Consiglio di Stato Sez. III n. 8764 del 4 novembre 2024
Urbanistica.Titoli abilitativi e poteri delle regioni

La materia urbanistica, in cui è compresa anche quella relativa ai titoli abilitativi ad edificare (cfr. Corte cost. 25 settembre 2003, n. 303), rientra nella materia della legislazione concorrente ex art. 117, comma 3, della costituzione. L’art. 2 del d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380 stabilisce infatti che «1. Le regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico. … 4. I comuni, nell'ambito della propria autonomia statutaria e normativa di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, disciplinano l'attività edilizia». Il successivo art. 10, comma 1, individua e suddivide in quattro categorie gli interventi che, in quanto idonei a determinare una trasformazione del territorio comunale dal punto di vista urbanistico ed edilizio, richiedono il previo rilascio del permesso di costruire, avendo cura di precisare, nei successivi commi 2 e 3, che le regioni hanno la possibilità di stabilire con proprie leggi, nell’esercizio della potestà legislativa concorrente ad esse riconosciuta dall’art. 117 cost. nella funzione di governo del territorio, e con il solo limite del rispetto dei principi fondamentali riservati alla legislazione statale: a) quali mutamenti dell’uso di immobili o di loro parti, connessi o no a trasformazioni fisiche, e quindi influenti solo sulla destinazione d’uso degli stessi, sono subordinati a permesso di costruire ovvero a denuncia di inizio di attività; b) quali interventi, ulteriori a quelli già elencati nel precedente comma 1, possono essere sottoposti al previo rilascio del permesso di costruire in ragione della loro incidenza sul territorio e sul carico urbanistico. 

Pubblicato il 04/11/2024

N. 08764/2024REG.PROV.COLL.

N. 01751/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1751 del 2021, proposto da:
Scatena Claudio, rappresentato e difeso dall'avvocato Cino Benelli, con domicilio digitale pec in registri di giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, corso Italia, 24;

contro

Comune di Vigevano, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Maurizio Parlato, con domicilio digitale pec in registri di giustizia;

nei confronti

Caresana Michela, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione seconda, n. 1451/2020.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del comune di Vigevano;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4 bis, cod. proc. amm.;

Relatore il Cons. Laura Marzano;

Uditi, all'udienza straordinaria del giorno 23 ottobre 2024 in collegamento da remoto, i difensori delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’appellante ha impugnato la sentenza n. 1451 del 27 luglio 2020 con cui il Tar Lombardia ha respinto il ricorso proposto per l’annullamento dell’ordinanza a firma del Dirigente del settore servizi tecnici del territorio - Servizio edilizia privata della città di Vigevano n. 43/2019, recante l’ordine di demolizione di opere abusive realizzate in Vigevano, nel locale di corso Brodolini n. 87.

Il comune appellato si è costituito nel presente grado di giudizio depositando memoria con cui ha chiesto la reiezione dell’appello.

In vista della trattazione le parti hanno depositato memorie conclusive e repliche e all’udienza straordinaria del 23 ottobre 2024, celebrata in collegamento da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione.

2. Il signor Claudio Scatena esercita attività di raccolta delle scommesse per conto del concessionario dello Stato Eurobet Italia s.r.l. in virtù di autorizzazione rilasciata dalla questura di Pavia, presso i locali siti in Vigevano al corso Brodolini n. 87 dei quali egli ha la disponibilità in forza di contratto di locazione commerciale stipulato con la signora Michela Caresana in data 15 marzo 2016. Tale attività è svolta senza uso degli apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico di pubblica sicurezza.

Con provvedimento dirigenziale n. 43/2019, emesso ai sensi dell’art. 31 d.p.r. n. 380/2001, il comune ha ordinato all’appellante (conduttore) e alla proprietaria dei locali, sotto comminatoria delle sanzioni edilizie ivi contemplate, di provvedere, a propria cura e spese, alla demolizione e rimozione delle opere abusive e al ripristino dello stato originario dei luoghi, entro il termine perentorio di novanta giorni.

