Interpretazione secondo buona fede degli accordi in materia urbanistica
(nota a Cons. Stato, Sez. IV, 5 settembre 2024, n. 7435).

di Michele Ricciardo CALDERARO

 pubblicato su giustiziainsieme.it. Si ringraziano Autore ed Editore

Sommario: 1. Il caso di specie. – 2. L’interpretazione degli accordi tra Amministrazione e privati secondo la giurisprudenza amministrativa. – 3. La natura dei termini per la presentazione di un Piano Urbanistico Attuativo e della documentazione di valutazione ambientale. – 4. Osservazioni conclusive. 

  1. Il caso di specie.

Il problema giuridico sotteso alla sentenza che si annota attiene alla tematica degli accordi amministrativi di cui all’art. 11, legge n. 241 del 1990 e, in particolare, ai canoni ermeneutici da seguire per la loro corretta interpretazione.

È necessario, quindi, anzitutto ricostruire esattamente la vicenda che ha portato alla pronunzia del Consiglio di Stato.

Il 31 gennaio 2008 il Comune di Ozzano dell’Emilia approvava la variante n. 16 al Piano Regolatore Generale (PRG) mediante la quale veniva ammessa la possibilità di effettuare un intervento di stoccaggio rifiuti.

Successivamente, il 27 giugno 2011 il Comune sottoscriveva con tre imprese specializzate del settore uno specifico accordo ex art. 18 l.r. Emilia Romagna n. 20/2000 per l’inserimento nelle previsioni della variante del Piano Operativo Comunale (POC) di un’area adatta alla realizzazione di un impianto per la gestione ed il coordinamento dell’attività di raccolta e selezione dei materiali riciclabili e di un impianto di stoccaggio temporaneo e di recupero dei rifiuti classificati non pericolosi.

L’8 maggio 2017 veniva stipulato un nuovo accordo ex art. 18, l.r. Emilia Romagna n. 20/2000, nel quale si prevedeva un periodo di due anni, decorrente dall’approvazione della variante di Piano Operativo Comunale avvenuta il 20 dicembre 2017, entro il quale le parti si impegnavano ad individuare una localizzazione alternativa dell’impianto e le imprese attuatrici si impegnavano a non presentare il progetto. Decorso tale periodo, alle attuatrici erano concessi sei mesi per presentare le istanze necessarie all’approvazione del progetto.

Il 19 giugno 2020 le imprese attuatrici presentavano l'istanza di Piano Urbanistico Attuativo (PUA) con valore di permesso di costruire, ma il Comune, in data 1° ottobre 2020, previa valutazione delle osservazioni degli istanti, comunicava il provvedimento di rigetto.

Il 5 ottobre 2020 le imprese attuatrici inviavano al Comune una istanza di riesame con richiesta di annullamento in autotutela, rigettata però dall’Amministrazione comunale.

Le imprese attuatrici decidevano allora di impugnare i suddetti provvedimenti con ricorso straordinario al Capo dello Stato, che veniva successivamente trasposto dinanzi al T.A.R. competente, ovvero il T.A.R. Emilia Romagna, sede di Bologna.

Il T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, con sentenza n. 825 del 2021, accoglieva il ricorso presentato dalle imprese attuatrici.

In particolare, il ricorso aveva per oggetto l’annullamento del provvedimento del 1° ottobre 2020 con cui il Comune ha respinto l'istanza di Piano Urbanistico Attuativo con valore di permesso di costruire presentata dalle imprese attuatrici, in quanto sarebbe divenuto inefficace il Piano Operativo Comunale del 2017 relativamente alla previsione denominata “Comparto per il completamento del polo impianti per il trattamento e riciclo dei rifiuti Ca’ Bassone”. 

Ciò perché, ai sensi dell’art. 3, co. 2, dell’accordo stipulato ex art. 18, l.r. Emilia Romagna n. 20 del 2020, le imprese attuatrici, secondo la prospettazione dell’Amministrazione Comunale, avrebbero dovuto presentare le istanze necessarie all’approvazione del progetto entro 30 mesi decorrenti dall’approvazione della variante al Piano Operativo Comunale. Nel caso di specie, le imprese avrebbero però presentato entro il termine predetto, che sarebbe scaduto il 20 giugno 2020, esclusivamente l’istanza di permesso di costruire e non anche quella, altrettanto necessaria, di V.I.A. che è stata presentata solo in data 2 settembre 2020.

Il T.A.R. Emilia Romagna ha accolto il ricorso delle imprese attuatrici in quanto, anzitutto, il Comune avrebbe violato i principi di correttezza e buona fede nello scadenzare i tempi di presentazione delle istanze necessarie all’approvazione del progetto con valore di permesso di costruire, dato che dopo il biennio accordato nel precipuo interesse del Comune, i soggetti privati dovevano concentrare gli sforzi in una cornice temporale troppo ristretta; in ogni caso la presentazione dell’istanza di V.I.A. sarebbe tempestiva perché l’iniziale termine entro cui presentare le istanze necessarie all’approvazione del progetto è stato prorogato di 90 giorni alla luce dell’art. 103, co. 2-bis, d.l. 17 marzo 2020, n. 18; da ultimo, l’unica istanza da avviare entro i 30 mesi aveva per oggetto la VAS/Valsat (Valutazione della Sostenibilità Ambientale e Territoriale) e le imprese attuatrici hanno provveduto tempestivamente depositando il rapporto ambientale unitamente all’istanza di Piano Urbanistico Ambientale.

La sentenza del T.A.R. Emilia Romagna è stata impugnata dal Comune dinnanzi al Consiglio di Stato, che è stato chiamato a pronunziarsi sulla natura e sull’interpretazione degli accordi amministrativi ex art. 11, legge n. 241 del 1990.

Da qui occorre partire.

2. L’interpretazione degli accordi tra Amministrazione e privati secondo la giurisprudenza amministrativa.

In questo caso, come emerge dal paragrafo precedente, si è dinnanzi ad un accordo di cui all’art. 11, legge n. 241 del 1990, nell’ambito del quale l’Amministrazione comunale, nell’esercizio della sua potestà di pianificazione, tenendo conto della preoccupazione di almeno una parte della cittadinanza per nuovi impianti di trattamento dei rifiuti, ha chiesto alle imprese attuatrici di non presentare le istanze necessarie all’approvazione del progetto per almeno due anni dall’approvazione della variante del Piano Operativo Comunale.

Su queste basi, il Comune avrebbe dovuto, quindi, valutare l’istanza delle imprese attuatrici con ragionevolezza e con lo stesso spirito collaborativo mostrato dalle stesse.

Non si tratta certamente di legittimare una facoltà esercitabile senza limiti di tempo secondo l’arbitrio delle attuatrici, ma di contemperare opposte esigenze, ovvero quello certamente legittimo alla tempestiva definizione del procedimento, anche se per due anni tale esigenza non è stata soddisfatta per la stessa volontà dell’Amministrazione comunale, e quello, altrettanto legittimo, delle società attuatrici, di portare ad esecuzione, dopo due anni di attesa, gli interventi programmati con la presentazione delle istanze necessarie alla realizzazione del progetto.

               Secondo il Comune la domanda di Piano Urbanistico Attuativo con valore di richiesta di permesso di costruire doveva essere respinta perché le imprese attuatrici hanno presentato l’istanza di V.I.A. solo il 2 settembre 2020 allorquando il termine sarebbe scaduto già il 20 giugno del medesimo anno.

Il Consiglio di Stato ha ritenuto questa conclusione sproporzionata e irragionevole, in considerazione della circostanza, correttamente evidenziata dal T.A.R., che il Comune ha prima chiesto (e ottenuto) una sorta di differimento dell’esecuzione della realizzazione del progetto di due anni, per poi richiedere che la presentazione delle istanze necessarie alla realizzazione del progetto avvenisse entro termini ritenuti decadenziali.

Questa interpretazione dell’Amministrazione comunale non è però corretta neanche seguendo i criteri di interpretazione del contratto, applicabili al caso di specie, sia se si qualificasse l’accordo in questione ai sensi dell’art. 11, legge n. 241 del 1990, sia se lo si qualificasse come contratto di diritto privato. 

Anzitutto occorre soffermarsi sugli accordi tra Amministrazione e privati, perché in questa categoria rientra l’accordo previsto dalla legge regionale Emilia Romagna oggetto del contenzioso.

Richiamando le parole di Nigro, l’accordo deve essere “visto e compreso non già come una rottura del procedimento, come una soluzione eccezionale ed anomala dei problemi aperti dall'iniziativa di procedimento, ma come uno sbocco alternativo all'atto e come questo direttamente e coerentemente discendente dallo sviluppo dello stesso procedimento, nel cui complesso dispiegarsi ... si pongono le premesse e si creano le condizioni per la formazione di quella consensualità che l'accordo porta alle sue naturali conseguenze[1].

Gli accordi tra Amministrazione e privati, disciplinati dalla legge n. 241 del 1990[2], costituiscono una possibile conclusione del procedimento amministrativo (accordi sostitutivi) ovvero rappresentano la modalità di definizione di alcuni elementi del provvedimento amministrativo finale (accordi integrativi), afferendo sempre all’esercizio di un potere pubblico e costituendo dunque moduli convenzionali di esercizio del potere amministrativo[3].

Infatti, ripercorrendo il magistrale insegnamento di F.G. Scoca, “in tutti gli atti consensuali, siano essi necessari o eventuali, il potere che l'amministrazione esercita è sempre potere amministrativo, mai (almeno in linea di principio, e fatte salve eventuali situazioni speciali, o, meglio, eccezionali) un potere libero, qualificabile (a pieno titolo) come autonomia privata. Si tratta sempre, autoritativo o non autoritativo che sia, di potere (precettivo) soggetto allo statuto tipico dell'azione amministrativa[4].

