Consiglio di Stato, Sez. II n.8448 del 12 dicembre 2019
Urbanistica.Nozione di effettivo inizio dei lavori

Quella di effettivo inizio dei lavori è una nozione - per così dire - "elastica", posto che il rispetto del surriferito termine annuale si desume dagli indizi rilevati sul sito dell'intervento, che devono essere di entità tale da scongiurare il rischio che il termine legale di decadenza venga invero ad essere eluso attraverso opere fittizie e simboliche, fermo in tal senso restando che l'onere della prova del mancato inizio dei lavori assentiti incombe comunque sull'Amministrazione comunale che ne dichiara la decadenza: e ciò alla stregua del principio generale in forza del quale i presupposti del provvedimento adottato devono essere accertati dall'autorità emanante

Pubblicato il 12/12/2019

N. 08448/2019REG.PROV.COLL.

N. 04393/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4393 del 2010, proposto dal signor Nicola Marchesani, rappresentato e difeso dall’avvocato Marcello Russo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Marco Croce in Roma, via Nizza, n. 63,

contro

il Comune di Vasto (CH), non costituitosi in giudizio,

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. dell’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, Sezione I n. 152/2010, resa tra le parti, concernente decadenza del rilasciato permesso di costruire per realizzazione di un fabbricato.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 10 settembre 2019, il Consigliere Fulvio Rocco e udita l’avv. Monica Franceschelli, su delega dell’avvocato Marcello Russo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.1. L’attuale appellante, signor Nicola Marchesani, espone che in data 9 novembre 2007 gli è stato rilasciato dal Comune di Vasto (CH) il permesso di costruire n. 220/07 avente ad oggetto la realizzazione di un fabbricato ubicato in via del Porto ad uso abitativo plurifamiliare di forma rettangolare con dimensioni pari a 9,20 m x 32,00 m, pari quindi a 294,40 mq, da erigersi su di un terreno ivi riportato in catasto al foglio 25, particelle nn. 4510, 4512, 4422, 428l.

Il medesimo appellante riferisce di aver provveduto immediatamente dopo il rilascio di tale titolo edilizio a corrispondere all’Amministrazione comunale, per il tramite dell’impresa appaltatrice Immobiliare Lido, l’intero ammontare degli oneri e contributi da lui dovuti, pari ad € 33.964,15, cui si assommavano ulteriori € 6.578,99 per urbanizzazione secondaria, € 3.605,47 per urbanizzazione primaria oltre ai diritti di segreteria per € 258,25 per un totale complessivo di € 44.417,85.

L’appellante precisa – altresì – che in data 15 ottobre 2008 è stata ritualmente presentata all’Amministrazione comunale la comunicazione di inizio dei lavori, e afferma che gli stessi “sono stati iniziati attraverso le seguenti opere: 1. recinzione e messa in sicurezza del sito attraverso palificazione metallica con rete di cantiere …; 2. recinzione (rectius: realizzazione) di un muro di sostegno della scarpata superiore; 3. eliminazione della vegetazione olivicola …; 4. sbancamento dell’area per l’intera estensione del corpo di fabbrica progettato, per una profondità di m. 2,50 circa ed un’ampiezza di ml. 40 x ml, 15 = mq. 600, creando lo spazio idoneo a contenere le fondazioni e il posizionamento del piano seminterrato; 5. picchettamento degli ingombri massimi per le travi di fondazione; 6. asportazione del terreno risultante da tali operazioni” (cfr. pag. 2 dell’atto introduttivo del presente giudizio).

In data 21 ottobre 2009 la Polizia Municipale ha effettuato un sopralluogo presso il cantiere rilevando che a quel momento era stato provveduto al solo sbancamento dell’area medesima e che quindi quanto realizzato risultava insufficiente per configurare l’avvenuto inizio dei lavori.

Conseguentemente in data 11 novembre 2009 l’Amministrazione comunale ha avviato il procedimento di decadenza del permesso di costruire, dandone comunicazione al Marchesani.

