Consiglio di Stato Sez. II n, 8778 del 14 ottobre 2022
Urbanistica.Valutazione unitaria dell'intervento edilizio
Nel verificare l’unitarietà o la pluralità degli interventi edilizi, non può tenersi conto del solo profilo strutturale, afferente alle tecniche costruttive del singolo manufatto, ma deve prendersi in esame anche l’elemento funzionale, al fine di verificare se le varie opere, pur strutturalmente separate, siano, tuttavia, strumentali al perseguimento del medesimo scopo pratico. Qualora infatti su uno stesso terreno risultino realizzati interventi dotati di una sicura autonomia strutturale (perché separati e relativamente distanziati uno dall’altro) e funzionale (es. abitazione e distinta autorimessa), la valutazione di unitarietà dell’intervento non può operare sull’intero ma va effettuata separatamente
Pubblicato il 14/10/2022
N. 08778/2022REG.PROV.COLL.
N. 02849/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2849 del 2022, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Carlo Catarisano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Milano, via G.B. Bazzoni n. 2;
contro
Comune di -OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Raffaella Chiummiento, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, via Salaria, 103;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione Seconda, n. -OMISSIS-, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 settembre 2022 il Cons. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le parti gli avvocati Carlo Catarisano e Raffaella Chiummiento;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Parte appellante impugna la sentenza del T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, n. -OMISSIS-.
In particolare, il Comune di -OMISSIS- ha notificato all’odierno appellante l’ordinanza di demolizione n. 4 dell’11 gennaio 2021, con cui ha ordinato il ripristino dello stato dei luoghi mediante la rimozione delle seguenti opere realizzate in assenza di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica:
“- Ampliamento dell’edificio al piano terra di circa mt. 5,93 x 5,80 attualmente destinato a soggiorno;
- Portico esistente, costituito da pilastro in muratura e sovrastante copertura in legno e coppi, di dimensioni di mt. 2,75 x 1,70 circa anziché 6,36 x 6,01 come autorizzato da Autorizzazione Edilizia Pg. 28382/836/1997. Le altezze rilevate risultano di mt. 2,61 (h max) e mt. 2,22 (h min) anziché mt 2,80 (h max) e mt. 2,40 (h min) come autorizzate da autorizzazione edilizia Pg. 28382/836/1997;
- autorimessa esterna di dimensioni di mt. 6,04 x 6,12 circa anziché mt. 6,00 x 6,00 come autorizzato con concessione edilizia Pg. 10878/316/1997. Le altezze rilevate risultano di mt. 3,37 (h max) e mt. 2,65 (h min) anziché mt 3,20 (h max) e mt. 2,40 (h min) come autorizzate con concessione edilizia Pg. 10878/316/1997;
- realizzazione di un solaio in legno all’interno dell’autorimessa al fine di creare un “ripostiglio in quota”;
- ampliamento esterno dell’autorimessa di mt. 7,12 x 2,00 per la realizzazione di un locale destinato a ripostiglio con ingresso indipendente;
- realizzazione del tratto terminale della recinzione posta in adiacenza all’autorimessa, costituita in pannelli di metallo anziché in paletti in ferro con rete metallica come autorizzato …”.
L’ordine di demolizione ha tratto origine da un iniziale esposto relativo a irregolarità edilizie sul predetto immobile - un ex molino insistente nell’area del -OMISSIS- - cui facevano seguito una serie di sopralluoghi nel corso degli anni 2019 e 2020, dai quali emergevano le difformità contestate nella predetta ordinanza di demolizione.
L’odierno appellante ha impugnato l’ordine di riduzione in pristino dinanzi al T.A.R. Lombardia che, con la sentenza gravata in questa sede, ha accolto parzialmente il ricorso, limitatamente all’ordine di rimozione della recinzione posta in adiacenza all’autorimessa, rigettandolo per tutto il resto e, in particolare, per quanto riguarda la demolizione delle altre opere.
