Consiglio di Stato Sez. VI n. 7543 del 12 novembre 2021
Urbanistica.Prova della data e formazione del silenzio assenso sull’istanza di condono
La prova del richiedente il condono in ordine alla data di ultimazione dei lavori deve essere rigorosa e deve fondarsi su documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi, dovendosi, tra l'altro, negare ogni rilevanza a dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà o a semplici dichiarazioni rese da terzi, in quanto non suscettibili di essere verificate. In materia di condono edilizio la formazione del silenzio assenso per decorso del termine di ventiquattro mesi, postula che l'istanza sia assistita da tutti i presupposti di accoglibilità, non determinandosi ope legis la regolarizzazione dell'abuso, in applicazione dell'istituto del silenzio assenso, ogni qualvolta manchino i presupposti di fatto e di diritto previsti dalla norma quando la documentazione allegata all'istanza non risulti completa ovvero quando la domanda si presenti dolosamente infedele
Pubblicato il 12/11/2021
N. 07543/2021REG.PROV.COLL.
N. 02178/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2178 del 2015, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Elena Fabbris, Michela Reggio D'Aci, domiciliato in via digitale come da Pubblici Registri e con domicilio fisico eletto presso lo studio Michela Reggio D'Aci in Roma, via degli Scipioni, n. 288;
contro
Comune di Padova, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Marina Lotto, Vincenzo Mizzoni, domiciliato in via digitale come da Pubblici Registri e con domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato Livia Lorenzoni in Roma, via del Viminale n. 43;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) n. -OMISSIS-/2014, resa tra le parti, concernente diniego permesso di costruire in sanatoria
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Padova;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 ottobre 2021 il Cons. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti gli avvocati;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1) La parte appellante ha presentato l’1 luglio 2004 una richiesta di permesso in costruire in sanatoria, ai sensi dell'articolo 32 del decreto legge 269 del 2003, riguardante un immobile sito nel Comune di Padova.
Nel preavviso di rigetto del 28.10.2008, l'Amministrazione comunale ha dedotto l’esistenza di riprese aereofotogrammetriche realizzate nel periodo maggio – novembre 2003, dalle quali non sarebbe risultato presente sul territorio il manufatto oggetto di istanza di condono, atteso che la sanatoria in questione si riferisce agli abusi realizzati entro il 31 marzo 2003.
Nella successiva nota del Comune del 3.7.2009, veniva allegata copia delle ripresa aerea, in scala 1:1000 e 1:2000, effettuata il 7.5.2003 (-OMISSIS-..
La parte appellante ha presentato osservazioni volte a contestare l'affidabilità del rilievo aerofotogrammetrico.
Il Comune ha rigettato l'istanza di condono edilizio con provvedimento del 18 gennaio 2010, n. 13338, ritenendo che dalle osservazioni presentate non sarebbero emerse motivazioni utili a superare le ragioni di rigetto e che "non comparendo nelle riprese aeree effettuate in data 07/05/2003 (programma -OMISSIS-., il manufatto risulterebbe costruito successivamente al 31/31/2003".
Parte ricorrente ha impugnato il provvedimento di rigetto - unitamente alla comunicazione ai sensi dell'art. 10 bis della legge n. 241/1990 del 23.10.2008, prot. n. 0291720, e alla successiva nota
3.7.2009 prot. n. 0182153 - dinanzi al T.A.R. Veneto, chiedendo l'annullamento degli atti gravati e il risarcimento del danno.
L'adito T.A.R. ha rigettato il ricorso con la gravata sentenza n. -OMISSIS-/2014 del 18.6.2014, condannando altresì l’originario ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore del Comune, liquidate nell'importo di€ 2.000,00 oltre ad Iva e c.p.a.
Le motivazioni del rigetto sono state basate, in estrema sintesi, su questi argomenti:
- la data di ultimazione dei lavori è successiva al 31 marzo 2003, come dimostrato dal rilievi aerofotogrammetrico acquisiti in sede istruttoria dal Comune. Inoltre l'onere di provare la data di realizzazione dell'abuso ai fini della dimostrazione dell’esistenza dei presupposti del provvedimento di sanatoria gravava in capo alla parte ricorrente;
- La domanda di condono si è rivelata dolosamente infedele e, pertanto, non si è perfezionato il silenzio assenso;
- l’art. 10 bis della Legge 241/1990 è stato rispettato in quanto il preavviso di rigetto riportava le motivazioni per le quali l'istanza di condono non sarebbe potuta essere accolta, mentre il ricorrente aveva lamentato che le osservazioni effettuate non sarebbero state prese in considerazione in sede di provvedimento finale.
