Consiglio di Stato Sez. II n. 4633 del 15 giugno 2021
Urbanistica.Mancata realizzazione delle opere e restituzione degli oneri di urbanizzazione

Nel caso in cui il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire, ovvero quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla Pubblica Amministrazione, anche ai sensi dell’art. 2033 o dell’art. 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la restituzione. Il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli oneri di urbanizzazione, che la quota relativa al costo di costruzione sono correlati, sia pur sotto profili differenti, all’oggetto della costruzione, per cui l’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie comporta il sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata. La disciplina dello scomputo degli oneri di urbanizzazione, quale modalità di introito degli stessi trasferendo sul privato il compito di realizzare le opere necessarie alla vivibilità della zona interessata dall’intervento, è pertanto un istituto di carattere eccezionale. Esso non può quindi essere applicato a somme e lavori non espressamente previsti dalla convenzione attuativa del piano approvato, essendo solo questo il documento che consente materialmente di realizzare lo scomputo in base alle previsioni dell’art. 16 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, nonché, in passato, dell’art. 11, comma 1, della l. n. 10 del 1977 e dell’art. 28 della legge 17 agosto 1942 n. 1150. In caso di convenzioni urbanistiche, la ripartizione degli oneri e la realizzazione diretta di opere da parte dei lottizzanti è fissata al momento della sottoscrizione della convenzione edilizia. Lo stabilisce il Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 15 giugno 2021, n. 4633.


Pubblicato il 15/06/2021

N. 04633/2021REG.PROV.COLL.

N. 07446/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7446 del 2013, proposto dalla Società Itarca Italo Argentina Carni S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Annalisa Molinari, Salvatore Alberto Romano e Alessandra Leporatti, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, viale XXI Aprile, n.11

contro

il Comune di Sant’Ilario D’Enza, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Paolo Coli, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Massimo Colarizi in Roma, via Giovanni Antonelli, n. 49;
lo Sportello unico associato dei Comuni di Sant’Ilario D’Enza, Campegine e Gattanico, in persona del responsabile pro tempore, non costituito in giudizio

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, (Sezione Prima), n. 30/2013, resa tra le parti, concernente la quantificazione degli oneri di urbanizzazione primaria.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Sant’ Ilario D’Enza;

Visto l’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 e l’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con l. 25 giugno 2020, n. 70;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 27 aprile 2021, il Cons. Antonella Manzione in collegamento da remoto in videoconferenza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. La Società Itarca Italo Argentina S.p.a. (d’ora in avanti, solo la Società) ha concluso con il Comune di Sant’Ilario Val D’Enza una convenzione in data 21 ottobre 1989 (prot. n. 4323) per disciplinare l’assetto dell’area di sua proprietà mediante la realizzazione di insediamenti a destinazione prevalentemente produttiva e delle necessarie opere di urbanizzazione. L’accordo, conseguito ad una richiesta di titolo edilizio (protocollata al n. 15320 del 21 novembre 1987) per la costruzione di un edificio industriale con uffici e mostra per una superficie pari a mq. 1727 e superficie accessoria pari a mq. 227,26, consentiva di realizzare ulteriori interventi fino alla concorrenza di una superficie edificabile massima di mq. 8846,6. A tale riconosciuta facoltà di “spacchettamento” degli interventi, per la realizzazione dei quali nulla viene detto né sull’an, né, soprattutto, sul quando, va ricondotta la questione di diritto in controversia, ovvero l’interpretazione della clausola contrattuale (art. 6) che dispone lo scomputo del costo delle opere “per intero” dall’importo degli oneri di urbanizzazione primaria. Con ricorso al T.A.R. per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, la Società ha infatti impugnato sia il permesso di costruire n. 61/2005 del 12 maggio 2006, sia la comunicazione di avvenuto rilascio prot. n. 6454 di pari data, nella parte in cui quantificano nuovamente, per un intervento edilizio riconducibile alla medesima convenzione, gli importi dovuti per gli oneri di urbanizzazione primaria, non ritenendo satisfattivi quelli già in precedenza versati.