L’odierno appellante ha gravato la sentenza in questione, nella parte che lo ha visto soccombente, formulando un unico articolato motivo di appello, così rubricato: “I. Sull’erroneità della sentenza impugnata in relazione al punto 6 con cui è stata respinta la censura sulla non abusività degli interventi tali da giustificare in relazione a ciascuno di essi l’adozione dell’ordine di loro demolizione”.
Si è costituito in giudizio il Comune di -OMISSIS-, resistendo all’appello.
All’udienza pubblica del 20 settembre 2022 l’appello è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1) L’appello è infondato.
2) L’appellante ha criticato la sentenza che ha rigettato il ricorso in primo grado.
Quest’ultima ha giustificato il rigetto con la seguente motivazione: “al fine di valutare l'incidenza sull'assetto del territorio di un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere, va compiuto un apprezzamento globale delle opere medesime, atteso che la considerazione “atomistica” dei singoli interventi non consente di comprenderne in modo adeguato l'impatto effettivo; pertanto, i molteplici interventi eseguiti sull’immobile del ricorrente non vanno considerati in maniera “frazionata” e, al contrario, debbono essere vagliati in un quadro di insieme e non segmentato, solo così potendosi comprendere il nesso funzionale che li lega e, in definitiva, l'effettiva portata dell'operazione (cfr., ex plurimis, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 8 maggio 2019, n. 1033). Tale prospettiva unitaria deve dunque essere mantenuta anche nell’analisi della presente fattispecie, senza possibilità di scindere – diversamente da quanto vorrebbe il ricorrente – i singoli interventi.
6.1. Nel dettaglio, dai plurimi rilievi svolti in fase istruttoria dall’amministrazione emerge che l’abitazione è stata effettivamente interessata da un ampliamento laterale dell’immobile.
Dal raffronto della consistenza attuale dell’edificio principale con le mappe catastali di impianto e con l’aerofotogrammetrico del 1982 (tutti allegati al documento 1 dell’amministrazione), si evince – come correttamente rilevato dagli uffici tecnici – che l’ampliamento laterale esterno alla sagoma dell’edificio originario è stato effettuato senza che siano stati reperiti i relativi titoli edilizi.
A nulla rileva poi che l’ampliamento in parola sia stato rappresentato nello stato di fatto dell’autorizzazione edilizia del 1988 relativa ad opere di manutenzione (cfr. docc. nn. 12 e 13 del ricorrente), poiché esso non era comunque oggetto della richiesta di autorizzazione. La mera rappresentazione dell’illecito edilizio nelle pratiche edilizie successive non può infatti comportare la regolarizzazione postuma alla loro esecuzione non potendo surrogare il mancato rilascio del pertinente titolo edilizio.
6.2. Analoghe considerazioni valgono per le opere dell’autorimessa, eseguite in difformità dal titolo edilizio del 12 aprile 1997. Dalla visione del progetto dell’autorimessa approvato dall’amministrazione (prodotto sub doc. 9 dal Comune), nonché dalle foto prodotte agli atti, emerge invece che gli accertamenti del Comune non sono contestabili, così come è stato effettivamente realizzato un ripostiglio in quota.
Inoltre, la struttura adibita a locale ripostiglio esterno all’autorimessa non può essere considerata come un’opera temporanea e amovibile, diversamente da quanto preteso dal ricorrente. Ciò in quanto non rilevano tanto le caratteristiche costruttive dei materiali (nella fattispecie trattasi di manufatto costituito da pareti in legno e copertura non trasparente), quanto piuttosto la stabile destinazione a soddisfare esigenze non contingenti e temporanee. Infatti, il manufatto è sempre stato presente nella medesima consistenza e posizione nel corso delle varie ispezioni eseguite dall’amministrazione. Correttamente, quindi, l’ordine di demolizione ha investito anche tale opera, in linea con quanto ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa che qualifica come “nuova costruzione” le opere, anche su struttura mobile o amovibili, quando queste abbiano una destinazione stabile (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 7 febbraio 2018, n. 354; T.A.R. Liguria, Sez. I, 25 marzo 2019, n. 274), o comunque dimensioni tali da comportare “un'apprezzabile trasformazione del territorio cui si correla la violazione dell'assetto urbanistico e paesaggistico” (cfr. T.A.R. Liguria, Sez. I, 20 gennaio 2021, n. 55; T.A.R. Veneto, Sez. II, 26 novembre 2020, n. 1133; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. III, 3 agosto 2020, n. 2001).
