Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1202, del 27 febbraio 2013
Urbanistica. Rapporto tra piano urbanistico e piano commerciale
La giurisprudenza ha sempre interpretato in senso rigoroso l’art. 5 del D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447, sottolineando come lo strumento “de quo” avesse natura eccezionale e comunque non poteva costituire in alcun modo uno strumento di modifica dell'assetto urbanistico azionabile in base alle soggettive preferenze e convenienze dell'imprenditore. Le prescrizioni e le disposizioni del piano urbanistico sono sempre prevalenti su quelle del piano commerciale, in quanto rispondono all'esigenza di assicurare un ordinato assetto del territorio, e le relative disposizioni possono legittimamente porre limiti alla libertà di iniziativa economica. Il carattere eccezionale del procedimento di variante dello strumento urbanistico finalizzato all’individuazione di aree da destinare all'insediamento di impianti produttivi presuppone la condizione ineluttabile che lo strumento urbanistico non individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi, ovvero tali aree siano spazialmente insufficienti in relazione al progetto presentato. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 01202/2013REG.PROV.COLL.
N. 00866/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 866 del 2010, proposto da:
Regione Puglia, rappresentato e difeso dall'avv. Sabina Ornella Di Lecce, con domicilio eletto presso . Delegazione Regione Puglia in Roma, via Barberini N.36;
contro
Aeg Trade S.r.l., rappresentato e difeso dagli avv. Sergio Corbascio, Carlo Caforio, con domicilio eletto presso Ottorino Agati in Roma, via Germanico 101;
nei confronti di
Comune di Francavilla Fontana;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE: SEZIONE I n. 02572/2009, resa tra le parti, concernente realizzazione struttura media di vendita - variazione della strumento urbanistico
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Aeg Trade S.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 dicembre 2012 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati Pierluigi Balducci (su delega di Sabina Ornella Di Lecce) e Sergio Corbascio;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il presente gravame la Regione Puglia impugna la sentenza con cui è stato pronunciato l’annullamento:
-- della determinazione del Responsabile del Servizio Ufficio Servizi Tecnici del Comune di Francavilla Fontana, n. 373 del 24 marzo 2009 con cui si disponeva "di non dare corso all'ulteriore prosieguo dell'iter di approvazione” della “variante al piano di fabbricazione finalizzata alla realizzazione di una media struttura di vendita alimentare-misto di tipo "M3", in conseguenza dell'esito negativo della Conferenza di Servizi indetta ex art. 5 DPR n. 447/98;
-- della presupposta nota dell'Assessorato Assetto del Territorio e Urbanistica, prot. n. 2893/2° del 19 marzo 2009, con cui la Regione Puglia aveva motivato il proprio dissenso sull’istanza in quanto, a differenza di quanto sostenuto dal responsabile comunale, sussistevano sufficienti aree a destinazione commerciale individuabili nell’ambito del PIP e, comunque, non sarebbero emersi elementi di carattere impeditivo in ordine alla localizzazione del Centro commerciale nel predetto PIP.
L’appello è affidato alla denuncia di due motivi di gravame relativi alla violazione dell’art. 5 del d.p.r. n. 447/1998 in relazione al decreto legislativo n. 414/1998 ed alla L.R. Puglia n. 11/2003; insufficiente, contraddittoria ed erronea valutazione degli atti di causa e motivazione della decisione.
Si è costituita in giudizio la società controinteressata la quale ha versato in giudizio alcuni documenti e, con la propria memoria difensiva, ha eccepito: in linea preliminare l’inammissibilità del gravame per difetto di interesse; nel merito l’improcedibilità dell’appello per la mancata impugnazione della delibera del consiglio comunale di Francavilla Fontana del 23 luglio 2010 n. 32.
Chiamata all’udienza pubblica di discussione l’appello è stato ritenuto in decisione dal collegio.
___1. Devono in linea preliminare essere esaminate le eccezioni dell’appellata di inammissibilità e l’improcedibilità del gravame.
___1.1. Deve anzitutto essere esaminata l’eccezione di inammissibilità dell’appello per l’omessa specifica impugnazione capo 03 della sentenza con cui il Tar ha affermato che, di fronte ad una posizione sostanzialmente favorevole espressa dal comune in ordine alla richiesta di varianti, il responsabile del procedimento, a tutto voler concedere, avrebbe dovuto quantomeno attivare meccanismi di composizione dei dissensi stante la contrarietà dell’organismo regionale. Ne consegue che la mancata obiezione alla predetta statuizione avrebbe implicato il consolidamento dell’annullamento.