Secondo la tesi comunale, infatti, già con l’avallo del primo manufatto, assentito in data 1 settembre 1990 con concessione n. 165/1987, la Società avrebbe esaurito il credito riveniente dall’avvenuta realizzazione delle previste opere di urbanizzazione, pari a £. 29.895,400, ovvero euro 15.439,69.

2. Il Tribunale adito con la sentenza del 7 febbraio 2013, n. 30, ha respinto il ricorso sull’assunto che il Comune avrebbe correttamente interpretato l’art. 6 della convenzione urbanistica, contenente appunto la disciplina degli oneri a scomputo. La disposizione, infatti, «era chiara nel porre a carico della ricorrente, al momento del rilascio dei singoli titoli edilizi, il pagamento “degli oneri di urbanizzazione secondaria, della quota del contributo sul costo di costruzione e del contributo D, questi ultimi se e in quanto dovuti in relazione alla destinazione delle costruzioni, secondo le tariffe e con le modalità in vigore al momento” (art. 6, cit.): dato testuale che, con riferimento alla quantificazione degli oneri in questione, rinvia a successive determinazioni da effettuarsi sulla base di elementi (“tariffe” e “modalità”) non noti in un momento precedente alla effettiva richiesta della concessione».

3. La Società ha interposto avverso tale sentenza il presente appello, articolando due distinti motivi di censura, egualmente rivolti a contestare l’interpretazione data alla Convenzione, avuto riguardo all’art. 6 e alle altre norme che in particolare esplicitano la finalità dell’atto e le opere di urbanizzazione la cui realizzazione è richiesta alla proprietà (artt. 3 e 5). Con una prima doglianza, quindi, rubricata sub A, ha ribadito come l’art. 6 individui gli oneri dovuti avuto riguardo all’intera potenzialità edificatoria dell’area, pure convenzionalmente predeterminata, pari a mq. 8.844,6 su mq.14.741 di estensione, significando come la stessa non sia neppure stata integralmente “sfruttata” dalla parte, residuando ancora all’ultimo intervento una possibilità edificatoria pari a mq. 2.171,88. Con il secondo motivo, di cui alla lettera B dell’atto di appello, ha ribadito, anche attraverso il richiamo agli importi correlati ai titoli edilizi successivi al primo, le modalità corrette di effettuazione dello scomputo pattuito. Malgrado, poi, anche in occasione del rilascio della precedente concessione edilizia risalente al 1996, diversamente da altre quattro già ottenute a partire dal 1990, le fosse stato richiesto il pagamento di (nuovi) oneri concessori per l’urbanizzazione primaria, si sarebbe accorta dell’errore di impostazione seguito dal Comune solo in occasione dell’atto impugnato. L’importo esiguo ( £.123.000) richiestole in precedenza, infatti, non aveva reso percepibile, nel contesto delle ulteriori somme dovute a titolo di oneri di urbanizzazione secondaria e contributo D, la scelta ermeneutica sottesa allo stesso. Al fine di sottolineare la portata strategica della Convenzione nel suo complesso, ne ha evidenziato gli ulteriori aspetti, sia avuto riguardo alla tipologia di opere realizzate, sia richiamando l’avvenuta cessione a prezzo simbolico di una porzione di terreno. In sintesi, ancora nel 2006 nel bilanciamento fra i contrapposti costi e benefici reciproci rivenienti alle parti dall’accordo de quo, il Comune risulterebbe quella economicamente avvantaggiata.

4. Il Comune di Sant’Ilario D’Enza si è costituito con atto di stile. Con successiva memoria ha analiticamente controdedotto, eccependo l’infondatezza delle doglianze. Il primo giudice avrebbe interpretato correttamente la convenzione, che limita lo scomputo dagli oneri di urbanizzazione primaria dei costi per la realizzazione delle opere specificamente individuate (opere stradali, fognatura, illuminazione), quantificati sulla base di computo metrico predisposto dal progettista incaricato dalla medesima Società in lire 29.895.400, pari ad euro 15.439,69. L’unico significato attribuibile alla locuzione in forza della quale «il valore delle opere di urbanizzazione […] è computato in pagamento per intero degli oneri di urbanizzazione primaria» sarebbe quello, cioè, di circoscrivere la compensazione alla richiamata tipologia di opere (e di oneri).