Proprio perché trattasi di esercizio del potere[5] occorre sottolineare che l'art. 11, co. 1, legge n. 241 del 1990 non impone la conclusione di accordi sostitutivi o integrativi del provvedimento amministrativo, ma lascia la facoltà di scelta in capo all'Amministrazione procedente, che senza dubbio può determinarsi in senso negativo con riguardo alla loro stipulazione. Al di là di tale aspetto deve poi potersi riscontrare, quale elemento necessario per poter utilizzare lo strumento convenzionale, il perseguimento dell'interesse pubblico[6] riferito ad attività di natura discrezionale e non vincolata, non potendosi contrattare con soggetti privati l'esercizio di un potere già conformato dal legislatore e quindi condizionato nella sua esplicazione[7].

L’accordo, ove ricorrano queste circostanze, superando il carattere unilaterale del potere dell’Amministrazione[8], unisce (o almeno dovrebbe unire) in sé i vantaggi degli strumenti pubblicistici e di quelli privatistici[9], consentendo di ottenere un equilibrio sull'assetto degli interessi altrimenti non raggiungibile per via autoritativa[10]. Il risultato delle manifestazioni concordi delle parti può essere considerato, secondo una parte della dottrina, come frutto d'una co-decisione: difatti, la manifestazione del privato, qualora si disconoscesse un suo valore determinante in questo senso[11], rappresenterebbe un semplice apporto alla decisione altrui[12] ed una partecipazione soltanto formale dei privati all’azione amministrativa[13].

Per quanto concerne l’interpretazione degli accordi, si deve fare riferimento all’art. 11, co. 2, legge n. 241 del 1990 che prescrive l’applicabilità agli accordi tra Amministrazione e privati, ove non diversamente previsto, dei principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili, tra cui devono farsi rientrare anche i criteri di interpretazione del codice civile.

Difatti, se è vero che l'art. 11, legge n. 241/1990 non rende automaticamente applicabili agli accordi in cui sia parte l’Amministrazione le norme del codice civile in tema di obbligazioni e contratti nella loro interezza, bensì i principi[14], è altrettanto vero che non può escludersi la stessa applicazione delle norme dettate in tema di obbligazioni e contratti, nei casi in cui agli accordi debba riconoscersi, come nel caso di specie, una natura prettamente contrattuale[15].

Tra i criteri di interpretazione previsti dal codice civile, il criterio teleologico della comune volontà delle parti, di interpretazione letterale (art. 1362 cod. civ.) e di buona fede (art. 1366 cod. civ.) devono orientare l’interprete nell’esegesi dell’accordo in questione[16].

L’accordo, difatti, se correttamente interpretato, prevede il termine decadenziale solo per la presentazione della domanda di permesso di costruire, circostanza che nel caso di specie si è verificata con la presentazione del Piano Urbanistico Attuativo entro il termine di due anni da parte delle imprese attuatrici, ma non anche per altre istanze, come quella inerente la V.I.A. Ciò emerge chiaramente dal fatto che la decadenza è esplicitamente prevista solo per la presentazione dell’istanza di permesso di costruire. 

Nello stesso senso depone anche l’interpretazione secondo buona fede ex art. 1366, cod. civ., criterio privilegiato di interpretazione che si pone quale collegamento tra i criteri di interpretazione soggettiva e oggettiva[17]: proprio la modulazione dei tempi per la presentazione delle istanze necessarie all’approvazione del progetto, decisamente sperequata a favore del Comune impone, nel dubbio, un’interpretazione meno rigorosa dei termini entro cui presentare le istanze diverse da quella relativa al permesso di costruire, considerando tali termini non perentori. 

Il criterio di interpretazione secondo buona fede non può essere, difatti, relegato a criterio di interpretazione meramente sussidiario rispetto ai criteri di interpretazione letterale e funzionale, in quanto l’elemento letterale deve essere integrato con gli altri criteri di interpretazione, tra cui quello di buona fede o correttezza ex art. 1366, cod. civ., avendo riguardo allo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto e quindi alla relativa causa concreta[18].

D’altronde, l’art. 1362, cod. civ., prevede che “nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole.

Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto”.

È altresì vero, come ricordato recentemente dal Consiglio di Stato[19], che sull’applicazione di questa disposizione non v’è unanimità di orientamenti neppure nella giurisprudenza della Corte di Cassazione.

In base ad un primo orientamento, infatti, nell'interpretazione del contratto, il carattere prioritario dell'elemento letterale non deve essere inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo nell'art. 1362, cod. civ. alla comune intenzione delle parti impone di estendere l'indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici, anche laddove il testo dell'accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti. In questo senso pertanto assume valore rilevante anche il criterio logico-sistematico di cui all'art. 1363, cod. civ., che impone di desumere la volontà manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa, tenendosi, altresì, conto del comportamento, anche successivo, delle parti[20].

Secondo un secondo orientamento, invece, i canoni legali di ermeneutica contrattuale sono governati da un principio di gerarchia, in forza del quale il criterio del senso letterale delle parole, di cui all'art. 1362, co. 1, cod. civ. è prevalente, potendo risultare assorbente di eventuali ulteriori e successivi criteri interpretativi[21].

Ma, anche l’orientamento che prefigura la priorità gerarchica del criterio letterale afferma che la regola compendiata dal brocardo “in claris non fit interpretatio” non trova applicazione quando le espressioni letterali utilizzate, benché chiare, non siano “univocamente intellegibili” oppure il loro significato risulti “ambiguo”[22] .

Ciò porta a ritenere che il carattere decadenziale del termine fosse previsto dall’accordo solo per la presentazione della domanda di permesso di costruire e non anche per le altre istanze urbanistiche/ambientali, aderendo, in particolare, all’orientamento della Cassazione secondo cui la lettera del contratto deve essere integrata con altri canoni ermeneutici, come quello basato sulla buona fede.

L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza ex art. 1366, cod. civ., quale criterio d’interpretazione del contratto (fondato sull’esigenza definita in dottrina di "solidarietà contrattuale"[23]) si specifica in particolare nel significato di lealtà, e si concreta nel non suscitare falsi affidamenti e nel non contestare ragionevoli affidamenti ingenerati nella controparte[24].

Secondo il Consiglio di Stato, nessun accordo, di diritto privato o di diritto pubblico, può essere interpretato in contrasto con il principio di buona fede che affascia tutti i rapporti di diritto privato (art. 1175, 1375, cod. civ.) e di diritto pubblico (art. 1, co. 2-bis, l. n. 241 del 1990, art. 5 d.lgs. n. 36 del 2023).

Qualunque accordo, anche qualora riconducibile alla categoria degli accordi amministrativi ex art. 11, legge n. 241 del 1990, deve essere interpretato ed eseguito secondo correttezza e buona fede da entrambe le parti, quindi anche dall’Amministrazione, in considerazione di principi che sono espressione del dovere costituzionale di solidarietà di cui all'art. 2 Cost.[25] e del principio di buon andamento ex art. 97 Cost., i quali caratterizzano lo statuto generale dell’attività amministrativa[26]: lo impone anzitutto la lettura degli articoli 1175 e 1375, cod. civ. cui compie espresso rinvio l’art. 11, co. 2, legge n. 241 del 1990, secondo cui a questi accordi “si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili”.

Il criterio di buona fede oggettiva non consente di dare ingresso ad interpretazioni cavillose delle espressioni letterali contenute nelle clausole contrattuali, non rispondenti alle intese raggiunte[27] e deponenti per un significato in contrasto con la ragione pratica o causa concreta dell’accordo negoziale[28].

Assume dunque fondamentale rilievo che l’accordo venga interpretato avendo riguardo alla sua ratio, alla sua ragione pratica, in coerenza con gli interessi che le parti hanno specificamente inteso tutelare mediante la stipulazione contrattuale[29], con convenzionale determinazione della regola volta a disciplinare il rapporto contrattuale (art. 1372, cod. civ.)[30].

L’accordo in questione, poi, malgrado il vano tentativo del Comune di qualificarlo come una generica “intesa preliminare”, può essere certamente fatto rientrare nella categoria delle convenzioni urbanistiche[31], le quali, secondo giurisprudenza consolidata, concretizzano un accordo integrativo o sostitutivo di provvedimento di cui all’art. 11, legge n. 241/1990[32].

La natura di tali accordi è stata chiarita dalla giurisprudenza, secondo la quale all'interno delle convenzioni di urbanizzazione risulta prevalente il profilo della libera negoziazione[33]. In sostanza, sebbene sia innegabile che tali convenzioni, a causa dei profili di stampo giuspubblicistico che si accompagnano allo strumento dichiaratamente contrattuale, rappresentino un istituto di complessa ricostruzione, non può negarsi che nelle stesse, pur vincolate dallo scopo del perseguimento dell’interesse generale, si assista all'incontro di volontà delle parti contraenti, con tutto ciò che ne discende in termini di interpretazione delle relative clausole contrattuali[34] in applicazione del principio di buona fede oggettiva.

Interessano in particolare gli art. 1366, 1362 co. 2 e 1371, cod. civ. secondo i quali la convenzione deve essere interpretata tenendo conto del comportamento delle parti anche posteriore alla stipula e, qualora essa rimanga oscura, nel senso più favorevole per l'obbligato, se a titolo gratuito, e in modo da realizzare l'equo contemperamento degli interessi delle parti, se a titolo oneroso. Per chiarire il contenuto della convenzione ove le parti non abbiano disposto in modo espresso, interessano poi, sotto un altro e complementare profilo, le norme di legge suppletive[35].

Come tali, le convenzioni urbanistiche sono assoggettate, ove non diversamente stabilito e nei limiti della compatibilità, ai principi generali in materia di obbligazioni e contratti, e, in particolare, a quelli di correttezza e buona fede nell'esecuzione dell'accordo[36], e di tutela dell'affidamento della controparte[37] sulla situazione venutasi a creare per effetto della conclusione dell'accordo medesimo[38].

Si può, pertanto, affermare che la convenzione urbanistica si sostanzia in un accordo bilaterale, intercorrente fra i privati e l'Amministrazione, alternativo rispetto agli strumenti urbanistici attuativi e avente ad oggetto la definizione dell'assetto urbanistico di una parte del territorio comunale. 

