una bretella di collegamento tra la viabilità pubblica e il sito di cava; in particolare, con le delibere n. 240 del 18-4-01 e n. 638 del 21-9-01, adottate dalla Giunta Comunale di Caserta, recepite dal Consiglio Comunale con successive delibere del 22-4-02 e 26-11-03, fu stabilito che restasse a totale carico del Luserta la costruzione di una porzione della progettata variante di collegamento tra le frazioni di Tuoro e Garzano, porzione consistente nella bretella che si sarebbe diramata da tale variante verso il piazzale della cava Luserta.

L’informativa finale della GDF di Caserta solleva motivate perplessità sull’effettiva utilità dell’opera ( apparentemente fruibile solo dalla ditta Luserta e non dagli altri esercenti, e quindi poco idonea a risolvere il problema del traffico dei mezzi pesanti verso i siti di cava ), ma ogni considerazione in proposito sarebbe ultronea, poichè l’argomento non costituisce oggetto di alcuna delle imputazioni in esame; in questa sede invece rileva che la completa sospensione ( almeno fino al settembre 2003 ) del pagamento del contributo da parte del Luserta, giustificata dall’esercente proprio con il peculiare contenuto della convenzione, in nessun caso - e anche a prescindere dalla eventuale pretestuosità dell’argomento - potrebbe dar corpo al delitto di truffa in contestazione, trattandosi di una condotta scevra da qualsiasi connotato fraudolento e al più qualificabile come illecito civile, con la conseguente limitazione della responsabilità del Luserta all’obbligo di effettuare i pagamenti omessi, comprensivi degli interessi di mora maturati.

Sul punto, non deve peraltro trascurarsi che la determinazione del contributo da corrispondere da parte del Luserta si è avuta soltanto con il decreto dirigenziale n. 14 del 4-4-05, a firma dell’Ing. Pietro Angelino, e che detta determinazione verosimilmente sopravvaluta la quantità di materiali estratti dall’esercente.

Essa è stata infatti stimata, per il periodo 7-7-86/31-12-01, in mc. 6.798.477, in adesione al corrispondente computo operato dal Geom. Vitale ( ingiustamente sospettato, nella fase iniziale delle indagini, di compiacenza verso gli esercenti ); senonchè, i rilievi dell’IGM – peraltro estesi alla data del 9 agosto 2003 e dunque concernenti un periodo di tempo più ampio – hanno invece condotto a una determinazione più ridotta ( mc. 5.821.643 ) che in pratica coincide con quella oggetto di una perizia di parte redatta dal Ribattezzato e depositata il 10 febbraio 2004 nel corso di un incontro con i rappresentanti del Genio Civile e del Comune di Caserta ( la perizia stima i materiali estratti fino al 2001 in mc. 5.910.673 e deve perciò considerarsi pienamente veridica ).

In conclusione, anche con riferimento alle condotte successive alla stipula della seconda convenzione con l’Ente territoriale, non è ravvisabile a carico del Luserta e del Ribattezzato alcun comportamento riconducibile alla fattispecie astratta della truffa.                 

 

4.3.2 – A considerazioni analoghe deve pervenirsi anche in ordine alla posizione dei gestori delle altre cave oggetto della richiesta di rinvio a giudizio, e sempre relativamente a quanto accaduto in epoca posteriore alla stipula della seconda convenzione.

Per la cava Iuliano, dagli atti emerge semplicemente che l’imputato si è limitato a contestare il proprio obbligo di pagare il contributo relativamente al materiale estratto anteriormente all’emissione del decreto dirigenziale del luglio 2002, e che, per il periodo compreso tra il luglio 2002 e novembre 2003, ha sostenuto d’aver cavato 140.000 metri cubi ( peraltro in una missiva inviata il 17-11-03 al Comune di Caserta, non corredata da perizie di sorta ).

Di detta affermazione non è propugnabile la falsità, posto che, secondo il computo effettuato dal Geom. Vitale fino al 31-12-01, la società esercente aveva estratto mc. 760.278 e che, secondo invece il calcolo dell’IGM, detto valore era di mc. 812.629 al maggio 2001 e di mc. 1.095.971 all’agosto 2003; per differenza, può solo affermarsi che dal maggio 2001 all’agosto 2003 sono stati estratti mc. 283.342, ma tale conclusione non è idonea a comprovare la falsità dell’affermazione dello Iuliano, riferita a differente segmento temporale; né, per le stesse ragioni già prospettate, acquista rilevanza penale il mero – anche prolungato - inadempimento del gestore della cava all’obbligo del pagamento del contributo, pure in questo caso peraltro oggetto di specifica determinazione solo nel 2004 ( decreto dirigenziale n. 43 del 31-5-04 ).

Venendo alla cava esercita dalla Fran.Ca. S.r.l., è pacifico che la società in discorso ha – diversamente dai casi innanzi considerati – proceduto fino a tutto il 2003 al versamento annuale dell’importo dei contributi dovuti al Comune; tali versamenti sarebbero però stati inferiori al dovuto ( in particolare – come si desume dall’informativa del Nucleo PT di Caserta datata 11-9-07 e dall’attuale stesura del capo d’imputazione – la Fran.Ca. avrebbe versato euro 196.542,18 in luogo di euro 357.319,29, con una differenza di euro 160.777,11 ).

Anche volendo dare per scontato tale asserto ( che è invece ancora sub iudice: vedi sentenza TAR del 12 luglio 2007, allegata in copia alla nota depositata in data 8-8-07 ), non si andrebbe comunque al di là del mero profilo civilistico, una volta accertato ( cfr. ordinanza di dissequestro ) che i quantitativi oggetto delle perizie giurate relativi agli anni 1991-2003 raggiungono il totale di mc. 2.385.612, che supera quello presuntivamente calcolato dall’IGM per gli stessi anni ( mc. 2.293.353: per l’intero arco di tempo 1986-2003, l’IGM ha invece determinato in complessivi mc. 3.184.187 il volume dei materiali estratti ).

Quanto, infine, alla cava D’Agostino, tale società ( che ha stipulato la seconda convenzione in data 8 ottobre 2002 ) risulta aver depositato il 10-2-04 una relazione tecnica di parte a firma del Ribattezzato, nella quale si addiveniva ad una determinazione dei volumi estratti parzialmente inferiore a quella operata dal Geom. Vitale ( secondo tale professionista, mc. 2.313.083 per il periodo 1986/2001; l’IGM, per lo stesso arco di tempo, ha calcolato mc. 2.469.265, mentre, fino al 2003, ha invece determinato mc. 2.625.861 ).

Senonchè, dagli atti non emerge quale sia stato la quantità di materiale dichiarata nella perizia di parte ( l’allegato 3/442 all’informativa finale è costituito dalla mera nota di trasmissione della relazione all’Ufficio del Genio Civile ), emergendo solo che l’esistenza di una differenza in diminuzione fu imputata dal Ribattezzato all’erroneità dei rilievi plano-altimetrici considerati dal Vitale con riferimento al 1986.

In assenza di ulteriori prove al riguardo, non può considerarsi dimostrata neppure in questo caso la sussistenza di artifizi e raggiri finalizzati alla dolosa sottostima che dovrebbe sorreggere la contestazione in esame.  

   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO QUINTO

 

IL DISASTRO AMBIENTALE

 

5.1 – Gli imputati sono chiamati a rispondere, al capo G della rubrica, del reato previsto dall’art. 434, co. 1° e 2° c.p., “ perché procedendo ad un’imponente ed illegale attività di escavazione abusiva, adottando le condotte indicate ai capi a), b), c), d), facendo letteralmente scomparire le montagne oggetto delle escavazioni già sopra descritte, con modalità illecite, violente e abusive che rendevano di fatto impossibile il recupero e il risanamento ambientale delle zone oggetto di escavazione, asportando illegalmente circa mc. 30.000.000 di materiale, cagionavano dolosamente un gravissimo ed irreparabile disastro ambientale consistito nella illegale ed innaturale scomparsa di montagne, stravolgendo il territorio ed il paesaggio naturale di una fascia pedemontana insistente sui Comuni di Caserta e Maddaloni estesa per km. 10 circa “.

