Consiglio di Stato Sez.II n. 1708 del 20 febbraio 2023
Urbanistica.SCIA in sanatoria e silenzio della amministrazione
L’art. 37, comma 4, del D.P.R. n. 380 del 2001 contempla la SCIA in sanatoria a intervento concluso, che prevede che il responsabile dell'abuso o il proprietario dell'immobile possano ottenere la sanatoria dell'intervento ove sussista la doppia conformità (l'intervento realizzato deve risultare conforme tanto alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione dell'intervento, quanto a quella vigente alla presentazione della domanda), versando una somma il cui valore è stabilito dal responsabile del procedimento (non superiore a 5.164 euro e non inferiore a 516 euro). Tuttavia, a differenza di quanto previsto per l'accertamento di conformità di cui all'art. 36, D.P.R. n. 380 del 2001 per il quale, in caso inerzia a seguito della presentazione della domanda, è la stessa norma che qualifica espressamente l'eventuale silenzio dell'amministrazione come diniego, l'art. 37, D.P.R. n. 380 del 2001 nulla dispone sul punto. In assenza di un chiaro dato normativo, il procedimento può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento (Segnalazione Ing. M. Federici)
Pubblicato il 20/02/2023
N. 01708/2023REG.PROV.COLL.
N. 08806/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8806 del 2022, proposto da
Giuseppe Messina, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe D'Ottavio e Raffaele D'Ottavio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Domenica Sinopoli, quale procuratrice di Elvio Ciurleo, rappresentata e difesa dall'avvocato Alessio Papa, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Commissario ad acta, Vicequestore della Polizia di Stato, Dott.ssa Serafina di Vuolo, Comune di Bagnara Calabra, non costituiti in giudizio;
nei confronti
Carlotta Romano, Nicola Romano, Carmine Nicola Romano, Maria Giuseppa Romano, Francesco Pietropaolo, Maria Pietropaolo, Rosaria Pirrotta, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria sezione staccata di Reggio Calabria n. 468/2022, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Domenica Sinopoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 24 gennaio 2023 il Cons. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti gli avvocati Fabio Federico per Giuseppe D'Ottavio e Raffaele D'Ottavio, Alessio Papa;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Parte appellante impugna la sentenza n. 468/2022 del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione distaccata di Reggio Calabria, emessa nel giudizio iscritto al N.R.G. 63/2020, depositata in data 6 luglio 2022, nel giudizio di reclamo ex art. 117, comma 4, c.p.a., proposto da Giuseppe Messina avverso e per l’annullamento del provvedimento di acquisizione al patrimonio del Comune di Bagnara Calabra delle unità immobiliari di proprietà dello stesso, facenti parte del fabbricato sito in via Nastari n. 44, adottato dal Commissario ad acta in attuazione dell’ordinanza collegiale dello stesso tribunale amministrativo n. 565/2021, per l’esecuzione della sentenza del medesimo T.A.R. Calabria Reggio Calabria n. 347/2020.
In particolare, Domenica Sinopoli, quale procuratrice speciale del sig. Elvio Ciurleo, agiva in giudizio dinanzi al suddetto T.A.R. calabrese nei confronti del Comune di Bagnara Calabra, nonché dei controinteressati Carlotta Romano, Giuseppe Messina, Nicola Romano, Carmine Nicola Romano, Maria Giuseppa Romano, Francesco Pietropaolo, Maria Pietropaolo e Rosaria Pirrotta, per l'accertamento dell'illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Bagnara Calabra sull'atto stragiudiziale di diffida e messa in mora, datato 14.10.2019, con il quale la ricorrente aveva invitato e diffidato l'Amministrazione intimata ad adottare i provvedimenti amministrativi necessari al ripristino della legalità violata mediante la conclusione del procedimento repressivo degli abusi edilizi, asseritamente commessi dai controinteressati, con il conseguente esercizio dei poteri sanzionatori e repressivi, nonché per l’assunzione delle determinazioni necessarie alla messa in sicurezza e al ripristino delle indispensabili condizioni di sicurezza dell'immobile sito in Bagnara Calabra, via Nastari, a tutela della pubblica e privata incolumità, anche effettuando tutte le verifiche strutturali ritenute opportune.