Questi, a sua volta, con una nota dd. 26 novembre 2009 ha descritto all’Amministrazione medesima le operazioni svolte dalla comunicazione di inizio lavori, precisando - altresì - che l’incostanza dell’attività edilizia era dovuta alle contingenti emergenze economico-finanziarie nonché alla difficoltà di mantenere rapporti con le ditte esecutrici dei lavori.

In data 24 dicembre 2009 è stato notificato al Marchesani il provvedimento Prot. n. 55782 dd. 15 dicembre 2009 con il quale il Dirigente preposto al Settore Urbanistica e Pianificazione del Territorio ha disposto a’ sensi dell’art. 15, comma 2, del t.u. approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e dell’art. 9 del Regolamento edilizio comunale la decadenza del predetto permesso di costruire, “considerato che; le opere previste nel permesso di costruire n. 220/07 non risultano a tutt’oggi iniziate, ovvero da quanto riscontrato non risulta un significato (sic; recte, significativo) inizio dei lavori; dal verbale di sopralluogo in data 21 ottobre 2009 del Comando Polizia Municipale è stato rilevato che, al momento (un anno dopo la comunicazione di avvio di inizio dei lavori) i lavori consistono nel solo “sbancamento dell’area”, insufficiente a configurarsi quale inizio dei lavori, essendo viceversa necessario che le opere intraprese siano di consistenza tale da manifestare un’effettiva volontà di realizzare l’edificio assentito; ritenuto che l’inizio delle operazioni di sbancamento, se non è accompagnata da ulteriori dimostrazioni di specifica attività edilizia, non integra la nozione di inizio dei lavori di costruzione necessaria ad impedire la decadenza; vista la nota n. 51433 dell’11 novembre 2009 con la quale si comunicava alla ditta Marchesani Nicola l’avvio del procedimento di decadenza del permesso di costruire sopra indicato, ai sensi dell’art. 7 della l. 7 agosto 1990, n. 241; Vista la nota datata 25 novembre 2009, acquisita al Prot. Gen. n. 53092 del Comune di Vasto a data 26 novembre 2009 con la quale la ditta fornisce le proprie controdeduzioni, che si ritengono non valide a superare le motivazioni addotte nel richiamato avviso di procedimento di decadenza; Ritenuto, pertanto, che il permesso di costruire di che trattasi deve ritenersi decaduta (sic) per le motivazioni suesposte e di quelle contenute nell’avviso di procedimento di decadenza che si intendono integralmente confermate”.

1.2. Ciò posto, con ricorso proposto sub R.G. 57 del 2010 innanzi al T.A.R. per l’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, il Marchesani ha chiesto l’annullamento del surriportato provvedimento di decadenza del permesso di costruire, deducendo al riguardo i seguenti ordini di censure:

1) violazione degli artt. 7, 10 e 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241, nonché difetto di motivazione e di istruttoria;

2) erronea applicazione dell’art. 9 del Regolamento edilizio comunale, dell’art. 15, comma 2, del t.u. approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e dell’art. 60, comma 8, della l.r. 12 aprile 1983, n. 18.

1.3. In tale primo grado di giudizio non si è costituito il Comune di Vasto.

1.4. Nel corso di tale grado di giudizio, con atto dd. 26 gennaio 2010 il Marchesani ha chiesto un’integrazione dell’anzidetto verbale di sopralluogo della Polizia Municipale nel senso che venissero attestate anche la presenza, a quel momento, di una recinzione di cantiere e la realizzazione di un muretto di sostegno della scarpata superiore (cfr. doc. 12, pag. 64 del fascicolo di primo grado).

Con nota Prot. n. 4477 dd. 29 gennaio 2010 il Comandante della Polizia Municipale ha attestato quanto richiesto dal Marchesani (cfr. ibidem, doc. 16, pag. 66).

1.4. Con sentenza n. 152 dd. 8 marzo 2010, resa in forma breve a’ sensi dell’allora vigente art. 21, decimo comma, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, come modificato dagli artt.1 e 3 della l. 21 luglio 2000, n. 205, l’adito T.A.R. ha respinto il ricorso.