Come può agevolmente desumersi dal tenore dell’addebito, che si è testualmente riportato onde non siano possibili equivoci di sorta, la contestazione ha il suo fulcro unicamente nel danno irreparabile al paesaggio e all’ambiente cagionato dalla coltivazione delle cave; manca invece del tutto nell’imputazione qualsiasi riferimento – anche indiretto, velato od obliquo – a pericoli che l’esistenza degli impianti di cava abbia determinato per la pubblica incolumità.

Tale considerazione assume, per le ragioni che saranno di seguito spiegate, carattere pregnante ai fini di escludere la riconducibilità del fatto concreto alla fattispecie astratta descritta dalla norma incriminatrice.

 

5.2 - L’art. 434 c.p. sanzione con la pena della reclusione da uno a cinque anni ( elevata da tre a dodici anni qualora il disastro avvenga ) la condotta di chi “ commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità “.

Le rare pronunzie giurisprudenziali intervenute sulla disposizione in esame hanno ritenuto che essa, nella parte in cui descrive genericamente l’evento da essa contemplato con la dizione “ altro disastro “, abbia carattere integrativo, nel senso di colmare ogni lacuna che possa presentarsi fra le fattispecie tipiche previste nel catalogo dei delitti contro l’incolumità pubblica di cui al titolo VI, capo primo, del libro secondo del codice penale ( strage, incendio, incendio boschivo, inondazione, frana, valanga, naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, attentato alla sicurezza dei trasporti o a pubblici impianti di energia ) e la molteplicità e varietà dei fatti lesivi o pericolosi per la pubblica incolumità che possono essere determinati dalle attività industriali e commerciali in dipendenza del continuo sviluppo della tecnica.

L’articolo in discorso, laddove incrimina quindi una condotta individuata con riferimento solo al suo effetto calamitoso per la pubblica incolumità, svolge perciò la funzione di norma di chiusura, destinata ad evitare che fatti di assoluta gravità per la sicurezza dei consociati possano sfuggire alla sanzione penale in quanto non assimilabili ad alcuna delle ipotesi tipiche di disastro conosciute al legislatore del 1930. 

La tecnica utilizzata dal codice Rocco pone però un problema di assoluta rilevanza dal punto di vista del rispetto delle garanzie costituzionali dell’imputato, con precipuo riguardo al contenuto dell’art. 25 co. 2° Cost., secondo cui nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso.

Tra le esigenze poste a base del fondamentale principio “ nullum crimen sine lege “ v’è infatti anche quella di assicurare al cittadino la preventiva conoscenza delle condotte che l’ordinamento considera reato, e tale conoscenza – per poter essere reale ed effettiva – necessita di un precetto che sia sufficientemente determinato nella condotta; in caso contrario, qualora fosse inafferrabile o sfuggente l’indicazione del comportamento penalmente rilevante, l’elevazione a crimine di un’azione umana sarebbe di fatto rimessa all’interpretazione giurisprudenziale, con il pericolo di contrastanti sentenze e, soprattutto, il venir meno del carattere di tassatività della norma penale, che del principio costituzionale in commento costituisce il logico e fondamentale corollario.

 

5.2.1 – Proprio facendosi carico dei dubbi innanzi prospettati, altro magistrato di questa Sezione ha ritenuto, con due distinte ordinanze emesse in data 12 dicembre 2006, di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 434 c.p., nella parte in cui contempla la figura delittuosa del disastro innominato.

Con le suddette ordinanze, è stata appunto censurata la violazione del principio di tassatività della fattispecie penale – insito, nel senso innanzi chiarito, nella riserva di legge sancita dall\'art. 25, secondo comma, della Costituzione – sotto il profilo della mancata descrizione della condotta incriminata.

Il giudice remittente ha in particolare sottolineato che, alla luce della giurisprudenza della Corte Costituzionale, il principio di tassatività soddisfa due connesse istanze: quella di circoscrivere il ruolo creativo dell’interprete in omaggio al principio della divisione dei poteri, scongiurando la transizione dallo “ Stato delle leggi “ allo “ Stato dei giudici “; quella di presidiare la libertà e la sicurezza del cittadino, il quale può conoscere, in ogni momento, cosa gli è lecito e cosa gli è vietato soltanto alla stregua di leggi precise e chiare, contenenti direttive riconoscibili di comportamento.
In tale prospettiva, l\'inosservanza, da parte del legislatore, dell\'onere di chiarezza nella formulazione del precetto penale verrebbe a ripercuotersi anche su ulteriori principi costituzionali: in particolare, sul principio di colpevolezza ( art. 27, primo comma, Cost.), rendendo scusabile l\'ignoranza del cittadino e precludendo quel rimprovero in cui tale principio consiste; sul diritto di difesa, consacrato dall\'art. 24 Cost., e – ancora - sulla finalità di prevenzione generale, di cui la pena partecipa nella fase della comminatoria astratta: giacché un precetto oscuro, non consentendo al destinatario la comprensione del comportamento vietato, non potrebbe funzionare nè in senso dissuasivo, nè in senso ripristinatorio del valore presidiato.

Nella specie, l\'analisi testuale e l\'esame della giurisprudenza e della dottrina formatesi sulla disposizione in commento farebbero ritenere quest\'ultima non rispettosa del principio di  “tassatività-precisione “, come dianzi ricostruito.

Secondo quanto infatti si legge nelle ordinanze di rimessione, il precetto penale in discussione - che ricalca lo schema delle fattispecie cosiddette causalmente orientate - mentre non pone problemi di comprensione nella parte relativa al crollo di edifici, trattandosi di nozione corrispondente a dati naturalistici di esperienza comune e agevolmente identificabili nei fenomeni di disintegrazione delle strutture essenziali di una costruzione, rivelerebbe al contrario una insufficiente capacità informativa nella parte in cui incrimina chi compia atti diretti a cagionare, o effettivamente cagioni, un altro disastro: in tale parte, la disposizione incriminatrice - oltre a non descrivere la condotta - non determinerebbe in modo adeguato neanche “ l’evento intermedio “ che la condotta stessa deve essere obiettivamente diretta a cagionare ( il disastro ), ne\' gli ulteriori eventi di pericolo ( ossia il pericolo per la pubblica incolumità ) o di danno (la verificazione del disastro ) che perfezionano o aggravano il delitto.

Sempre secondo la tesi sostenuta nelle ordinanze del dicembre 2006, la soluzione del problema non potrebbe essere ricercata neppure negli indirizzi interpretativi formatisi con riguardo a norme incriminatrici che utilizzano formule identiche o similari ( quali, in specie, quelle degli articoli da 427 a 433 del codice penale).

Nei delitti previsti da tali norme, difatti, le formule in questione identificherebbero una particolare dimensione e gravità degli effetti prodotti da una condotta umana adeguatamente descritta, ovvero gli esiti di una situazione tipica che evoca nozioni di comune esperienza ( rottura di dighe, valanga, frana; naufragio o caduta di aeromobile; attentati ad impianti di energia elettrica, del gas etc ).
Inoltre, se è vero che la verifica della determinatezza non va compiuta con una analisi atomistica dei singoli elementi della fattispecie, e che gli elementi descrittivi a carattere elastico impiegati dal legislatore nella descrizione del fatto incriminato vanno raccordati con gli altri elementi costitutivi del reato e con l\'ambito di disciplina in cui la fattispecie si inserisce, tuttavia nessun ausilio interpretativo potrebbe venire dalle figure criminose comprese nello stesso titolo del codice penale, figure delle quali, anzi, il delitto di
disastro innominato - con la clausola di sussidiarietà
che lo introduce ( “ fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti “ ) - presuppone l\'inapplicabilità.

Un contributo alla intelligibilità del precetto da parte del cittadino e alla limitazione della discrezionalità del giudice non sarebbe ricavabile neppure dal riferimento alla voluntas legis, quale risulta dalle indicazioni contenute nella relazione ministeriale al progetto del codice penale, indicazioni alla stregua delle quali la disposizione denunciata, nella parte concernente gli  “ altri disastri “ è appunto ritenuta integratrice delle fattispecie tipiche previste dal codice.

Tale voluntas dimostrerebbe, difatti, unicamente che il legislatore del 1930 - nel conflitto fra le esigenze di integrale penalizzazione e le istanze della certezza del diritto e del contenimento dell’arbitrio giudiziale - ha attribuito prevalenza alle prime.