Con sentenza n. 347 del 19 maggio 2020, il T.A.R. di Reggio Calabria accertava l'illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Bagnara Calabra sulla diffida a esso notificata per la mancata adozione dei provvedimenti amministrativi necessari all'accertamento degli abusi e alla repressione degli stessi, con l’obbligo di ripristino e messa in sicurezza dell'immobile a tutela della pubblica e privata incolumità.
In dichiarata esecuzione della sentenza n. 347 del 19 maggio 2020, il Comune in questione, con nota prot.9302 dell' 11.06.2020, si limitava a notiziare gli interessati dell'avvio del procedimento finalizzato all'accertamento, alla repressione e all’eliminazione degli abusi edilizi di cui alle ordinanze di demolizione n.60 del 19/05/2017, n.45 del 29/09/2017, n.51 del 08/11/2017, n.53 dell’8/11/2017, n.54 del 08/11/2017 e a quelli relativi ad ulteriori eventuali provvedimenti atti a eliminare i rischi per la stabilità dell'edificio in questione.
L’originaria ricorrente, ritenendo l'attività posta in essere dal Comune inidonea a dare effettiva esecuzione alla sentenza richiamata, presentava istanza di nomina di Commissario ad acta.
Con ordinanza n. 565/2021, l’adito T.A.R. calabrese accoglieva l'istanza della ricorrente di nomina di un Commissario ad acta, individuato nella persona del Questore di Reggio Calabria, con facoltà di delega ad altro funzionario, per l'esecuzione della suindicata sentenza n. 347/2020, affinché provvedesse, in luogo dell'Amministrazione inadempiente, ad accertare l'inadempimento agli ordini di ripristino disposti nei confronti dei controinteressati e ad adottare i provvedimenti conseguenti all'automatica acquisizione dei manufatti abusivi al patrimonio comunale, provvedendo eventualmente alla loro demolizione con l'adozione delle conseguenti sanzioni amministrative a carico dei responsabili.
Con provvedimento dell’8.7.2021, il Questore di Reggio Calabria delegava l’esecuzione dell’incarico di commissario ad acta alla Vice Questore della Polizia di Stato dott.ssa Serafina Di Vuolo.
Quest’ultima si insediava e, adempiendo al suo munus, adottava il provvedimento del 6.12.2021 con cui disponeva, tra l’altro, ai sensi dell'art. 31 D.P.R.380/2001, l'acquisizione al patrimonio comunale degli immobili abusivi, oggetto di ordinanza di demolizione, identificati al catasto al foglio 19 part.6, 6 sub nr 14 (sita in Bagnara Calabra via Nastari n. 44).
L’odierno appellante insorgeva avverso tale atto del commissario ad acta proponendo reclamo, ai sensi dell’art. 117 c.p.a..
Il reclamo veniva dichiarato inammissibile con la sentenza n. 468/2022, oggetto del presente appello.
L’odierno appellante ha formulato i seguenti due rubricati motivi di appello:
a) Erroneità della dichiarazione di inammissibilità del reclamo – violazione dell’art 40 c.p.a.
b) Violazione e falsa applicazione art. 32 D.P.R. n. 381/2001, delle NTA 2008 e 2018, anche alla luce della circ. 21/01/2019 par. C.8.4.1; violazione del principio del contraddittorio procedimentale; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, nonché per contraddittorietà intrinseca ed estrinseca della motivazione.
Si è costituita in giudizio Domenica Sinopoli resistendo all’appello.
DIRITTO
1) L’appello si palesa parzialmente fondato nei termini che seguono.