Lungi dal costituire un contratto di diritto privato immediatamente disciplinato dal codice civile, deve essere inquadrata tra i contratti ad oggetto pubblico, per i quali trova applicazione, rientrando essi tra gli accordi sostitutivi di provvedimento, la disciplina degli accordi di cui all'art. 11 della legge n. 241 del 1990, in quanto moduli consensuali di esercizio del potere amministrativo sottoposti ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti se compatibili[39].

Ma vi è di più.

Come correttamente richiamato dal Consiglio di Stato, correttezza, buona fede e tutela dell’affidamento costituiscono principi generali dello statuto dell’attività amministrativa in quanto applicazione di principi costituzionali, che sussisterebbero anche se non fossero codificati dalla legge[40].

 Il legislatore però è voluto intervenire, si potrebbe dire a scopo rafforzativo, primariamente nella legge generale sul procedimento amministrativo. Questa, difatti, all’art. 1, co. 1-bis[41], stabilisce che l’Amministrazione, allorquando non adotta atti autoritativi, agisce secondo le norme di diritto privato, e quindi secondo i principi stabiliti dal codice civile[42]; ma il co. 2-bis della medesima norma, introdotto dal decreto Semplificazioni del 2020, si spinge oltre, prevedendo esplicitamente che i rapporti tra il cittadino e l’Amministrazione debbono essere improntati ai principi della collaborazione e della buona fede.

Difatti, come ricordato anche dalla giurisprudenza dello stesso Consiglio di Stato, le parti del rapporto amministrativo devono tenere una condotta conforme ai principi di collaborazione e di buona fede. Si tratta di una tendenza normativa a voler configurare un rapporto di tipo orizzontale tra cittadini ed Amministrazione, che, se genera in capo alla seconda doveri di protezione o obblighi correlati a diritti soggettivi, parimenti comporta anche una più marcata responsabilizzazione dei primi[43], sia in seno al procedimento che con riguardo al processo[44].

Nel caso di specie si pone un evidente problema di tutela dell’affidamento che le imprese attuatrici avevano riposto nell’accordo stipulato con l’Amministrazione comunale: si tratta di un affidamento tipizzato, a fronte del quale recede il potere di pianificazione urbanistica. 

Il Comune ha infatti indotto il privato ad attendere 24 mesi, per poi pretendere nei successivi 6 il deposito di documentazione (per l’assoggettabilità a VIA) non chiaramente determinata a priori.

Questo in considerazione del fatto che occorre intendere l'affidamento come un principio generale dell'azione amministrativa che opera tanto con riferimento all'attività paritetica dell’Amministrazione quanto a quella autoritativa. Esso non costituisce, quindi, una posizione giuridica soggettiva autonoma, ma si colloca nella tradizionale dicotomia diritti soggettivi-interessi legittimi, potendo riferirsi a posizioni dell'uno come dell'altro tipo a seconda dell'attività posta in essere dall’Amministrazione[45].

Ovviamente la lesione del legittimo affidamento potrebbe al massimo operare quale presupposto per il configurarsi di una fattispecie di responsabilità risarcitoria in capo all’Amministrazione (sussistendo però tutti gli altri elementi della fattispecie), non già quale vizio di legittimità del provvedimento impugnato, sulla base della nota distinzione tra regole di validità e regole di responsabilità[46]: in questo caso l’illegittimità del provvedimento di diniego consiste nella violazione di previsioni puntuali dell’accordo urbanistico che il Comune ha sottoscritto.

D’altronde, la sentenza del Consiglio di Stato che si commenta è del tutto conforme all’orientamento dell’Adunanza Plenaria che, con la pronunzia n. 5 del 2018, ha evidenziato, in particolare, come la giurisprudenza, sia civile che amministrativa, abbia in più occasioni affermato che anche nello svolgimento dell'attività autoritativa, l'Amministrazione è tenuta a rispettare non soltanto le norme di diritto pubblico (la cui violazione implica, di regola, l'invalidità del provvedimento e l'eventuale responsabilità da provvedimento per lesione dell'interesse legittimo), ma anche le norme generali dell'ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza, la violazione delle quali può far nascere una responsabilità da comportamento scorretto, che incide non sull'interesse legittimo, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illegittime frutto dell'altrui scorrettezza[47].

È un dato di fatto che l'Amministrazione non possa liberarsi legittimamente dal vincolo di un accordo amministrativo con un privato, peraltro dopo che lo stesso ha avuto consistente e durevole esecuzione, mediante un'attività provvedimentale che, in assenza di un adeguato corredo motivazionale comparativo degli opposti interessi, leda l'affidamento del privato stesso, al di fuori degli strumenti tipici del recesso esercitato mediante un formale provvedimento assunto ai sensi dell'art. 11, co. 4, legge n. 241 del 1990, ovvero dell'annullamento d'ufficio[48].

In questo caso, invece, l’Amministrazione comunale è volontariamente venuta meno agli obblighi assunti in via convenzionale con i soggetti attuatori, attraverso un’interpretazione del tutto sbilanciata a proprio favore, anche per quanto concerne la natura perentoria o meno dei termini di presentazione delle istanze.

Proprio sui termini occorre svolgere alcune ulteriori considerazioni.

3. La natura dei termini per la presentazione di un Piano Urbanistico Attuativo e della documentazione di valutazione ambientale. 

Secondo la pronunzia del Consiglio di Stato che si commenta l’interpretazione del Comune risulta contraria ai canoni di buona fede e correttezza anche sotto un altro punto di vista.

Difatti, secondo i giudici di Palazzo Spada non può essere seguita l’impostazione fornita dal Comune, in quanto, in relazione alle istanze necessarie all’approvazione del progetto, esclusa quella relativa al permesso di costruire, non era previsto alcun termine a pena di decadenza. Contrariamente a quanto sostiene l’Amministrazione, proprio la circostanza che l’istanza di Piano Urbanistico Attuativo equivalga ad istanza di rilascio di permesso di costruire comporta l’assoggettamento di quest’ultima, ma solo di questa istanza, al termine di decadenza.

In questo senso depone, peraltro, anche la circostanza che i termini perentori devono essere interpretati in senso restrittivo, perché il carattere della perentorietà del termine può essere attribuito a una scadenza temporale solo da una espressa norma di legge: e difatti, nello Stato di diritto, solo la legge può collegare in via generale al decorso del tempo il mutamento di una situazione giuridica, sia esso un potere dell'Amministrazione (perenzione), sia esso un diritto o una facoltà del privato (decadenza). 

Quindi, in assenza di specifica disposizione che espressamente preveda il termine come perentorio, comminando la perdita della possibilità di azione da parte dell'Amministrazione al suo spirare o la specifica sanzione della decadenza, il termine deve essere inteso come meramente sollecitatorio o ordinatorio[49].

D’altronde, come ricordato dalla giurisprudenza amministrativa, ove manchi un'espressa indicazione relativa alla natura del termine, deve aversi riguardo alla funzione che lo stesso in concreto assolve nel procedimento, nonché alla peculiarità dell'interesse pubblico coinvolto, con la conseguenza che, in mancanza di elementi certi per qualificare un termine come perentorio, per evidenti ragioni di favor, esso deve ritenersi ordinatorio[50].

L'individuazione del termine come perentorio, dunque, - oltre che dalla definizione come tale - discende in primo luogo dalla ragione della sua introduzione, normalmente consistente nell'esigenza di celerità insita nella fase specifica del procedimento[51], in coerenza con la giurisprudenza prevalente, secondo cui, per i termini esistenti all'interno del procedimento amministrativo, il carattere perentorio o meno deve essere ricavato dalla loro ratio[52] nonché dalle specifiche esigenze di rilievo pubblico che lo svolgimento di un adempimento in un arco di tempo prefissato è indirizzato a soddisfare[53].

Di conseguenza, i termini previsti nell’accordo in questione non potevano considerarsi perentori, ad eccezione di quello previsto per la presentazione del Piano Urbanistico Attuativo avente valore di istanza di permesso di costruire.

L’interpretazione dell’accordo fornita dal Comune è ancor più irragionevole se si pensa che le società attuatrici hanno presentato il 19 giugno 2020 istanza di Piano Urbanistico Attuativo con valore di permesso di costruire, unitamente al rapporto ambientale indispensabile per la Valutazione della Sostenibilità Ambientale e Territoriale (VALSAT), che ha escluso la necessità di assoggettare l’intervento previsto alla Valutazione d’Impatto Ambientale.

Peraltro, l’Amministrazione comunale ha definitivamente approvato il Piano Urbanistico Attuativo inerente il Comparto con delibera della Giunta comunale del 10 agosto 2023 e sottoscritto la convenzione urbanistica il successivo 13 settembre 2023. 

Tutto ciò dimostra che una lettura eccessivamente formalistica della presente vicenda sarebbe, comunque, controproducente e non in linea con lo spirito di leale collaborazione che deve caratterizzare il rapporto tra cittadino ed Amministrazione.

Si aggiunga che, come correttamente ritenuto dal T.A.R. in primo grado e dalla sentenza del Consiglio di Stato annotata, all’accordo stipulato tra il Comune e le imprese attuatrici si applica l’art. 103, co. 2-bis, d.l. 17 marzo 2020 n. 18, conv. in legge 24 febbraio 2020, n. 27, secondo cui “il termine di validità nonché i termini di inizio e fine lavori previsti dalle convenzioni di lottizzazione di cui all'articolo 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, ovvero dagli accordi similari comunque denominati dalla legislazione regionale, nonché i termini dei relativi piani attuativi e di qualunque altro atto ad essi propedeutico, in scadenza tra il 31 gennaio 2020 e il 31 luglio 2020, sono prorogati di novanta giorni[54].

Si tratta di una norma la cui ratio consisteva nell’esigenza di prorogare i termini in un periodo storico in cui, a causa delle conseguenze socio-economiche della pandemia da Sars Covid-19, era particolarmente difficoltoso rispettarli[55].