Avverso la sentenza di prime cure l'originario ricorrente ha proposto il presente appello, formulando i tre rubricati motivi di ricorso di seguito indicati:
I) Avverso il capo di sentenza che ha rigettato il primo motivo del ricorso, con cui si deducevano i vizi di violazione e falsa applicazione dell'art. 32, comma 35 del D.L. 30.9.2003 n. 269, conv. con L. 24.11.2003 n. 326; eccesso di potere per erroneità dei presupposti e per istruttoria
insufficiente; eccesso di potere per carenza di motivazione.
In sostanza la parte appellante critica il rigetto del primo motivo di ricorso di primo grado nel quale lo stesso appellante aveva dedotto che la dichiarazione ex art. 47, comma 1, D.P.R. n. 445/2001 - allegata alla domanda di condono ed attestante la data di ultimazione dei lavori al 31.3.2003 - dovesse considerarsi dotata di valore certificativo e probatorio privilegiato e che, pertanto, quanto ivi attestato non potesse essere ritenuto a priori irrilevante dal Comune. Quest’ultimo avrebbe avuto l'onere di svolgere una specifica attività istruttoria (fondata su dati oggettivi e puntuali) per contestarne la veridicità. Ciò anche alla luce del fatto che il rilievo aerofotogrammetrico era inattendibile, non essendo possibile vedere l'area interessata dall'intervento interamente oscurata dalle chiome degli alberi circostanti.
Secondo la parte appellante la sentenza sarebbe incorsa in errore in quanto, dopo aver riconosciuto che il rilievo aerofotogrammetrico non risultava risolutivo, ha comunque statuito che dalla documentazione prodotta in giudizio non risulterebbe sussistente il presupposto indefettibile per il rilascio del condono, consistente nell'avvenuta ultimazione dei lavori alla data del 31.3.2003.
Sostiene il ricorrente, quale motivo di censura, che il provvedimento di rigetto del Comune si sarebbe fondato, nel suo apparato motivazionale, solo sulla rilevanza del rilievo aerofotogrammetrico, ritenuto dal T.A.R. non risolutivo, e che pertanto il provvedimento andava annullato.
Il medesimo T.A.R. non avrebbe dovuto prendere in considerazione altre risultanze e argomentazioni, che si sarebbero risolte in una integrazione postuma della motivazione, tanto più che le stesse risultavano errate.
La sentenza di primo grado avrebbe infatti male interpretato le risultanze degli atti di giudizio, valorizzando gli esiti di un accesso effettuato dalla Polizia Municipale il 7.4.2004, nel corso del quale, secondo il Comune, sarebbe stato accertato che a quella data era ancora in corso la realizzazione del manufatto.
Il verbale in questione, tuttavia, non avrebbe riportato accertamenti rilevati dagli stessi agenti verbalizzanti, con effetti fidefacenti riconducibili a un atto pubblico, bensì avrebbe riportato alcune dichiarazioni dei vicini, che in quanto attestazioni de relato non hanno alcun effetto probatorio, tanto più in quanto i suddetti vicini, asserisce l’appellante, erano portatori di un interesse contrario alla concessione del condono edilizio.
Il T.A.R., inoltre, avrebbe male interpretato anche le risultanze delle dichiarazioni di terzi depositate in giudizio da parte ricorrente, inerenti alla data di realizzazione dell’abuso, riportando in sentenza che dette dichiarazioni non sono idonee a comprovare la circostanza della data di realizzazione degli abusi e si riferiscono a diversi immobili in quanto riportanti un differente numero civico.
In realtà, infatti, una delle tre dichiarazioni riporta il numero civico corretto e finanche la corretta identificazione catastale.
Stante inoltre, come indicato, la mancata capacità probatoria del verbale allegato, il T.A.R. avrebbe dovuto considerare positivamente la dichiarazione del terzo che ha affermato che le opere in questione sono state effettuare prima del 31 marzo 2003.
Infine, la sentenza in esame non avrebbe tenuto conto dell’accatastamento dell’immobile avvenuto poco dopo l’acceso di cui al verbale che ha indicato che i lavori non erano stati ultimati.