Le opere abusive riscontrate sono le seguenti: - realizzazione di una “tramezza interna munita di sportelli di sicurezza con vetri blindati a divisorio della sala aperta al pubblico dall'ufficio riservato al personale di servizio e contenente computer e altre apparecchiature elettroniche”; - “tamponamento di una preesistente porta che mette in comunicazione l'unità immobiliare con una limitrofa unità immobiliare di superficie minore internamente al fabbricato”; - “cambio di destinazione d’uso dei vani da commerciale (esercizio di vicinato) a sala scommesse (funzioni terziarie U3/7 con carico urbanistico alto) eliminando ogni possibilità d’uso delle apparecchiature presenti nei locali al fine di accedere a scommesse di qualsiasi tipo nello stabile”.

Il Tar Lombardia, dinanzi al quale detto provvedimento è stato impugnato, ha respinto il ricorso in sintesi osservando:

- che la legislazione regionale è chiara nel richiedere il permesso di costruire per gli interventi finalizzati alla realizzazione o all’ampliamento di sale giochi, sale scommesse e sale bingo (articolo 34, comma 1, lettera c), della l.r. n. 12/2005) e che la normativa operante ratione temporis richiede il permesso di costruire altresì per i mutamenti di destinazione d’uso di immobili, “anche non comportanti la realizzazione di opere edilizie, finalizzati alla realizzazione o all'ampliamento di sale giochi, sale scommesse e sale bingo” (articolo 52, comma 3 ter, della l.r. n. 12/2005);

- che la disciplina in esame sottopone a permesso di costruire non solo gli interventi di nuova costruzione dei locali destinati a sale da gioco e per la raccolta di scommesse, ma anche tutti quelli di recupero (manutenzione ordinaria, straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia ecc.) degli immobili in cui sia già presente tale destinazione d'uso, nonché il mutamento di destinazione d'uso da qualunque funzione a quella di sala da gioco e/o per la raccolta di scommesse, con o senza opere edilizie, con la conseguenza che le opere indicate nell’ordinanza devono ritenersi correttamente prive di titolo edilizio, non potendo a tale mancanza sopperire la comunicazione di inizio lavori asseverata (Cila) in sanatoria depositata dalla proprietaria atteso che tale comunicazione non è un titolo edilizio e, comunque, non è il titolo richiesto per la tipologia di interventi in esame;

- che la realizzazione di una sala scommesse determina un aumento del carico urbanistico il quale non si realizza solo in caso di modifica della destinazione funzionale dell’immobile, ben potendo accadere che, come nel caso in esame, esso si determini anche qualora la destinazione non venga mutata, essendo a tal fine esclusivamente rilevante la circostanza che le opere si prestino a rendere la struttura un polo di attrazione per un maggior numero di persone, con conseguente necessità di più intenso utilizzo delle urbanizzazioni esistenti;

- che il tema del cambio di destinazione deve esaminarsi esclusivamente da un punto di vista urbanistico, rispetto al quale sono estranee normative di altri settori, quale quella riguardante le distanze dai luoghi sensibili o la previsione di cui all’articolo 1, comma 2, lettera e), del decreto interdirettoriale del 27 ottobre 2003 che sono, quindi, irrilevanti ai fini del decidere;

- che non è rilevante il richiamo all’affidamento dell’operatore economico e alla libertà di iniziativa economica sia perché la legislazione regionale è anteriore all’epoca di realizzazione degli interventi, sicchè non può essersi determinato alcun affidamento sulla legittimità degli stessi, sia perché la disposizione di cui all’articolo 41 della costituzione prevede che la stessa non possa, comunque, svolgersi in contrasto l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana laddove, invece, le attività di raccolte delle scommesse presentano aspetti di delicatezza come conferma la necessità di una previa autorizzazione da parte della questura;

- che, pertanto, risulta ragionevole l’imposizione di un controllo anche urbanistico da parte dell’autorità deputata allo svolgimento di tali funzioni, né da tale soluzione può deflettersi in ragione della rimarcata differenza tra sale gioco e sale scommesse, che non rileva a questi fini.