Infine, il dubbio di costituzionalità non potrebbe essere superato neanche facendo leva sul  “ diritto vivente “, giacché le pronunce della giurisprudenza di legittimità sulla figura delittuosa de qua risulterebbero esigue, risalenti nel tempo, e talora riferite a fattispecie che avrebbero potuto essere più opportunamente inquadrate - secondo il rimettente - sotto diverse e più specifiche previsioni punitive.

 

5.2.2 – La riferita questione di legittimità costituzionale è stata decisa dalla Consulta con la recente sentenza n. 327 del 1° agosto 2008, nella quale la Corte Costituzionale, pur addivenendo a una pronunzia di infondatezza, ha tuttavia operato in motivazione una serie di rilievi e precisazioni di sicura importanza nel caso di specie.

Il Giudice delle leggi, premesso che “ per costante giurisprudenza di questa Corte, la verifica del rispetto del principio di determinatezza della norma penale va condotta non già valutando isolatamente il singolo elemento descrittivo dell\'illecito, ma raccordandolo con gli altri elementi costitutivi della fattispecie e con la disciplina in cui questa si inserisce. In particolare, l\'inclusione nella formula descrittiva dell\'illecito di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero  di clausole generali o concetti "elastici", non comporta un vulnus del parametro costituzionale evocato, quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta comunque al giudice - avuto riguardo alle finalità perseguite dall\'incriminazione ed al più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca - di stabilire il significato di tale elemento mediante un\'operazione interpretativa non esorbitante dall\'ordinario compito a lui affidato: quando cioè quella descrizione consenta di esprimere un giudizio di corrispondenza della fattispecie concreta alla fattispecie astratta, sorretto da un fondamento ermeneutico controllabile; e, correlativamente, permetta al destinatario della norma di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore precettivo”, ha affermato che effettivamente la descrizione del fatto represso dall’art. 434 cod. pen. si presenta, di per sè, come scarsamente definita, traducendosi in un’espressione sommaria capace di assumere, nel linguaggio comune, una gamma di significati ampiamente diversificati.

Secondo la Corte, però, a precisare la valenza del vocabolo – così riconducendo la previsione punitiva nei limiti di compatibilità con il precetto costituzionale evocato - concorrono la finalità dell\'incriminazione e la sua collocazione nel sistema dei delitti contro la pubblica incolumità, essendo pacifico che l’art. 434 cod. pen., nella parte in cui punisce il disastro innominato, assolve alla descritta funzione di " chiusura " del sistema.

Ha reputato la Corte che, quando il legislatore - nel descrivere una certa fattispecie criminosa - fa seguire alla elencazione di una serie di casi specifici una formula di chiusura, recante un concetto di genere qualificato dall\'aggettivo “ altro “ (nella specie: “ altro disastro “ ), deve presumersi che il senso di detto concetto - spesso in sè alquanto indeterminato - sia destinato a ricevere luce dalle species preliminarmente enumerate, le cui connotazioni di fondo debbono potersi rinvenire anche come tratti distintivi del genus.

Ne discende che l\' “altro disastro “, cui fa riferimento l\'art. 434 cod. pen., è un
accadimento sì diverso, ma comunque omogeneo, sul piano delle caratteristiche strutturali, rispetto ai disastri contemplati negli articoli compresi nel capo relativo ai “ delitti di comune pericolo mediante violenza
“.

Stabilita l’omogeneità tra disastro innominato e disastri tipici, la Corte ha messo in luce che le disposizioni del Codice Penale, come viventi nella costante interpretazione datane dalla giurisprudenza, rendono possibile individuare dei tratti distintivi comuni che illuminino e circoscrivano la valenza del concetto designato dal termine “ disastro “.

Da un lato, sul piano dimensionale, si deve essere al cospetto di un evento distruttivo di proporzioni straordinarie, anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi; d’altra parte, sul piano della proiezione offensiva, l\'evento deve provocare - in accordo con l\'oggettività giuridica delle fattispecie criminose in questione ( la “ pubblica incolumità “ ) - un pericolo per la vita o per l\'integrità fisica di un numero indeterminato di persone.

A tal riguardo, la Corte ha avuto cura di precisare che, il concetto di pubblica incolumità deve essere inteso - agli effetti del titolo VI del libro II del codice penale -  “ nel suo preciso significato filologico, ossia come un bene, che riguarda la vita e l\'integrità fisica delle persone ( da ritenere naturalmente comprensiva anche della salute ). Il pericolo per la pubblica incolumità  viene cioè a designare la messa a repentaglio di un numero non preventivamente individuabile di persone, in correlazione alla capacità diffusiva propria degli effetti dannosi dell\'evento qualificabile come disastro”.

Nella parte finale della sua decisione, la Corte Costituzionale ha infine considerato auspicabile che  “ talune delle fattispecie attualmente ricondotte, con soluzioni interpretative non sempre scevre da profili problematici, al paradigma punitivo del disastro innominato - e tra esse, segnatamente,
l\'ipotesi del cosiddetto
disastro ambientale, che viene in discussione
nei giudizi a quibus - formino oggetto di autonoma considerazione da parte del legislatore penale, anche nell\'ottica dell\'accresciuta attenzione alla tutela
ambientale ed a quella dell\'integrità fisica e
della salute, nella cornice di più specifiche figure criminose “
.

  

5.3 -  Come innanzi anticipato, la sentenza della Corte Costituzionale traccia una fondamentale linea interpretativa nel caso in esame, avendo essa chiarito che il concetto di disastro cui fa riferimento l’art. 434 c.p., per poter essere considerato conforme a Costituzione, va ancorato a due fondamentali presupposti, consistenti: 1) nella omogeneità della species “ disastro innominato “ alle figure tipiche di disastro prese in considerazione dalla legge penale; 2) nella necessità che l’evento atipico che si intende qualificare come disastro sia idoneo a porre in pericolo l’incolumità ( ossia la vita o l’integrità fisica, anche sotto il solo profilo della minaccia alla salute degli individui ) di un numero esteso di persone.

Esaminando il primo dei due accennati requisiti, è senz’altro difficile istituire un effettivo nesso tra la tipologia di disastro in esame e i disastri tipici enumerati dal codice penale, trattandosi di eventi che si profilano a prima vista come ontologicamente diversi; occorrerebbe poi adeguatamente riflettere sulla circostanza che gli scavi in cui necessariamente si risolve lo svolgimento dell’attività estrattiva – anche quella lecita e condotta nel pieno rispetto delle prescrizioni tecniche ! – di per sé costituiscono modifica dell’originario assetto paesaggistico, assetto che neppure la ricomposizione ambientale  ( che, si ricorda, ben potrebbe essere svolta anche soltanto dopo la definitiva cessazione della cavatura ) può integralmente ripristinare, per il banale motivo che l’asportazione di ingenti quantità di materiali finisce inevitabilmente per ripercuotersi sulla naturale configurazione del sito di cava; discorrere allora di “ illegale e innaturale scomparsa di montagne “ può colpire l’immaginario collettivo con una rappresentazione potente ed icastica del fenomeno, ma – dal punto di vista processuale – significa ben poco se non si dimostra l’esistenza di una sostanziale e clamorosa diversità tra il risultato finale dell’estrazione del calcare condotta secondo i dettami di legge e quella invece eseguita con le presunte abusive modalità; in altri termini, dovrebbe essere provato che il disastro ambientale sia proprio il portato di queste modalità, correndosi altrimenti il rischio di mettere sotto processo l’attività di coltivazione in quanto tale, attività che il legislatore – ponderando i contrapposti interessi in gioco – ha invece deciso di consentire, sia pure nell’ambito di precise norme regolatrici.

In ogni caso, non v’è dubbio che la concreta fattispecie di disastro oggetto della contestazione del Pubblico Ministero sia del tutto priva quantomeno del secondo requisito enunciato dalla sentenza della Corte Costituzionale, posto che il mero danno all’ambiente o al paesaggio non può costituire minaccia per l’incolumità fisica dei cittadini, anche nella più ampia accezione che a tale termine si voglia dare; sembra infatti innegabile che tra la prospettata devastazione paesaggistica e l’integrità fisica dei cittadini non è ravvisabile alcun concreto legame.

Se così è, la conclusione obbligata diventa quella per cui il danno di carattere ambientale non può essere attratto nel concetto di disastro accolto dal vigente ordinamento, dovendosi necessariamente attendere che il legislatore colmi il vuoto normativo evidenziato anche dalla Corte.