Il giudice di primo grado è pervenuto a tale statuizione “Ricordato, invero, che il titolo edilizio assentito prevedeva che i lavori avrebbero dovuto avere inizio entro l’anno dal rilascio; Ricordato, altresì, che la giurisprudenza amministrativa, pronunciandosi in ordine a fattispecie analoghe a quella ora all’esame, ha già chiarito che per accertare se sussistono o meno i presupposti per la decadenza di una concessione edilizia, l’effettivo inizio dei lavori deve essere valutato non via generale ed astratta, ma con specifico riferimento all’entità ed alle dimensioni dell’intervento edificatorio programmato ed autorizzato, all’evidente scopo di evitare che il termine prescritto possa essere eluso con ricorso a lavori fittizi e simbolici e non oggettivamente significativi di un effettivo intendimento del titolare della concessione di procedere alla realizzazione dell'opera assentita; Ricordato, inoltre, che il semplice sbancamento del terreno e la predisposizione degli strumenti e materiali di costruzione non sono di norma sufficienti a manifestare una reale volontà di esecuzione del manufatto (occorrendo, a tal fine, anche la messa a punto dell’organizzazione del cantiere e altri indizi che dimostrino il concreto proposito di proseguire i lavori sino alla loro ultimazione), ma che possono, tuttavia, verificarsi casi particolari in cui il solo sbancamento, per interessare un’area di vaste proporzioni, costituisce sicuro indizio di un animus aedificandi e configura quindi valido avvio dei lavori, impedendo il verificarsi della decadenza della concessione; Considerato che nel caso di specie le opere eseguite, con specifico riferimento a quanto dichiarato e documentato con il gravame, sembrano di modesta entità in relazione all’intervento programmato, ove si consideri che con il permesso in questione è stata autorizzata la costruzione di un edificio ad uso residenziale dell’altezza di oltre quindici metri e della volumetria di oltre mc. 3.700, mentre lo scavo realizzato appare di modeste dimensioni e di costo ridotto in relazione all’impegno finanziario richiesto per realizzare l’opera progettata; Ritenuto, pertanto, che il ricorso in esame debba essere respinto per essere prive di pregio le doglianze dedotte” (cfr. ivi, pag. 3 e ss.).

Il medesimo giudice ha omesso la pronuncia sulle spese di causa in dipendenza della mancata costituzione in giudizio del Comune di Vasto.

2.1. Con l’appello in epigrafe il Marchesani chiede ora la riforma di tale sentenza.

L’appellante deduce al riguardo l’erroneità della decisione impugnata per violazione dell’art. 9 del Regolamento edilizio comunale, dell’art. 15, comma 2, del t.u. approvato con d.P.R. 6 luglio 2001, n. 380, nonché dell’art. 60, comma 8, della l.r. della 12 aprile 1983, n. 18, nonché erroneità della motivazione circa la rilevanza dei lavori compiuti in relazione all’edificio da costruire.

Secondo il Marchesani, il giudice di primo grado avrebbe erroneamente affermato che nella specie non sussistevano i presupposti per affermare la sussistenza dell’effettivo inizio dei lavori assentiti per la realizzazione dell’edificio di cui trattasi.

Invero – sempre secondo l’appellante – il ragionamento seguito dal T.A.R. muoverebbe da un assunto iniziale del tutto corretto, ossia che l’effettivo inizio dei lavori deve essere valutato non in via generale e astratta ma in termini concreti e che quanto realizzato non deve assumere un carattere fittizio, ovvero meramente simbolico.

Tuttavia, nella specie ad avviso del Marchesani andrebbe considerato che il provvedimento di decadenza sarebbe fondato su un verbale di sopralluogo (o, per meglio dire, su un sintetico rapporto) incompleto ed inesatto, come del resto lo stesso Comandante della Polizia municipale non avrebbe avuto difficoltà a riconoscere con l’anzidetta, propria attestazione dd. 29 gennaio 2010. Pertanto secondo l’appellante l’Amministrazione comunale avrebbe adottato il provvedimento di decadenza senza un accertamento tecnico preciso su quanto realizzato ed – anzi - sulla base di un rapporto dichiarato incompleto dagli stessi autori.