In via preliminare il Collegio osserva che le sentenze pronunciate nel rito avverso il silenzio inadempimento dell’Amministrazione, sono redatte in forma semplificata, ex art.117, comma 2. c.p.a., che si applica anche alle pronunce aventi a oggetto gli atti del commissario ad acta nominato per l’esecuzione delle relative decisioni, anche ai sensi dell’art. 114, comma 3, c.p.a..
2) Il Collegio ritiene fondato il primo motivo di appello inerente alla declaratoria di inammissibilità dell’opposizione per la mancata corretta individuazione dell’atto gravato, ex art. 40 c.p.a..
In particolare, l’adito T.A.R. ha dichiarato l’inammissibilità del reclamo in quanto quest’ultimo sarebbe stato rivolto nei confronti della relazione finale del Commissario ad acta (che non è un atto avente natura provvedimentale, né avente carattere lesivo) e non avverso il diverso ben distinto provvedimento di acquisizione gratuita dell’area adottato dallo stesso Commissario.
In realtà, secondo una condivisibile visione sostanzialistica del processo amministrativo, l’oggetto del giudizio, e nella specie l’atto gravato, deve evincersi dall’intero tenore dell’atto introduttivo e non sulla base delle sole indicazioni formali contenute nel medesimo.
A tal fine non basta a escludere che l’impugnativa sia stata rivolta avverso l’atto di acquisizione la circostanza che nell’atto di reclamo per individuare l’atto gravato sia stata indicata la data del 24.12.2021 (anziché quella dell’atto commissariale di acquisizione del 6.12.2021) e nominata la relazione. Infatti, dall’atto di impugnazione si evince chiaramente che il reclamo è volto avverso il provvedimento di acquisizione, ancorchè non ne sono stati indicati esattamente gli estremi.
Tra l’altro i motivi di ricorso sono riferiti chiaramente all’invalidità dell’atto di acquisizione adottato dal Commissario ad acta (e non agli eventuali “vizi” formali e sostanziali della relazione), per cui la mancata indicazione degli esatti estremi (nella specie la data e il protocollo) risulta un elemento meramente formale, inidoneo a inammissibile l’impugnativa.
3) Il secondo motivo di appello è fondato nei termini che seguono.
Il motivo è articolato su diversi profili di vizio.
In particolare, l’appellante si duole che il giudice di primo grado non avrebbe considerato che l’ordinanza di demolizione del Comune n. 53 dell’8/11/2017 (rimasta inoppugnata), a cui il Commissario ad acta avrebbe dato esecuzione in via sostitutiva dell’Ente locale, non avrebbe disposto la riduzione in pristino delle opere, “né tanmeno minacciata, in caso di inottemperanza, l’acquisizione al patrimonio comunale, trattandosi di interventi sottoposti a SCIA”.
Inoltre, il Commissario ad acta, nell’adottare l’atto di acquisizione avrebbe indicato che nessuna richiesta di sanatoria da parte dei proprietari delle unità immobiliari sarebbe stata presentata agli uffici competenti.
Più in particolare gli appellanti hanno dedotto che, in sostanza, il provvedimento commissariale di acquisizione al patrimonio comunale delle unità abitative sub n. 14 di comproprietà del deducente trova il suo fondamento nelle seguenti motivazioni:
- nessuna richiesta di sanatoria da parte dei proprietari delle unità immobiliari interessate sarebbe stata inoltrata agli uffici competenti dopo la notifica dell’ordine di rimessione in pristino e demolizione;
- dalla consulenza tecnica di parte ricorrente, a firma dell’Ing. Triolo, sarebbe emerso che gli interventi abusivi, eseguiti in violazione delle NTA del 2018, avrebbero inciso sulle strutture portanti, compromettendone la capacità di resistere alle sollecitazioni sismiche;
- anche in ragione della nota prot.n. 28317 del 18/11/2021, il Commissario ad acta avrebbe ricavato che la realizzazione dei varchi di collegamento tra le unità immobiliare de quibus avvenuta senza la verifica locale dell'elemento interessato e il deposito dei relativi calcoli al Genio Civile, può provocare una diminuzione delle caratteristiche statiche e sismiche dell'immobile e tanto integrerebbe una variazione essenziale che ai sensi dell’art. 32 d.p.r. 380/2001 legittima l’acquisizione delle unità immobiliare in questione al patrimonio comunale.