 

5.4 – La trattazione dell’imputazione sub G avrebbe potuto – e dovuto – arrestarsi alle considerazioni che precedono se, del tutto inopinatamente, i rappresentanti del Pubblico Ministero che hanno proceduto alla discussione finale, nel corso dell’udienza tenutasi lo scorso 30 maggio, non avessero collegato ( forse proprio perché consapevoli dell’insuperabilità delle obiezioni appena formulate ) al tema del disastro ambientale quello dell’inquinamento atmosferico prodotto dagli impianti di cava in forza dell’emissione di polveri.

In verità, nell’ambito della contestazione il tema dell’emissione in atmosfera di polveri diffuse affiora soltanto al capo I ( che sarà oggetto di separata trattazione nel prossimo capitolo ) e, neppure in tale specifica sede, è messo in relazione con la problematica del disastro ambientale e con quella del pericolo per la pubblica incolumità; ciò deve essere con estrema chiarezza ribadito, anche al fine di evitare il pericolo di una distorta rappresentazione, di fronte all’opinione pubblica, dell’effettivo oggetto del presente procedimento.

L’inserimento dell’argomento “ polveri “ nel campo dell’addebito sub G – peraltro avvenuto  a tempo processuale ampiamente scaduto - non può allora essere in alcun modo avallato, salvo non incorrere in una palese violazione del diritto di difesa degli imputati.

Diversamente infatti da quanto si è rilevato per gli addebiti di falso ideologico e abuso d’ufficio, non si è qui di fronte ad un’articolazione generica del capo d’accusa, genericità emendabile grazie al contenuto del fascicolo del Pubblico Ministero e in forza della realizzazione – sia pure avvenuta con modalità improprie – di un pieno contraddittorio tra le parti; in questo caso, la contestazione di disastro ambientale è precisa ed analitica, ma semplicemente investe un aspetto ( il danno ambientale cagionato dalla modificazione del paesaggio ) del tutto diverso rispetto a quello – che sarebbe stato in astratto più pertinente – del pericolo per la salute derivante dall’emissione di polveri; solo utilizzando lo strumento recuperatorio costituito dall’ordinanza di restituzione degli atti al PM ex art. 521 co. 2° c.p.p. sarebbe allora possibile valorizzare elementi d’accusa che dovessero emergere con evidenza dalla lettura del fascicolo.   

Senonchè, neppure tale via sembra in realtà percorribile.

La questione dell’inquinamento da polveri sottili è stata invero oggetto di specifica relazione tecnica affidata dagli inquirenti ( cfr. paragrafo 2.8 dell’informativa finale depositata dalla GDF di Caserta ) al dott. Mario Mansi, direttore del Centro Regionale Inquinamento Ambientale - in sigla CRIA - di Napoli ( la relazione è allegata sub 15 all’informativa ).

Nell’adempimento del mandato conferitogli, il dott. Mansi ha proceduto ad operare una campagna di misurazioni dei valori delle polveri PM 10 ( definite come frazione di materiale articolato sospeso in aria avente una granulometria inferiore a dieci microgrammi per metro cubo ) nella frazione di San Clemente, il centro abitato più vicino agli impianti di cava, confrontando poi i risultati ottenuti con quelli oggetto di precedenti misurazioni, fino a coprire un arco temporale esteso dall’ottobre 2001 al febbraio 2004.

Tali misurazioni hanno permesso di stabilire che il valore medio riscontrato fra il 2001 e il luglio 2003 è stato pari a 63 mcg/mc ( microgrammi di polveri per metro cubo di aria ), di fronte ad un limite massimo di legge pari a 70 nell’anno 2001, 65 nel 2002, 60 nel 2003; invece, il valore medio accertato tra il settembre 2003 e il febbraio 2004 è stato di 69 mcg/mc, a fronte di un limite massimo fissato in 55 microgrammi a far data dal 1° gennaio 2004.

Ne consegue che soltanto per gli anni 2003 e 2004 v’è stato superamento del limite di cui sopra, peraltro contenuto in un margine quantitativo piuttosto ristretto e quindi non qualificabile come sintomo di un evento tanto calamitoso da poter essere ricondotto al concetto di disastro ambientale; per di più, come lo stesso dott. Mansi ha sottolineato, il superamento del limite non può essere addebitato solo agli impianti di cava, la cui incidenza sulla complessiva quantità di particolato presente nell’area è stata anzi stimata in termini percentuali assai ridotti  ( “ la sorgente principale di emissione del particolato nella zona esaminata è da ritenersi il traffico, con un contributo pari a circa il 45-55%; seguono i cementifici - 30% - e quindi le cave, con il 10-15% “; la quantità totale di particolato emesso ….decresce di circa un 30% la domenica…ciò è dovuto principalmente ad una diminuzione del contributo del traffico e in parte anche dei cementifici, mentre la concentrazione di particolato proveniente dalle cave resta praticamente costante” ).

I dati appena esposti, nella loro inequivocabile pregnanza, fanno comprendere come – allo stato delle conoscenze di cui si dispone – sia impossibile affermare che gli impianti di cava, per le polveri che producono, rappresentano nella loro globalità un pericolo così grave per la salute pubblica da potersi considerare come responsabili di un disastro ambientale, nel senso già illustrato.

Del resto, poiché la responsabilità penale è personale ( art. 25 co. 1° Cost. ), ricostruire l’inquinamento prodotto dalle “ cave “ in generale può avere senso in un’indagine giornalistica o statistica, ma non ne ha affatto in un processo penale, destinato ad essere definito con una sentenza che dichiara la colpevolezza o l’innocenza di singoli e specifici soggetti, in rapporto ad individuati e chiari addebiti oggetto di rituale contestazione: tale pur basilare e ovvia considerazione sembra essere stata del tutto trascurata nel caso di specie, nulla desumendosi al riguardo dai pur voluminosi atti. 

Con ciò, naturalmente, non si intende negare che lo svolgimento dell’attività estrattiva in una zona di territorio a ridosso di quartieri densamente abitati ( i rioni di Centurano e San Clemente, in particolare, dove risiedono i cittadini componenti i comitati costituitisi parte civile ) abbia determinato una situazione di intollerabilità ed esasperazione,  a seguito del sollevarsi – in ripetute occasioni – di nubi di polvere provocate dal ricorso agli esplosivi o da sfavorevoli condizioni meteorologiche, e anche in dipendenza del sostanziale e riprovevole disinteresse degli esercenti verso l’adozione di tecniche atte a ridurre i disagi; non a caso, le intercettazioni telefoniche dimostrano la consapevolezza del problema da parte dello stesso Ribattezzato, di cui sono stati captati vari colloqui nei quali l’imputato sollecitava l’attenzione dei suoi assistiti al riguardo ( per la ditta Luserta, tel. n. 1254 del 17-2-04, in cui lamenta il formarsi di una “ nuvola bianca “ e invita a  “ buttare un poco di acqua per terra “; tel. n. 8820 del 12-5-04, in cui protesta perché “ sulla variante non si vede niente “; n. 9173 del 25-5-04, in cui evidenzia che “ il vento fa alzare la polvere da   terra “; per la Srl D’Agostino, tel. n. 1276 del 18-2-04, nella quale fa presente che le lavorazioni  stanno alzando “ parecchia polvere “ ) o addirittura riceveva rimostranze da costoro per la polvere sollevata da imprese concorrenti ( così nelle telefonate 1665 del 23-2-04 e 10675 dell’11-6-04, caratterizzate dalle doglianze di Cicotti Diego e D’Agostino Sebastiano, preoccupati che l’operato della confinante ditta Antonucci potesse provocare conseguenze negative per tutti gli impianti: il D’Agostino dice: “ Antonucci ha sparato in questo momento….ha fatto un disastro…..polvere…..una botta fortissima…noi dobbiamo fare una rimostranza…..perchè se viene il Genio Civile ci toglie il permesso anche a noi “ ).

La soluzione del problema non può però essere quella di una sbrigativa condanna in sede penale, emessa a furor di popolo e disancorata dalle contestazioni e dalle risultanze processuali; la risposta, per la complessità della questione e le scelte politiche che sottende, non può che provenire dagli Enti ( Comune di Caserta in primis ) istituzionalmente preposti alla gestione del territorio e alle relative opzioni urbanistiche di fondo.      

