Consiglio di Stato, Sez. IV n. 5509 del 29 ottobre 2012.
Urbanistica. Permesso di costruire in sanatoria e distanza dalla strada.
Il diniego di accertamento di conformità ex art. 36 DPR n. 380/2001 è illegittimo, nella misura in cui detto diniego si fonda su una non conformità di quanto realizzato alla normativa relativa alla “distanza dalla strada”. Infatti, occorre osservare che l’attività edilizia che il privato può legittimamente porre in essere deve essere necessariamente conforme al titolo abilitativo (nel caso di specie, permesso di costruire), di modo che eventuali limitazioni e/o prescrizioni devono risultare dal titolo emanato dal Comune. E ciò a maggior ragione in un caso come quello di specie, dove la distanza dalla strada non costituisce solo una mera “prescrizione” afferente al rispetto, per ragioni di sicurezza, di una distanza minima dalla strada comunale, ma condiziona decisamente l’ubicazione della costruzione nel suo complesso e la individuazione in concreto dell’area di sedime del fabbricato. Ogni prescrizione e/o limitazione all’edificazione deve risultare sia dal documento rappresentante il titolo edilizio conservato presso gli uffici comunali, sia dal documento rappresentativo del titolo edilizio rilasciato al privato beneficiario, con la conseguenza che non possono essere opposte a quest’ultimo eventuali prescrizioni che non risultano dal titolo edilizio allo stesso in concreto rilasciato. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 05509/2012REG.PROV.COLL.
N. 05447/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5447 del 2011, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Michele Ciccone, rappresentato e difeso dall'avv. Alessandro Fusco Moffa, con domicilio eletto presso Alessia Fusco in Roma, viale Platone 21;
contro
Comune di San Giorgio La Molara;
nei confronti di
Edison Energie Speciali S.p.A., rappresentato e difeso dagli avv. Wladimiro Troise Mangoni, Renata Spagnuolo Vigorita, con domicilio eletto presso Giovanni Battista Conte in Roma, via E.Q.Visconti 99;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE VIII n. 25888/2010, resa tra le parti, concernente permesso di costruire in sanatoria - risarcimento danni
Visti il ricorso in appello, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Edison Energie Speciali S.p.A.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 dicembre 2011 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Alessandro Moffa Fusco e Wladimiro Mangoni Troise;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con l’appello in esame, il sig. Michele Ciccone impugna la sentenza 29 novembre 2010 n. 25888, con la quale il TAR per la Campania, sez. VIII, ha respinto il suo ricorso proposto avverso una pluralità di atti, tra i quali, in particolare, la nota 10 novembre 2009 n. 8907, di reiezione dell’istanza di accertamento di conformità ex art. 36 DPR n. 380/2001, ai fini del rilascio di permesso di costruire in sanatoria,
La controversia riguarda, in sostanza, la difformità (o meno) di quanto edificato dal sig. Ciccone, a seguito di permesso di costruire n. 3315/2008, rilasciato dal Comune di San Giorgio La Molara. Il Comune, dopo che il manufatto era stato costruito nelle sue strutture portanti, ha contestato: dapprima, una distanza dalla strada comunale S. Giorgio La Molara – Montefalcone inferiore a 20 metri (ord. 18 marzo 2009 n. 13/2009); successivamente, ulteriori difformità (ord. 25 maggio 2009 n. 23/09), poi riscontrate non sussistenti.
Successivamente, il Comune ha respinto sia l’annullamento in autotutela della ordinanza di demolizione n. 13/2009, sia l’istanza di accertamento di conformità, “con specifico riguardo alla distanza dalla strada”.
La sentenza appellata – pur ritenendo il ricorso inammissibile per carenza di interesse (per non essere stato impugnato un precedente provvedimento di diniego di accertamento di conformità emesso in data 30 luglio 2009 n. 5351 – ha comunque concluso, come da dispositivo, per la sua reiezione, affermando, in particolare:
- la distanza di 20 metri dalle strade comunali è prescritta dall’art. 26 del Codice della strada (DPR n. 495/1992), con ciò “escludendo che nell’istruttoria procedimentale sia mai stata apportata alcuna modifica progettuale che ne imponeva il rispetto” (dato che il Ciccone ha lamentato che la copia del progetto agli atti del Comune “presentava una correzione in rosso proprio nella parte relativa alla distanza del fabbricato dalla strada in questione, portata da m. 10 del progetto a m. 20”);
- non è applicabile l’art. 26, commi 3 e 5 Codice della strada (che non prevede distanze da rispettare per le strade di tipo F, quando si tratta di zone fuori dai centri abitati destinate all’edificazione e questa sia direttamente consentita dallo strumento urbanistico generale), poiché “la ratio della norma regolamentare è ravvisabile nell’assimilazione delle zone comprese nei centri abitati a quelle esterne ai medesimi, ma in via di formazione come nuovi centri abitati o come espansione di quelli esistenti, con esclusione viceversa delle zone agricole”;
- l’amministrazione comunale è tenuta a verificare – ai fini della eventuale sanabilità dell’opera ex art. 32, secondo comma, lett. c) DPR n. 380/2001– se la stessa costituisca o meno “minaccia alla sicurezza del traffico”, solo nel caso in cui si tratti di opere realizzate prima dell’imposizione del vincolo, essendo invece esclusa in caso contrario.