3. Ritenendo errata la sentenza l’appellante l’ha impugnata formulando i seguenti motivi.

I) Con il primo motivo, rubricato “illegittimità del capo 8 della sentenza appellata” l’appellante sostiene che non sarebbe consentito al legislatore regionale di imporre il rilascio del permesso di costruire per qualsiasi intervento (ivi compresi quelli di manutenzione) ovvero di mutamento di destinazione d’uso (anche senza opere edilizie), solo perché finalizzato alla realizzazione di una sala scommesse. A differenza di quanto affermato dal Tar, non sarebbe necessario il permesso di costruire per realizzare le opere in contestazione, che non avrebbero determinato la realizzazione o l’ampliamento di una sala scommesse, esaurendosi in una semplice attività di manutenzione non finalizzata alla “realizzazione o all’ampliamento” dell’esercizio di scommesse ed al più posti in essere allo scopo di rendere più agevole e funzionale l’erogazione in situ dei relativi servizi di prenotazione.

Quindi, a parere dell’appellante, la comunicazione di inizio lavori asseverata (Cila) presentata dalla signora Caresana, proprietaria dei locali in questione, in coerenza con il disposto di cui all’art. 6 bis d.p.r. n. 380/2001, sarebbe stata sufficiente.

Il Tar avrebbe errato laddove ha ritenuto che vi sia stato un cambio destinazione d’uso perfino “qualora la destinazione non venga mutata, essendo a tal fine esclusivamente rilevante la circostanza che le opere si prestino a rendere la struttura un polo di attrazione per un maggior numero di persone”.

Secondo la normativa applicabile ratione temporis, l’attività di raccolta delle scommesse non sarebbe parificabile a quella di sala giochi non soltanto sotto il profilo il profilo sanitario, ovverosia connesso alle verifiche distanziali di cui alla legge regionale n. 8/2013, ma anche sotto quello strettamente urbanistico.

L’appellante contesta il “preteso mutamento di destinazione d’uso”. Osserva come, secondo il piano di governo del territorio del comune di Vigevano, l’immobile di cui è conduttore è ubicato nella “Città consolidata” e, precisamente, nel c.d. “Tessuto aperto a medio - alta densità”. A norma delle previsioni di cui all’articolo 32.05 delle norme tecniche di attuazione del piano delle regole del PGT comunale in tale ambito sono escluse le “funzioni terziarie con Cu A” (funzioni con carico urbanistico alto). Tra queste il glossario del piano di governo del territorio annovera le “U3/7” che comprendono soltanto le “sale gioco”.

Secondo l’appellante, poichè egli esercita la raccolta di scommesse svolta senza uso degli apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico di pubblica sicurezza, l’attività non sarebbe assimilabile alle sale gioco che, diversamente dai locali di raccolta delle scommesse, richiamano un notevole numero di persone determinando carico urbanistico.

Ricorda la nozione di cambio di destinazione d’uso, come cambio fra diverse categorie funzionali e ribadisce che, nel caso di specie, non sussisterebbe il contestato mutamento, essendo rimasta la destinazione “commerciale”.

II) Con il secondo motivo l’appellante ripropone la questione di legittimità costituzionale degli artt. 33, comma 3 ter, e 52, comma 3 ter, della legge regionale n. 12/2005 per contrasto con gli artt. 3 e 97 della costituzione.

Contesta l’affermazione del Tar secondo cui l’intervento legislativo non è finalizzato ad affrontare il tema della c.d. ludopatia ma, più in generale, ad allestire un meccanismo autorizzativo degli interventi che generano maggior carico urbanistico e che involgono tematiche anche di sicurezza pubblica essendo, a suo dire, tale assunto smentito dal fatto che la legge regionale sarebbe contestualmente intervenuta su entrambi gli ambiti considerati (salute ed edilizia) in un’ottica di prevenzione del fenomeno della ludopatia.

Pertanto sarebbe irragionevole e sproporzionata la disciplina introdotta con la legge regionale n. 11 del 2015, che avrebbe aggravato notevolmente i procedimenti edilizi, richiedendo di munirsi sempre del previo permesso di costruire per qualsiasi opera o intervento inerente centri di prenotazione di scommesse (ippiche e sportive), anche in mancanza di installazione di apparecchi da gioco d’azzardo lecito di cui all’art. 110, comma 6 t.u.l.p.s.