II) Avverso il capo di sentenza che ha rigettato il primo motivo del ricorso introduttivo, con cui si deduceva il vizio di violazione dell'art. 32, 37° comma D.L. 30.9.2003 n. 269, conv. con L. 24.11.2003 n. 326, in quanto il decorso di 24 mesi dalla presentazione dell'istanza di condono, unitamente al pagamento degli oneri di concessione, avrebbe comportato l'accoglimento della domanda secondo il meccanismo del silenzio-assenso.
In sostanza, la parte ricorrente in appello ha dedotto l’erroneità della sentenza gravata per aver rigettato l’argomentazione secondo cui il provvedimento di rigetto dell'istanza di condono è intervenuto in un momento in cui la P.A. aveva oramai perduto il potere di denegare il titolo edilizio in sanatoria, poiché la decisione era stata assunta oltre il termine di 24 mesi idoneo a qualificare la condotta omissiva in termini di silenzio-assenso, ai sensi dell'art. 32, comma 37, D.L. 269/2003.
La sentenza impugnata ha rigettato l’indicata censura in quanto ha ritenuto che la domanda di sanatoria integrasse una "domanda dolosamente infedele" precludendo la formazione del
silenzio-assenso ex art. 40, comma 1, l. 28 febbraio 1985, n. 47.
L’appellante sostiene che, invece, le attestazioni effettuate dall'odierno appellante nella dichiarazione ex art. 47, comma 1, del D.P.R. 445/2001, presentata contestualmente all'istanza di condono e attestante la data di ultimazione dei lavori al 31.3.2003, non siano state superate o smentite dal Comune di Padova nel corso dell'istruttoria procedimentale e, anzi, abbiano trovato piena conferma nelle produzioni documentali effettuate dal medesimo appellante nel corso del giudizio di primo grado.
L'assenso sul condono si sarebbe dovuto ritenere tacitamente formato, stante l'inerzia della P.A., dopo 24 mesi dal 31.10.2005, con conseguente illegittimità del successivo rigetto.
III) Avverso il capo di sentenza che ha rigettato il primo motivo del ricorso introduttivo, con cui si deducevano i vizi di violazione dell'art. 10 bis L. 7.8.1990 n. 241 e ss.mm. ed eccesso di potere per violazione del principio del giusto procedimento.
Con l’ultimo motivo di appello parte ricorrente ha lamentato il mancato accoglimento della censura inerente al difetto di motivazione del rigetto, anche in quanto il provvedimento finale non avrebbe congruamente considerato e confutato le osservazioni presentate da parte ricorrente in sede procedimentale, in violazione dell'articolo 10-bis della Legge 241 del 1990.
Il medesimo appellante, inoltre, deduce di aver presentato, successivamente alla pubblicazione della sentenza di primo grado, in data 3.2.2015, un'istanza di riesame in autotutela del provvedimento di
diniego di permesso di costruire in sanatoria (protocollata al n. 2015 - 0028717 I E), con la quale ha chiesto all'Amministrazione di valutare un riesame della pratica e di procedere ad annullare (ex art. 21-nonies della legge n. 241 cit.) o revocare (ex art. 21- quinquies) il provvedimento impugnato, sulla base degli accertamenti comunque contenuti nella sentenza del T.A.R. in merito alla non assoluta, né provata rilevanza del rilievo aerofotogrammetrico e di altre argomentazioni,
Nell’istanza ha evidenziato, tra l’altro, che l’Amministrazione avrebbe a suo tempo del tutto omesso di considerare che l’accatastamento del manufatto realizzato dall’appellante è stato eseguito in data 24.06.2004, di modo che è impossibile che alla data di poco precedente al sopralluogo del 7.4.2004 il manufatto non fosse presente.
Si è costituito in giudizio il comune di Padova, resistendo al ricorso in appello.
Il Comune ha replicato che la tardività dell’esecuzione dell’intervento risulterebbe da quanto indicato al verbale di sopralluogo dei VV. UU. del 7.4.2004 ed emergerebbe anche all’esame del fotografie scattate in occasione del suddetto sopralluogo.
Queste ultime dimostrerebbero come, a quella data, i lavori relativi alla costruzione del fabbricato fossero ben lontani dall’essere ultimati.
In ogni caso, l’onere di fornire la prova della data di realizzazione dell’abuso e della sua effettiva consistenza grava sul richiedente la sanatoria, spettando invece all’amministrazione il compito di controllare i dati forniti che, se non assistiti da attendibile consistenza, implicano la reiezione della relativa istanza.