Avverso tale decisione, vengono proposti i seguenti motivi di impugnazione:
a) error in iudicando; erroneità della sentenza impugnata per aver dichiarato inammissibile il ricorso per carenza di interesse, poiché la nota 10 novembre 2009 n. 8907 non è atto meramente confermativo della precedente nota 30 luglio 2009 n. 5351;
b) error in iudicando e in procedendo; erroneità della sentenza appellata per mancato accoglimento del primo gruppo di censure contenute nel primo motivo di ricorso; omesso esame di un punto decisivo della controversia, violazione del principio del legittimo affidamento; omessa pronuncia sul secondo gruppo di censure contenute nel I motivo di ricorso, con conseguente violazione art. 112 c.p.c.; ciò in quanto il fabbricato realizzato è stato posto in relazione “direttamente ed esclusivamente con la disposizione regolamentare che prevede la distanza di 20 metri dalla strada senza minimamente considerare che il permesso di costruire consentiva una distanza inferiore e che, quindi, vi era stato al riguardo un legittimo affidamento da parte dell’originario ricorrente, nonché soprattutto il consolidamento del diritto di quest’ultimo al mantenimento del fabbricato così come assentito e realizzato, per essere state le opere che lo riguardavano pressocchè ultimate”. Inoltre, il provvedimento impugnato “non appare perseguire l’interesse pubblico”, bensì quello di un gruppo privato;
c) error in iudicando; erroneità della sentenza impugnata per mancato accoglimento del II motivo di ricorso, relativo alla violazione art. 36 DPR n. 380/2001; falsa applicazione art. 26, co. 2, reg. codice della strada e violazione art. 26, co. 3 e 5 del medesimo; violazione art. 21 NTA del piano regolatore; eccesso di potere; ciò in quanto la normativa sopra richiamata “non prevede più una distanza minima da dover rispettare dal confine di una strada classificata di tipo F per le costruzioni realizzate in zone, come quella in esame, per le quali lo strumento urbanistico non dispone un chiaro vincolo di in edificabilità ed inoltre è suscettibile di attuazione diretta”;
d) error in iudicando per mancato accoglimento del terzo motivo di ricorso, relativo alla violazione dell’art. 36 DPR n. 380/2001, art. 32 l. n. 47/1985; eccesso di potere, poiché l’obiettivo di tutelare la sicurezza stradale “non poteva in alcun modo considerarsi ostativo alla sanabilità del fabbricato realizzato dall’originario ricorrente”;
e) error in iudicando per mancato accoglimento del quarto motivo di ricorso, relativo alla violazione art. 97 Cost; art. 10 bis l. n. 241/1990; violazione del giusto procedimento; eccesso di potere;
f) erroneità della sentenza per mancato accoglimento della domanda di risarcimento danni, nonché della subordinata domanda di condanna generica del Comune al risarcimento di tutti i danni subiti e subendi dall’originario ricorrente..
Inoltre, l’appellante ha proposto motivi aggiunti in sede di appello ex art. 104, co. 3 Cpa, contenuti a pagg.33-35 del ricorso in appello, nonché ulteriori motivi aggiunti con atto datato 13 ottobre 2011.
Il Comune di San Giorgio La Molara non si è costituito in giudizio.
Si è, invece, costituita in giudizio la Edison Energie speciali s.p.a., che ha concluso richiedendo in ogni caso il rigetto dell’appello e del successivo ricorso per motivi aggiunti, stante la loro infondatezza.
Dopo il deposito di memorie, all’udienza di trattazione la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO
2. L’appello è fondato, nei sensi e limiti di seguito esposti.
Il Collegio deve innanzi tutto osservare che – pur presentando argomentazioni tendenti a validare una pronuncia di inammissibilità del ricorso di I grado per difetto di interesse – la sentenza appellata ha concluso, come da motivazione e dispositivo, per il rigetto del ricorso medesimo, una volta ritenutane l’infondatezza.