6.3. Fermo restano quanto già precisato in ordine alla necessità di effettuare una considerazione complessiva degli interventi abusivi, parimenti prive di fondamento sono le affermazioni del ricorrente anche per quanto concerne il portico, di cui nell’ordinanza di demolizione si contesta la conformità all’autorizzazione. Come dimostrato dalla difesa comunale, nell’originaria autorizzazione edilizia (cfr. doc. 10 del Comune) lo stesso veniva indicato come “tettoia fatiscente da ricostruire”, senza che fossero indicate dimensioni diverse rispetto a quelle originarie; tuttavia a seguito del sopralluogo, il portico ricostruito è risultato di dimensioni difformi rispetto a quelle dichiarate agli atti comunali. Complessivamente, in ordine a tutti gli aspetti sopra dedotti, l’ordinanza di demolizione è quindi esente dalle lamentate censure”.
3) L’odierno appellante ha rilevato, in sede di critica della decisione gravata, la necessità di procedere a una considerazione analitica dei singoli rilievi contenuti nel provvedimento demolitorio per ciascuna delle differenti opere realizzate, contestando, in estrema sintesi, l’abusività delle stesse.
In particolare, ha dedotto l’erroneità della sentenza sulla questione dell’assenza del titolo abilitativo edilizio per l’ampliamento dell’edificio al piano terra, in quanto lo stesso sarebbe stato realizzato ante 1967 e, comunque, le eventuali difformità sarebbero state sanate da due pratiche edilizie presentate nel 1988 e 1989.
Ha lamentato la non necessità di titolo abilitativo edilizio per le altre opere realizzate, data la loro natura e minima consistenza (il portico e gli interventi sull’autorimessa), e, comunque, il loro rientrare nei margini di tolleranza previsti dalla normativa vigente o, in ogni caso, in quanto non configurabili quali variazioni essenziali ai fini della sanzione demolitoria, sostanzialmente configurandosi, al più, come delle difformità parziali che non avrebbero giustificato l’ordine di rimessione in pristino.
4) Il Collegio rileva, innanzitutto, che l’impugnato ordine di demolizione si presenta come atto plurimotivato incentrato sul doppio profilo, sia edilizio che paesaggistico.
Il primo riguarda l’assenza di un titolo abilitativo edilizio (il permesso di costruire).
Il secondo trova il suo presupposto del carattere vincolato delle aree su cui sono state realizzate le opere, ovverosia sul profilo della violazione della normativa paesaggistica che richiede una specifica autorizzazione per edificare in zona vincolata.
I due profili, per quanto nel caso di specie concorrenti, si presentano come autonomi, nel senso che l’assenza del permesso di costruire e dell’autorizzazione paesaggistica giustificano la riduzione in pristino uno indipendentemente dall’altro.
Per quanto, infatti, l’autorizzazione paesaggistica costituisca presupposto di validità per il titolo abilitativo edilizio, i due provvedimenti e la relativa disciplinano, hanno a oggetto profili diversi che devono essere autonomamente considerati, e in tal senso il provvedimento si presenta plurimotivato.