Infine, il richiamo all’avvenuta cessione di terreni quale ulteriore impegno assunto con la convenzione, sarebbe del tutto inconferente rispetto ai fatti di causa.

5. In vista dell’odierna udienza, entrambe le parti hanno presentato memorie e memorie di replica per ribadire le proprie contrapposte prospettazioni.

6. All’udienza pubblica del 27 aprile 2021, previa richiesta scritta della Società, la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

7. Il Collegio ritiene l’appello meritevole di accoglimento.

8. Al fine di correttamente perimetrare i confini della vicenda, occorre collocare sistematicamente la convenzione siglata fra la Società appellante e il Comune di Sant’Ilario Val D’Enza.

9. La Sezione ha già avuto modo di occuparsi degli effetti degli accordi, bilaterali o unilaterali, che “completano” le scelte urbanistiche delle Amministrazioni e del loro impatto sulla regolarità dell’attività edificatoria dei privati (Cons. Stato, sez. II, 17 maggio 2021, n. 3836). L’esigenza immanente alla finalità di buon governo del territorio di funzionalizzare allo scopo l’esercizio dello ius aedificandi, rende infatti spesso conveniente per l’Amministrazione “scendere a patti”, soprattutto laddove vengano in evidenza interventi di consistente rilevanza, che consentono di bilanciare la valorizzazione del bene con la richiesta di sforzi aggiuntivi al privato in termini di dare ovvero di facere, onde orientarne la maggiore libertà di movimento verso gli obiettivi pubblici di programmazione. Oggi peraltro tutta la vasta pletora di convenzioni urbanistiche comunque denominate vengono di regola ricondotte sotto l’egida dell’art. 11 della l. n. 241 del 1990, caratterizzata dall’aggiungere al paradigma pubblico generale i canoni del diritto civile «ove non diversamente previsto» e «in quanto compatibili» (comma 2). Dopo le originarie oscillazioni sul punto, i più recenti arresti convergono sulla accentuazione della funzione di individuazione convenzionale del contenuto del provvedimento che l’amministrazione andrà ad emettere a conclusione del procedimento preordinato all’esercizio della funzione urbanistico-edilizia (cfr. ancora Cons. Stato, sez. II, 19 gennaio 2021, n. 579). Si è dunque affermato che la convenzione, stipulata tra un Comune e un privato costruttore, con la quale questi, al fine di conseguire il rilascio di un titolo edilizio, si obblighi ad un facere o a determinati adempimenti nei confronti dell’ente pubblico (quale, ad esempio, la destinazione di un’area ad uno specifico uso, cedendola), non costituisce un contratto di diritto privato, non avendo specifica autonomia e natura di fonte negoziale del regolamento dei contrapposti interessi delle parti stipulanti, ma si configura piuttosto come un atto intermedio del procedimento amministrativo volto al conseguimento del provvedimento finale, dal quale promanano poteri autoritativi della pubblica amministrazione. A valle, dunque, si pone il provvedimento amministrativo; a monte, l’accordo, via via paragonato alla accettazione della proposta pubblica, in quanto finalizzato a perseguire programmati e manifestati obiettivi urbanistici del Comune; ovvero al contratto con obbligazioni a carico del solo proponente, secondo il modulo semplificato dell’art. 1333 c.c.; ovvero infine ad un mero atto negoziale, funzionale alla definizione consensuale del contenuto del provvedimento finale, che si iscrive però nel procedimento di rilascio del titolo abilitativo edilizio ed è dallo stesso recepito (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 novembre 2013, n. 5628). Né tale ricostruzione può essere inficiata dall’inversione temporale della convenzione -e dell’implicito Piano cui accede- rispetto ad un titolo edilizio già richiesto, stante che se ne è inglobato il rilascio nella pattuizione (più ampia) successivamente intervenuta.