Il Piano Operativo Comunale, susseguente all’accordo, ha introdotto l’obbligo di presentazione di un Piano Urbanistico Attuativo (e dunque un Piano attuativo), che le società attuatrici hanno depositato il 19 giugno 2020. Dato che la disposizione si riferisce testualmente a qualunque atto ad essi propedeutico, nell’elencazione esemplificativa non può che trovare collocazione anche un’intesa, come quella oggetto del giudizio, la quale disciplina tempi e modalità di presentazione del permesso di costruire, del Piano Urbanistico Attuativo e degli atti collaterali.

Pertanto, non solo il Piano Urbanistico Attuativo è stato depositato tempestivamente, ma anche qualora si considerassero perentori gli altri termini – ipotesi errata secondo quanto ricostruito in precedenza – anche la procedura di screening ambientale a partire dalla VALSAT è stata attivata in anticipo rispetto ai termini prorogati dal d.l. n. 18 del 2020, ricordando che lo screening, data la sua complessità e l'autonomia riconosciutagli dallo stesso Codice dell’ambiente, che all'art. 19 ne disciplina lo svolgimento, è esso stesso una procedura di valutazione di impatto ambientale, meno complessa della V.I.A., la cui previsione risponde a motivazioni comprensibilmente diverse[56].

Per questo motivo lo screening è spesso definito in maniera impropria come un subprocedimento della V.I.A., pur non essendo necessariamente tale. Esso è qualificato altresì come preliminare alla V.I.A.[57], dizione questa da intendere solo in senso cronologico, stante che è realizzato preventivamente, ma solo con riguardo a determinate tipologie di progetto rispetto alle quali alla valutazione vera e propria si arriva in via eventuale, in base cioè proprio all'esito in tal senso della verifica di assoggettabilità[58].

Il rapporto tra i due procedimenti appare configurabile graficamente in termini di cerchi concentrici caratterizzati da un nucleo comune rappresentato dalla valutazione della progettualità proposta in termini di negativa incidenza sull’ambiente, nel primo caso in via sommaria e, appunto, preliminare, nel secondo in via definitiva, con conseguente formalizzazione del provvedimento di avallo o meno della stessa[59].

Quindi, soltanto ove venga effettivamente ravvisata una significatività del progetto in termini di incidenza negativa sull'ambiente[60], si impone il passaggio alla fase successiva della relativa procedura, che in questo caso è stata esclusa.

Nel caso di specie lo screening ambientale correttamente instaurato dalle società attuatrici nei termini previsti dall’accordo ha condotto la Regione ad escludere la necessità di assoggettamento dell’intervento alla procedura di V.I.A.

4. Osservazioni conclusive.

L’analisi dei criteri interpretativi degli accordi tra Amministrazione e privati ai sensi dell’art. 11 della legge n. 241 del 1990 deve far riflettere su come debbano essere utilizzati moduli negoziali di esercizio del potere da parte dell’Amministrazione per il perseguimento dell’interesse generale[61]. In questi casi, il rispetto dei principi di buona fede, correttezza e tutela dell’affidamento[62] emerge come fondamento essenziale, determinando una forma di responsabilità pubblica nella comparazione di tutti gli interessi, pubblici e privati.

L’interpretazione degli accordi, specie quelli attuativi della pianificazione urbanistica, deve poggiare non solo su criteri letterali e teleologici, ma altresì sull’applicazione rigorosa della buona fede, della correttezza e quindi della protezione degli affidamenti legittimi riposti dai cittadini nell’azione dell’Amministrazione. Così, quest’ultima, qualora richieda nell’accordo, mediante cui essa stessa si è auto-vincolata, una temporanea sospensione della presentazione delle istanze, deve adottare criteri di proporzionalità e ragionevolezza, senza generare pregiudizio per l’affidamento del privato. La sentenza del Consiglio di Stato che si commenta conferma questa impostazione, oramai consolidata nella giurisprudenza amministrativa, sancendo che l’esercizio del potere pubblico non può ledere la fiducia legittimamente riposta dai privati, rafforzando così il concetto di lealtà e di reciproca collaborazione. 

L’approccio integrato tra diritto pubblico e privato, basato sui principi del codice civile applicabili agli accordi tra Amministrazione e privati, si rivela indispensabile per costruire un rapporto di fiducia tra cittadini ed Amministrazioni. 

Gli accordi amministrativi devono, infatti, fungere da strumenti di co-decisione che valorizzano un’Amministrazione orientata alla collaborazione piuttosto che all’esercizio del potere esclusivamente in via unilaterale[63]. Questo equilibrio tra flessibilità negoziale, assicurata dagli atti consensuali, e il dovere di tutelare l’interesse pubblico favorisce una forma di Amministrazione il più possibile paritaria e garantisce che la salvaguardia dell’interesse generale resti prioritaria proprio perché l’Amministrazione continua ad esercitare un potere pubblico[64].

Solo mediante questi canoni interpretativi che impongono la necessità di una buona fede e correttezza reciproca si può giungere ad una efficace gestione giuridica dei vincoli pattuiti che assicuri però, al contempo, coerenza, prevedibilità e integrità dell'azione amministrativa, comparando in modo organico esigenze pubbliche e private, anche nella pianificazione territoriale[65].

 

[1] Così M. Nigro, Il procedimento amministrativo fra inerzia legislativa e trasformazioni dell'amministrazione (a proposito di un recente disegno di legge), in F. Trimarchi (a cura di), Il procedimento amministrativo fra riforme legislative e trasformazioni dell'amministrazione, Milano, Giuffrè, 1990, 3 ss.

[2] Cfr. in tema le osservazioni di V. Cerulli Irelli, Note critiche in tema di attività amministrativa secondo moduli negoziali, in Dir. amm., 2003, 217 ss.; G. Pastori, L'amministrazione per accordi nella recente progettazione legislativa, in F. Trimarchi (a cura di), Il procedimento amministrativo fra riforme legislative e trasformazioni dell'amministrazione, cit., 77 ss.

[3] Corte cost., 15 luglio 2016, n. 179, in Giur. cost., 2016, 4, 1361 ss., secondo cui, in quanto inserite nell’ambito del procedimento amministrativo, le convenzioni e gli atti d’obbligo stipulati tra l’Amministrazione ed i privati costituiscono pur sempre espressione di un potere discrezionale della stessa Amministrazione Tali moduli convenzionali di esercizio del potere amministrativo non hanno, quindi, specifica autonomia. In coerenza con i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale, il fondamento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo viene legittimamente individuato nell’esercizio, ancorché in via indiretta o mediata, del potere pubblico. La giurisprudenza della Corte così come quella del Consiglio di Stato è spesso riconducibile all’orientamento di F.G. Scoca, Accordi e semplificazione, in Nuove aut., 2008, 558 ss.

[4] F.G. Scoca, Autorità e consenso, in Dir. amm., 2002, 431 ss.

[5] Si rinvia a P.L. Portaluri, Potere amministrativo e procedimenti consensuali. Studi sui rapporti a collaborazione necessaria, Milano, Giuffrè, 1998, 210 ss.

[6] G. Soricelli, Premesse per un’analisi giuridica degli accordi amministrativi ex art. 11, L. 11 agosto 1990 n. 241, in Foro amm., 2000, 1596 ss., osserva, al riguardo, come “il fatto che la p.a. possa utilizzare lo strumento negoziale in via alternativa e, sotto certi aspetti, in modo ulteriore rispetto al provvedimento unilaterale, non significa snaturare la portata e la rilevanza giuridica del connotato pubblicistico dell'agire imperativo. Anzi, significa stimolarne il miglior perseguimento dell'interesse pubblico”.

[7] In tema si v. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 8 novembre 2021, n. 2470, in www.giustizia-amministrativa.it.

[8] Per le diverse tesi sulla natura di questi accordi cfr. G. Greco, Accordi amministrativi tra provvedimento e contratto, Torino, Giappichelli, 2003; E. Bruti Liberati, Accordi pubblici, in Encicl. dir., Milano, Giuffrè, Aggiornamento, Vol. V, 2001, 1 ss.

[9] Cfr. M. Ramajoli, Gli accordi tra amministrazione e privati ovvero della costruzione di una disciplina tipizzata, in Dir. amm., 2019, 674 ss.

[10] Specialmente in materia urbanistica: si v. V. Cerulli Irelli, L'accordo nella sistemazione e nella attrezzatura del territorio, in A. Masucci (a cura di), L'accordo nell'azione amministrativa, Roma, Formez, 1988, 63 ss.

[11] Secondo P.L. Portaluri, Sugli accordi di diritto amministrativo, in Riv. giur. edil., 2015, 147 ss., la funzione dell’art. 11 è stata “quella di fornire una sorta d’informe contenitore giuridico ex post, buono per raccogliere nel suo interno ogni vicenda in cui appare in risalto il ruolo del privato, la cui collaborazione fosse necessaria per il raggiungimento dell’obiettivo d’interesse pubblico. Insomma, tutti quei casi in cui la mistica dell’autosufficienza dell’atto unilaterale è troppo distante dalla realtà — e dunque ipocrita — per poter essere seriamente sostenuta: volendo usare una bella espressione della dottrina, si tratta di quelle situazioni, diffuse nella realtà, in cui una p.A. non ha la disponibilità della fattispecie.

[12] Così F. Ledda, Appunti per uno studio sugli accordi preparatori di provvedimenti amministrativi, in Dir. amm., 1996, 391 ss.