Al riguardo, parte appellante non ha dedotto alcuna specifica censura, né in primo grado, né in sede di appello, sulla parte del provvedimento che ha rilevato l’intervenuta edificazione in area paesaggisticamente vincolata in assenza di autorizzazione paesaggistica, riservando tutte le censure all’aspetto edilizio, ovverosia alla contestazione dell’assenza del permesso di costruire, della necessità di dotarsi dello stesso o, comunque, dell’illegittimità della sanzione demolitoria considerata la modesta entità delle difformità.
L’appellante nulla ha, invece, formulato alcuna censure in ordine alla presenza del vincolo paesaggistico, all’assenza dell’autorizzazione paesaggistica e all’eventuale irrilevanza di quanto realizzato ai fini dell’applicazione della normativa di tutela e sanzionatoria dell’interesse paesaggistico.
Tale normativa, peraltro, si presenta quale particolarmente stringente nel richiedere una valutazione di compatibilità con i vincoli paesaggistica di qualsiasi esercizio dello ius edificandi, nell’esigere la rimozione di ogni opera realizzata in violazione e nel limitare a casi ristrettissimi la possibilità di operare una sanatoria.
E’ principio consolidato che ai fini della verifica della legittimità del provvedimento amministrativo fondato su una pluralità di motivi autonomi, è sufficiente che almeno uno di essi risulti in grado di sorreggere per intero l'atto stesso; il che si verifica quando anche uno soltanto di essi non forma oggetto di specifica censura.
Sussistendo detta evenienza, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse, atteso che il provvedimento impugnato continuerebbe a produrre i suoi effetti perché mantenuto in vita dal motivo non contestato e da solo sufficiente a giustificare la determinazione in esso convenuta (Cons. Stato, Sez. III, 1.8.2022, n. 6751; Cons. Stato, Sez. V, 11.1.2022, n. 200; Cons. Stato, sez. VI, 7.1.2014, n. 12; 18.5.2012, n. 2894 e 27.4.2015, n. 2123; Cons. Stato, sez. V, 25.2.2015, n. 927).
Per tale motivo l’appello deve essere rigettato.
5) In ogni caso il ricorso è infondato anche nel merito delle censure formulate.
Priva di pregio si presenta la censura, di cui al primo motivo di appello, che critica la sentenza nella parte surriportata in cui ha ritenuto di operare una considerazione unitaria degli abusi rilevati, evitando di operare una “considerazione atomistica”.
Nel caso di specie, secondo l’appellante gli interventi sarebbero dovuti essere singolarmente considerati, in quanto ciascun intervento riguarderebbe specifiche parti dell’immobile che hanno specifiche e autonome funzioni (abitazione, portico e autorimessa e relativi ripostigli), le asserite difformità sarebbero diverse e soggetti a differenti regimi edilizi.
Alcune, infatti, sarebbero più “gravi”, quali gli interventi realizzati senza titolo in ampliamento delle unità esistenti (soggiorno per quanto riguarda l’abitazione e ripostiglio esterno per quanto riguarda l’autorimessa); altri meno “gravi” e soggetti a diversi regimi sanzionatori, quali quelli autorizzati ma realizzati con modalità diverse da quelle del titolo abilitativo (il portico edificato con dimensioni più piccole e l’autorimessa con dimensioni più grandi, rientranti comunque nell’ambito della tolleranza e, quindi, delle difformità non essenziali) o senza una preventiva comunicazione (il ripostiglio in quota e ripostiglio esterno).
In proposito, il Collegio rileva come il principio affermato dal T.A.R. Lombardia, sulla necessità di operare una valutazione unitaria degli abusi edilizi commessi sull’unità immobiliare sia assolutamente consolidato.
Lo stesso è stato affermato, oltre che da moltissime decisioni di primo grado, anche da questo Consiglio e da questa stessa Sezione.
