Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 3554, del 16 luglio 2015
Urbanistica.Necessita della SCIA l’installazione sul piano stradale, di 19 paletti in ferro con altezza di m. 1 circa uniti tra loro da catena in ferro e ancorati a terra tramite calcestruzzo e bulloni
I paletti apposti uniti al suolo mediante un basamento di calcestruzzo assai sottile, sono avvitati con bulloni e risultano distanziati tra loro in modo tale da consentire un facile accesso pedonale ai negozi prospicienti la proprietà. Viene in rilievo, nel complesso, un’opera finalizzata a delimitare la proprietà della ricorrente, non si tratta neppure di una recinzione, essendo l’area tuttora liberamente accessibile a tutti, salvo che alle autovetture, rimovibile in maniera tutt’altro che disagevole e, come tale, inidonea a incidere sull’assetto edilizio del territorio. Dal disposto degli articoli 3 e 10 del T.U. n. 380 del 2001 risulta assoggettato a semplice SCIA l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso. (Segnalazione massima a cura di F. Albanese).
N. 03554/2015REG.PROV.COLL.
N. 04581/2014 REG.RIC.
N. 04582/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
-sul ricorso numero di registro generale 4581 del 2014, proposto da Angela Caffari, rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Stella Richter ed Elena Stella Richter, con domicilio eletto presso lo studio degli stessi in Roma, viale Giuseppe Mazzini, 11;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Sergio Siracusa dell’Avvocatura Capitolina, con domiciliazione in Roma, Via del Tempio di Giove n. 21;
-sul ricorso numero di registro generale 4582 del 2014 proposto da Angela Caffari, come sopra rappresentata, difesa ed elettivamente domiciliata;
contro
Roma Capitale, come sopra rappresentata, difesa ed elettivamente domiciliata;
per la riforma:
-quanto al ricorso n. 4581 del 2014:
della sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale del Lazio -sezione prima quater, n. 10081/2013, resa tra le parti, concernente demolizione di opere edilizie abusive;
-quanto al ricorso n. 4582 del 2014:
della sentenza breve del Tribunale amministrativo regionale del Lazio -sezione prima quater, n. 4982/2014, resa tra le parti, concernente dichiarazione di inefficacia di SCIA e lavori eseguiti in assenza di titolo abilitativo;
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti delle cause;
Relatore nell'udienza pubblica del 19 maggio 2015 il cons. Marco Buricelli e uditi per le parti gli avvocati Paolo Stella Richter e Sergio Siracusa;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza in forma semplificata n. 10081 del 2013 il Tribunale amministrativo regionale del Lazio –sezione prima quater, ha respinto il ricorso proposto dalla signora Angela Caffari contro la determinazione dirigenziale di Roma Capitale n. 1594 del 12 settembre 2013 con la quale, visti il d.P.R. n. 380/2001 e l’art. 16 della l. reg. n. 15/2008, è stato ingiunto alla interessata la “rimozione odemolizione”, entro 30 giorni, dell’intervento edilizio ritenuto abusivo, in quanto eseguito in assenza di titolo abilitativo, “di ristrutturazione edilizia e/o cambio didestinazione d’uso da una categoria all’altra”, consistente nella realizzazione, nell’area di proprietà della ricorrente, in Via di Torrevecchia, n. 237 –piano stradale, “di n. 19 paletti in ferro con altezza di m. 1 circa uniti tra loro da catena in ferro e ancorati a terra tramite calcestruzzo e bulloni”.
Questa la motivazione della sentenza: “la realizzazione di tali opere, benché finalizzata a preservare l’area in questione dall’accesso di auto e motoveicoli, consistenti nel posizionamento a terra di paletti in ferro di altezza pari ad un metro, fissati con calcestruzzo, doveva necessariamente comportare la preventiva acquisizione di apposito titolo abilitativo, nel caso di specie non rinvenibile… la segnalazione certificata di inizio attività risulta essere stata presentata all’Amministrazione comunale in data 14 novembre 2013, ossia in data successiva alla realizzazione delle opere e del termine di adozione del provvedimento impugnato… il ricorso (va) respinto, tenuto conto della natura abusiva delle opere edilizie realizzate”.