Quanto al silenzio assenso, l’Amministrazione ha rilevato la correttezza della tesi della sentenza di primo grado sulla mancata formazione del silenzio assenso a causa della dolosa dichiarazione sulla data di realizzazione delle opere, confermata dalla circostanza che la parte appellante sarebbe stata destinataria di un provvedimento di indulto relativamente alla suddetta falsa dichiarazione.
Quanto alle dichiarazioni depositate dalla parte appellante, il Comune ha dedotto che l’unica dichiarazione riportante il corretto numero civico non sarebbe stata mai esibita nel corso dell’istruttoria del procedimento di primo grado e, comunque, sarebbe carente dei necessari requisiti di validità, primo tra tutti la mancanza della data.
Si tratterebbe, altresì, di una dichiarazione di tipo non oggettivo, inidonea a formare validi e certi elementi di prova sulla data di esecuzione e ultimazione del manufatto oggetto di richiesta di condono, soprattutto a fronte della completezza dell’istruttoria effettuata dai VV.UU. e del corredo fotografico dello stato dei luoghi che testimonia i lavori in corso alla data dell’aprile 2004.
Con atto depositato il 13.7.2018, il Comune di Padova ha comunicato che, a causa dell’intervenuto decesso dell'Avv.to Fabio Lorenzoni, l'attività di domiciliazione dello Studio medesimo sarebbe proseguita con l'Avv.to Livia Lorenzoni, eleggendo domicilio presso il indirizzo PEC e il suo studio in Roma, via del Viminale n. 43.
Con atto del 13.11.2020, si è costituito in giudizio per l’appellante l’avv. Elena Fabbris in aggiunta ai precedenti difensori.
Ha fatto seguito uno scambio di diverse memorie difensive tra le parti nell’ambito del quale la parte appellante ha indicato che per quanto riguarda l’indulto richiamato dalle memorie del Comune di Padova, si tratterebbe di un mero refuso in quanto non risulta agli atti alcun procedimento penale, mentre l’Amministrazione resistente ha evidenziato che la stessa difesa dell’appellante, con nota prot. 134569 del 17.05.2008, avrebbe espressamente affermato che "... il procedimento penale iscritto nel registro delle notizie di reato al n. 06/7156 in data 06.07.2006 a carico del mio assistito, per l'accertamento dell'illecito penale di false dichiarazioni in atto pubblico allegato alla domanda di condono edilizio, è stato indultato”.
All’udienza pubblica del 28 ottobre 2021 l’appello è passato in decisione.
2) L’appello si palesa infondato.
Come da pacifica giurisprudenza, anche di questa Sezione, l’onere di provare la data di realizzazione dell’abuso al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per il condono grava su chi lo ha richiesto, atteso che solo il privato può fornire, in quanto ordinariamente ne dispone, inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione del manufatto; mentre l'Amministrazione non può, di solito, materialmente accertare quale fosse la situazione all'interno del suo territorio (-OMISSIS-).
Nel caso di specie è stato contestato alla parte appellante che la data di ultimazione dei lavori oggetto dell’istanza di sanatoria è successiva al 31 marzo 2003.
Ciò sulla base di un rilievo aerofotogrammetrico che smentirebbe la circostanza che a tale data l’immobile sarebbe stato già esistente.
La motivazione del provvedimento di diniego è costituita, in sostanza, dalla mancata realizzazione delle opere entro la data suindicata; fatto che la parte ricorrente aveva l’onere di dimostrare.
A fronte della contestazione di tale circostanza nell’atto gravato sarebbe stato, infatti, onere dell’appellante provare l’ultimazione entro i termini previsti dalla normativa sul condono edilizio condono.
In mancanza di congrua dimostrazione la predetta circostanza si deve ritenere insussistente.
In tal senso, pertanto, si rivela corretta la motivazione della sentenza che ha osservato come il ricorrente non si poteva limitare a rilevare l’insufficienza degli elementi addotti dal Comune in sede istruttoria e provvedimentale a supporto del mancato completamento delle opere, ma avrebbe dovuto positivamente dimostrare l’avvenuto completamento delle opere a quella data.
Non si può dare rilievo alla tesi di parte appellante, volta a ribaltare l’onere della prova, insistendo sull’insufficienza degli elementi addotti dall’Amministrazione (tra cui l’aerofotogramma) per comprovare la realizzazione fuori termine delle opere abusive.
Riportata la fattispecie nei suoi corretti termini, con l’indicazione dei rispettivi oneri probatori sia in sede procedimentale che processuale, si rileva esatto il rilievo secondario dato dalla sentenza impugnata alla possibile non affidabilità del rilievo aerofotogrammetrico.