 

 

 

CAPITOLO SESTO

 

GLI ALTRI REATI-SCOPO

 

 

6.1 - Considerazioni assai più brevi si impongono per le imputazioni relative ai restanti reati-fine      ( cfr. capi E-F-I: manca in rubrica un eventuale capo H ), che appaiono peraltro accomunate dall’insostenibilità delle accuse in punto di diritto.

Al capo E, si ascrive agli imputati la violazione dell’art. 20 lett. c) l. 47/85 ( ora art. 44 DPR n. 380/01 ) per avere effettuato ( “ con le condotte adottate ai capi che precedono, formando falsamente numerosissimi atti concessori e autorizzatori “ ) illegittime e imponenti attività di escavazione comportanti lo stravolgimento dell’assetto territoriale in ampie zone dei Comuni di Caserta e Maddaloni, in violazione degli strumenti urbanistici in tali Comuni vigenti.

Avendosi qui per richiamate tutte le argomentazioni sviluppate in precedenza, resta soltanto da precisare – e la circostanza è assolutamente incontroversa - che in realtà i PRG adottati dai due Comuni in questione destinano allo svolgimento dell’attività estrattiva le porzioni di territorio ove sono ubicati gli impianti di cava; di conseguenza, non è configurabile il reato ex art. 44 lett. a), che appunto riguarda l’ipotesi di violazioni delle prescrizioni e dei vincoli di piano e che la giurisprudenza ( Cass. S.U. 31-10-01, De Marinis ) ritiene applicabile all’ipotesi di cava coltivata in contrasto con gli strumenti urbanistici.

Quanto al mancato rilascio di un atto concessorio ad hoc da parte del Comune, già con la sentenza    18-6-1993, imp. Antonelli, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno invece escluso che la coltivazione di una cava necessiti di tale titolo abilitativo, affermando che la materia urbanistica è strettamente correlata agli insediamenti sul territorio, e tale non può considerarsi un’attività estrattiva ( in motivazione, la Cassazione ebbe anche a richiamare la sentenza resa dalla Corte Costituzionale in data 11-22/1/88, in cui fu esplicitata la differenza tra la materia urbanistica e quella delle cave e torbiere  ); la giurisprudenza successiva non ha registrato mutamenti di          linea ( cfr. Cass., Sez. III, 1-7-96, Scacco ) e identico orientamento è stato fatto proprio anche dal Consiglio di Stato ( cfr. sentenza n. 468/97 ).

Ne consegue l’impossibilità di configurare, riguardo alla coltivazione delle cave, l’ulteriore fattispecie criminosa di cui alla lettera c) dell’art. 44 ( ossia proprio quella che sembra richiamata nella contestazione ), che presuppone l’esistenza di una concessione ( ora permesso ) e la realizzazione di interventi edilizi da essa difformi, in zona sottoposta a vincolo; al più, potrebbe farsi ricorso alla disposizione di cui all’art. 1 sexies l. 431/85 - ora art. 181 D. L.vo. 42/04 – che sanziona la coltivazione di cave in zone vincolate, ma nella fattispecie tale situazione è già stata in fatto esclusa ( sul punto, con specifico riferimento alla disciplina introdotta nella Regione Campania a seguito della legge 54/85, si veda Cass., S.U. 17-12-01 n. 45101 ).

 

6.2 -  Al capo F, formalmente contestato a tutti gli imputati, ma che in realtà descrive condotte ascritte ai soli funzionari dell’Ufficio del Genio Civile ( Fortunato, Losa, Cioppa e Albanese ), si addebita ai predetti d’aver dolosamente omesso di esercitare i dovuti controlli imposti dalla normativa vigente, e in particolare dall’art. 25 della legge regionale 17/95, in modo da consentire l’attività di escavazione abusiva da parte degli esercenti, specialmente nelle cave Fran.Ca. e Luserta.

Dal tenore della contestazione, non può dubitarsi del fatto che il reato di rifiuto od omissione di atti d’ufficio sia stato contestato con riferimento alla fattispecie prevista dal co. 1° dell’art. 328 c.p., che contempla la condotta del pubblico ufficiale ( o dell’incaricato di un pubblico servizio ) il quale indebitamente rifiuta un atto d’ufficio da compiere senza ritardo per ragioni di giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico, igiene e sanità.

La lettura della norma incriminatrice permette di comprendere che la sussistenza del reato in discorso presuppone l’obbligo del soggetto attivo di compiere un atto qualificato sia dalla sua sostanziale urgenza, sia dall’attinenza ad una delle materie specificamente individuate dall’art.     328 c.p. 

Nel caso di specie, sembra evidente che si sia al di fuori di tali ipotesi.

I controlli che si assumono omessi sono quelli previsti dall’art. 25 della legge regionale n. 54/85, come modificato dall’art. 19 l. 17/95 ( in tal senso va precisato il riferimento contenuto nel capo d’imputazione ), e riguardano le    funzioni di vigilanza sui lavori di ricerca e di coltivazione dei materiali di cava circa la loro abusività o difformità dalla presente legge, nonché quelle connesse in materia di polizia mineraria “; si tratta quindi di un’attività istituzionale e continuativa, da espletare senza che per essa siano previsti particolari termini o siano dedotte situazioni di imprescindibile celerità.

Allo stesso modo, mentre può senz’altro escludersi che tali controlli siano dettati per motivi di giustizia, sicurezza pubblica od ordine pubblico, appare comunque problematica anche la riconducibilità alla nozione di igiene e sanità, in apparenza resa maggiormente plausibile dal richiamo operato dall’art. 25 co. 2° alla valutazione della pericolosità dell’esercizio delle cave in relazione all’immissione nell’ambiente di polveri, rumori e vibrazioni.

Infatti, secondo la Suprema Corte, il reato di rifiuto d’atti d’ufficio in materia sanitaria richiede che la condotta omissiva investa atti il cui mancato compimento può produrre conseguenze immediate e dirette sul bene della sanità fisica o psichica del cittadino ( Cass., Sez. VI, 18-4-97 n. 3599 ), pericolo che non si ravvisa nella fattispecie in esame.

In ogni caso, anche in linea di fatto l’addebito – oltre a presentare il consueto elevato tasso di genericità – si rivela infondato.

Esso è infatti contraddetto dalla documentazione prodotta dall’imputato Albanese ( quello la cui posizione è concretamente da vagliare in questa sede, essendo l’unico dei pubblici funzionari ad aver optato per il giudizio abbreviato ), il quale ha allegato, alla memoria difensiva depositata il    25-7-08, numerosi verbali di sopralluogo da lui effettuati presso ciascuna delle quattro cave per le quali è stato esercitata l’azione penale; può dunque al limite mettersi in discussione il livello di attenzione e scrupolo impiegato nello svolgimento dei controlli, ma non invece la stessa esecuzione di questi ultimi.

 

6.3 – Il catalogo dei reati-scopo si chiude al capo I con la contestazione della contravvenzione prevista dagli artt. 24 e 25 DPR n. 203/88 ( ora art. 279 T.U. n. 152/06 ).

Agli imputati si addebita d’aver omesso di adottare le dovute prescrizioni stabilite dalla legge in materia di emissioni di polveri diffuse ( copertura dei materiali sfusi, copertura delle superfici, manti erbosi, costruzioni di terrapieni coperti di verde, piantagioni e barriere frangivento, superficie del suolo mantenuta costantemente umida ) cagionando così l’inquinamento ambientale connesso al superamento dei limiti previsti dalla vigente legislazione.

A tal proposito, va subito evidenziata la difficoltà di individuare la fonte normativa da cui deriverebbero le specifiche prescrizioni enumerate nella contestazione.

Dagli atti ( cfr., in particolare, pag. 85 dell’informativa finale ) risulta infatti che tutte le ditte esercenti ( eccettuata solo quella facente capo al Luserta, sulla cui istanza di autorizzazione presentata il 26 marzo 1991 non fu mai adottata alcuna decisione: nell’informativa la GDF ha dato atto dello smarrimento della relativa pratica ) erano munite della necessaria autorizzazione regionale; nessuno dei decreti autorizzativi conteneva tuttavia prescrizioni analitiche, salvo un generico richiamo ad “ adottare, secondo la tecnologia moderna, tutte le prescrizioni necessarie ad evitare il diffondersi delle polveri “.