L’appellante rimarca che la norma sulla decadenza risponde alla finalità di evitare che si ottenga il rilascio di titoli edilizi senza poi dare ad essi effettiva esecuzione, ovvero che si compiano operazioni di fittizia valorizzazione di terreni, munendosi di provvedimenti autorizzativi con intenti diversi da quelli dell’effettiva realizzazione degli edifici; e allo stesso tempo rimarca di aver regolarmente provveduto con tempestività alla denuncia di inizio lavori, di aver stipulato un contratto di appalto e cessione con una società immobiliare, la quale a sua volta ha regolarmente corrisposto entro i termini dovuti gli oneri e contributi per conto del proprietario; e rimarca pure che l’area è stata recintata, che è stato realizzato in conformità al progetto assentito un muro in cemento armato di contenimento della scarpata per un’altezza di circa m. 3 e che si è provveduto all’abbattimento degli alberi esistenti sul terreno.

L’appellante afferma – altresì – che lo sbancamento sarebbe stato realizzato per un’ampiezza notevolmente superiore a quella relativa alla superficie del fabbricato da edificare e con una profondità corrispondente alle necessità di realizzare fondazioni e piazzamento della parte interrata.

L’appellante evidenzia inoltre che l’intero terreno risultato dallo scavo, formato da una notevole massa per una profondità di 250 mt e per una superficie di 600 mq (equivalente, quindi, a una volumetria 1.500 mc) è stato asportato, rilevando che tale circostanza non è stata purtroppo menzionata nella relazione della Polizia Municipale e dalle fotografie in atti.

Comunque sia, l’insieme di tali circostanze ragionevolmente escluderebbe – sempre ad avviso dell’appellante – l’ipotesi dell’avvenuta collocazione sul terreno del notorio espediente del c.d. “testimone”, ossia di un piccolo segnale murario, e comunque escluderebbe comportamenti estrani alla reale volontà di edificare.

L’appellante riferisce quindi che la giurisprudenza, pur non potendo formulare indici precisi dell’inizio dei lavori, precisa comunque che l’onere della prova per la sussistenza dei presupposti per dichiarare la decadenza incombe sull’amministrazione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 11 aprile 1990, n. 343), e che l’inizio dei lavori idoneo ad impedire la decadenza della concessione edilizia può ritenersi sussistente quando le opere intraprese siano tali da manifestare un’effettiva volontà da parte del concessionario di realizzare il manufatto assentito (id., 22 novembre 1993, n. 1165).

L’appellante rileva pure che la dottrina a sua volta richiede per la sussistenza dell’effettivo inizio dei lavori l’elevazione di muri e l’esecuzione di scavi coordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio, e reputa quindi che nella specie tali opere sussisterebbero e che risulterebbero quindi del tutto idonee per affermare l’avvenuto inizio dei lavori, posto anche che in casi di interventi di modesta entità i lavori di sbancamento e livellamento del terreno, nonché di scavo delle prime (e necessariamente minime) fondazioni, possono essere utilmente invocati a titolo di inizio dei lavori (id., 1 ottobre 2003, n. 5648).

L’appellante afferma che, in linea di principio, la correlazione fra i lavori compiuti e la volumetria complessiva del fabbricato può in effetti costituire uno dei criteri logici di valutazione ove si tratti di realizzare opere di tale entità da far presupporre che nel residuo di tempo disponibile per il compimento delle opere non residui un tempo al riguardo sufficiente.

Egli peraltro rileva in proposito che nel caso di specie si tratta di realizzare un fabbricato composto da 14 unità abitative per una volumetria di 3.700 mc e di altezza pari a 15 mt. e afferma pertanto che le opere avviate risulterebbero più che sufficienti ad indicare l’effettiva volontà di edificare.

Il giudice di primo grado – afferma sempre l’appellante – ha ritenuto che il semplice sbancamento e la predisposizione dei materiali non sarebbero in linea di principio sufficienti ad evidenziare una reale volontà di esecuzione, ma allo stesso tempo ha reputato in via del tutto erronea di poter prescindere da elementi fattuali, come quelli – pur documentati - attinenti alla stipula del contratto di cessione e appalto, al pagamento degli oneri da parte dell’immobiliare cessionaria, alla realizzazione di un consistente muro di recinzione in cemento armato e alla recinzione del cantiere. Né si comprenderebbe, ad avviso del Marchesani, da quali elementi il T.A.R. abbia potuto dedurre che lo scavo risultava di modeste dimensioni, quando invece l’area di scavo era ben più ampia del fabbricato da collocare e perfettamente corrispondente alle esigenze di cantiere.