La valutazione dell'abuso edilizio presuppone, infatti, una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate, dovendosi valutare l'insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio e non il singolo intervento (Cons. Stato, Sez. VI, 26.7.2018, n. 4568). Non è dato, infatti, scomporne una parte per negare l'assoggettabilità ad una determinata sanzione demolitoria, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva non da ciascun intervento a sé stante bensì dall'insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni. L'opera edilizia abusiva va infatti identificata con riferimento all'immobile o al complesso immobiliare, essendo irrilevante il frazionamento dei singoli interventi avulsi dalla loro incidenza sul contesto immobiliare unitariamente considerato (Cons. Stato, Sez. VI, 15.2.2021, n. 1350; Cons. Stato, Sez. II, 27.4.2020, n. 2670).
Non si può pretendere di considerare in modo parcellizzato le singole difformità dal permesso di costruire per concludere che ognuna di esse rappresenta una difformità solo parziale dell'immobile assentito rispetto a quello realizzato. Seppure non ogni difformità tra progettato e realizzato può essere valutata come difformità totale, bisogna operare una valutazione complessiva (Cons. Stato, Sez. IV, 13.11.2017, n. 5204).
Il Collegio precisa che nell’applicare tale principio si deve verificare quando si possa ritenere che i diversi abusi riguardino la stessa unità immobiliare oppure unità immobiliari diverse.
Infatti, mentre è indubbio che l’unicità di unità immobiliare è palese qualora i diversi abusi riguardino lo stesso stabile o manufatto (es. lo stesso appartamento, stabile autonomo etc.), più complesso è individuare il concetto di unità immobiliare qualora, come nel caso di specie, gli abusi riguardino più manufatti insistenti nello stesso terreno (interventi effettuati sull’appartamento e sulla separata autorimessa).
I criteri non possono essere che quello fisico di unità strutturale dell’intervento, che insiste sullo stesso manufatto, oppure sia strettamente contiguo, e di identità di funzione.
Secondo giurisprudenza, nel verificare l’unitarietà o la pluralità degli interventi edilizi, non può tenersi conto del solo profilo strutturale, afferente alle tecniche costruttive del singolo manufatto, ma deve prendersi in esame anche l’elemento funzionale, al fine di verificare se le varie opere, pur strutturalmente separate, siano, tuttavia, strumentali al perseguimento del medesimo scopo pratico (Cons. Stato, Sez. VI, 8.2.2022, n. 883; Sez. VI, 8.9.2021, n. 6235; Sez. VI, 1.3.2019, n.1434).
Qualora infatti su uno stesso terreno risultino realizzati interventi dotati di una sicura autonomia strutturale (perché separati e relativamente distanziati uno dall’altro) e funzionale (es. abitazione e distinta autorimessa), la valutazione di unitarietà dell’intervento non può operare sull’intero ma va effettuata separatamente
Nel caso di specie il criterio di unitarietà dell’intervento deve operare separatamente per i due diversi compendi, dell’edificio destinato ad abitazione e della distinta e separata autorimessa.
Nel primo rientra l’ampliamento dell’edificio al piano terra di circa destinato a soggiorno e la difformità del portico, per il quale si applica il principio della valutazione unitaria.
Allo stesso modo tale principio deve essere seguito per tutti gli interventi che hanno interessato l’autorimessa ovverosia la difformità delle dimensioni e delle altezze dell’autorimessa, l’ampliamento esterno, realizzazione di un locale destinato a ripostiglio, e la realizzazione di un solaio in legno all’interno dell’autorimessa.
A riprova dell’applicabilità del principio della valutazione unitaria a seconda dell’autonomia dei manufatti sui cui insistono si pone coerentemente l’accoglimento nella sentenza di primo grado in ordine alla parte dell’ordine di demolizione relativo alla recinzione, che, in forza della sua autonomia strutturale e funzionale rispetto agli altri immobili su cui sono stati realizzati gli abusi, è stata valutata autonomamente.