Qualora le verifiche distanziali non siano prescritte dalla normativa regionale (come nel caso di specie), non avrebbe alcun senso richiedere il preventivo rilascio del permesso di costruire per la realizzazione di qualsivoglia intervento edilizio o di mutamento di destinazione d’uso.

III) Con il terzo motivo l’appellante sostiene che la documentazione prodotta in giudizio dal comune non dimostrerebbe che le suddette opere siano state realizzate in epoca successiva al 23 maggio 2015, dando soltanto conto del momento a partire dal quale il signor Scatena ha acquisito la disponibilità dei locali in questione. Pertanto, in via istruttoria, chiede che venga ordinata l’esibizione della pratica edilizia nella sua integralità, non potendosi apprezzare la richiesta come meramente esplorativa, come affermato dal Tar.

4. L’appello, i cui motivi possono essere scrutinati in modo unitario presentando argomentazioni fra loro correlate, è infondato.

4.1. L’appellante innanzitutto denuncia che la normativa regionale applicabile ratione temporis, richiedendo il permesso di costruire anche per i mutamenti di destinazione d’uso di immobili, «anche non comportanti la realizzazione di opere edilizie, finalizzati alla realizzazione o all'ampliamento di sale giochi, sale scommesse e sale bingo» (articolo 52, comma 3 ter, della legge regionale n. 12 del 2005), illegittimamente interpreterebbe estensivamente o analogicamente disposizioni normative che presentano carattere eccezionale e derogatorio rispetto a quanto previsto dal d.p.r. n. 380/2001 e ai princìpi fondamentali da esso discendenti.

Aggiunge che il legislatore regionale non potrebbe imporre il rilascio del previo permesso di costruire per qualunque intervento (ivi compresi quelli di manutenzione) ovvero di mutamento di destinazione d’uso (anche senza opere edilizie). Richiama, in proposito, alcune sentenze della Corte costituzionale che escluderebbero tale possibilità.

4.2. Le censure che precedono non sono fondate.

La materia urbanistica, in cui è compresa anche quella relativa ai titoli abilitativi ad edificare (cfr. Corte cost. 25 settembre 2003, n. 303), rientra nella materia della legislazione concorrente ex art. 117, comma 3, della costituzione. L’art. 2 del d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380 stabilisce infatti che «1. Le regioni esercitano la potestà legislativa concorrente in materia edilizia nel rispetto dei principi fondamentali della legislazione statale desumibili dalle disposizioni contenute nel testo unico. … 4. I comuni, nell'ambito della propria autonomia statutaria e normativa di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, disciplinano l'attività edilizia».

Il successivo art. 10, comma 1, individua e suddivide in quattro categorie gli interventi che, in quanto idonei a determinare una trasformazione del territorio comunale dal punto di vista urbanistico ed edilizio, richiedono il previo rilascio del permesso di costruire, avendo cura di precisare, nei successivi commi 2 e 3, che le regioni hanno la possibilità di stabilire con proprie leggi, nell’esercizio della potestà legislativa concorrente ad esse riconosciuta dall’art. 117 cost. nella funzione di governo del territorio, e con il solo limite del rispetto dei principi fondamentali riservati alla legislazione statale: a) quali mutamenti dell’uso di immobili o di loro parti, connessi o no a trasformazioni fisiche, e quindi influenti solo sulla destinazione d’uso degli stessi, sono subordinati a permesso di costruire ovvero a denuncia di inizio di attività; b) quali interventi, ulteriori a quelli già elencati nel precedente comma 1, possono essere sottoposti al previo rilascio del permesso di costruire in ragione della loro incidenza sul territorio e sul carico urbanistico.