Il Marchesani riferisce inoltre di aver puntualmente illustrato, nelle proprie deduzioni dd. 26 novembre 2009 inviate all’Amministrazione comunale in esito alla comunicazione di avvio del procedimento di decadenza del titolo edilizio, come le emergenze economico-finanziarie avessero creato qualche difficoltà nei rapporti con l’impresa appaltatrice (cessionaria e suoi rami operativi) concernenti il contratto d’appalto con permuta.

L’appellante in tal senso rimarca quindi la notorietà della circostanza che all’epoca la grave situazione dei mercati aveva reso oltremodo difficoltosa l’acquisizione di credito all’impresa, documentando sulla scorta di vari articoli della stampa sia nazionale che locale la particolare gravità della situazione con riguardo all’Abruzzo.

2.2. Anche nel presente grado di giudizio non si è costituito il Comune di Vasto.

2.3. Con ordinanza n. 3115 dd. 7 luglio 2010, emessa a’ sensi dell’allora vigente art. 33 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, la Sez. IV^ di questo Consiglio di Stato ha respinto la domanda di sospensione cautelare della sentenza impugnata, avanzata dall’appellante, “considerato che, ad un primo sommario esame proprio della fase cautelare, la delicatezza della questioni controverse induce a non far alterare lo stato dei luoghi”.

2.4. All’odierna pubblica udienza la causa è stata trattenuta per la decisione.

3.1. Tutto ciò premesso, l’appello in epigrafe va respinto.

Come è ben noto, l’art. 15, comma 2, del t.u. approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, disponeva, nel testo vigente all’epoca dei fatti di causa, che “il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve essere completata non può superare i tre anni dall’inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, esclusivamente in considerazione della mole dell’opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari”.

A sua volta l’art. 60, comma 8, della l.r. 12 aprile 1983, n. 18, recante “Norme per la conservazione, tutela, trasformazione del territorio della Regione Abruzzo” dispone che “le concessioni relative ai singoli edifici non possono avere validità complessiva superiore a tre anni dall’inizio dei lavori, i quali devono, comunque, essere iniziati entro un anno dal rilascio della concessione. Nei casi di edifici mono e bifamiliari costruiti in economia dal concessionario per uso proprio, consentito un ulteriore periodo di due anni per la ultimazione dei lavori”; inoltre il susseguente comma 9 dispone che “un periodo più lungo per la ultimazioni dei lavori può essere consentito dal Sindaco in relazione alla mole delle opere da realizzare ed alle sue particolari caratteristiche costruttive”, e il comma 10 dispone – altresì – che “qualora entro i termini suddetti i lavori non siano stati iniziati o ultimati, il concessionario deve richiedere una nuova concessione”).

Il terzo comma dell’art. 9 del Regolamento edilizio del Comune di Vasto, all’epoca vigente e peraltro alquanto risalente nel tempo in quanto adottato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 160 dd. 24 luglio 1971, disponeva che “il titolare della licenza (edilizia) può iniziare i lavori autorizzati entro e non oltre un anno dalla data di autorizzazione”, nel mentre il comma successivo precisava che “trascorso tale periodo di tempo senza che i lavori stessi abbiano avuto inizio, la licenza di costruzione sarà considerata decaduta”.

La decadenza del permesso edilizio per mancato inizio dei lavori entro il termine normativamente prescritto di per sé si verifica ope legis e per quanto attiene all’oggettiva circostanza del decorso del termine medesimo non è rimessa a valutazioni discrezionali dell’Amministrazione, trattandosi di riscontrare l’inerzia materiale del soggetto privato (così, recentemente, Cons. Stato, Sez. IV, 27 agosto 2019, n. 5899), peraltro con la precisazione che la circostanza medesima, pur costituendo un effetto discendente direttamente dalla legge, necessita comunque di un provvedimento dell’Amministrazione comunale (nella presente fattispecie – per l’appunto – regolarmente adottato) che dichiari l’intervenuta decadenza (così, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 19 aprile 2019, n. 2546).