[13] Sul punto cfr., ad esempio, A. Cauduro, Gli obblighi dell’amministrazione pubblica per la partecipazione procedimentale, Napoli, Jovene, 2023; Id., La partecipazione amministrativa come trasparente “associazione” o “dissociazione” dalle scelte dell’amministrazione pubblica, in Dir. amm., 2022, 181 ss.; R. Ferrara, La partecipazione al procedimento amministrativo: un profilo critico, in Dir. amm., 2017, 209 ss.; M. Ricciardo Calderaro, La partecipazione nel procedimento amministrativo tra potere e rispetto dei diritti di difesa, in Foro amm., fasc. 5-2015, 1310 ss.; ma già S. Cassese, La partecipazione dei privati alle decisioni pubbliche, in Riv. trim. dir. pubbl., 2007, 13 ss.; M. Occhiena, Partecipazione al procedimento amministrativo, in S. Cassese (diretto da), Dizionario di diritto pubblico, Milano, Giuffrè, 2006, Vol. V, 3 ss.; R. Caranta, L. Ferraris, S. Rodriquez, La partecipazione al procedimento amministrativo, Milano, Giuffrè, 2005; M. Clarich, Garanzia del contraddittorio nel procedimento, in Dir. amm., 2004, 59 ss.; M.R. Spasiano, La partecipazione al procedimento amministrativo quale fonte di legittimazione dell’esercizio del potere: un’ipotesi ricostruttiva, in Dir. amm., 2002, 283 ss.; F. Trimarchi, Considerazioni in tema di partecipazione al procedimento amministrativo, in Dir. proc. amm., 2000, 627 ss.; C.E. Gallo, La partecipazione al procedimento, in P. Alberti, G. Azzariti, G. Canavesio, C.E. Gallo, M.A. Quaglia, Lezioni sul procedimento amministrativo, Torino, Giappichelli, 1992, 57 ss.; M. Nigro, Il nodo della partecipazione, in Riv. trim. di dir. e proc. civ., 1980, 225 ss.; E. Casetta, La partecipazione dei cittadini alla funzione amministrativa nell'attuale ordinamento dello stato italiano, in La partecipazione popolare alla funzione amministrativa e l'ordinamento dei consigli circoscrizionali comunali, Atti del XXII Convegno di Scienza dell'Amministrazione, Varenna-Villa Monastero, 23-25 settembre 1976, Milano, Giuffrè, 1977, 67 ss.

[14] M.A. Quaglia, Il contenuto della proprietà e la pianificazione mediante accordi, in Riv. giur. edil., 2020, 505 ss., evidenzia al riguardo che “l'aver ricondotto gli accordi pubblicistici alle regole e ai criteri che governano l'ordinario esercizio del potere amministrativo, comporta, da parte dell'amministrazione, non un libero esercizio di autonomia negoziale — sono applicabili solo i principi del codice civile “compatibili” —, bensì il compito di perseguire il pubblico interesse negli stessi termini e con gli stessi limiti con cui lo stesso avrebbe dovuto essere perseguito mediante gli strumenti tradizionali — in forma autoritativa — dell'attività amministrativa”.

[15] Sul punto T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 12 giugno 2020, n. 2359, in Foro amm., 2020, 1296 ss.

[16] Costituisce orientamento consolidato del Consiglio di Stato quello secondo cui i criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss., cod. civ., oltre che per l'interpretazione dei contratti, degli atti unilaterali (in quanto compatibili, ai sensi dell'art. 1324, cod. civ.), dei provvedimenti amministrativi (nei limiti della compatibilità), devono applicarsi anche agli accordi di cui all'art. 11, legge n. 241 del 1990, in ragione del rinvio, da parte del secondo comma della suddetta disposizione, ai principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili: così Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2024, n. 7407, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, Sez. IV, 1° marzo 2024, n. 2038, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, Sez. IV, 19 febbraio 2019, n. 1150; ivi; id., 3 dicembre 2015, n. 5510, ivi; id., 16 giugno 2015, n. 2997, ivi; id., 17 dicembre 2014, n. 6164, ivi; id., 25 settembre 2014, n. 4812, in Foro amm., 2014, 2292 ss.

[17] In tema cfr. G. Sciullo, Buona fede e inadempimento negli accordi amministrativi, in Urb. e app., 2014, 196 ss.

[18] Cass. civ., Sez. III, 19 marzo 2018, in Giust. civ. Mass., 2018; Cass. civ., Sez. III, 23 maggio 2011, n. 11295, in Giust. civ., 2012, 2, I, 430 ss.

[19] Cons. Stato, Sez. IV, 9 luglio 2024, n. 6068, in www.giustizia-amministrativa.it.

[20] Cfr. Cass. civ., Sez. III, 17 novembre 2021, n. 34795, in Giust. civ. Mass., 2022; Cass. civ., Sez. I, 2 luglio 2020, n. 13595, in Giust. civ. Mass., 2020.

[21] Cfr., ex aliis, Cass. civ., Sez. lav., ord. 25 gennaio 2022, n. 2173, in Giust. civ. Mass., 2022; Cass. civ., Sez. lavoro, ord. 03 novembre 2021, n. 31422, in Giust. civ. Mass., 2021.

[22] Cass. civ., Sez. lavoro, ord. 6 aprile 2022, n. 11182; Cass. civ., Sez. II, ord. 11 novembre 2021, n. 33451, in Giust. civ. Mass., 2021.

[23] V., da ultimo, le riflessioni di G. Alpa, Il principio di solidarietà nel diritto contrattuale, in Vita notarile, 2023, fasc. n. 3.

[24] Cass. civ., Sez. III, 19 marzo 2018, n. 6675, in Giust. civ. Mass., 2018; Cass. civ., Sez. III, 6 maggio 2015, n. 9006, in Resp. civ. e prev., 2015, 1293 ss.; ma già Cass. civ., Sez. lav., 20 maggio 2004, n. 9628, in Giust. civ. Mass., 2004.

[25] Cons. Stato, Sez. IV, 20 giugno 2024, n. 5514 e Cons. Stato, Sez. IV, 30 maggio 2022, n. 4331, entrambe in www.giustizia-amministrativa.it.

[26] Sullo statuto generale dell’attività amministrativa, che è tale anche allorquando l’Amministrazione ricorra ad un atto consensuale, cfr. la tesi di F.G. Scoca, Attività amministrativa, in Encicl. Dir., Milano, Giuffrè, 2002, Agg. VI, 75 ss.; ovviamente, occorre rinviare altresì alla voce di M.S. Giannini, Attività amministrativa, in Encicl. dir., Milano, Giuffrè, 1958, 988 ss.

[27] Cass. civ, Sez. III, 23 maggio 2011, n. 11295, in Giust. civ., 2012, 2, I, 430 ss.

[28] Cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 6 maggio 2024, n. 1356, in www.giustizia-amministrativa.it, ma altresì Cass. civ., Sez. Un., 18 febbraio 2010, n. 3947, in Giust. civ., 2011, 2, I, 497 ss.

[29] Cass. civ., Sez. III, 22 novembre 2016, n. 23701, in Giust. civ. Mass., 2017.

[30] T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 26 novembre 2021, n. 2619; in www.giustizia-amministrativa.it, che richiama Cass. civ., Sez. III, 19 marzo 2018, n. 6675, in Giust. civ. Mass., 2018.

[31] Cfr., ex aliis, M. Nigro, Convenzioni urbanistiche e rapporti fra privati (problemi generali), in Atti del Convegno sul tema Convenzioni urbanistiche e tutela nei rapporti tra privati, Milano, Giuffrè, 1978, ora anche in Scritti giuridici, Milano, Giuffrè, 1996, tomo II 1303 ss.; ma più recentemente v. anche M. De Donno, Il principio di consensualità nel governo del territorio: le convenzioni urbanistiche, in Riv. giur. edil., 2010, 279 ss.; F. Manganaro, Nuove questioni sulla natura giuridica delle convenzioni urbanistiche, in Urb. e app., 2006, 344 ss.

[32] Ex pluribus, T.A.R. Piemonte, Sez. II, 28 ottobre 2019, n. 1090, in Foro amm., 2019, 10, 1651 ss.; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 18 giugno 2018, n. 1525, in Riv. giur. edil., 2018, 5, I, 1362 ss.; in senso concorde, ad esempio, cfr. G. Poli, Il problema della sinallagmaticità nell’accordo amministrativo. Brevi note sull’eccezione di inadempimento, in Dir. amm., 2014, 725 ss.

[33] Difatti, sono altresì definite l'archetipo dell'accordo pubblico-privato nella pianificazione urbanistica: cfr. A. Crismani, Spunti e riflessioni sul modello consensuale nella gestione dei beni pubblici ambientali, in Riv. giur. edil., 2021, 47 ss.; P. Urbani, Urbanistica consensuale, “pregiudizio del giudice penale” e trasparenza dell'azione amministrazione, in Riv. giur. edil., 2009, 47 ss.

[34] Così, ad esempio, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 8 gennaio 2019, n. 36, in Guida dir., 2019, 14, 22 ss.

[35] T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. II, 16 luglio 2009, n. 1504, in Foro amm. Tar, 2009, 1991 ss.

[36] Cons. Stato, Sez. III, 22 gennaio 2014, n. 293, in www.giustizia-amministrativa.it.

[37] T.A.R. Abruzzo, Pescara, Sez. I, 12 marzo 2015, n. 107, in www.giustizia-amministrativa.it.

[38] T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 10 novembre 2023, n. 2608, in Foro amm., 2023, 11, II, 1488 ss.

[39] Sul punto v. T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, 9 febbraio 2021, n. 102, in www.giustizia-amministrativa.it

[40] Così, ad esempio, Cons. Stato, Sez. IV, 20 giugno 2024, n. 5514, in www.giustizia-amministrativa.it.

[41] Sull’opportunità dell’introduzione di questa norma nella legge n. 241 del 1990 si rinvia quantomeno tra i primi commenti a: V. Italia, Commento al comma 1-bis, in Aa.Vv., L'azione amministrativa. Commento alla l. 7 agosto 1990, n. 241 modificata dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15 e dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, Milano, Giuffrè, 2005, 76 ss.; B.G. Mattarella, Il provvedimento amministrativo, in Giorn. dir. amm., 2005, 469 ss.; G. Napolitano, L'attività amministrativa e il diritto privato, in Giorn. dir. amm., 2005, 481 ss.; N. Paolantonio, Commento all'art. 2, comma 1-bis, in N. Paolantonio, A. Police, A. Zito, La pubblica amministrazione e la sua azione. Saggi critici sulla legge n. 241/1990 riformata dalle leggi n. 15/2005 e n. 80/2005, Torino, Giappichelli 2005, 77 ss.; A. Travi, Autoritatività e tutela giurisdizionale: quali novità?, in Foro amm. Tar, supplemento n. 6/2005, 17 ss.; F. Trimarchi Banfi, L'art. 1, comma 1 bis della l. n. 241 del 1990, in Foro amm. CdS, 2005, 947 ss.; D. De Pretis, L'attività contrattuale della p.a. e l'art. 1-bis della legge n. 241 del 1990: l'attività non autoritativa secondo le regole del diritto privato e il principio di specialità, in GiustAmm,, 2006; L. Iannotta, L'adozione degli atti non autoritativi secondo il diritto privato, in Dir. amm., 2006, 353 ss.