4.3. Nel caso di specie la legge regionale della Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, è intervenuta in materia; la disciplina speciale introdotta dall’art. 33, comma 3 ter (nella formulazione vigente all’epoca del provvedimento impugnato, il cui contenuto è oggi integralmente riprodotto nell’art. 34 della stessa legge) e dall’art. 52, comma 3 ter, della l.r. e s.m. e i. persegue il fine di realizzare un controllo più stringente da parte delle amministrazioni comunali sugli immobili in cui siano eseguiti interventi (con o senza opere edilizie), anche comportanti mutamenti di destinazione d'uso, per realizzare sia sale da gioco sia sale per la raccolta di scommesse.

Dunque, come è stato di recente affermato, è la stessa legislazione statale e, in particolare, l’art. 10, commi 2 e 3, del d.p.r. 380 del 2001 ad attribuire alle regioni il potere di stabilire quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a segnalazione certificata di inizio attività, nonché il potere di individuare con legge ulteriori interventi che, in relazione all’incidenza sul territorio e sul carico urbanistico, sono sottoposti al preventivo rilascio del permesso di costruire (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 27 giugno 2023, n. 6282).

4.4. Né le disposizioni regionali in rassegna presentano i prospettati profili di contrarietà alla costituzione.

Invero l’appellante, nel richiamare un passaggio della sentenza della Corte costituzionale n. 282 del 2016, lo trascrive solo nella parte in cui il giudice delle leggi afferma che non è pensabile che il legislatore statale abbia reso cedevole l’intera disciplina dei titoli edilizi, «spogliandosi del compito, proprio del legislatore dei principi fondamentali della materia, di determinare quali trasformazioni del territorio siano così significative, da soggiacere comunque a permesso di costruire».

Osserva il Collegio che la decisione in rassegna, che riporta testualmente principi espressi nella sentenza n. 139 del 2013, prosegue affermando che «Lo spazio attribuito alla legge regionale si deve quindi sviluppare secondo scelte coerenti con le ragioni giustificatrici che sorreggono, secondo le previsioni dell’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, le specifiche ipotesi di sottrazione al titolo abilitativo». Pertanto, secondo la Corte «Il limite assegnato al legislatore regionale dall’art. 6, comma 6, lettera a), del d.P.R. n. 380 del 2001 sta, dunque, nella possibilità di estendere «i casi di attività edilizia libera ad ipotesi non integralmente nuove, ma "ulteriori”, ovvero coerenti e logicamente assimilabili agli interventi di cui ai commi 1 e 2 del medesimo art. 6» (citando ancora la sentenza n. 139 del 2013).

A seguire quindi la Corte, chiamata a vagliare la legittimità costituzionale di una norma della regione Marche che “riduce” l’ambito di applicabilità del permesso di costruire rispetto alla legge statale, afferma: «Su queste basi, va dunque verificato se, in relazione a ciascuna delle categorie di opere incluse ‒ dalle censurate lettere dell’art. 4, comma 1, della legge reg. Marche n. 17 del 2015 ‒ tra gli interventi edilizi eseguibili senza necessità di titolo abilitativo, il legislatore regionale si sia mantenuto nei limiti di quanto gli è consentito».

Dunque, dalla lettura dell’intero snodo motivazionale riportato solo in parte dall’appellante, emerge un significato diametralmente opposto a quello dallo stesso propugnato.

In altri termini, laddove la Corte afferma che il legislatore statale non ha reso cedevole l’intera disciplina dei titoli edilizi, spogliandosi del compito, proprio del legislatore dei principi fondamentali della materia, di determinare quali trasformazioni del territorio siano così significative, da soggiacere comunque a permesso di costruire, in realtà ribadisce che il legislatore regionale può “ampliare” ma non “ridurre” il novero di ipotesi per le quali la normativa statale richiede il preventivo rilascio del permesso di costruire.

Ne discende che non risulta fondata la prospettata questione di costituzionalità della suindicata normativa della regione Lombardia.