Nondimeno, l’accertamento dell’avvenuto inizio dei lavori entro l’anno dal rilascio del permesso di costruire, necessario ad evitarne la decadenza, è questione di fatto, da valutarsi caso per caso con riguardo al complesso delle circostanze concrete (Cons. Stato, Sez. IV, 20 dicembre 2013, n. 6151).

Non va pertanto sottaciuto che quella di effettivo inizio dei lavori è una nozione - per così dire – “elastica”, posto che il rispetto del surriferito termine annuale si desume dagli indizi rilevati sul sito dell’intervento, che devono essere di entità tale da scongiurare il rischio che il termine legale di decadenza venga invero ad essere eluso attraverso opere fittizie e simboliche (così, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 24 gennaio 2018, n. 467), fermo in tal senso restando che l’onere della prova del mancato inizio dei lavori assentiti incombe comunque sull’Amministrazione comunale che ne dichiara la decadenza: e ciò alla stregua del principio generale in forza del quale i presupposti del provvedimento adottato devono essere accertati dall’autorità emanante (cfr. sul punto Cons. Stato, Sez. V, 11 aprile 1990, n. 343).

Si ritiene comunque che l’“inizio lavori” deve intendersi riferito a concreti lavori edilizi che possono desumersi dagli indizi rilevati sul posto e che i lavori possano ritenersi “iniziati” quando consistano nella compiuta organizzazione del cantiere, nell’innalzamento di elementi portanti, nell’elevazione di muri, nell’esecuzione di scavi preordinati al gettito delle fondazioni del costruendo edificio, e non, ad esempio, in presenza di soli lavori di livellamento del terreno o di sbancamento (cfr., ad es., Cons. Stato, sez. IV, 24 gennaio 2018, n. 467).

La mera esecuzione di lavori di sbancamento è, infatti, di per sé inidonea per ritenere soddisfatto il presupposto dell’effettivo inizio dei lavori, essendo necessario che lo sbancamento medesimo sia accompagnato dalla “compiuta organizzazione del cantiere” e da altri indizi idonei a confermare l’effettivo intendimento del titolare del permesso di costruire di realizzare l’opera assentita (così, puntualmente, Cons. Stato, Sez. VI, 19 settembre 2017, n. 4381).

Venendo al caso di specie, il controllo della Polizia Municipale è avvenuto in data 21 ottobre 2009, ossia sei giorni dopo la scadenza del termine annuale decorrente dalla data in cui l’attuale appellante aveva dato notizia all’Amministrazione comunale dell’avvenuto inizio dei lavori (15 ottobre 2008).

Lo stesso appellante - come si è visto innanzi, al § 1.1 della presente sentenza - descrive le opere complessivamente sino a quel momento realizzate nella “recinzione e messa in sicurezza del sito attraverso palificazione metallica con rete di cantiere”, nella “realizzazione di un muro di sostegno della scarpata superiore”, nell’“eliminazione della vegetazione olivicola”, nello “sbancamento dell’area per l’intera estensione del corpo di fabbrica progettato, per una profondità di m. 2,50 circa ed un’ampiezza di mI. 40 x ml, 15 = mq. 600, creando lo spazio idoneo a contenere le fondazioni e il posizionamento del piano seminterrato”, nel “picchettamento degli ingombri massi per le travi di fondazione” e nell’“asportazione del terreno risultante da tali operazioni”.

Tale descrizione comprende, quindi, anche quelle opere – segnatamente costituite dall’avvenuta realizzazione del muretto di contenimento della scarpata superiore e dalla recinzione dell’area di cantiere – che non erano state menzionate nel verbale redatto dalla Polizia Municipale al momento dell’accesso al cantiere e che, comunque, l’Amministrazione comunale non ha avuto difficoltà di sorta ad ammettere poi, in corso di causa, come effettivamente esistenti alla stessa data in cui era stato compiuto l’accertamento.