Ma, al di là di tale problematica, deve ritenersi assorbente il rilievo per cui la disciplina incriminatrice richiamata dal Pubblico Ministero non può estendersi agli impianti di cava.

Infatti, secondo la Suprema Corte, le disposizioni in tema di immissioni nell’atmosfera di cui al DPR 203/88 sono applicabili a tutti gli impianti di carattere industriale o artigiano, purchè le immissioni inquinanti siano convogliate o tecnicamente convogliabili; ciò non può dirsi per le polveri prodotte da un fronte di cava, difettando – per la natura stessa dell’attività - proprio il requisito della convogliabilità ( Cass., Sez. III, 3-3-04 n. 9757, PM in proc. Pannone ).

Si impone pertanto una pronunzia assolutoria perché il fatto non sussiste.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO SETTIMO

 

IL REATO ASSOCIATIVO

 

 

7.1 – L’ipotesi associativa formante oggetto del capo A della rubrica presuppone esistente uno stabile sodalizio criminoso composto da tutti i titolari delle quattro cave fin qui considerate, da Ribattezzato Salvatore e dal suo collaboratore Casella Vincenzo, dai dipendenti del Genio Civile di Caserta Fortunato, Cioppa e Albanese e infine dall’avv. Fenucciu Demetrio; detto sodalizio, del quale  sarebbero stati promotori e coordinatori il Ribattezzato e il Casella, avrebbe avuto come obiettivo quello di perpetrare innumerevoli reati accomunati dal fine di consentire ai titolari delle attività estrattive ( ivi comprese la ditta Moccia e le società Cementir e Antonucci ) di procedere ad un’illecita attività di escavazione, mediante “ capillare attività di falsificazione degli atti e di documenti costituenti l’aspetto autorizzatorio dell’esercizio delle singole cave nonché mediante indebite pressioni e condizionamenti di vari uffici “ ( oltre al Genio Civile, sono citati anche l’ARPAC, il Comune di Caserta e la Provincia di Caserta ) in modo che venissero sistematicamente omessi i controlli imposti dalla legge.

Prima di esaminare in dettaglio il fondamento dell’imputazione, sembra necessaria una breve premessa sugli elementi costitutivi del delitto di associazione per delinquere.

 

7.2 – E’ assolutamente pacifico in dottrina e giurisprudenza che la fondamentale ragione per cui il legislatore ha configurato il delitto di associazione per delinquere come autonomo titolo di reato consiste nel pericolo per l’ordine pubblico determinato dalla permanenza del vincolo associativo tra più persone legate da un comune programma criminoso.

Il pericolo in discorso fa sì che, ai fini della sussistenza del reato, sia sufficiente la costituzione di uno stabile struttura organizzata, composta da almeno tre persone e che si proponga di commettere uno o più delitti, che si pongono come lo scopo perseguito dall’associazione; la consumazione di uno dei reati-obiettivo non è perciò indispensabile, posto che l’incriminazione di cui all’art. 416 c.p. può dirsi perfezionata con la mera nascita del sodalizio.

Ne discende, nel caso in esame, che aver stabilito l’infondatezza di tutti gli addebiti attinenti ai delitti-scopo contestati ai capi da B a I ancora non è sufficiente a concludere per l’infondatezza anche della contestazione oggetto del capo A, non potendosi in astratto escludere che un accordo criminoso tra gli imputati fosse stato raggiunto, ancorché esso non abbia prodotto i risultati voluti.

Se ciò è vero, è tuttavia altrettanto vero che la mancata dimostrazione della commissione di       reati-fine si ripercuote pesantemente sulla prova inerente la stessa esistenza dell’associazione.

Essa, infatti, nella maggior parte delle situazioni viene ricavata induttivamente proprio dalla sua più eclatante forma di manifestazione esterna, costituita dall’attuazione del programma criminoso; in difetto, occorre fornire la prova diretta sia del sorgere dello stabile vincolo associativo, sia della predisposizione di una struttura organizzata, sebbene minima o rudimentale, che si palesi idonea al perseguimento degli illeciti scopi cui gli associati mirano.

 

7.3 – Come si è già avuto modo di osservare al paragrafo 1.3, nel presente procedimento il principale elemento di prova da cui desumere - al di là d’ogni ragionevole dubbio – l’esistenza della ventilata associazione per delinquere consiste nelle risultanze dell’attività di intercettazione telefonica, che ha consentito la captazione di numerosi colloqui soprattutto tra Ribattezzato Salvatore da un lato, i tre suddetti dipendenti dell’Ufficio del Genio Civile di Caserta dall’altro.

L’analisi del contenuto dei dialoghi ( cfr. paragrafi 1.3.2, 1.3.3, 1.3.4 ) ha comunque già condotto ad esprimere un giudizio di assoluta insufficienza della prova così acquisita rispetto al tema dimostrativo: si è infatti avuto modo di sottolineare ( v. paragrafo 1.3.1 ) come gli elementi a disposizione, lungi dall’avvicinarsi al “ minimum “ indispensabile, altro non attestano se non l’esistenza di una pluralità di autonomi e personali rapporti di amicizia e confidenza tra il Ribattezzato e ciascuno dei predetti tre funzionari.

Tale convincimento non può essere modificato neppure dalle sommarie informazioni testimoniali rese il 25-2-04 dal Geom. Terracciano Vittorio, il quale – premesso d’essere stato collaboratore, unitamente al Ribattezzato e a Casella Vincenzo, del Geom. Michele Maione, titolare dello studio tecnico al quale si rivolgevano quasi tutti gli esercenti delle cave, e ciò fino alla morte del Maione - ha dichiarato che l’Ing. Ribattezzato aveva sempre mantenuto in via esclusiva i rapporti con l’Ufficio del Genio Civile, presso il quale appariva fruire di una corsia preferenziale, da lui sfruttata soprattutto per i clienti che gli stavano più a cuore ( come Luserta e Moccia ).

Invero, quelle fornite dal Terracciano sono notizie troppo vaghe e generiche, la cui valenza probatoria è inoltre fortemente ridimensionata dalla lite giudiziaria promossa dal Terracciano contro il Ribattezzato e il Casella in merito alla divisione del portafoglio clienti avvenuta a seguito del decesso del titolare dello studio ( “  nel mese di novembre 2001, alla morte del Geom. Michele Maione, la maggior parte delle cave seguite dallo studio Maione decisero di dare incarico all’Ing. Ribattezzato, il quale si avvaleva della collaborazione del nominato Casella. Soltanto due aziende, Aurora 87 e Cinotti, decisero di avvalersi della mia consulenza. Nell’anno 2002 ho aperto una vertenza sindacale verso gli eredi del Geom. Maione, l’Ing. Ribattezzato e il perito industriale Casella “ ) e dalla conseguente situazione di contrasto d’interessi ( desumibile anche dalla conversazione n. 4811 del 30-3-04 tra il Ribattezzato e la Cioppa )  tra il teste e i due imputati, dei quali peraltro non è stato rivelato alcun preciso comportamento illecito.

 

7.4 – Lo scenario associativo, già fortemente messo in crisi dalle considerazioni che precedono, viene ulteriormente incrinato da altri convergenti rilievi.

La pur innegabile vicinanza tra il Ribattezzato e i pubblici funzionari non è stata peraltro tale da provocare tout court l’asservimento della pubblica funzione ai voleri del Ribattezzato: la circostanza è emersa con chiarezza quando, ad esempio, si è affrontata la tematica concernente i presunti illeciti ascritti al Ribattezzato in concorso con il Fenucciu ( vedi capitolo terzo,              parte terza ).

Piuttosto, alcune intercettazioni sembrano attestare che talvolta, sull’intento del professionista a coltivare buoni rapporti con i pubblici funzionari suoi quotidiani interlocutori, prevaleva quello dei dipendenti dell’Ufficio a servirsi del Ribattezzato – sfruttando ovviamente il collimante interesse di cui questi era portatore – per il disbrigo di pratiche d’ufficio: si allude alla vicenda concernente la cava IFRAP  di Camigliano, in cui il Fortunato, per predisporre la relazione con la quale l’Ufficio doveva controdedurre ai rilievi formulati dalla Commissione d’Indagine Regionale, fa appunto ricorso all’ausilio del Ribattezzato e più volte lo sollecita alla consegna del dischetto ( cfr. conversazioni n. 175 e 178 del 5-2-04 fra il Ribattezzato e il suo collaboratore a nome Clemente ).