L’eccezione non ha pregio sotto due profili.
In primis, ai fini della permanenza dell’interesse della Regione Puglia, il predetto “dictum”, cui fa riferimento la società appellata, attiene ad un profilo di carattere subordinato meramente procedimentale, come tale, suscettibile di restare comunque travolto dall’annullamento della sentenza impugnata per assorbenti motivi di carattere sostanziale. Infatti, come sarà meglio evidente in seguito, dato che, nel caso in esame, non sussistevano affatto i presupposti per avviare la procedura di cui all'art. 5 del D.P.R. n. 447/998 (oggi abrogato), e quindi in conseguenza non ricorrevano nemmeno i presupposti per la convocazione della conferenza dei servizi, ne consegue che le affermazioni del TAR sugli sviluppi procedimentali successivi all’esito della medesima conferenza restano assolutamente inconferenti.
Sotto altra angolazione, alla luce del proprio precedente indirizzo (cfr. Cons. Stato, Sez. IV n. 5257 del 9 ottobre 2012) si deve ancora osservare che l’ammissibilità dell’appello di un ente pubblico ben può essere individuato anche solo nella difesa in giudizio degli orientamenti adottati nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali. Nel caso in esame, la sussistenza di un interesse giuridicamente tutelato della Regione Puglia appare dunque sufficientemente ancorato all’introduzione da parte della Regione di una questione che coinvolge una problematica di principio, connessa con le proprie competenze amministrative di governo del territorio e con il preciso interesse giuridicamente tutelato, ad una corretta interpretazione delle norme regionali costituenti l’esercizio della propria potestà legislativa.
L’appello della Regione è, dunque, in ogni caso pienamente ammissibile.
____1.2. Parimenti inconsistente è l’eccezione di improcedibilità dell’appello a causa dell’intervenuta definitività dei provvedimenti impugnati in primo grado per la mancata impugnazione, da parte della regione Puglia, della deliberazione consiglio comunale del 27 luglio 2010 n. 32 adottata per consentire la realizzazione di una struttura di vendita alimentare - mista tipo M3 da ubicare sulla strada provinciale per Ceglie Messapica al chilometro 1,200 in relazione al progetto presentato dall’appellata.
Tale deliberazione, infatti, non costituisce un’autonoma manifestazione di volontà dell’ente, ma è stata adottata in esecuzione della sentenza qui gravata in quanto, come risulta evidente dal suo testo, sarebbe stata adottata unicamente allo scopo di dare formale esecuzione alla sentenza qui impugnata, in conseguenza della mancata richiesta di sospensione cautelare, da parte della Regione Puglia, ed era dichiaratamente subordinata all’esito del presente appello.
Pertanto, contrariamente a quanto afferma la Società appellata, il predetto provvedimento, seppure non impugnato, non costituirebbe affatto un sopravvenuto atto definitivo in grado di modificare la situazione di diritto, come non a caso l’adozione era condizionata all’espressa previsione dell’impegno dell’appellata, in caso di esito pregiudizievole del ricorso, alla “riduzione in pristino dello stato dei luoghi ed alla rinuncia a qualsiasi rischio d’onere azione o pretesa o rivalsa nei riguardi del Comune di Francavilla Fontana”.
È dunque evidente che la decisione impugnata, in quanto condizionata all’esito del presente gravame, era dichiaratamente meramente esecutiva della decisione del TAR e quindi, come tale, destinata a restare caducata dal venir meno della sentenza qui impugnata.
___2. Nel merito l’appello è fondato per l’unitaria considerazione di entrambi le rubriche di gravame.
___2.1. Con un primo motivo di ricorso l’appellante regione Puglia denuncia l’erroneità della sentenza che, del tutto contraddittoriamente, prima avrebbe affermato che il piano commerciale non avrebbe potuto imporre vincoli localizzativi ai fini urbanistici, in quanto al riguardo sarebbe invece necessario un duplice livello di pianificazione urbanistica e commerciale; e successivamente avrebbe dato esclusivo rilievo alla circostanza per cui, il piano commerciale del comune, prevedeva l’insediamento di una struttura di ben 25.000 m² in un’aria diversa dalla zona PIP. Il Comune non aveva considerato che, ai sensi dell’art. 12 della legge regionale n. 11/2003, l’atto di coordinamento tra Piano di localizzazione commerciale ed il piano di adeguamento urbanistico, costituiva una variante urbanistica per la quale era necessario l’apporto procedimentale della Regione.