Allo stesso tempo, la sentenza afferma di “condividere l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa della Edison” e dunque afferma (pur non riportandosi tale affermazione in dispositivo) che “deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse”..
Orbene, con il primo motivo di appello, il ricorrente intende appunto censurare la pronuncia del primo giudice, volta a considerare come impugnabile (e non impugnata) la prima nota 30 luglio 2009 n. 5351; dal che deriverebbe, sempre secondo il I giudice, la pretesa inammissibilità del ricorso, in quanto proposto avverso un mero atto confermativo della citata nota 30 luglio 2009, rappresentato dalla nota 10 novembre 2009 n. 8907.
Tanto precisato, il Collegio ritiene in ogni caso di procedere ad esaminare sia il motivo proposto avverso la pronuncia di inammissibilità, sia (laddove questo sia ritenuto fondato) i motivi proposti avverso la pronuncia di infondatezza. E ciò sia in quanto l’effettivo “decisum” della sentenza deve essere stabilito alla luce di una lettura integrata del dispositivo e della motivazione, sia al fine di garantire effettività al diritto alla tutela giurisdizionale delle parti.
Orbene, il primo motivo di appello (sub a) dell’esposizione in fatto) è fondato. Ed infatti, risulta palese come la nota 10 novembre 2009 non possa essere considerata atto meramente confermativo della nota precedente, poichè la stessa è stata emanata all’esito di un nuovo procedimento e, dunque, di rinnovate valutazioni da parte della pubblica amministrazione.
Tale circostanza – che depone a favore della esclusione della natura meramente confermativa dell’atto – non è contraddetta dalla intervenuta conferma della precedente determinazione relativa alla non sanabilità dell’opera per violazione ella normativa delle distanze. Infatti, ciò che rileva, ai fini dell’esatta individuazione della natura dell’atto, è che esso intervenga quale atto conclusivo di un nuovo ed autonomo procedimento amministrativo, contrassegnato da una rinnovata istruttoria e da nuove valutazioni dell’amministrazione, essendo al contrario del tutto ininfluente che l’esito cui l’amministrazione perviene sia identico (nel caso di specie solo in parte) a quello di un proprio precedente provvedimento.
Per le ragioni esposte, il primo motivo di appello deve essere accolto.
Ne consegue la riforma della sentenza impugnata, relativamente alla pronuncia di inammissibilità del ricorso instaurativo del giudizio di I grado in essa contenuta, e la necessità d esaminare gli ulteriori motivi di appello, proposti avverso la pronuncia di infondatezza del già citato ricorso di I grado.
3. Il Collegio ritiene fondato il secondo motivo di appello (sub b) dell’esposizione in fatto), nella parte in cui, con lo stesso, si evidenzia l’error in iudicando della sentenza impugnata, per non avere la medesima considerato, in particolare, la violazione del principio del legittimo affidamento, in quanto il fabbricato realizzato è stato posto in relazione “direttamente ed esclusivamente con la disposizione regolamentare che prevede la distanza di 20 metri dalla strada senza minimamente considerare che il permesso di costruire consentiva una distanza inferiore e che, quindi, vi era stato al riguardo un legittimo affidamento da parte dell’originario ricorrente, nonché soprattutto il consolidamento del diritto di quest’ultimo al mantenimento del fabbricato così come assentito e realizzato., per essere state le opere che lo riguardavano pressocchè ultimate”.
Giova, innanzi tutto, osservare che la costruzione realizzata dal sig. Ciccone risulta previamente autorizzata con permesso di costruire n. 3315/2008.
Orbene, la apposizione di una “correzione in rosso” (così definita dall’appellante: pag. 4 appello), relativa ad una prescrizione di mantenere il fabbricato ad una distanza di 20 metri dalla strada comunale San Giorgio La Molara – Montefalcone, risulta presente solo sulla copia del progetto esistente agli atti del Comune, mentre, per quel che interessa nella presente sede, non risulta sulla copia in possesso dell’attuale appellante.
Su tale circostanza di fatto, mentre non vi è contestazione da parte del non costituito Comune di San Giorgio La Molara, la società controinteressata si limita ad osservare che la citata correzione, se effettivamente apposta, “è da qualificarsi alla stregua di mera specificazione ricognitiva dell’obbligo normativo previsto dall’art. 26 DPR 16 dicembre 1992 n. 495, volta a facilitare la cognizione, da parte del sig. Ciccone, delle previsioni normative concernenti l’attività edilizia”.
Orbene il Collegio (prescindendo dalle argomentazioni ampiamente esposte dall’appellante e relative a quanto emergente dagli atti di un procedimento penale che si assume essere stato instaurato), rileva che il diniego di accertamento di conformità ex art. 36 DPR n. 380/2001 è illegittimo, nella misura in cui detto diniego si fonda su una non conformità di quanto realizzato alla normativa relativa alla “distanza dalla strada”.