10. La peculiarità del caso si specie, dunque, è data non tanto e non solo dalla circostanza che la convenzione è stata individuata quale strumento di regolazione dell’intervento dopo che la Società aveva avanzato una prima istanza di concessione edilizia; bensì dal fatto che è il Comune ad avere optato per un’unica pattuizione per una pluralità di titoli edilizi, preoccupandosi soltanto e da subito di limitarne l’estensione massima e di immaginarne le necessità di urbanizzazione in funzione della stessa. Da qui l’ampio contenuto di insieme della deliberazione del Consiglio comunale n. 151 del 6 settembre 1988 che, in asserita applicazione dell’art. 28, numero 2), della l.r. 7 dicembre 1978, n. 47, ha disciplinato anche la destinazione dell’area antistante quella oggetto della richiesta di titolo edilizio e individuato, appunto, le specifiche opere viarie e infrastrutturali di servizio necessarie ad una piena fruibilità collettiva. Gli originari mq. 1727 richiesti nel 1987, vengono dunque assentiti nel contesto di una convenzione “pensata” per una volumetria assai maggiore (mq. 8844,6) al cui carico urbanistico vanno commisurate le opere di urbanizzazione di cui si conviene l’esecuzione da parte della proprietà. Gli interventi successivi al primo, pertanto, non possono non essere coperti in parte qua dalla relativa previsione; “invece” (così testualmente il medesimo art. 6 della convenzione) al momento del rilascio delle singole concessioni resta fermo l’obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione secondaria, delle quote del contributo di costruzione e del contributo D. Congiunzione avversativa il cui unico significato plausibile è appunto quello di contrapporre ciò che viene quantificato –e scomputato – a monte, in una logica di programmazione/pianificazione collettiva e globale, da ciò che è correlato anche alla tipologia del singolo intervento e va differito al momento della sua effettiva concretizzazione progettuale.

11. La natura onerosa del titolo edilizio condiziona in senso restrittivo la lettura delle disposizioni che in qualche modo derogano alla monetizzazione degli importi. Già da prima del riordino disposto con il d.P.R. n. 380 del 2001 il rilascio dello stesso era subordinato al versamento del contributo di urbanizzazione e di quello di costruzione. Gli artt. 16 e 19 del richiamato d.P.R., rispettivamente per l’edilizia residenziale e per quella a destinazione industriale, artigianale, turistica, commerciale, direzionale e di servizi, hanno chiaramente ribadito, sistematizzando la materia, che il rilascio del permesso di costruire è subordinato alla corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza degli oneri di urbanizzazione nonché al costo di costruzione.

10.1. Gli oneri concessori, con particolare riguardo alla parte correlata agli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, hanno la chiara funzione di contribuire alle spese da sostenere dalla collettività in riferimento alla realizzazione delle relative opere, sicché l’unico criterio per determinare se essi siano dovuti o meno e in che misura consiste nel valutare il carico urbanistico derivante dall’attività edilizia, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelli esistenti (cfr. sul punto Cons. Stato, Sez. VI, 7 maggio 2018, n. 2694). In linea di diritto, cioè, mentre la quota del contributo di costruzione commisurata al costo di costruzione risulta ontologicamente connessa alla tipologia e all’entità (superficie e volumetria) dell’intervento edilizio e assolve alla funzione di permettere all’amministrazione comunale il recupero delle spese sostenute dalla collettività di riferimento alla trasformazione del territorio consentita al privato istante (ossia, a compensare la c.d. compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore, a seguito della nuova edificazione), la quota del contributo di costruzione commisurata agli oneri di urbanizzazione «assolve alla prioritaria funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelle già esistenti» (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 7 maggio 2015, n. 2294). Il che è quanto accaduto nel caso di specie, in relazione a quanto ritenuto necessario in funzione dell’intervento nella sua massima progettualità espansiva, neppure interamente realizzata.