La parte appellante deduce in proposito che, contrariamente a quanto presupposto dal Commissario ad acta, in relazione all’ordinanza di demolizione n. 53 in esame è stata presentata apposita SCIA in sanatoria (nota 26.02.2018 prot. n. 4031, documentalmente integrata con nota del 2/10/2018 prot. n. 22479, depositata agli agli atti del giudizio).
L’appellante afferma, inoltre, che il provvedimento ablativo violerebbe la ratio dell’art. 32 del D.P.R. 380/2001, che descrive l’elenco delle opere compiute in difformità a progetti approvati da considerare come variazioni essenziali al Permesso di Costruire.
In tali opere rientrano solo quelle difformi al permesso di costruire e non anche quelle soggette a SCIA/DIA, come quelle in esame.
Non si configurerebbe, inoltre, come una violazione essenziale il mancato deposito del progetto esecutivo ai sensi della normativa antisismica, né tale omissione avrebbe potuto comportare l’acquisizione del manufatto, stante che gli interventi in esame non rientravano tra quelli per i quali era richiesto detto deposito e, in ogni caso, non vi è prova che detti interventi possano avere compromesso la vulnerabilità sismica del fabbricato.
Gli appellanti hanno lamentato altresì che, anche dalla consulenza di parte dell’ing. Leonardo Taverniti risulterebbe che le opere effettuate non avrebbero comportato alcuna violazione delle norme vigenti in materia di edilizia-antisismica ai sensi dell'art. 32 del D.P.R. 380/2001, né alcuna compromissione strutturale della statica dell’edificio.
3.1) Il Collegio osserva, innanzitutto, che in sede di appello le censure nel merito riguardano le opere di cui il Commissario ad acta ha disposto l’esecuzione in attuazione dell’ordinanza di demolizione nr. 53 dell’8/11/2017, a seguito della sua mancata ottemperanza.
Tutte le altre censure formulate in primo grado relative ad altre opere devono, quindi, intendersi rinunciate in quanto non oggetto di giudizio di appello.
3.2) Quanto alle opere oggetto dell’ordine di demolizione n. 53 dell’8/11/2017, il Collegio rileva che quest’ultimo provvedimento è rimasto inoppugnato e, a differenza di quanto sostenuto dall’appellante, nello stesso il Comune ha espressamente ordinato la demolizione delle opere abusive.
Il provvedimento, infatti, ha espressamente ingiunto di “procedere alla rimessa in pristino dello stato originario dell’immobile oggetto degli interventi abusivamente realizzati, entro il termine di gg. 90 (novanta) a decorrere dalla notifica del presente provvedimento, previa acquisizione, in ordine agli aspetti strutturali, dell’autorizzazione e/o attestazione di deposito del progetto presso il Servizio Tecnico di Reggio Calabria (ex Ufficio Genio Civile)”.
A fronte dell’inoppugnabilità dell’ordine di demolizione perdono di rilievo tutte le censure sull’aspetto sostanziale inerente alla correttezza dell’ordine in esame, ovverosia quelle sul carattere essenziale o non essenziale delle modifiche abusivamente apportata all’immobile, sul titolo necessario all’esecuzione delle stesse (SCIA o permesso di costruire) e sull’esistenza e rilevanza delle violazioni alla normativa antisismica.
Tali aspetti, infatti, non tempestivamente censurati, non possono essere oggetto del giudizio avverso il silenzio inadempimento dell’Amministrazione, tantomeno, in sede di esecuzione del relativo esito.