Per le altre opere, alla luce della necessità di valutare unitariamente gli interventi effettuati sull’immobile destinato ad abitazione su quello inerente all’autorimessa, si deve applicare il regime edilizio sanzionatorio derivante dall’unitarietà delle opere realizzate e non quello astrattamene applicabile per gli interventi atomisticamente valutati. Vengono a cadere, pertanto, tutte le censure inerenti alla supposta irrilevanza delle opere realizzate ai fini della necessità di conseguire il titolo abilitativo edilizio, come pure quelle inerenti al mancato superamento del margine di tolleranza ex art. 34 del d.P.R. n. 380/01, nel testo vigente ratione temporis, e alla non integrazione di difformità essenziali rispetto all’autorizzato.
L’ampliamento del soggiorno e le difformità del portico se unitariamente considerate assumono sicura consistenza in termini di variazioni essenziali che da un lato richiedono il titolo abilitativo edilizio e, comunque, di difformità rispetto all’autorizzato che non rientra in alcun margine di tolleranza e giustificano la sanzione ripristinatoria comminata.
Anche il portico, infatti, considerato unitariamente all’ampliamento del locale soggiorno richiede il permesso di costruire e supera i limiti di tollerabilità, a nulla valendo che, ancorchè difforme dal titolo, lo stesso abbia dimensioni inferiori all’assentito.
Le stesse considerazioni possono essere fatte per gli interventi realizzati sull’autorimessa.
Le discrasie dimensionali dell’autorimessa originaria e la stessa realizzazione del soppalco interno, in quanto devono essere considerate unitariamente con la realizzazione dell’ampliamento esterno dell’autorimessa, che aumenta la consistenza e volumetria dell’intero compendio, necessitava di specifico titolo abilitativo edilizio costituisce variazione essenziale e non rientra entro i margini di tollerabilità. Né è sostenibile il carattere amovibile e precario delle opere, che invero appaiono destinate a una stabile destinazione e non a soddisfare una necessità contingente e non prolungata nel tempo.
Da rigettare sono, inoltre, le censure vote ad affermare che il T.A.R. avrebbe errato nella pronuncia di rigetto, non avendo considerato che l’ampliamento al piano terra dell’abitazione sarebbe preesistente al 1967, ovverosia all’introduzione dell’obbligo di dotarsi di un titolo abilitativo edilizio per l’esercizio dello ius aedificandi.
L’appellante sostiene di essersi limitato a operare il recupero del vano adibito a soggiorno - realizzato nelle attuali dimensioni ante 1967 - da una situazione di sostanziale abbandono e fatiscenza, rispettando però la situazione preesistente, senza perpetrare alcun ampliamento.
Inoltre, eventuali ampliamenti sarebbero stati sanati dalle pratiche edilizie presentate nel 1988 e del 1989 che hanno avuto ad oggetto proprio quella porzione dell’immobile, così da costituirne idoneo titolo abilitativo.
Sul primo punto il Collegio rileva come costituisce principio assolutamente consolidato che in materia edilizia gravi esclusivamente sul privato l'onere della prova in ordine alla data della realizzazione dell'opera edilizia, al fine di poter escludere al riguardo la necessità di rilascio del titolo edilizio per essere stata l'opera medesima realizzata secondo il regime originariamente previsto dall'art. 31 della l.n. 1150 del 1942, ossia prima della novella introdotta dall'art. 10 della c.d. legge ponte n. 765 del 1967.
Ciò discende attualmente dal principio evincibile dagli artt. 63, co. 1, e 64, co. 1, c.p.a., in forza dei quali spetta al ricorrente l'onere della prova in ordine a circostanze che rientrano nella sua disponibilità (Cons. Stato, Sez. VI, 24.5.2022, n. 4115; Cons. Stato, Sez. II, 5.2.2021, n.1109; Cons. Stato, Sez. VI, 2.7.2020, n. 4267).
Nel caso di specie tale onere probatoria non appare essere stato soddisfatto dall’appellante, in quanto dagli atti di causa non emerge con adeguata nitidezza la risalenza delle opere in epoca antecedente al 1967.