Tuttavia, l’insieme delle opere testé menzionate dallo stesso Marchesani, e pur probatamente realizzate nel corso dell’anno intercorrente tra la data del 15 ottobre 2008 e quella dell’accertamento compiuto dall’Amministrazione comunale, non può comunque ricondursi ad un effettivo “inizio dei lavori”, così come presupposto dall’art. 15, comma 2, del t.u. approvato con d.P.R. 6 dicembre 2001, n. 380, e dalle anzidette e concorrenti fonti legislative regionali e regolamentari locali, nonché così come inteso dalla giurisprudenza dianzi menzionata.

In tal senso va infatti rilevato che l’edificazione del muro di contenimento della scarpata intuitivamente si configura – di per sé – quale opera certamente funzionale per l’assetto del sedime del costruendo edificio e, allo stesso tempo, come del tutto prioritaria per la stessa sicurezza del cantiere, ma non determinante agli effetti dell’accertamento del concreto avvio dei lavori di costruzione dell’edificio assentito.

Alle stesse conclusioni si perviene con riguardo alla recinzione dell’area di cantiere, allo sbancamento dell’area destinata a contenere le fondazioni e il seminterrato del corpo di fabbrica, all’asporto del materiale rinveniente dallo scavo e alla rimozione della vegetazione ivi insistente e incompatibile con la realizzazione dell’edificio.

Anche tali opere risultano infatti - all’evidenza - meramente preliminari rispetto al concreto avvio dei lavori di costruzioni; e ciò – si badi – anche a prescindere dal divergente apprezzamento da parte dell’appellante e da parte dell’Amministrazione comunale circa la congruità dello sbancamento fino a quel momento realizzato rispetto alle dimensioni dell’edificio progettato, posto che – come dianzi affermato – i lavori di sbancamento risultano in ogni caso irrilevanti se non accompagnati anche dalla “compiuta organizzazione del cantiere”: circostanza, quest’ultima, in alcun modo documentata agli atti di causa.

Va da ultimo evidenziato che presumibilmente la volontà dell’attuale appellante non era preordinata alla realizzazione di opere fittizie o comunque meramente simboliche, posto che egli ammette nell’atto introduttivo del presente grado di giudizio che il ritardo nel concreto inizio dei lavori è stato nella specie determinato dalla difficile congiuntura che a decorrere da quello stesso periodo di tempo ha interessato la maggior parte delle attività economiche, con particolare riguardo a quella delle imprese edili.

L’esistenza di tale crisi è fatto notorio che non necessita di particolari prove (cfr. art. 39 c.p.a. con riferimento all’art. 115, secondo comma, c.p.c.): e, purtuttavia, ai fini del mancato inizio dei lavori normativamente assunto a presupposto per la dichiarazione di decadenza del titolo edilizio rileva di per sé l’avvenuto decorso del termine annuale unitamente all’oggettiva insufficienza delle opere realizzate.

Ma, se così è, il medesimo appellante imputet sibi la circostanza di non aver chiesto prima della scadenza annuale la proroga del termine medesimo “per fatti sopravvenuti estranei alla (propria) volontà”, come già a quel tempo innovativamente previsto dall’art. 15, comma 2, seconda parte, del t.u. approvato dal d.P.R. n. 380 del 2001 rispetto alla surriferita e pro tempore concorrente disciplina di fonte regionale e comunale: e ciò anche in considerazione che la giurisprudenza afferma l’illegittimità dell’eventuale provvedimento dell’Amministrazione comunale di declaratoria di decadenza del permesso di costruire allorquando l’impedimento non sia riferibile alla condotta del destinatario del titolo edilizio e sia tale da costituire causa di forza maggiore che (cfr., ad es., Cons. Stato, Sez. V, 29 gennaio 2003, n. 453).

4. Anche per il presente grado di giudizio la mancata costituzione del Comune di Vasto esonera il Collegio dalla pronuncia sulle spese e gli onorari di causa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 settembre 2019 con l’intervento dei magistrati:

Raffaele Greco, Presidente

Fulvio Rocco, Consigliere, Estensore

Giancarlo Luttazi, Consigliere

Giovanni Sabbato, Consigliere

Carla Ciuffetti, Consigliere