Quello che appare dirimente al Collegio in questa sede è l’avvenuta presentazione di un’istanza di SCIA in sanatoria successivamente presentata per le opere oggetto di ordine di demolizione.
Al riguardo la controinteressata Domenica Sinopoli ha eccepito in sede difensiva che la SCIA in sanatoria sarebbe stata gravemente incompleta e talmente carente dei presupposti di accoglibilità da dover essere considerata tam quam non esset e, comunque, inidonea a inficiare il procedimento di acquisizione.
Il Collegio rileva in primis che effettivamente la relazione del commissario ad acta, sulla base della quale lo stesso ha disposto l’acquisizione, non riporta l’intervenuta presentazione di tale istanza.
Il Comune stesso nell’ordinanza di demolizione ha indicato che le opere in questione erano sottoposte al regime della SCIA, contestando all’appellante l’assenza della stessa (non del permesso di costruire), unitamente al mancato rispetto della disciplina antisismica.
Corretta è quindi la scelta dell’appellante di presentare una SCIA in sanatoria ex art. 37, comma 4, D.P.R. n. 380 del 2001 e non una istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del medesimo T.U.E., per cui non si può sostenere che la SCIA presentata non poteva conseguire, nemmeno in ipotesi, alcun effetto sanante.
Stante il differente carattere e natura della SCIA, anche se presentata in sanatoria, alla fattispecie non era neanche applicabile il cosiddetto silenzio rifiuto previsto sull’istanza di accertamenti di conformità dal già citato art. 36, secondo cui "la mancata pronuncia dell'amministrazione sulla relativa domanda entro sessanta giorni dal suo ricevimento ha il valore di diniego tacito della sanatoria", con l’effetto che il procedimento di esecuzione dell’ordinanza di demolizione (momentaneamente sospesa) o quello di acquisizione gratuita dell’immobile possono riprendere il loro corso.
Più in particolare, infatti, l’art. 37, comma 4, del D.P.R. n. 380 del 2001 contempla la SCIA in sanatoria a intervento concluso, che prevede che il responsabile dell'abuso o il proprietario dell'immobile possano ottenere la sanatoria dell'intervento ove sussista la doppia conformità (l'intervento realizzato deve risultare conforme tanto alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione dell'intervento, quanto a quella vigente alla presentazione della domanda), versando una somma il cui valore è stabilito dal responsabile del procedimento (non superiore a 5.164 euro e non inferiore a 516 euro).
Tuttavia, a differenza di quanto previsto per l'accertamento di conformità di cui all'art. 36, D.P.R. n. 380 del 2001 per il quale, in caso inerzia a seguito della presentazione della domanda, è la stessa norma che qualifica espressamente l'eventuale silenzio dell'amministrazione come diniego, l'art. 37, D.P.R. n. 380 del 2001 nulla dispone sul punto.
In assenza di un chiaro dato normativo, la giurisprudenza ha adottato orientamenti non sempre univoci.
Secondo un primo filone giurisprudenziale il silenzio sull'istanza di sanatoria di cui agli artt. 36 e 37, comma 4, D.P.R. n. 380 del 2001 sarebbe da qualificarsi come silenzio rigetto.
Pertanto, anche qualora la procedura dell’accertamento di conformità sia esperita in relazione a un intervento edilizio oggetto di SCIA, opererebbe il meccanismo del silenzio-rigetto previsto dall'art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001 (T.A.R. Milano, Sez. I, 21.3.2017, n.676; TAR Campania, Sez. III, 18.5.2020, n.1824; T.A.R. Campania, Sez. II, 10.6.2019, n.3146), con il relativo onere di impugnazione, da parte del privato interessato, qualora, a fronte del decorso del termine, non vi sia una pronuncia espressa della P.A. procedente, onde evitare il consolidamento della posizione lesiva a proprio sfavore.