La ricorrente è stata condannata alle spese.
2. Con la sentenza in forma semplificata n. 4982 del 2014 la sezione prima quater del Tar del Lazio ha respinto un altro ricorso della signora Caffari, proposto avverso e per l’annullamento del provvedimento di Roma Capitale –Municipio XIV –prot. n. 105503 del 5 dicembre 2013 con cui il dirigente dell’Unità Organizzativa Tecnica, con riferimento alla segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) presentata dalla Caffari il 14 novembre 2013 con prot. n. 98367, relativa all’accertamento di conformità, ex art. 37, comma 5, del d.P.R. n. 380/2001 e art. 22 della l. reg. n. 22/2008, riguardante i lavori eseguiti nell’immobile sito in via Simone Mosca, angolo via di Torrevecchia, consistenti nelle “opere eseguite ad aprile 2013 –delimitazionedell’area di mia proprietà mediante l’installazione di paletti di ferro alti circa 1 m. distanziati tra loro in modo da consentire il facile accesso pedonale ai negoziprospicienti la proprietà”, ha affermato che “l’istanza riguarda interventi noncontemplati nel T. U. per l’edilizia -D.P.R. 380/2001 e pertanto non rientranti tra quelli soggetti a segnalazione certificata di inizio attività (e che la SCIA) è da intendersi priva di efficacia ed i lavori eseguiti…dovranno quindi essere consideraticome realizzati in assenza di titolo abilitativo”.
Al riguardo la seconda decisione, riepilogata la controversia definita in primo grado con la sentenza n. 10081/2013, e rammentato che con l’atto del 5 dicembre 2013 l’Amministrazione, “nel pronunciarsi in ordine all’accertamento di conformità presentato ai sensi dell’articolo 37, comma 5 del d.p.r. 380 del 2001 e dell’articolo 22 della legge regionale 15 del 2008, ha ritenuto la segnalazione certificata di inizio attività priva di efficacia ed i lavori eseguiti in assenza di titolo abilitativo”, ha respinto la censura dedotta –e così sintetizzata: l’atto gravato “sarebbe errato nella parte in cui considera il contenuto dell’istanza presentata dalla ricorrente quale segnalazione certificata di inizio attività anziché quale domanda di accertamento di conformità riguardante, peraltro, opere di delimitazione della proprietà rientranti tra quelle di “finitura di spazi esterni” di cui all’articolo 6, comma 2, lettera c) del d.p.r. 380 del 2001, ossia tra le attività di edilizia libera”- rigettando, per l’effetto, il ricorso, sul rilievo che “la realizzazione delle opere in questione risulta essere stata eseguita, come peraltro l’adozione dell’ordine di demolizione, adottato in data 12.9.2013, antecedentemente alla presentazione dell’istanza presentata dalla ricorrente in data 14.11.2013 la quale, ove si dovesse intendere quale domanda accertamento di conformità ex art. 36 del d.p.r. n. 380/2001, sarebbe stata in ogni caso da intendersi insuscettibile di positiva definizione per intervenuto decorso del termine di sessanta giorni decorrenti dalla ricezione di tale istanza”.
Anche in questo giudizio la ricorrente è stata condannata al pagamento delle spese.
3. La signora Caffari ha proposto appello avverso ambedue le decisioni, per le ragioni che saranno indicate nel prosieguo.
4. L’Amministrazione si è costituita e ha resistito ai ricorsi.
5. Le istanze di sospensione dell’esecutività delle sentenze impugnate sono state respinte, non essendo sembrati gli appelli assistiti da apprezzabile fumus boni juris .