Peraltro non è sulla presenza di quest’ultimo che si incentra la motivazione, ma sulla mancata realizzazione delle opere abusive nel termine dichiarato, nell’ambito del quale il rilievo aereofotogrammetrico è solo un elemento di fatto idoneo a mettere in dubbio tale circostanza, che in ogni caso spetta al richiedente il condono di provare.
Nessuna integrazione della motivazione postuma può, quindi, essere ravvisata nell’indicazione di ulteriori elementi in fatto, quale il verbale del 7.4.2004, tendenti a confutare tale circostanza, tanto più in quanto la vicenda si cala in un contesto provvedimentale rigidamente vincolato.
La prova del completamento delle opere al 31 marzo 2003 non è stata adeguatamente data da parte ricorrente, né in sede procedimentale, né in quella processuale.
Quest’ultima si è limitata a portare a sostegno della sua tesi la dichiarazione rilasciata dallo stesso appellante ex art. 47, comma 1, D.P.R. n. 445/2001, e tre dichiarazioni di terzi, di cui due riportano un numero civico errato.
L’autodichiarazione di parte ricorrente ex art. 47, comma 1, D.P.R. n. 445/2001, non è idonea a comprovare la data di realizzazione dell’abuso, atteso che la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà avente ad oggetto la data di realizzazione e la consistenza originaria di un immobile abusivo, non può essere considerata avente effettivo valore probatorio circa la data certa di ultimazione dei lavori, laddove non si riscontrino elementi dai quali risulti univocamente l'ultimazione dell'edificio entro la data fissata dalla legge (Cons. Stato Sez. II, 12/02/2020, n. 1081).
Allo stesso modo non idonea a comprovare tale circostanza l’unica dichiarazione di terzi che riporta gli esatti estremi dell’immobile, ovverosia quella del Dott. Elsi (senza data) che ha dichiarato in modo generico che il manufatto era già esistente in data antecedente al marzo 2003.
La prova della data di realizzazione dell’abuso deve, infatti, essere data con rigore, anche con mezzi documentali certi, quali fotografie delle opere, contratti con l’impresa costruttrice, fatture e pagamenti etc.
Ed invero, come da orientamento anche di questa Sezione, la prova del richiedente il condono in ordine alla data di ultimazione dei lavori deve essere rigorosa e deve fondarsi su documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi, dovendosi, tra l'altro, negare ogni rilevanza a dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà o a semplici dichiarazioni rese da terzi, in quanto non suscettibili di essere verificate (Cons. Stato, Sez. VI, 21/04/2021, n. 3214).
Così come, sempre da orientamento di Sezione, le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà non sono sufficienti a fornire prova dell'epoca di realizzazione del manufatto, atteso che le stesse non sono utilizzabili nel processo amministrativo e non rivestono alcun effettivo valore probatorio, potendo costituire solo indizi che, in mancanza di altri elementi nuovi, precisi e concordanti, non risultano ex se idonei a scalfire l'attività istruttoria dell'amministrazione. Esse, infatti, non sono sufficienti alla prova della data di ultimazione dei lavori, dovendo essere supportate da ulteriori riscontri documentari, eventualmente indiziari, purchè altamente probanti, ritenendosi all'uopo utili peculiari atti, quali fatture, ricevute relative all'esecuzione dei lavori ed all'acquisto dei materiali, bolle di consegna (Cons. Stato Sez. VI, 06/02/2019, n. 903). E ancora sul punto, la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà non è applicabile nell'ambito del processo amministrativo, in quanto la stessa, sostanziandosi in un mezzo surrettizio per introdurre la prova testimoniale, non possiede alcun valore probatorio e può, al più, costituire soltanto un mero indizio che, in mancanza di altri elementi gravi, precisi e concordanti, non è idoneo a scalfire l'attività istruttoria dell'Amministrazione (Cons. Stato Sez. VI, 18/05/2021, n. 3853; Cons. Stato Sez. II, 04/05/2020, n. 2838).
Ciò, peraltro, a fronte di elementi che depongono in senso decisamente contrario quali le segnalazioni e gli esposti di vicini e confinanti che in epoca successiva al 31 marzo 2003 hanno indicato la presenza di lavori sull’immobile e le fotografie scattate in occasione del sopralluogo del 7.4.2004 - depositate in giudizio dal Comune - che evidenziano opere edilizie ancora in fase di realizzazione.