Nulla, inoltre, autorizza ad affermare che la Cioppa, l’Albanese e il Fortunato agissero di concerto tra loro, come partecipi di un programma del quale fossero consapevoli; si è già notato che agli atti v’è invece addirittura la prova contraria, cogliendosi in numerose intercettazioni il proponimento dell’uno o dell’altro dei pubblici impiegati di screditarsi a vicenda e di proporsi al Ribattezzato come l’unico credibile referente all’interno dell’Ufficio ( come anticipato, lo scopo di tale condotta non è venuto alla luce, non essendo emersi profili di eventuali fatti di corruzione ).

Per altro verso, deve mettersi in luce che la contestazione menziona tutta una serie di altri pubblici uffici ed enti ( ARPAC, Comune e Provincia di Caserta ) che si assumono essere stati condizionati nella loro attività – nel senso di impedire, ostacolare o rendere comunque più blandi i controlli sulle cave – senza che tuttavia si specifichi cosa sia accaduto al riguardo e senza che siano stati coinvolti nel processo funzionari degli Enti interessati; sembra dunque evidente che le risultanze investigative al riguardo sono state giudicate dal Pubblico Ministero inidonee anche riguardo alla mera formulazione di un’ipotesi di accusa, e ciò nonostante che nell’informativa finale l’argomento sia stato trattato diffusamente, con la menzione di numerose conversazioni telefoniche nelle quali, tra l’altro, si accenna anche – ma sempre genericamente e senza alcun concreto aggancio ad eventuali illeciti - all’intervento di alcuni esponenti politici in difesa degli esercenti delle cave ( si vedano le conversazioni – ambedue intercettate sull’utenza in uso a Luserta Luigi - n. 362 del 10-2-04 fra il Luserta e Ventre Riccardo, Presidente della Provincia di Caserta, e n. 465 del 12-2-04, ancora fra il Luserta, il consigliere regionale Martusciello Fulvio e Maccauro Giuseppe ). 

Infine, vanno evidenziate le perplessità derivanti dall’aver ritenuto tutti gli esercenti delle cave facenti parte di un unico “ cartello “ criminoso: si tratta, invero, di soggetti che davvero perseguono il medesimo fine imprenditoriale, ma con strutture d’impresa autonome e in rapporto di non fittizia concorrenza, anche in dipendenza della loro collocazione in una ristretta e contigua area geografica.

Peraltro, al di là della coincidente nomina del direttore tecnico nella persona del Ribattezzato,  nessuna delle conversazioni intercettate può essere interpretata come prova di un unico e indistinto interesse economico facente capo ai titolari delle cave e di un’effettiva e organizzata unità di intenti, propositi e azioni tra loro ( non constano, ad esempio, colloqui tra l’uno o l’altro degli     imprenditori ).

Non può attribuirsi infatti simile significato alle conversazioni ( si veda la n. 1551 del 20-2-04 tra il Ribattezzato e Luserta Antonio ) in cui emerge il tentativo del Ribattezzato di organizzare una reazione comune degli esercenti di fronte agli accertamenti che la Commissione d’Indagine regionale sta effettuando ( “ c’è un pensiero che sta andando avanti…fra tutti quanti ….di non dare nessun documento tranne che all’ASL che ce l’ha chiesto per iscritto…..a tutti quei consulenti della commissione che è venuta in cava……Moccia già non glieli darà….D’Agostino è d’accordo ….ora devo parlare solo con Diego “ – si tratta verosimilmente del Cicotti ): sembra infatti evidente che si tratta di un fatto assolutamente episodico, dettato dalla volontà di coordinare un atteggiamento ostruzionistico volto ad ostacolare accertamenti vissuti – sia pure a torto – come vessatori.  

Del resto, è solo il Ribattezzato che cerca di trasferire il problema inerente la prosecuzione dell’attività estrattiva di ciascuna cava in una dimensione collettiva; non a caso, sarà proprio detto professionista a riferire, nella conversazione n. 215 del 10-3-04, all’Ing. Ferrigno Lucio, direttore del cementificio Moccia, che il Luserta – di fronte al pericolo di chiusura della sua cava – sta meditando di precedere tale provvedimento con una serrata capace di provocare le proteste da parte dei dipendenti ( “ ha detto Luserta….visto che questi ci vogliono chiudere ….chiudiamo prima noi ….nel senso di fermarci un attimo per far capire la potenza….chiudere per far capire che danno si crea all’economia…..perchè i camionisti se vengono sensibilizzati….vanno a favore…non vanno contro….io li ho sensibilizzati un poco da stamattina “ ) 

 

7.4.1 - Sempre con riferimento agli esercenti ( di cui, in fondo, il Ribattezzato era solo un   emissario ), stupisce poi la loro rarissima presenza nel contesto delle intercettazioni, se si considera che essi avrebbero dovuto pur sempre essere i più diretti interessati alla costituzione e all’operare dell’associazione.

Luserta Luigi appare solo nelle conversazioni innanzi richiamate a proposito dei contatti con esponenti politici, e non si rileva dagli atti l’esistenza di colloqui diretti con i funzionari del Genio Civile; né, peraltro, conversazioni di sorta sono avvenute tra i pubblici impiegati in discorso e altri componenti della famiglia Luserta pure sottoposti ad intercettazione.

A simile conclusioni deve pervenirsi anche per ciò che concerne Iuliano Nicola, e ciò nonostante dalla telefonata n. 806 del 12-2-04 emerga che lo Iuliano è in possesso del numero dell’utenza cellulare di Fortunato Manlio; invero, anche a prescindere dall’inutilizzabilità delle operazioni di captazione effettuate con riferimento al RIT n. 570/03, deve darsi atto dell’assoluta inesistenza di dialoghi utili alle indagini tra Fortunato e Iuliano.

Quest’ultimo, invece, intrattiene varie conversazioni con il Ribattezzato ( il quale, si ricorda, non risultava formalmente direttore della cava in questione ) che, se da un lato comprovano come il professionista in realtà sovrintendesse anche all’impianto estrattivo della CLC, dall’altro danno prova di una sostanziale correttezza dei due nell’affrontare i problemi scaturiti dalle osservazioni critiche della Commissione d’Indagine: si vedano, al riguardo, le tel. n. 1195 del 16-2-04 e n. 1309 del 18-2-04, nelle quali l’ingegnere evidenzia al cliente che non può alterare la situazione di cui alla richiesta di prosecuzione ( “ io ho messo le particelle di cui all’autorizzazione….se non sono nell’autorizzazione non ce le posso mettere…….Iuliano noi dobbiamo dire le cose come stanno “ ).  

Per la cava Fran.Ca., il Cicotti ( oltre che della telefonata n. 1665, già riportata nel capitolo relativo al presunto disastro ambientale, nella quale si limita a dolersi delle polveri sollevate dalla cava Antonucci, e di quella n. 491 del 9-2-04, nella quale commenta – senza particolare enfasi -   il primo e inatteso intervento della GDF presso il Genio Civile ) è protagonista solo di alcune conversazioni con il Ribattezzato, che dimostrano esclusivamente l’esistenza di un rapporto di amicizia con Sapone Donato, funzionario del settore cave del Comune di Caserta; non è poi sicura la riconducibilità a tale sito di cava della conversazione n. 5151 del 2-4-04, in cui tale “ Natale “ parla con Ribattezzato di un sopralluogo appena effettuato dall’Albanese ( il direttore tecnico rimprovera l’interlocutore di non averlo informato del controllo mentre lo stesso era in corso e gli fa presente che il contenuto del verbale non gli è favorevole; il Natale ribatte d’aver comunque persuaso l’Albanese a ridimensionare le violazioni accertate strappando il primo verbale redatto ), posto che avrebbe dovuto essere dimostrata l’identificazione di “ Natale “ in Natale Pasquale, il legale rappresentante della Fran.Ca. ( in ogni caso, sull’episodio non sono stati svolti ulteriori accertamenti né si è proceduto a contestazioni di un eventuale reato di falso per soppressione ).