[42] B.G. Mattarella, Fortuna e decadenza dell’imperatività del provvedimento amministrativo, in Riv. trim. dir. pubbl., 2012, 1 ss., osserva, al riguardo, che “il co. 1-bis, nell'escludere l'applicazione del diritto privato quando la legge disponga diversamente, nega se stesso, perché la legge dispone sempre diversamente, ogni volta che attribuisce un potere amministrativo. O, per lo meno, questa è la conclusione che si deve trarre dal fatto che atti come le concessioni e le autorizzazioni hanno continuato ad avere la forma di provvedimenti amministrativi, emanati a seguito di procedimenti e impugnabili dinanzi al giudice amministrativo (per fortuna, dato che procedimento e giurisdizione amministrativa sono strumenti di controllo e garanzia e non di sopraffazione)”.

[43] Come ricordato anche da Cons. Stato, Ad. Plen., 24 aprile 2024, n. 7, in Foro it. 2024, 78, III, 404, con riferimento alle procedure di appalto pubblico.

[44] Così Cons. Stato, Sez. III, 13 dicembre 2023, n. 10744, in www.giustizia-amministrativa.it.

[45] Da ultimo, cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 4 ottobre 2023, n. 5392, in Foro amm., 2023, 1379 ss.

[46] Cfr., in tema, Cons. Stato, Sez. IV, 21 agosto 2024, n. 7193, in www.giustizia-amministrativa.it.

[47] Cons. Stato, Ad. Plen., 4 maggio 2018, n. 5, in Resp. civ. e prev., 2018, 1594 ss., con nota di S. Foà, M. Ricciardo Calderaro, Responsabilità contrattuale della p.a. tra correttezza e autodeterminazione negoziale.

[48] Cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 4 giugno 2021, n. 3747, in Foro amm., 2021, 1037 ss.; v. altresì Cons. Stato, Sez. VI, 24 novembre 2020, n. 7373, in Foro amm., 2020, 2121 ss.

[49] Così Cons. Stato, Sez. IV, 6 agosto 2024, n. 7004, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, Sez. VI, 8 aprile 2019, n. 2289, in L’Amministrativista.

[50] Cons. Stato, Sez. II, 9 maggio 2024, n. 4200, in www.giustizia-amministrativa.it.; Cons. Stato, Sez. IV, 6 giugno 2017, n. 2718, ivi; T.A.R. Piemonte, Sez. I, 16 febbraio 2024, n. 160, ivi.  

[51] Cons. Stato, Sez. VII, 30 marzo 2024, n. 2979, in www.giustizia-amministrativa.it.

[52] Cons. Stato, Ad. Plen., 25 febbraio 2014, n. 10, in Foro it., 2014, 4, III, 213.

[53] Cons. Stato, Sez. V, 7 marzo 2023, n. 2354, in www.giustizia-amministrativa.it.

[54] Peraltro, Corte cost. 21 dicembre 2021, n. 245, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 28, co. 1, lett. a), legge reg. Lombardia 7 agosto 2020, n. 18, come delimitato - nel suo ambito di applicazione - dall'art. 20, co. 2, lett. b), legge reg. Lombardia 27 novembre 2020, n. 22, laddove prevede la proroga dei termini dei titoli abilitativi disposta durante l'emergenza COVID-19 in scadenza dal 31 gennaio 2020 e fino al 31 dicembre 2021, per tre anni dalla data di relativa scadenza, perché in contrasto con la disciplina statale che, incidendo sulla durata dei titoli abilitativi, partecipa della natura di principio fondamentale della materia del governo del territorio. L'art. 28, co. 1, lett. a), legge reg. Lombardia n. 18 del 2020, nel disporre la proroga dei titoli abilitativi in modo difforme da quanto previsto nella disciplina statale (artt. 103, co. 2, d.l. n. 18 del 2020, come convertito, e 10, co. 4, d.l. n. 76 del 2020, come convertito), entra in collisione con un principio fondamentale. Il raffronto tra le norme statali interposte e la disciplina regionale rende palese la diversità della proroga automatica disposta dalla Regione Lombardia, con riferimento sia all'oggetto - individuato in tutti i certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti o titoli abilitativi, comunque denominati in scadenza dal 31 gennaio 2020 fino al 31 dicembre 2021, laddove l'art. 103, co. 2, d.l. n. 18 del 2020, prevedeva la proroga automatica degli atti e titoli abilitativi in scadenza tra il 31 gennaio 2020 e il 31 luglio 2020 -, sia alla durata della proroga, che la disposizione regionale ha indicato in tre anni dalla scadenza, mentre la norma statale ha individuato il termine finale nel novantesimo giorno successivo alla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza.

[55] P. Otranto, In tema di normazione ad effetto incerto. Dalla “cura” al “rilancio”: legislazione dell’emergenza e disciplina dell’attività edilizia, in Riv. giur. edil., 2020, 397 ss., osserva criticamente come, “considerate le conseguenze — urbanistiche e non solo edilizie — degli interventi previsti dalla convenzione di lottizzazione e la consistenza degli stessi, appare irragionevole la norma richiamata, laddove, ai sensi del comma 2, per interventi di minore impatto e rilevanza (finanche per quelli oggetto di semplice s.c.i.a.) la proroga di novanta giorni decorre non dalla originaria scadenza dell'atto, ma dalla dichiarazione di cessazione dello stato di emergenza. Siamo probabilmente innanzi ad un'ulteriore previsione introdotta senza un'adeguata valutazione della complessiva coerenza rispetto ad altre disposizioni della stessa legge e, più in generale, all'intero sistema”.

[56] Cons. Stato, Sez. II, 7 settembre 2020, n. 5379, in Foro amm., 2020, 9, 1709 ss.; e in Riv. giur. edil., 2021, 192 ss., con nota di G.A. Primerano, La verifica di assoggettabilità a valutazione d’impatto ambientale. Questioni attuali.

[57] Cfr. R. Dipace, A. Rallo, A. Scognamiglio (a cura di), Impatto ambientale e bilanciamento di interessi. La nuova disciplina della Valutazione di impatto ambientale. Raccolta degli Atti del Convegno Nazionale Associazione Italiana di Diritto dell'Ambiente 2018 (Campobasso, 13 aprile 2018), Napoli, Esi, 2018.

[58] Cons. Stato, Sez. IV, 10 giugno 2024, n. 5154, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, Sez. IV, 13 gennaio 2023, n. 443, ivi.

[59] Cons. Stato, Sez. II, 7 settembre 2020, n. 5379, cit.

[60] In questi termini v. F. Fracchia, I procedimenti amministrativi in materia ambientale, in A. Crosetti, R. Ferrara, F. Fracchia, N. Olivetti Rason, Introduzione al diritto dell'ambiente, Bari, Editori Laterza, 2018, 260.

[61] Anche E. Casetta, Attività amministrativa, in Dig. disc. pubbl., Torino, Utet, 1987, Vol. I, 522 ss., resta perplesso sulla “presenza di autonomia in ogni attività di diritto privato della pubblica amministrazione”.

[62] Su questo non si può che rimandare allo studio di F. Merusi, L’affidamento del cittadino, Milano, Giuffrè, 1970.

[63] In tema v. già la ricostruzione di R. Ferrara, Intese, convenzioni e accordi amministrativi, in Dig. disc. pubbl., Torino, Utet, 1993,  Vol. VIII, 543 ss.; F. Merusi, Il coordinamento e la collaborazione degli interessi pubblici e privati dopo le recenti riforme, in Dir. amm., 1993, 21 ss.

[64] P. Urbani, Alla ricerca della città pubblica, in Riv. giur. edil., 2023, 3 ss., evidenzia come invece purtroppo spesso “negli accordi urbanistici assistiamo al contrario alla degradazione dell'interesse pubblico a favore dell'interesse privato”.

[65] Cfr., al riguardo, N. Aicardi, La disciplina generale e i principi degli accordi amministrativi: fondamento e caratteri, in Riv. trim. dir. pubbl., 1997, 1 ss.; più di recente v. A. Giannelli, Gli accordi amministrativi (ancora) in cerca di identità: riflessioni sull’ipotesi della connotazione doverosa, in Dir. e soc., 2021, 59 ss.

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 Pubblicato il 05/09/2024

N. 07435/2024REG.PROV.COLL.

N. 10363/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10363 del 2021, proposto da
Comune di Ozzano dell'Emilia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alessandro Lolli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia.

contro

Servizi per l'Ambiente S.r.l.S., Immobiliare Varignana S.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Federico Gualandi, Francesca Minotti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia.