Ed infatti, occorre osservare che l’attività edilizia che il privato può legittimamente porre in essere deve essere necessariamente conforme al titolo abilitativo (nel caso di specie, permesso di costruire), di modo che eventuali limitazioni e/o prescrizioni devono risultare dal titolo emanato dal Comune. E ciò a maggior ragione in un caso come quello di specie, dove la distanza dalla strada non costituisce solo una mera “prescrizione” afferente al rispetto, per ragioni di sicurezza, di una distanza minima dalla strada comunale, ma condiziona decisamente l’ubicazione della costruzione nel suo complesso e la individuazione in concreto dell’area di sedime del fabbricato.
E’ appena il caso di aggiungere che ogni prescrizione e/o limitazione all’edificazione deve risultare sia dal documento rappresentante il titolo edilizio conservato presso gli uffici comunali, sia dal documento rappresentativo del titolo edilizio rilasciato al privato beneficiario, con la conseguenza che non possono essere opposte a quest’ultimo eventuali prescrizioni che non risultano dal titolo edilizio allo stesso in concreto rilasciato.
A fronte di ciò, il Comune di San Giorgio La Molara, in sede di esame dell’istanza di accertamento di conformità, non avrebbe potuto non considerare tale discrasia esistente tra le varie copie dell’elaborato progettuale (ed in particolare l’assenza di ogni prescrizione nel titolo rilasciato all’interessato).
Il medesimo Comune, laddove avesse ritenuto la sussistenza di un limite di distanza non considerato dal rilasciato titolo autorizzatorio edilizio avrebbe dovuto, ricorrendone i presupposti di attualità dell’interesse pubblico, procedere ad annullamento di ufficio del titolo medesimo e quindi (solo a questo punto) rilevare – impregiudicata ogni ulteriore valutazione di tale “modus operandi” – la non conformità del concretamente costruito a norme di legge e regolamento e la (eventuale) non emanabilità di un permesso di costruire a sanatoria.
Pertanto, nel caso di specie:
- per un verso, risulta errata la sentenza di I grado, nella parte in cui non considera la conformità dell’edificato al titolo autorizzatorio;
- per altro verso, in sede di accertamento di conformità, il Comune di San Giorgio La Molara avrebbe dovuto anch’esso considerare la conformità del realizzato al titolo autorizzatorio e, in difetto di annullamento di ufficio di questo, semmai fondare il rigetto dell’istanza proprio per evidente superfluità di permesso di costruire in sanatoria.
Per le ragioni esposte, l’appello deve essere accolto, in riferimento al secondo motivo proposto, con conseguente assorbimento degli ulteriori motivi sub lett. b) in parte, c), d) ed e) dell’esposizione in fatto. Ne consegue che, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto, nei limiti predetti, il ricorso instaurativo del giudizio di I grado e, per l’effetto, devono essere annullati gli atti con lo stesso impugnati.
Tale esito del presente giudizio, nel risultare pienamente satisfattorio della posizione giuridica dell’attuale appellante, esclude la sussistenza di ogni ulteriore danno da risarcire per equivalente, con conseguente rigetto dei motivi di appello specificamente proposti (sub f) dell’esposizione in fatto)
Devono, infine, essere dichiarati inammissibili il ricorso per motivi aggiunti proposto in grado di appello, nonchè i motivi aggiunti inseriti nel ricorso in appello principale, sia in quanto non risulta al Collegio ricorrere l’ipotesi di cui all’art. 104, comma 3, Cpa, sia in quanto l’accoglimento dell’appello principale evidenzia in ogni caso la sussistenza di difetto di interesse alla proposizione dell’ulteriore (ed eccezionale) mezzo di gravame.
L’accoglimento dell’appello, nei limiti sopra precisati, comporta che le spese conseguono alla soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Ciccone Michele (n. 5447/2011 r.g.):
a) accoglie l’appello, nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso instaurativo del giudizio di I grado, con conseguente annullamento degli atti con il medesimo impugnati;
b) dichiara inammissibile il ricorso per motivi aggiunti ed i motivi aggiunti proposti con il ricorso in appello;
c) condanna il Comune di San Giorgio La Molara e la società Edison Energie speciali s.p.a. al pagamento in favore dell’appellante delle spese, diritti ed onorari di giudizio, che liquida, per ciascuna delle parti, in complessivi Euro tremila/00 (3.000/00), oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 dicembre 2011 con l'intervento dei magistrati:
Gaetano Trotta, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/10/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)