Un altro orientamento è nel senso di ritenere che il silenzio della PA debba qualificarsi come assenso (T.A.R. Campania, Salerno, sentenza n. 809/2022).
Il Collegio, tuttavia, ritiene di aderire a un diverso orientamento secondo cui il procedimento può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento (T.A.R. Campania Salerno Sez. III, 14-10-2022, n. 2673; TAR Salerno, Sez. II, 23.8.2019, n.1480; TAR Napoli, Sez. III, 23.5.2019, n. 2755).
Innanzitutto, infatti, l'art. 37 non prevede esplicitamente un'ipotesi di silenzio significativo, a differenza dell'art. 36 del medesimo D.P.R. n. 380 del 2001, ma al contrario stabilisce che il procedimento si chiuda con un provvedimento espresso, con applicazione e relativa quantificazione della sanzione pecuniaria a cura del responsabile del procedimento.
Dalla lettura della norma emerge che la definizione della procedura di sanatoria non può prescindere dall'intervento del responsabile del procedimento competente a determinare, in caso di esito favorevole, il quantum della somma dovuta sulla base della valutazione dell'aumento di valore dell'immobile compiuta dall'Agenzia del Territorio (T.A.R. Campania Salerno Sez. III, 14-10-2022, n. 2673; T.A.R. Roma, Sez. II quater, 9.4.2020, n. 3851).
Al tempo stesso la soluzione appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell’amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio.
Ne deriva che il Comune deve pronunciarsi, con un provvedimento espresso, sulla SCIA in sanatoria, previa verifica dei relativi presupposti di natura urbanistico-edilizia di cui al citato art. 37 D.P.R. n. 380 del 2001(T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 23/05/2019, n.2755; sez. II, 23/04/2019, n.2233).
Nel caso in esame, quindi, una volta presentata la SCIA in sanatoria, l’appellante non era onerato di alcuna impugnativa e poteva attendere gli esiti e, in particolare, la valutazione dell’Amministrazione sull’esistenza dei presupposti per la sanatoria o, eventualmente, l’esercizio del potere inibitorio o repressivo, qualora la stessa avesse ritenuto di applicare la disciplina della SCIA ordinaria.
In difetto deve applicarsi il principio secondo cui in pendenza di un'istanza volta alla sanatoria di abusi edilizi determina la temporanea inefficacia ed ineseguibilità dell'ordinanza di demolizione, fino all'adozione di un provvedimento, espresso o tacito, sulla predetta istanza.
In pendenza della domanda di sanatoria non può, quindi, essere eseguito l’ordine di demolizione, che resta sospeso, né a maggior ragione può disporsi l’acquisizione dell’opera abusiva.
Quest’ultima potrà essere disposta solo nell’eventualità del rigetto dell’istanza, senza necessità dell’adozione di una nuova ordinanza di demolizione.
Quanto alle ragioni di inidoneità della SCIA per la sua incompletezza o per l’assenza dei presupposti sostanziali per la sanatoria, dedotte dalla controinteressata, le stesse debbano infatti essere vagliate dall’Amministrazione, e per essa eventualmente dal Commissario ad acta, con una espressa pronuncia sul punto e non possono essere fatti valere direttamente in sede di giudizio di opposizione, che peraltro ha un oggetto del tutto diverso dagli effetti e valenza della presentata SCIA in sanatoria.
4) Per quanto indicato l’appello deve essere accolto, nei termini e limiti di cui in motivazione.
Le specifiche circostanze inerenti al ricorso in esame costituiscono elementi che militano per l’applicazione dell’art. 92 c.p.c., come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a. e depongono per la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini e limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, accoglie il reclamo avverso l’atto del Commissario ad acta annullandolo in parte qua.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 gennaio 2023 con l'intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Francesco Frigida, Consigliere
Maria Stella Boscarino, Consigliere
Fabrizio D'Alessandri, Consigliere, Estensore
Ugo De Carlo, Consigliere