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l''Emilia Romagna (Sezione Seconda) n. 825/2021.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Servizi per L'Ambiente S.r.l.S. e di Immobiliare Varignana S.S.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 giugno 2024 il Cons. Maurizio Santise e uditi per le parti gli avvocati viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con appello tempestivamente notificato alle società appellate e regolarmente depositato nella Segreteria del Consiglio di Stato, il Comune appellante ha esposto quanto segue:

- in data 31 gennaio 2008 il Comune di Ozzano dell’Emilia approvava la variante n. 16 al Piano Regolatore Generale (PRG) mediante la quale veniva ammessa la possibilità di effettuare l’intervento di stoccaggio rifiuti oggetto della presente controversia;

- in data 27 giugno 2011 il Comune sottoscriveva con Immobiliare Varignana s.s., Impresa A. Guidi s.p.a. (oggi Servizi per l’ambiente) e Grillini s.r.l. uno specifico accordo ex art. 18 l.r. n. 20/2000 per l’inserimento nelle previsioni della variante del Piano Operativo Comunale (POC), poi approvata con delibera di C.C. n. 39 del 16/5/2012, di un’area per la realizzazione:

a) di un impianto per la gestione e coordinamento dell’attività di raccolta e selezione dei materiali riciclabili (da realizzarsi da parte della Grillini s.r.l. su area di sua proprietà);

b) di un impianto di stoccaggio temporaneo e di recupero dei rifiuti classificati non pericolosi (da realizzarsi da parte della A. Guidi S.p.a. su area della Varignana s.s.);

- in data 8 maggio 2017, veniva stipulato nuovo accordo ex art. 18 l.r. n. 20/2000, nel quale si prevedeva un periodo di due anni, decorrente dall’approvazione della variante di POC avvenuta in data 20 dicembre 2017, entro il quale le parti si impegnavano ad individuare una localizzazione alternativa dell’impianto e gli attuatori si impegnavano a non presentare il progetto; decorso tale periodo, all’attuatore erano concessi sei mesi per presentare le istanze necessarie all’approvazione del progetto;

- in data 19 giugno 2020 Servizi per l’ambiente s.r.l.s. presentava l'istanza di Piano Urbanistico Attuativo (PUA) con valore di permesso di costruire;

- in data 1° ottobre 2020 il Comune, previa valutazione delle osservazioni degli istanti, comunicava il provvedimento di rigetto;

- in data 5 ottobre 2020, Servizi per l’Ambiente srls inviava al Comune una istanza di riesame con richiesta di annullamento in autotutela, rigettata dal Comune in data 19 ottobre 2020.

Successivamente le società appellate decidevano di impugnare i suddetti provvedimenti con ricorso straordinario al Capo dello Stato, che veniva successivamente trasposto dinanzi al T.a.r. competente.

Il T.a.r. per l’Emilia Romagna, con sentenza n. 825 del 2021, accoglieva il ricorso presentato da Servizi per l’Ambiente S.r.l.s. e Immobiliare Varignana s.s.

2. Il Comune, quindi, impugnava la predetta sentenza, deducendo i seguenti motivi di appello:

I. ERROR IN IUDICANDO: SULL’ ASSENZA DI BUONA FEDE IN CAPO ALL’ AMMINISTRAZIONE E LA PERENTORIETA’ DEL TERMINE INDICATO NELL’ ACCORDO. Violazione di legge per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c.

La sentenza è erronea perché il termine per la presentazione delle istanze necessarie all’approvazione del progetto è perentorio e quindi l’amministrazione era tenuta a rispettare l’accordo e si sarebbe, quindi, comportata correttamente.

II. ERROR IN IUDICANDO: SULLA PROROGA DEI TERMINI DI CUI ALL’ ART. 103 COMMA 2 BIS DEL D.L. 18/2020 - Violazione di legge per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 103 comma 2 bis del D.L. 18/2020.

Non sarebbe applicabile il d.l. n. 18 del 2020, in quanto nella fattispecie le parti hanno stipulato un accordo procedimentale o preliminare, finalizzato alla condivisione, tra il Comune ed il privato, di un assetto urbanistico che potrà essere oggetto di un futuro piano urbanistico, non annoverabile tra le convenzioni di lottizzazione o accordi similari alle quali sarebbe applicabile la predetta disciplina.

III. ERROR IN IUDICANDO: SULLA OBBLIGATORIETA’ DI SVOLGERE LO SCREENING NEL TERMINE DI 30 MESI - Violazione di legge per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 comma 1 e dell’art. 11 comma 4 della L.R. 4/2018 - Eccesso di potere per errata interpretazione dell’art. 3 comma 2 dell’accordo ex art. 11 e dell’art. 7 punto 6 delle N.T.A.

Lo screening era certamente essenziale all’approvazione del PUA con valore di permesso di costruire e la dicitura “istanze necessarie” deve ricomprendere, in una corretta interpretazione dell’accordo, tutto quanto necessario al fine di ottenere l’approvazione del PUA con valore di PdC e, quindi, anche l’istanza per il rilascio di V.i.a.

IV. ERROR IN IUDICANDO: IN RELAZIONE ALLA TEMPESTIVITA’ DELLO SCREENING E ALLA SUA NECESSITA’ NEL PROCEDIMENTO. - Eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà della sentenza, nonché per omessa valutazione di un fatto dirimente.

L’archiviazione dell’istanza volta al rilascio della V.i.a. sarebbe dovuta alla totale responsabilità delle società, che non ha prodotto le integrazioni richieste da AACM di ARPAE. Ad oggi, dunque, la domanda di screening alla VIA risulta respinta e il relativo procedimento archiviato. Anche, quindi, a voler applicare la proroga di novanta giorni prevista dall’art. 103 comma 2 bis d.l. n. 18/2020, l’archiviazione del procedimento avvenuta il 10 maggio 2021, richiederebbe oggi una eventuale nuova istanza da parte dei ricorrenti, con evidente superamento del termine per eseguire lo screening.

V. ERROR IN IUDICANDO: SULLA NECESSITA’ DI VAS/VALSAT PRIMA DELLO SCREENING - Violazione di legge per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 L. R. Emilia Romagna 20/2000.

Solo dopo il deposito del PUA può logicamente essere fatta la valutazione per capire se il PUA

modifica o meno il POC, con la conseguente necessità di sottoposizione a VAS solo all’esito di detta verifica. L’Amministrazione non poteva quindi fare altro che attendere il deposito del PUA per ulteriori valutazioni in concreto.

VI. ERROR IN IUDICANDO: PER AVERE VIOLATO L’ORDINANZA DEL CONSIGLIO DI STATO IN RELAZIONE ALLE SPESE PROCESSUALI. Eccesso di potere per avere deciso la liquidazione delle spese della fase cautelare, già compensato dal Consiglio di Stato.

E’, altresì, illegittima la statuizione del T.a.r. nella parte in cui fa salvo quanto disposto in sede cautelare sulle spese, perché l’ordinanza cautelare è stata annullata dal Consiglio di Stato in sede di appello cautelare con compensazione delle spese del doppio grado giudizio.

Alla pubblica udienza del 27 giugno 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

3. Tanto premesso in punto di fatto l’appello è infondato.

Al centro del presente giudizio si pone il provvedimento del 1° ottobre 2020 con cui il Comune ha respinto l'istanza di PUA con valore di permesso di costruire presentata dalle appellate, in quanto sarebbe divenuto inefficace il POC 2017 relativamente alla previsione denominata “Comparto per il completamento del polo impianti per il trattamento e riciclo dei rifiuti Ca’ Bassone”. Ciò perché, ai sensi dell’art. 3, comma 2, dell’accordo stipulato ai sensi dell’art. 18 l.r. n. 20 del 2020, le appellate, secondo la prospettazione del Comune, avrebbero dovuto presentare le istanze necessarie all’approvazione del progetto entro 30 mesi decorrenti dall’approvazione della variante al POC. Nel caso di specie, le appellate hanno però presentato entro il termine predetto (che sarebbe scaduto il 20 giugno 2020) esclusivamente l’istanza di permesso di costruire e non anche quella, altrettanto necessaria, di V.i.a. che è stata presentata solo in data 2 settembre 2020.

4. Il T.a.r. ha accolto il ricorso di primo grado proposto dalle appellate sulla base dei seguenti argomenti:

a) il Comune avrebbe violato i principi di correttezza e buona fede nello scadenzare i tempi di presentazione delle istanze necessarie all’approvazione del progetto con valore di permesso di costruire, in quanto, “dopo il biennio accordato nel precipuo interesse del Comune, i soggetti privati dovevano concentrare gli sforzi in una cornice temporale ristretta”. Ne conseguirebbe che “risulta incongrua e arbitraria la pretesa di ricondurre la procedura di assoggettabilità a VIA nell’elenco delle attività da intraprendere – inderogabilmente – entro la delineata cornice temporale semestrale” (pag. 10 della sentenza impugnata);

b) in ogni caso la presentazione dell’istanza di V.i.a. sarebbe tempestiva perché l’iniziale termine entro cui presentare le istanze necessarie all’approvazione del progetto è stato prorogato di 90 giorni alla luce dell’art. 103 comma 2-bis del d.l. 17 marzo 2020 n. 18;

c) l’unica istanza da avviare entro i 30 mesi aveva per oggetto la VAS/Valsat e le ricorrenti hanno

provveduto depositando il rapporto ambientale unitamente all’istanza di PUA.

Secondo, invece, il Comune appellante non ci sarebbe stata alcuna violazione dei principi di buona fede e correttezza perché il termine entro cui presentare le istanze necessarie all’approvazione del progetto era stato fissato di comune accordo con le appellate.

5. Orbene, ritiene il Collegio che l’appello sia infondato con conseguente sostanziale conferma della sentenza di primo grado.

Esaminando l’accordo stipulato in data 8 maggio 2017 tra le parti del presente giudizio, ai sensi dell’art. 18 l.r. n. 20 del 2000, emerge che le società appellate si sono impegnate a non presentare le istanze necessarie all’approvazione del progetto fino al termine di 2 anni decorrenti dall’approvazione della variante di POC (art. 3, comma 1) e nel caso in cui entro il predetto termine non si fosse pervenuti all’individuazione di aree alternative “le società potranno presentare le istanze necessarie all’approvazione del progetto fino al termine di 30 mesi decorrenti dall’approvazione del progetto” (art. 3, comma 2).

Si tratta di una modulazione dei tempi per la presentazione delle istanze molto peculiare e chiaramente sbilanciata in favore del Comune, alla luce della legittima necessità, palesata nello stesso accordo, di non aumentare il clima di conflittualità a causa delle contestazioni di alcuni cittadini rispetto alla localizzazione dell’impianto di trattamento dei rifiuti.

Su queste basi, il Comune avrebbe dovuto, quindi, valutare l’istanza delle appellate con ragionevolezza e con lo stesso spirito collaborativo mostrato dalle stesse società appellate.