6. All’udienza del 19 maggio 2015 entrambi i ricorsi sono stati trattenuti in decisione.
7. In via preliminare i ricorsi vanno riuniti, per evidenti ragioni di connessione soggettiva e oggettiva, per essere decisi con un’unica pronuncia.
8. Gli appelli sono fondati e vanno accolti.
I ricorsi di primo grado andavano accolti e gli atti impugnati avrebbero dovuto essere annullati.
8.1. Risulta dagli atti che tra il 2006 e il 2011 la signora Caffari domanda al Municipio XIV di poter installare dissuasori di sosta sull’area privata di sua proprietà -peraltro aperta a pubblico passaggio -, mediante la posa in opera di 19 paletti in ferro di circa un metro di altezza, uniti tra loro da una catena di ferro e ancorati al suolo tramite calcestruzzo e bulloni, per evitare il parcheggio di auto e motorini sull’area di proprietà. E’ previsto un distanziamento dei paletti per consentire un facile accesso pedonale ai negozi prospicienti la proprietà. Alle richieste fanno seguito pareri negativi della Polizia municipale, motivati dalla vicinanza a un incrocio e dal rischio d’intralcio al traffico.
La Caffari appone ugualmente i dissuasori (a una distanza tra loro di oltre 1,50 mt.).
Ne segue un verbale della Polizia municipale in data 18 aprile 2013 di constatazione di violazione urbanistico –edilizia, con successivo ordine di sospensione dei lavori.
In data 8 aprile 2013 la Caffari presenta una comunicazione di lavori per attività edilizia libera –manutenzione ordinaria –protezione della proprietà con paletti e catenelle.
Il 12 settembre 2013 viene emessa l’ingiunzione di rimozione / demolizione dell’opera cui si è fatto cenno sopra al p. 1. , in quanto ritenuta “intervento edilizioabusivo in assenza di titolo abilitativo”.
Il 14 novembre 2013 la signora Caffari presenta in Municipio la SCIA –accertamento di conformità ex art. 37, comma 5, del decreto n. 380/2001, rientrando l’intervento nella categoria di cui all’art. 3, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 380/2001 -restauro e risanamento conservativo –inserimento di elementi accessori.
Con determina dirigenziale del 5 dicembre 2013, meglio specificata sopra, al p. 2. , il Comune ritiene che l’istanza riguardi interventi non contemplati nel T. U. n. 380/2001 e pertanto non rientranti tra quelli soggetti a segnalazione certificata di inizio attività e che la SCIA sia da intendersi priva di efficacia con la conseguenza che i lavori eseguiti dovranno essere considerati come realizzati in assenza di titolo abilitativo.
Per la rappresentazione dei luoghi si fa rinvio all’allegato fotografico alla SCIA –accertamento di conformità del 14 novembre 2013 –fasc. Caffari, e al fasc. Roma Capitale.
Sullo svolgimento dei processi in primo grado si è già detto.
8.2. Ciò premesso, la principale questione da risolvere, come prospettata dall’appellante, consiste nello stabilire se l’intervento edilizio in questione sia assoggettabile a titolo abilitativo, o meno, e in caso di risposta affermativa quale esso possa essere e quali siano le conseguenze derivanti dall’assenza del titolo medesimo.
8.2.1. In primo luogo, diversamente da quanto sostiene l’appellante, è da ritenere che l’intervento eseguito non rientri tra le “finiture di spazi esterni”, né costituisca “elemento di arredo di area pertinenziale di edificio”, di cui alle lettere c) e d) del comma 2 dell’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001.
L’intervento effettuato non ricade cioè tra le attività libere (indicate tra l’altro in modo tassativo all’art. 6 del t. u. n. 380 del 2001, in deroga al generale obbligo di munirsi di un titolo abilitativo per eseguire interventi edilizi, ciò di cui occorre tenere conto per una corretta lettura e interpretazione dello stesso art. 6), avendo riguardo da un lato alle tipologie delle fattispecie liberalizzate e, dall’altro, all’entità dell’opera posta in essere, che non corrisponde alla descrizione delle attività di cui alle lettere c) e d) del citato art. 6.