Pertanto la sentenza impugnata va confermata laddove ha ritenuto legittima e pacificamente applicabile al caso di specie la disposizione di legge regionale che richiede il permesso di costruire sia per gli interventi finalizzati alla realizzazione o all’ampliamento di sale giochi, sale scommesse e sale bingo, sia (nel testo vigente ratione temporis), per i mutamenti di destinazione d’uso di immobili, «anche non comportanti la realizzazione di opere edilizie, finalizzati alla realizzazione o all'ampliamento di sale giochi, sale scommesse e sale bingo» (articolo 52, comma 3 ter, della l.r. n. 12/2005).

4.5. Correttamente il Tar ha condiviso la posizione del comune, peraltro conforme alla normativa regionale in rassegna, per cui la realizzazione di una sala scommesse determina aumento del carico urbanistico, osservando che tale aumento si realizza non solo in caso di modifica della destinazione funzionale dell’immobile ma anche qualora, pur non mutandosi la destinazione, tuttavia le opere si prestino a rendere la struttura un polo di attrazione per un maggior numero di persone con conseguente necessità di più intenso utilizzo delle urbanizzazioni esistenti.

Ne discende che non è pertinente il riferimento alla definizione di cambio di destinazione d’uso come passaggio fra diverse categorie funzionali.

Parimenti condivisibile è l’affermazione contenuta in sentenza secondo cui, nel caso di specie, non è neanche ravvisabile un vulnus alla libertà di iniziativa economica, dal momento che la disposizione di cui all’articolo 41 della costituzione prevede che la stessa non possa, comunque, svolgersi in contrasto l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.

La finalità della legge regionale citata è, quantunque sullo sfondo, anche quella di porre attenzione al fenomeno della ludopatia e non vi è dubbio che le attività di raccolta delle scommesse, a prescindere dalla distinzione fra sala scommesse e sala gioco, presentino aspetti di delicatezza come conferma la necessità di una previa autorizzazione da parte della questura.

Quindi appare ragionevole l’imposizione di un controllo anche urbanistico da parte dell’Autorità deputata allo svolgimento di tali funzioni.

4.6. L’appellante sostiene inoltre che la destinazione sarebbe stata in origine commerciale e che tale sia rimasta anche dopo i contestati lavori, ossia una destinazione che potrebbe essere inclusa nel tessuto di zona.

Si tratta di una prospettazione smentita dalla documentazione in atti e dalle stesse affermazioni dell’appellante.

Come correttamente evidenziato nella sentenza impugnata, i locali dell’immobile ove viene svolta l’attività sono in possesso del ricorrente a far data dal 15 marzo 2016, come emerge dal contratto di locazione tra il signor Scatena e la signora Caresana, proprietaria dell’immobile.

Prima di tale data nell’immobile era, invece, svolta un’attività di vendita e noleggio di videocassette, dischi e relativi accessori, denominata “VideoSimpatia Grande Distribuzione S.r.l.”, insediatasi fin dal 1998.

Inoltre dalla visura camerale depositata dal comune di Vigevano risulta che l’impresa dell’appellante ha trasferito la sede in data 6 maggio 2016.

Quindi è pacifico che l’appellante ha iniziato la propria attività nell’immobile di Vigevano in data successiva all’entrata in vigore della disposizione di legge regionale innanzi citata e che, quindi, a tale disposizione era necessario attenersi al fine di individuare il titolo abilitativo richiesto per l’esecuzione dei lavori di che trattasi.

Ciò posto, premesso che l’appellante non contesta la “descrizione” dei lavori bensì la loro qualificazione, lamentando che il Tar non si sarebbe soffermato su tale profilo, va osservato che nella sentenza impugnata, al contrario, si afferma che gli interventi in questione non risultano assistiti da alcun titolo edilizio.

Infatti la segnalazione certificata di inizio attività (Scia) prot. gen. 19677, invocata dall’appellante, presentata allo sportello unico dell’edilizia del comune di Vigevano in data 31 marzo 2016 dalla sig.ra Caresana Michela, riguarda interventi diversi e, in particolare, opere di manutenzione straordinaria nelle unità immobiliari consistenti: a) nella demolizione di tavolati per realizzare un ambiente unico; b) nella realizzazione di nuove pareti divisorie in cartongesso per ampliamento bagno e relativo disimpegno (asporto dei sanitari e delle tubazioni esistenti, della pavimentazione e dei rivestimenti ceramici esistenti, successiva realizzazione di nuovo impianto di distribuzione, pavimenti e rivestimenti, sanitari); c) nell’asporto di pavimentazione esistente e nuova pavimentazione in piastrelle di ceramica su tutto il locale; d) negli adeguamenti all’impianto elettrico per le modifiche in progetto.