11. Va altresì ricordato come per costante giurisprudenza, nel caso in cui il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire, ovvero quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla Pubblica Amministrazione, anche ai sensi dell’art. 2033 o dell’art. 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e, conseguentemente, il diritto del privato a pretenderne la restituzione. Il contributo concessorio, infatti, è strettamente connesso all’attività di trasformazione del territorio e, quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell'originaria obbligazione di dare, cosicché l'importo versato va restituito. La giurisprudenza è concorde pure nel ritenere che il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente, tenuto conto che sia la quota degli oneri di urbanizzazione, che la quota relativa al costo di costruzione sono correlati, sia pur sotto profili differenti, all’oggetto della costruzione, per cui l’avvalimento solo parziale delle facoltà edificatorie comporta il sorgere, in capo al titolare, del diritto alla rideterminazione del contributo ed alla restituzione della quota di esso che è stata calcolata con riferimento alla porzione non realizzata ( ex multis Consiglio di Stato, sez. IV – 7 marzo 2018, n. 1475).

11.1. Unica eccezione ai principi sopra richiamati, l’ipotesi in cui la partecipazione agli oneri di urbanizzazione costituisce oggetto di un’obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta con un accordo nell’ambito di un rapporto di natura pubblicistica correlato alla pianificazione territoriale (Cons. Stato, sez. IV, 12 novembre 2018, n. 6339).

12. La disciplina dello scomputo degli oneri di urbanizzazione, quale modalità di introito degli stessi trasferendo sul privato il compito di realizzare le opere necessarie alla vivibilità della zona interessata dall’intervento, è pertanto un istituto di carattere eccezionale. Esso non può quindi essere applicato a somme e lavori non espressamente previsti dalla convenzione attuativa del piano approvato, essendo solo questo il documento che consente materialmente di realizzare lo scomputo in base alle previsioni dell’art. 16 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, nonché, in passato, dell’art. 11, comma 1, della l. n. 10 del 1977 e dell’art. 28 della legge 17 agosto 1942 n. 1150 (v. ex plurimis Cons. Stato, sez. II, 9 gennaio 2020, n. 215; sez. IV, 15 maggio 2012, n. 2754; id., 26 settembre 2019, n. 6442; 28 novembre 2012, n. 6033; sez. V, 12 ottobre 1999, n. 1443; sez. VI, 28 febbraio 2019, n. 1395). In caso di convenzioni urbanistiche, quindi, la ripartizione degli oneri e la realizzazione diretta di opere da parte dei lottizzanti è fissata al momento della sottoscrizione della convenzione edilizia (v. ancora Cons., Sez. II, 10 marzo 2020, n. 1725). In particolare, dunque, quando l’intervento edilizio si colloca all’interno di una convenzione di lottizzazione, ciò presuppone ontologicamente la preventiva valutazione dell’impatto dell’intervento sul carico urbanistico e il conseguente computo degli oneri, ripartiti secondo le regole sopra richiamate (realizzazione diretta, ovvero pagamento, v. Cons. Stato Sez. II, 9 dicembre 2019, n. 8377).

13. Applicando tali coordinate al caso di specie, si deve rilevare che la ripartizione degli oneri e la realizzazione diretta di opere da parte della proprietà, unitamente alla cessione di una porzione di area, sono stati oggetto dell’accordo contenuto nella convenzione edilizia del 1989, la cui portata complessiva ne costituiva l’essenza contenutistica, stante che in assenza di una proiezione verso i successivi interventi, non era valutabile il carico urbanistico, né l’entità dell’intervento richiesto al privato. Consentendo altresì la segmentazione dell’intervento, la realizzazione dei successivi frammenti, rimessa alle future scelte del proprietario («L’utilizzo potrà avvenire anche per singoli interventi, ciascuno dei quali dovrà formare oggetto di specifica concessione, che dovrà uniformarsi alle norme della presente convenzione», art. 2), ha da un lato implicato una sorta di preventiva rinuncia alla monetizzazione delle eventuali eccedenze, ma dall’altro cristallizzato gli importi alla progettualità complessivamente intesa. Il Comune, cioè, come sopra già chiarito, già chiarito, ha dato attuazione alla legge regionale di settore non con tante convenzioni edilizie quanti erano i titoli richiesti, bensì trasformando l’unica pattuizione siglata in una sorta di piano urbanistico attuativo nel quale collocare tutti i futuri interventi, ove attuati.