8.2.2. D’altra parte il Collegio, a differenza di quanto sembra essere stato considerato dal Tar, e da questa Sezione nella fase cautelare, ritiene che nel caso qui in esame non venga in discussione un’ipotesi di trasformazione edilizio –urbanistica, o di alterazione permanente dell’assetto del territorio, o di nuova costruzione, tale da esigere il previo rilascio del permesso di costruire ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 10 del d.P.R. n. 380 del 2001, rientrandosi invece nel campo di applicazione dell’art. 22 del t. u. n. 380/2001, in tema di SCIA.
Al riguardo, è bene rammentare che sulla questione, intuitivamente affine, dell’assoggettamento, o meno, delle recinzioni, a permesso di costruire, la giurisprudenza amministrativa, specialmente dei Tar, afferma che la valutazione sulla necessità, o meno, del permesso di costruire, va compiuta in base ai parametri della natura e delle dimensioni delle opere, e della loro destinazione e funzione (si vedano, tra le altre, Tar Campania, n. 3328/2013 e n. 1542/2012, Tar Lombardia, n. 6266/2009, Tar Lazio, n. 8644/2009, Tar Veneto, n. 1215/2011, Tar Calabria, n. 1299/2014, Tar Lombardia –Brescia, n. 118/2013 e altre), sicché quando, ad esempio, vengono eseguite opere in muratura e la recinzione non è facilmente rimuovibile, l’intervento, essendo idoneo a incidere in modo permanente sull’assetto edilizio del territorio, esige il previo rilascio del permesso di costruire.
Ciò posto, l’intervento in argomento, alla luce delle caratteristiche e delle dimensioni dello stesso (su cui si vedano le foto prodotte in giudizio sia da Roma Capitale, sia dall’appellante), ricade nel campo di applicazione –non dell’art. 10 ma- dell’art. 22 del t. u. n. 380/2001. L'intervento in questione rientra cioè tra quelli realizzabili con il regime semplificato della d.i.a., la cui mancanza non è sanzionabile con la rimozione o la demolizione, previste dall'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 per l'esecuzione di interventi in assenza del permesso di costruire, o in totale difformità del medesimo ovvero con variazioni essenziali, ma con l'applicazione della mera sanzione pecuniaria prevista dal successivo art. 37 per l'esecuzione di interventi in assenza della prescritta denuncia di inizio di attività.
In primo luogo, non è stata eseguita nessuna opera muraria significativa. I paletti apposti, uniti al suolo mediante un basamento di calcestruzzo assai sottile, sono avvitati con bulloni e risultano distanziati tra loro in modo tale da consentire un facile accesso pedonale ai negozi prospicienti la proprietà. La prevista apposizione di una catenella tra alcuni paletti, ossia tra i soli paletti ove non c’era corrispondenza con ingressi ad abitazioni o a negozi, risulta eliminata, in base a quanto affermato dall’appellante e non specificamente contestato dal Comune (si veda l’allegato fotografico fasc. Caffari citato sopra al p. 8.1. ) . Viene in rilievo, nel complesso, un’opera finalizzata a delimitare la proprietà della ricorrente (non si tratta neppure di una recinzione, essendo l’area “tuttora liberamente accessibile a tutti, salvo che alle autovetture”, come rileva l’appellante), rimovibile in maniera tutt’altro che disagevole e, come tale, inidonea a incidere sull’assetto edilizio del territorio.
Al riguardo, risulta persuasiva la tesi di parte appellante, secondo la quale dal disposto degli articoli 3 e 10 del t. u. n. 380 del 2001 risultano assoggettati a semplice SCIA tanto gli interventi di manutenzione straordinaria che quelli di restauro e di risanamento conservativo e quindi, in via di esempio, "le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici", o "un insieme sistematico di opere" che attuino sostanziali trasformazioni di fabbricati, nonché “il rinnovo degli elementi costitutivi, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso" (cfr. art. 3, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 380/2001).