La mancata adozione dell’atto di adeguamento ex articolo 12 cit. avrebbe dunque imposto la massima cautela nell’approvazione di progetti di variante urbanistica, di cui all’articolo 5 d.p.r. n. 447/1998, in quanto la relativa applicazione costituiva un’ipotesi eccezionale e straordinaria richiedeva la verifica puntuale dei presupposti di legge. L’articolo 12, II° comma della L. R. Puglia n. 11 cit. e l’articolo 8 del regolamento regionale n. 1/2004, erano applicabili fino a quando i comuni non avessero provveduto all’adeguamento degli strumenti urbanistici.
Se si volesse ammettere la possibilità di autorizzare tutte le singole richieste di variante dei privati si arriverebbe a conclusioni aberranti, frustrando la finalità della normativa e quelle di una corretta pianificazione complessiva ed organica degli interventi per esercizi commerciali.
In raccordo con la L.R. Puglia 31 maggio 190081506 e della D.G.R. 13 novembre 1989 n. 6320 il Comune avrebbe infatti dovuto rispettare i criteri di efficienza e modernizzazione; assicurare il pluralismo e l’equilibrio tra le strutture distributive e le altre forme di vendita; riconoscere il ruolo delle piccole e medie imprese e l’equilibrio funzionale delle strutture commerciali rapporto con l’uso del suolo e con le risorse territoriali.
In tale direzione, la motivazione del parere negativo della Regione, correttamente affidato al rilievo relativo alla mancanza dei requisiti previsti dalla normativa, non era assolutamente ancorato a ragioni di mera opportunità ma a stringenti motivi di legittimità.
___ 2.2. Con il secondo motivo, l’appellante lamenta l’insufficiente valutazione degli atti di causa e, nella parte, il TAR contesta il merito delle scelte regionali espresse nel parere impugnato, la palese interferenza con la potestà pianificatoria regionale. In particolare:
-- erroneamente il Tar affermerebbe che la destinazione industriale dell’area PIP sarebbe stata incompatibile con la realizzazione della struttura media di vendita alimentare - misto M3 in quanto l’articolo 9, III° comma delle NTA del P.I.P. (approvato con la delibera di Giunta Regionale n. 396 del 21 gennaio 1980) consentirebbe insediamenti commerciali;
-- il livello degli standard previsto della strumentazione delle zone P.I.P. del comune di Francavilla Fontana non sarebbe stato affatto inferiore a quello richiesto l’articolo 5 del D. M. n. 1444/1968 per i centri commerciali direzionali in quanto l’articolo 9, III° co. delle NTA di cui sopra, prevedeva standard in misura superiore al 10% rispetto al limite;
-- il Comune di Francavilla Fontana, antecedentemente all’indizione di una conferenza di servizi ai sensi dell’articolo 5 del d.p.r. 447/1998, avrebbe prima dovuto verificare, in punto di fatto, la disponibilità di lotti in zona P.I.P. in grado di soddisfare i livelli di standard richiesti: al riguardo né l’amministrazione comunale né la conferenza dei servizi avrebbero mai indicato in concreto i motivi impeditivi dell’insediamento del progetto “de quo agitur” in zona P.I.P. Al contrario, nel parere, erroneamente ritenuto illegittimo dal Tar Lecce, era ben rappresentato che il piano di sviluppo commerciale del Comune avrebbe dovuto comportare un nuovo adeguamento degli strumenti urbanistici vigenti ed avrebbe dovuto valutare la disponibilità degli strumenti già adottati ad allocare le nuove aree a destinazione commerciale.
___ 2.3. Entrambi i motivi vanno condivisi.
Si deve ricordare in linea generale che:
-- il potere di pianificazione urbanistica si pone su di un piano di prevalenza rispetto agli atti di gestione attinenti la materia commerciale (cfr. Consiglio Stato sez. V 12 luglio 2004 n. 5057),
-- l'art. 6, d.lg. 31 marzo 1998 n. 114, è comunque finalizzato ad assicurare l'integrazione tra la pianificazione territoriale ed urbanistica e la programmazione commerciale, in quanto pone la stretta correlazione tra titoli edilizi e autorizzazioni all'esercizio, nel novero dei criteri di programmazione riferiti al settore commerciale (cfr. Consiglio Stato, sez. IV 08 giugno 2007 n. 3027);
-- le prescrizioni e le disposizioni del piano urbanistico sono sempre prevalenti su quelle del piano commerciale, in quanto rispondono all'esigenza di assicurare un ordinato assetto del territorio, e le relative disposizioni possono legittimamente porre limiti alla libertà di iniziativa economica (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI 10 aprile 2012 n. 2060).