Non si tratta certamente di legittimare una “facoltà esercitabile senza limiti di tempo secondo l’arbitrio dell’attuatore”, come si legge nel provvedimento di rigetto impugnato, ma di contemperare opposte esigenze, quello certamente legittimo alla tempestiva definizione del procedimento, anche se per due anni tale esigenza non è stata soddisfatta, e quello, altrettanto legittimo, delle società appellate, di portare ad esecuzione, dopo due anni di attesa, gli interventi programmati con la presentazione delle istanze necessarie alla realizzazione del progetto.

5. Nel caso di specie, secondo il Comune la domanda andrebbe inesorabilmente respinta perché le appellate hanno presentato l’istanza di V.i.a. solo il 2 settembre 2020 quando il termine sarebbe scaduto già il 20 giugno 2020.

Tale conclusione è decisamente sproporzionata e irragionevole, in considerazione della circostanza, ben valorizzata dal giudice di prime cure, che il Comune ha prima chiesto (e ottenuto) una sorta di differimento dell’esecuzione della realizzazione del progetto di due anni, per poi richiedere che la presentazione delle istanze necessarie alla realizzazione del progetto avvenisse entro termini ritenuti decadenziali.

Secondo il Comune tale risultato sarebbe stato imposto dall’accordo stipulato.

Rileva, tuttavia, il Collegio che tale risultato non è giustificato neanche seguendo i criteri di interpretazione del contratto, applicabili al caso di specie, sia se si qualifica l’accordo in questione ai sensi dell’art. 11, comma 4, l. n. 241 del 1990, sia e a maggior ragione se lo si qualifica come contratto di diritto privato.

Nel primo caso, infatti, opera l’art. 11, comma 2, l. n. 241 del 1990 che prescrive l’applicabilità agli accordi ivi contemplati, ove non diversamente previsto, dei principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili, tra cui devono farsi rientrare anche i criteri di interpretazione del codice civile.

Il criterio teleologico della comune volontà delle parti, di interpretazione letterale (art. 1362 c.c.) e di buona fede (art. 1366 c.c.) devono orientare l’interprete nella interpretazione del predetto accordo.

E’ vero, come sostiene il Comune, che l’art. 5, comma 2, dell’accordo prevede la necessità che entro il termine di 30 mesi dall’approvazione del POC la Società dovrà presentare il permesso di costruire dell’impianto di stoccaggio e di recupero dei rifiuti a pena di decadenza, ma tale conseguenza è evidentemente riferita solo alla presentazione dell’istanza di permesso di costruire, non anche ad altre istanze come quella di V.i.a.

Del resto, l’art. 3, comma 2, nel prevedere più in generale che le istanze necessarie all’approvazione del progetto devono essere presentate entro il medesimo termine, non fa alcun riferimento alla circostanza che il termine debba essere presentato a pena di decadenza.

Tale omissione, come emerge anche dalla lettera della norma, è quanto mai sintomatica della volontà delle parti di non sottoporre ad un termine perentorio la presentazione delle istanze in genere necessarie all’approvazione del progetto diversamente da quella relativa al permesso di costruire.

6. Nello stesso senso depone anche l’interpretazione secondo buona fede, criterio privilegiato di interpretazione che si pone quale “punto di sutura” tra i criteri di interpretazione soggettiva e oggettiva: proprio la modulazione dei tempi per la presentazione delle istanze necessarie all’approvazione del progetto, decisamente sperequata a favore del Comune, come sopra descritta, impone, nel dubbio, un’interpretazione meno rigorosa dei termini entro cui presentare le “altre” istanze (quelle diverse dall’istanza di permesso di costruire), considerando tali termini non perentori.

Sotto questo profilo, va chiarito che il criterio di interpretazione secondo buona fede non può essere relegato a criterio di interpretazione meramente sussidiario rispetto ai criteri di interpretazione letterale e funzionale, in quanto l’elemento letterale va integrato con gli altri criteri di interpretazione, tra cui secondo buona fede o correttezza ex art. 1366 c.c., avendo riguardo allo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto e quindi alla relativa causa concreta (Cassazione civile sez. III, 19/03/2018, n. 6675; Cass., 23/5/2011, n. 11295). L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza ex art. 1366 c.c., quale criterio d’interpretazione del contratto (fondato sull’esigenza definita in dottrina di "solidarietà contrattuale") si specifica in particolare nel significato di lealtà, e si concreta nel non suscitare falsi affidamenti e nel non contestare ragionevoli affidamenti ingenerati nella controparte (così, da ultimo, Cass., 19/3/2018, n. 6675; cfr. anche Cass., 6/5/2015, n. 9006; Cass., 23/10/2014, n. 22513; Cass., 25/5/2007, n. 12235; Cass., 20/5/2004, n. 9628).

Non possono essere, quindi, condivisi quegli orientamenti che, invece, relegano il suddetto criterio interpretativo a meramente sussidiario, applicabile solo quando quelli oggettivi non sono di ausilio (cfr., Cassazione civile sez. III, 09/12/2014, n. 25840).

Nessun accordo, di diritto privato o di diritto pubblico, può essere interpretato in contrasto con il principio di buona fede che affascia tutti i rapporti di diritto privato (art. 1175, 1375 c.c.) e di diritto pubblico (art. 1, comma 2 bis l. n. 241 del 1990, art. 5 d.lgs. n. 36 del 2023).

Nel caso di specie, peraltro, si può ritenere che l’interpretazione letterale collimi con quella secondo buona fede.

Non può, dunque, essere seguita l’impostazione fornita dal Comune, in quanto, in relazione alle istanze necessarie all’approvazione del progetto, esclusa quella di permesso di costruire, non era previsto alcun termine a pena di decadenza. Contrariamente a quanto sostiene l’appellante, proprio la circostanza che l’istanza di PUA equivale a istanza di rilascio di permesso di costruire comporta l’assoggettamento di quest’ultima, ma solo di questa istanza, a termine di decadenza.

8. In questo senso depone, peraltro, anche la circostanza che i termini perentori vanno interpretati in senso restrittivo, perché, la sanzione della decadenza dell’istanza o della domanda, derivante dall’inutile spirare di tale termini, impone la necessità che ci sia un’espressa previsione in tal senso, in mancanza della quale il termine va inteso come meramente sollecitatorio o ordinatorio (cfr., Cons. Stato, sez. VI 8 aprile 2019 n. 2289).

9. L’interpretazione dell’accordo fornita dal Comune è ancor più irragionevole se si pensa che le appellate hanno, comunque, presentato il 19 giugno 2020 istanza di PUA con valore di permesso di costruire, unitamente al rapporto ambientale indispensabile per la Valsat.

Inoltre, come è emerso nel corso del presente giudizio e confermato anche dal Comune, quest’ultimo ha definitivamente approvato il PUA inerente il Comparto con D.G.C. N. 89 del 10.8.2023 e sottoscritto la convenzione urbanistica in data 13.9.2023. Inoltre, è stata espressa la VAS/VALSAT positiva con provvedimento del Sindaco Metropolitano n. 255 del 22.11.2022, sulla scorta dell’istruttoria condotta da ARPAE AACM e, proprio in relazione alle possibili criticità ambientali, è stato escluso che il progetto debba essere assoggettato a V.I.A. (cfr., determinazione della Regione Emilia Romagna n. 5457 del 15.3.2024), fermo restando le prescrizioni ivi previste.

Tali elementi dimostrano che una lettura eccessivamente formalistica della presente vicenda sarebbe, comunque, controproducente e non in linea con lo spirito di leale collaborazione che deve caratterizzare il rapporto tra cittadino e p.a. (art. 1, comma 2 bis l. n. 241 del 1990).

10. Le medesime considerazioni consentono anche di respingere il IV motivo di appello con cui parte appellante ha evidenziato che l’istanza di V.i.a. era stata archiviata in senso sfavorevole alle appellate, perché, come visto, la stessa è stata superata dai successivi provvedimenti che hanno acclarato la perfetta compatiblità dell’intervento anche con la tutela dell’ambiente, non essendo rilevante, sotto tale profilo, la circostanza che il Comune si sarebbe determinato solo per eseguire la sentenza di primo grado.

Tanto basta per respingere l’appello.

11. Ad ogni modo, solo per completezza, sono condivisibili le conclusioni cui giunge il T.a.r. in relazione all’applicabilità al presente accordo dell’art. 103 comma 2-bis del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, secondo cui “il termine di validità nonché i termini di inizio e fine lavori previsti dalle convenzioni di lottizzazione di cui all'articolo 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, ovvero dagli accordi similari comunque denominati dalla legislazione regionale, nonché i termini dei relativi piani attuativi e di qualunque altro atto ad essi propedeutico, in scadenza tra il 31 gennaio 2020 e il 31 luglio 2020, sono prorogati di novanta giorni”.

Si tratta di una norma che trova la sua ratio nell’esigenza di prorogare i termini in un periodo storico in cui, a causa della pandemia Covid-19, era particolarmente difficoltoso rispettarli.

Come correttamente precisa il T.a.r., il POC susseguente all’accordo ha introdotto l’obbligo di presentazione di un PUA (e dunque un Piano attuativo), che parte ricorrente ha depositato il 19 giugno 2020. Siccome la disposizione si riferisce testualmente a “qualunque atto ad essi propedeutico”, nell’elencazione esemplificativa trova collocazione anche un’intesa – come quella oggetto di contestazione – “la quale disciplina tempi e modalità di presentazione del permesso di costruire, del PUA e degli atti collaterali”.

12. Il V motivo di appello è assorbito, in quanto non è in discussione la circostanza che il progetto debba essere sottoposto o meno alla procedura di valutazione, perché le società appellate hanno presentato regolare istanza di V.i.a. che, come visto, ha fatto il suo corso con l’emanazione del provvedimento della Regione Emilia Romagna n. 5457 del 15.3.2024.

Ne consegue che l’appello va respinto.

La complessità della questione unitamente alle ragioni che hanno condotto alla precedente decisione giustificano la compensazione delle spese di giudizio dei due gradi, comprese le spese delle fasi cautelari

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Carbone, Presidente

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Luigi Furno, Consigliere

Maurizio Santise, Consigliere, Estensore