Poiché dunque la realizzazione dei paletti per cui è causa doveva farsi rientrare nella fattispecie dell’inserimento di elementi accessori di cui all’art. 3, comma 1, lett. c) del t. u. n. 380 del 2001, ne consegue che l’intervento eseguito in assenza di titolo ex art. 22 –su area a quanto consta “non soggetta a particolari vincoli” come afferma parte appellante senza alcuna specifica contestazione a questo riguardo da parte del Comune- avrebbe dovuto essere assoggettato non alla sanzione demolitoria di cui all’art. 31 del t. u. ma, come puntualmente segnalato dalla signora Caffari, alla sanzione pecuniaria di cui all’art. 37 (si veda anche l’art. 19 della l. reg. n. 15/2008).
Dalle considerazioni su esposte discende l’accoglimento non solo dell’appello n. RG 4581/2014, con il conseguente accoglimento del ricorso di primo grado n. 10074/2013 e l’annullamento dell’impugnata ingiunzione di demolizione del 12 settembre 2013, salvi gli atti ulteriori della P. A. , ma anche l’accoglimento del ricorso in appello n. RG 4582/2014, con l’accoglimento consequenziale del ricorso di primo grado n. 1689/2014 dato che erra l’Amministrazione, con l’atto del 5 dicembre 2013, nel rilevare che l’istanza del 14 novembre 2013 riguarda interventi non rientranti tra quelli soggetti a SCIA.
8.3. Sempre con riferimento al giudizio n. 4582/2014, l’appellante coglie nel segno (anche) laddove critica la sentenza nel punto in cui essa afferma che, ove si volesse qualificare l’istanza del 14 novembre 2013 come domanda di accertamento in conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, la stessa “sarebbe stata in ogni caso da intendersi insuscettibile di positiva definizione per intervenuto decorso del termine di sessanta giorni decorrenti dalla ricezione di tale istanza”.
Fermo restando che la realizzazione dei paletti non richiede il preventivo rilascio del permesso di costruire, in modo condivisibile parte appellante rileva che:
-l’art. 36 del t. u. n. 380/2001 dispone che la domanda di accertamento di conformità può essere presentata fino alla scadenza del termine di cui all’art. 31, comma 3;
-l’art. 31, comma 3, stabilisce che il responsabile dell’abuso deve provvedere al ripristino dello stato dei luoghi “nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione”;
-il termine per presentare utilmente la domanda di accertamento di conformità è di novanta giorni e non già di sessanta giorni;
-l’ingiunzione di demolizione è stata adottata il 12 settembre 2013, mentre l’istanza è stata presentata dalla signora Caffari il 14 novembre 2013, vale a dire il sessantatreesimo giorno successivo, sicchè non risulta corretta l’affermazione svolta in sentenza sulla insuscettibilità di una positiva definizione della domanda di accertamento di conformità.
In conclusione, gli appelli riuniti devono essere accolti e, per l’effetto, in riforma delle sentenze impugnate, i ricorsi di primo grado vanno accolti e gli atti impugnati annullati, salvi gli ulteriori provvedimenti che l’autorità amministrativa adotterà tenendo conto di quanto statuito nella presente sentenza.
9. Le spese di entrambi i gradi vanno compensate, data la singolarità della situazione in fatto, l’oggettiva controvertibilità della principale questione trattata e l’andamento complessivo dei giudizi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, previa riunione degli stessi, li accoglie e, per l’effetto, in riforma delle sentenze impugnate, accoglie i ricorsi di primo grado e annulla i provvedimenti impugnati, salvi gli ulteriori atti della P. A. .
Spese di entrambi i gradi dei giudizi compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 maggio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere
Carlo Mosca, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere
Marco Buricelli, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/07/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)