Ciò premesso, il D.P.R.(oggi abrogato) 20 ottobre 1998 n. 447, in coerenza con il predetto impianto, all’art. 5 disponeva tra l’altro che ”Qualora il progetto presentato sia in contrasto con lo strumento urbanistico, o comunque richieda una sua variazione, il responsabile del procedimento rigetta l'istanza.”.
In via subordinata nel caso in cui “…il progetto sia conforme alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro … “ ma “…lo strumento urbanistico non individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato, il responsabile del procedimento può, motivatamente, convocare una conferenza di servizi, disciplinata dall'articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241 “.
I predetti presupposti di operatività dell'art. 5 del D.P.R. n. 447/1998 costituivano condizione minima necessaria, seppure non sufficiente, per poter consentire la realizzazione dell'intervento edilizio (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 19-10-2007 n. 5471).
La giurisprudenza ha sempre interpretato in senso rigoroso l’art. 5 del D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447, sottolineando come lo strumento “de quo” avesse natura eccezionale e comunque non poteva costituire in alcun modo uno strumento di modifica dell'assetto urbanistico azionabile in base alle soggettive preferenze e convenienze dell'imprenditore (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, sent. 3 marzo 2006 n. 1038).
Pertanto, nei casi in cui invece dovessero risultare disponibili nel Piano degli insediamenti Produttivi aree per l’allocazione dell’intervento commerciale, non potevano ritenersi sussistenti le esigenze promozionali che sono la ragione logica e giuridica per far luogo all’applicazione della disciplina derogatoria ex D.P.R. n. 447 cit. (cfr. Cons. Stato, Sez. VI 27-07-2011 n. 4498).
E ciò per assicurare che gli assetti territoriali non seguano la casualità della proprietà delle aree o le relative speculazioni in danno delle aree agricole (che sono notoriamente meno costose di quelle industriali e commerciali). In tali ambiti non può infatti trascurarsi che le pressioni degli operatori, motivate da interessi di natura meramente speculativa, hanno spesso effetti assolutamente deleteri sul buon andamento e sull’imparzialità dell’azione delle Amministrazioni Comunali.
La necessità di rispettare la funzionalità e la coerenza delle scelte urbanistiche e di pianificazione globale del territorio ha anche il fine di evitare che una realizzazione atomistica e dispersa sul territorio delle infrastrutture urbanistiche faccia ricadere sulla collettività i relativi ulteriori oneri finanziari.
In tale scia esattamente la Regione ricorda che, ai sensi del primo dell’art. 12 della Legge Regionale Puglia n. 11/2003 il Comune doveva individuare “… le aree idonee all'insediamento di strutture commerciali attraverso i propri strumenti urbanistici, in conformità degli indirizzi generali di cui all'articolo 3, con particolare con riferimento al dimensionamento della funzione commerciale nelle diverse articolazioni previste all'articolo 5”.
Il secondo comma consentiva poi “… L'insediamento di grandi strutture di vendita e di medie strutture di vendita di tipo M3 … solo in aree idonee sotto il profilo urbanistico e oggetto di piani urbanistici attuativi anche al fine di prevedere le opere di mitigazione ambientale, di miglioramento dell'accessibilità e/o di riduzione dell'impatto socio economico, ritenute necessarie”.
Il carattere eccezionale del procedimento di variante dello strumento urbanistico finalizzato all’individuazione di aree da destinare all'insediamento di impianti produttivi presuppone la condizione ineluttabile che lo strumento urbanistico non individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi, ovvero tali aree siano spazialmente insufficienti in relazione al progetto presentato (cfr. Cons. Stato, sez. IV 4 dicembre 2007 n. 6157; Cons. Sez. IV, 11 aprile 2007 n. 1644; Consiglio di Stato sez. IV 20 luglio 2011 n. 4413).
Pertanto, costituiscono condizioni imprescindibili per l'avvio di convocazione della conferenza di cui all’art.5 del D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447:
-- la conformità del progetto alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e della sicurezza del lavoro;
-- l'impossibilità giuridica, e spaziale, di reperire nello strumento esistente, aree idonee e sufficienti all'iniziativa.
Ciò premesso, nel caso in esame non pare che la sentenza abbia compiutamente approfondito i presupposti di fatto della vicenda ed abbia correttamente inquadrato la predetta normativa.