Né lo scenario muta per la cava D’Agostino: l’unica conversazione ( oltre quelle – già citate - intercorrenti tra terzi e che contengono riferimenti indiretti ai D’Agostino ) alla quale partecipano direttamente esponenti ( ossia D’Agostino Sebastiano e Giovanna ) della famiglia che gestisce l’impianto è la n. 66 del 3-2-04, che però in parte investe la problematica dei sempre crescenti controlli sull’attività estrattiva ( il Ribattezzato addirittura si duole che  tutte le varie istituzioni hanno fatto fronte comune contro “ ), in altra parte tocca il problema della ricomposizione ambientale, attestando comunque che l’esercente sta intraprendendo iniziative ( sia pure parziali e insufficienti ) al riguardo ( “ adesso mettiamo un poco di terra….domani mattina andiamo a prendere un camion di piante e domani pomeriggio incominciamo a mettere più sopra le piante e poi scendiamo a mano a mano “ ) 

 

7.4.2 – Analitico esame merita in questa sede la posizione di Casella Vincenzo, che dell’associazione per delinquere viene addirittura indicato come promotore.

Il Casella, in realtà è un perito tecnico che lavora nello studio del Ribattezzato, di cui appare essere

il principale collaboratore.

Tra le conversazioni che lo vedono impegnato, vanno ricordate le seguenti:

n. 556 del 9-2-04, nella quale, commentando con il Ribattezzato l’accesso della GDF di Caserta presso la sede del Genio Civile, il Casella si sofferma sull’assenza all’atto di uno dei consulenti tecnici del PM, già conosciuto dagli indagati perché investito di un primo incarico già nell’anno 2003;

n. 1391 del 19-2-04, nella quale i due invece discorrono di un nuovo controllo presso il medesimo ufficio, stavolta ad opera dei Carabinieri ( Casella dice al Ribattezzato “ ho capito, tu stai preoccupato per quello che potrebbero……ma quelli sono adulti e vaccinati…”);

n. 2549 del 5-3-04, nella quale il Ribattezzato mette il collaboratore a conoscenza di un suo incontro con Avallone Pietro, dirigente dell’ARPAC di Napoli, spiegandogli d’essere riuscito ad ottenere attenzione in ordine alla vicenda relativa al rilascio dell’autorizzazione regionale per le emissioni di polveri per la ditta Luserta;

n. 2951 e 2957 del 10-3-04, in cui è invece il Casella ad avvisare Ribattezzato che Mirabella Egidio, chimico impegnato presso la cava Luserta per un controllo sulle emissioni in atmosfera, ha rilevato delle disfunzioni che egli – con modalità non del tutto chiare – si propone di eliminare: ( “ ha dei problemi con i camini…perché dice che uno di quelli non funziona proprio…ma non ha importanza…….ora viene qua e ingegniamo a tavolino qualche cosa “ ….);

n. 4266 del 24-3-04, in cui il Ribattezzato lo avverte che sta per recarsi nuovamente all’ARPAC, stavolta per la cava Moccia;

n. 4840 e 4898 del 31-3-04, nelle quali Ribattezzato gli confida i suoi timori circa l’esito negativo    ( sospensione dell’attività estrattiva ) che potrebbe scaturire da un sopralluogo della GDF presso la cava Luserta.

Come può comprendersi dalla rassegna che precede, la gravissima accusa mossa all’imputato non può essere sorretta solo dai dialoghi in discorso, neppure da quelli ( il riferimento è alle telefonate 1391 e 2957 ) potenzialmente forieri di spunti investigativi peraltro restati senza sviluppi.

Invero, al di là dell’esistenza stessa del nucleo associativo, non vi sarebbero comunque elementi per collegare al presunto sodalizio la persona del Casella; le intercettazioni infatti null’altro hanno acclarato se non il conclamato ( e del tutto lecito ) rapporto professionale con il Ribattezzato, senza che sia invece emerso il coinvolgimento del Casella in qualunque eventuale attività illecita.      

 

7.5 - Richiamate le dettagliate e analitiche considerazioni già sviluppate sulla posizione di Fenucciu Demetrio nella parte conclusiva del capitolo terzo, deve essere affermata l’assoluta infondatezza anche dell’ipotesi di reato oggetto del capo A.

In proposito, è agevole notare che nella stessa informativa di reato la parte ( il paragrafo    conclusivo ) dedicata all’associazione per delinquere è connotata dall’esiguità degli specifici elementi di prova addotti a sostegno dell’accusa.

Infatti, al di là del rinvio alle fonti concernenti i vari reati-scopo, vengono enumerate solo le varie chiamate ( a Ferrigno, Cicotti, Iuliano Nicola, nonché ai collaboratori di studio e infine al Fortunato e alla Cioppa ) effettuate dal Ribattezzato nelle giornate del 9 e 10 febbraio 2004, aventi tutte per oggetto l’allarme cagionato dall’inizio dell’indagine della Polizia Giudiziaria presso il Genio Civile; tale allarme, se può essere in astratto spia della preoccupazione nutrita dal Ribattezzato circa la scoperta di eventuali reati, può essere però giustificato – e in maniera altrettanto congrua – con il timore che l’inchiesta potesse determinare la paralisi dell’attività delle cave; ambivalente è quindi anche la perplessità manifestata dal Ribattezzato in merito ai radicali mutamenti che stanno per verificarsi nella composizione del pubblico ufficio ( v. telefonata n. 679 con Iuliano Nicola : “ ora si blocca il Genio Civile ….se ne vanno tutti quanti….la Cioppa se ne va….pare che se ne vada anche Fortunato….Losa già sono due giorni che non viene….Pagliarulo ora se ne va in pensione …il fatto è nero “ ), mutamenti di cui l’imputato mostra di paventare gli effetti negativi: non è, infatti, possibile comprendere se egli abbia paura d’essere sul punto di perdere i vantaggi derivanti da un’illecita collusione con gli uscenti, ovvero se – più semplicemente – si rammarichi soltanto del venir meno di soggetti ( fra cui peraltro inserisce anche il Losa e il Pagliarulo ) con i quali comunque vantava un rapporto di consuetudine capace di agevolarlo nel suo lavoro.

In definitiva, resta abissale il divario tra la prova necessaria all’affermazione della penale responsabilità e quella fin qui analiticamente valutata.

Tutti gli imputati vanno perciò assolti dalle accuse loro mosse, con le formule corrispondenti ai motivi che precedono.

La pronunzia assolutoria implica il rigetto delle domande risarcitorie avanzate dalle costituite parti civili ( con la connessa istanza cautelare di sequestro conservativo proposta dal Ministero dell’Ambiente ) e l’adozione del provvedimento di restituzione dei beni già sottoposti a sequestro preventivo, come precisati in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Letti gli artt. 442 e 530, co. 1° e 2° c.p.p., assolve:

Luserta Luigi, Cicotti Diego, Casella Vincenzo, Fenucciu Demetrio, Iuliano Nicola e Albanese Giovanni da tutti i reati loro ascritti in rubrica perché il fatto non sussiste;

Ribattezzato Salvatore dai delitti ascrittigli ai capi B e C della rubrica - limitatamente al rilascio del decreto dirigenziale n. 731 del 6-5-02 in favore di D’Agostino Sebastiano - perché il fatto non costituisce reato, e da tutte le altre contestazioni mossegli perché il fatto non sussiste. 

Rigetta, per l’effetto, le domande risarcitorie avanzate dalle costituite parti civili e le connessa istanza cautelare di sequestro conservativo proposta dal Ministero dell’Ambiente.

Ordina il dissequestro e la restituzione:

in favore di Luserta Luigi, del complesso estrattivo in Caserta alla località S. Lucia - Centurano, nonché di tutti i beni mobili e immobili sottoposti a sequestro probatorio in esecuzione del decreto del PM in data 2-12-04 e a sequestro preventivo in esecuzione dei decreti GIP in data 8-11-04 e      2-12-04;

in favore della Iuliano C.L.C. Srl, in persona del legale rapp.te pro-tempore, del complesso estrattivo in Caserta alla località Monte – S. Rosalia e di tutti i beni mobili e immobili sottoposti a sequestro probatorio in esecuzione del decreto del PM in data 2-12-04 e a sequestro preventivo in esecuzione del decreto GIP in pari data.

Letto l’art. 544, co. 3°, c.p.p., fissa in giorni novanta il termine per il deposito della sentenza.

 

S. Maria Capua Vetere, 24 settembre 2008

                                                      IL GIUDICE