Né può trovare spazio in questa sede l’argomentazione inerente all’accatastamento dell’immobile effettuato in data 24.06.2004, in quanto elemento estraneo a questo giudizio. Tale circostanza non è stata dedotta, né nell’ambito dei motivi di ricorso, né quale documento allegato agli atti del giudizio di primo grado ed è stata addotta solo in sede di istanza di riesame presentata dopo la pubblicazione della sentenza gravata.
In ogni caso tale circostanza non è di per sé probante, in quanto non garantisce di per sè l’effettiva ultimazione dei lavori e, comunque, l’accatastamento è intervenuto ben oltre la data del 31 marzo 2003.
3) Allo stesso modo si palesa infondato il motivo di ricorso incentrato sull’intervenuto silenzio assenso sull’istanza di condono.
Il T.A.R. ha, infatti, escluso che il silenzio assenso si sia perfezionato a fronte della domanda dolosamente infedele, relativamente alla dichiarazione che le opere sarebbero state terminate entro il 31 marzo 2003.
La domanda si considera dolosamente infedele, ai sensi dell’art. 40 della legge n. 47/1985, a causa della rilevanza delle omissioni o delle inesattezze riscontrate e, nel caso di specie - stante che non può dirsi che le opere siano state realizzate entro il 31 marzo 2003 - ricorrono gli estremi per ritenere corretta la valutazione del giudice di primo grado secondo cui il silenzio assenso non può dirsi formato.
In materia di condono edilizio la formazione del silenzio assenso per decorso del termine di ventiquattro mesi, postula che l'istanza sia assistita da tutti i presupposti di accoglibilità, non determinandosi ope legis la regolarizzazione dell'abuso, in applicazione dell'istituto del silenzio assenso, ogni qualvolta manchino i presupposti di fatto e di diritto previsti dalla norma quando la documentazione allegata all'istanza non risulti completa ovvero quando la domanda si presenti dolosamente infedele (Cons. Stato, Sez. VI, 11/01/2021, n. -OMISSIS-).
L'inesatta volontaria rappresentazione della realtà contenuta nell'istanza di concessione in sanatoria su un presupposto essenziale integra gli estremi della domanda dolosamente infedele, che, ai sensi dell'art. 40 della L. n. 47/1985, impedisce il formarsi del silenzio-assenso previsto dall'art. 35, comma 18, della medesima legge e comporta, altresì, il non accoglimento della domanda medesima (T.A.R. Marche Ancona Sez. I, 15/10/2018, n. 659; T.A.R. Campania Napoli Sez. VIII, 26/02/2016, n. 1079).
4) Da rigettare risulta, infine, anche l’ultimo profilo di appello sulla violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990.
Il preavviso di diniego ha palesato le ragioni ostative all’accoglimento e il provvedimento di rigetto si palesa congruamente motivato anche in coerenza con quanto indicato nel preavviso di rigetto.
Sulla dedotta circostanza secondo cui le osservazioni di parte ricorrente non sarebbero state adeguatamente vagliate, il Collegio rileva come la presentazione di memorie ai sensi dell'art. 10 bis della L. n. 241 del 1990 non impone la puntuale e analitica confutazione delle osservazioni presentate dalla parte privata, essendo sufficiente la motivazione complessivamente resa a sostegno dell'atto stesso (T.A.R. Sicilia Palermo Sez. III, 5 luglio 2021, n. 2139; T.A.R. Campania, Sez. V, 17 maggio 2021, n. 3252).
Inoltre, in ogni caso il Collegio, in considerazione di quanto suindicato, riterrebbe comunque applicabile al caso in esame il disposto dell’art.21 octies della legge n.241/90, secondo cui non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, vertendosi in ambito provvedimentale rigorosamente vincolato e risultando che il contenuto dispositivo del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
5) Per le ragioni indicate l’appello deve essere rigettato.
Le specifiche circostanze inerenti al ricorso in esame costituiscono elementi che militano per l’applicazione dell’art. 92 c.p.c., come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a. e depongono per la compensazione delle spese di giudizio tra tutte le parti in controversia.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta e, per l'effetto, conferma la sentenza gravata.
Compensa le spese di lite del grado di appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti e i terzi.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 ottobre 2021 con l'intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro, Presidente
Vincenzo Lopilato, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
Giordano Lamberti, Consigliere
Fabrizio D'Alessandri, Consigliere, Estensore