Emerge dalla stessa descrizione innanzi riportata come si tratti di interventi diversi rispetto a quelli accertati dalla polizia municipale, fatti oggetto dell’ordinanza impugnata in primo grado.

Né i lavori in questione possono ritenersi assistiti dalla Cila in sanatoria depositata dalla proprietaria atteso che tale comunicazione non è un titolo edilizio e, comunque, non è il titolo richiesto per la tipologia di interventi in esame.

4.7. Va, dunque, condivisa la sentenza impugnata laddove osserva che, incrociando le date del contratto di locazione e del trasferimento di sede con l’indicazione dei lavori assistiti dalla citata Scia, risulta chiaro che i lavori per cui è causa siano stati realizzati dall’appellante in assenza di titolo con la conseguenza dell’inutilità di acquisire copia integrale della documentazione relativa alla suddetta Scia richiesta in via istruttoria.

D’altra parte il Tar ha anche posto in luce come, nonostante con l’ordinanza cautelare n. 704/2019 fosse stata sospesa l’efficacia dei provvedimenti impugnati anche tenuto conto della possibilità di presentare una richiesta di titolo in conformità, tale opzione non è stata coltivata dalla parte ricorrente.

4.8. Osserva, poi, il Collegio come l’ordinanza impugnata in primo grado abbia essenzialmente contestato che i descritti lavori sono stati realizzati senza titolo abilitativo in un'area ubicata all’interno del perimetro della zona di iniziativa comunale orientata (IC) con destinazione urbanistica “Tessuti della città consolidata" "Tessuto aperto a medio-alta densità", di cui all’art. 32 delle Norme di attuazione del Piano delle Regole del PGT vigente, sicchè gli stessi sono stati realizzati in violazione dell’art. 52, comma 3 ter, della l.r. n. 12/05 che prevede che siano assoggettati a permesso di costruire i mutamenti di destinazione d’uso finalizzati alla realizzazione o all'ampliamento di sale giochi, sale scommesse e sale bingo, nonché dell’art 31 del d.p.r. n. 380/01.

L’ulteriore questione della incompatibilità della destinazione impressa con la zona urbanistica vigente è una motivazione ulteriore che, quand’anche non fosse corretta, come sostiene l’appellante, non inciderebbe sulla legittimità del provvedimento impugnato che, in quanto plurimotivato, è sorretto anche dalla motivazione di cui è stata acclarata la legittimità.

4.9. Per analoghe ragioni sono irrilevanti le argomentazioni con le quali l’appellante censura la sentenza nella parte in cui afferma che il tema in esame deve essere esaminato esclusivamente da un punto di vista urbanistico con conseguente estraneità all’aspetto in analisi di normative dettate ad altri fini, quali la tematica delle distanze dai luoghi sensibili o la previsione di cui all’articolo 1, comma 2, lettera e), del Decreto interdirettoriale del 27 ottobre 2003.

Condivisibilmente la sentenza ha evidenziato che l’aspetto rilevante e dirimente nella vicenda in esame è quello edilizio urbanistico e che, sotto tale profilo, l’ordinanza comunale e, prima ancora la normativa regionale, risultano immuni da vizi.

Conclusivamente per quanto precede l’appello deve essere respinto.

5. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante alla rifusione, in favore del comune di Vigevano, di spese e competenza del presente grado di giudizio che liquida in € 4.000,00 (quattromila) oltre oneri di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in collegamento da remoto, nella camera di consiglio del giorno 23 ottobre 2024, con l'intervento dei magistrati:

Fabio Franconiero, Presidente FF

Davide Ponte, Consigliere

Sergio Zeuli, Consigliere

Carmelina Addesso, Consigliere

Laura Marzano, Consigliere, Estensore