14. Stando così le cose, dunque, una lettura della previsione del tipo di quella prefigurata dal Comune resistente che, imponendo al privato la realizzazione di opere di urbanizzazione “pensate” -recte, che avrebbero dovuto essere pensate, in una logica di corretta pianificazione- in proporzione ad un intervento di una certa entità, ma asservite al solo titolo edilizio singolarmente richiesto e deliberatamente inserito in una strategicità più ampia, non può essere condivisa. L’innegabile margine di ambiguità della formulazione della clausola contenuta nell’art. 6 della convenzione, imputabile, peraltro, alla stessa Amministrazione promotrice della scelta, non può che essere superata da una lettura sistematica del provvedimento, supportata peraltro da elementi testuali di inequivoca significatività (si pensi ancora all’utilizzo dell’avversativa “invece” per distinguere il diverso regime degli oneri di urbanizzazione secondaria).

La dicitura «in pagamento per intero» degli oneri di urbanizzazione primaria relativi agli interventi (tutti, necessariamente) «oggetto della presente convenzione» (quelli, cioè, elencati agli artt. 3 e 5), non può avere altro senso che quello fatto proprio dalla concatenazione delle parole e comportare la compensazione della relativa cifra per quella specifica voce fino alla concorrenza delle opere ivi previste. La mancata censura della concessione del 1996, seppure ispirata alla medesima logica di calcolo, si risolve nel consolidarsi della portata della stessa, di certo non nell’implicita acquiescenza alla reiterazione dei suoi presupposti in provvedimenti successivi.

15. La causa della convenzione urbanistica, e cioè l’interesse che l’operazione contrattuale è diretta a soddisfare, in particolare, va valutata non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico-sociale della convenzione, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato sia quelli della pubblica amministrazione (Cons. Stato, sez. V, 26 novembre 2013, n. 5603). Ciò implica che non è affatto escluso dal sistema che un operatore, nella convenzione urbanistica, possa assumere oneri anche maggiori di quelli astrattamente previsti dalla legge, trattandosi di una libera scelta imprenditoriale (o, anche, di una libera scelta volta al benessere della collettività locale), rientrante nella ordinaria autonomia privata, non contrastante di per sé con norme imperative. Al contrario, ove sia l’Ente locale ad accorgersi di avere male valutato l’interesse pubblico sotteso alla scelta convenzionale, sì da renderla poco remunerativa, nell’accezione più ampia di quella strettamente contabile, può sempre avvalersi degli strumenti di autotutela messi a disposizione dall’ordinamento. Al contrario, le scelte gestionali ondivaghe operate dal Comune - che pare non aver seguito la stessa linea di calcolo per tutte e cinque le concessioni edilizie successive alla prima- non testimoniano di una piena coerenza interpretativa, ammesso e non concesso che alla base ve ne fosse una volitiva, comunque non esplicitata in maniera univoca e di indiscutibile significatività.

16. Ne consegue, in accoglimento di quanto prospettato da parte ricorrente, che gli oneri di urbanizzazione primaria corrisposti al resistente Comune o comunque derivanti dal valore delle opere direttamente realizzate in virtù della convenzione di urbanizzazione vanno riferiti a tutti i titoli edilizi ivi previsti fino alla superficie massima ivi calcolata.

17. La complessità della vicenda, sia in fatto che in diritto, giustifica la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza del T.A.R. per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, n. 30 del 2013, accoglie il ricorso di primo grado.

Spese del doppio grado compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso Così deciso dalla Sezione Seconda del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 aprile 2021, tenutasi con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:

Giulio Castriota Scanderbeg, Presidente

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere

Italo Volpe, Consigliere

Francesco Frigida, Consigliere

Antonella Manzione, Consigliere, Estensore