Quanto al primo profilo, l’odierna appellata, nel ricorso di primo grado, non aveva in alcun modo provato e circostanziato la sussistenza, in punto di fatto, del requisito dell’insufficienza in termini di superficie delle aree disponibili nel PIP.
Per cui, prima di indire una conferenza di servizi ai sensi dell’articolo 5 del d.p.r. 447/1998, il Comune avrebbe dovuto motivare e dimostrare la disponibilità o meno di lotti.
Quanto al secondo profilo, il TAR ha sbrigativamente concluso che le previsioni di piano non avrebbero consentito di allocare strutture M3 all’interno della zona D (oggetto del PIP) in quanto le relative norme tecniche avrebbero permesso solo di insediare piccole e medie industrie; artigiani; servizi privati d’uso pubblico ed impianti tecnologici.
Al contrario non vi era alcun ostacolo di diritto in tale direzione, in quanto l’articolo 9, III° comma delle NTA del P.I.P. approvato con la delibera di Giunta Regionale n. 396 del 21 gennaio 1980 dispone espressamente che: “Sono consentite, nell’ambito dei lotti industriali anche le attrezzature di tipo commerciale”. E’ dunque del tutto erronea ed apodittica l’affermazione della sentenza per cui “…nello strumento di pianificazione non vi sia spazio alcuno per strutture commerciali (appartenenti al settore alimentare-misto) come quella di specie, risultando tali aree limitate all’insediamento di industrie e attività artigianali”.
In conseguenza, non ricorrendo nel caso di specie, il requisito dell’indisponibilità giuridica e comunque non essendo stata dimostrata l’incontinenza dell’intervento progettato dall’appellata nelle aree disponibili nel PIP, il responsabile del procedimento avrebbe dovuto rigettare la domanda di realizzazione del centro commerciale in un’area non destinata dallo strumento urbanistico generale ad insediamenti produttivi.
Come esattamente rilevato dall’Amministrazione appellante il Comune, prima di considerare eventualmente la possibilità di insediare la struttura altrove, avrebbe invece dovuto specificare e dettagliare i concreti motivi impeditivi all’insediamento del progetto.
Non si comprende poi su quali basi il TAR, a conferma della sostanziale esclusione dell’ammissibilità di strutture commerciali nel PIP, avrebbe tutto genericamente addotto che gli standards previsti in tale area per le attrezzature collettive sarebbero stati fissati in misura 10% della superficie territoriale -- e quindi in una percentuale “notevolmente inferiore rispetto a quelli previsti dall’art. 5 del D.M. n. 1444 del 1968 per gli insediamenti di carattere, per l’appunto, commerciale e direzionale” . In tale prospettiva mentre, la Regione negli atti impugnati aveva sottolineato come il livello degli standard del PIP per attrezzature collettive, come è usuale in questi casi, fosse comunque superiore al 10% della superficie territoriale, per cui risultava quindi ampiamente nei limiti di legge, la società appellata -- neanche in questa sede di appello -- si è preoccupata di fornire gli elementi di fatto per supportare logicamente la contraria affermazione al riguardo del TAR.
In definitiva sulla vicenda in esame:
-- la destinazione urbanistica dell’area era pienamente compatibile con la normativa tecnica del PIP;
-- gli standards previsti ben consentivano struttura di vendita nel settore alimentare - misto;
-- infine non è stata né specificata e neppure dimostrata l’inidoneità dell’estensione delle aree PIP ad allocare l’insediamento M3;
-- né infine sussistevano altri parametri, limitazioni o indici urbanistici che, sotto il profilo normativo, rilevassero come fattori “di carattere impeditivo” alla localizzazione della struttura M3.
Di qui la piena legittimità dei presupposti di fatto e motivazionale del provvedimento regionale e dell’atto comunale di reiezione dell’istanza de quo motivato “per relationem” ai sensi dell'art. 3 comma 3, l. 7 agosto 1990 n. 241 (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV 18 settembre 2012 n. 4950; Consiglio di Stato, sez. IV 31 marzo 2012 n. 1914).
___ 3. In conclusione l’appello è fondato e deve essere accolto e per l’effetto la sentenza impugnata deve essere annullata.
Le spese tuttavia, in ragione della singolarità della questione, possono essere integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando:
__ 1. accoglie l'appello nei sensi di cui in motivazione e, per l'effetto, annulla la sentenza impugnata.
__ 2. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Anna Leoni, Presidente FF
Raffaele Potenza, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore
Giulio Veltri, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/02/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)