Non forniscono elemento di valenza probatoria rilevante in tal senso né la perizia giurata di parte del 5.4.2019 richiamata dall’appellante, né la perizia di analisi, sempre di parte, che non riporta riscontri precisi e certi sulla data di realizzazione ante 1967 degli abusi.
Allo stesso modo tali precisi riscontri non vengono forniti dagli altri documenti forniti dal medesimo appellante, tra i quali la foto aerea dell’Istituto Geografico Militare 10.8.1962, dalla quale non si evince con certezza l’esistenza dell’ampliamento con le dimensioni attuali.
Di contro l’amministrazione ha fornito diversi riscontri documentali di segno contrario, e in particolare, i rilievi fotografici realizzati dalla Regione Lombardia nel 1975 e nel 1982, nei quali l’immobile non presentava l’ampliamento oggetto dell’attuale contenzioso, rispetto ai quali la sentenza gravata ha motivato “dal raffronto della consistenza attuale dell’edificio principale con le mappe catastali di impianto e con l’aerofotogrammetrico del 1982 (tutti allegati al documento 1 dell’amministrazione), si evince – come correttamente rilevato dagli uffici tecnici – che l’ampliamento laterale esterno alla sagoma dell’edificio originario è stato effettuato senza che siano stati reperiti i relativi titoli edilizi”.
Peraltro tale ampliamento non risulta nemmeno dalla mappa catastale d’impianto risalente al 1939, anno in cui venne istituito il Nuovo Catasto Edilizio Urbano (NCEU).
Inoltre, come evidenziato dalla parte resistente, nel Comune di -OMISSIS- l’obbligo di dotarsi di un titolo abilitativo edilizio era vigente già in epoca bene precedente al 1967 e, in particolare, dal 1937.
L’introduzione del regime relativo alla necessità di un titolo abilitativo edilizio per l’esercizio dello ius edificandi è, come è noto, da farsi risalire, in generale, al 1942 per i centri storici con la legge urbanistica e, per tutto il territorio nazionale, al 1967 in seguito all’entrata in vigore della l.n. 765/1967.
Il Comune di -OMISSIS-, già prima del 1942, pur in assenza di una norma primaria che imponesse ai proprietari di munirsi di titolo abilitativo per effettuare interventi edificatori, aveva adottato il Regolamento edilizio approvato con deliberazione comunale del 12.8.1937, n. 9983, ai sensi del quale “Coloro che, nell’ambito del territorio comunale, intendono fare nuove costruzioni, ovvero modificare ed ampliare quelle esistenti, ed anche singole parti di esse, debbono chiedere al Podestà apposita autorizzazione” (art.1).
Il contenuto di tale disposizione è stato poi ulteriormente ribadito nell’art. 4 del regolamento edilizio approvato con delibera di Consiglio comunale 17.3.1948, n. 3851.
Trattandosi, nel caso di specie, di opere di ampliamento (creazione di volumetria) anche l’eventuale effettiva risalenza dell’intervento ad epoca anteriore al 1967, non è idonea a giustificare una censura di illegittimità nei confronti dell’atto demolitorio gravato, in quanto eventualmente si sarebbe dovute dedurre, e dimostrare, la preesistenza dell’ampliamento a un’epoca antecedente all’adozione del suindicato Regolamento.
L’indicata censura deve, quindi, essere rigettata.
6) Quanto alla valenza delle pratiche edilizie in sanatoria del 1988 e del 1989, le stesse non possono aver conseguito alcun effetto sanante sull’ampliamento avendo un oggetto ben diverso.
Le istanze di sanatoria, peraltro, ponendosi in contrasto con il principio generale secondo cui per esercitare lo ius aedificandi è necessario un preventivo titolo abilitativo edilizio, devono avere un oggetto determinato e un contenuto chiaro, non potendosi evincere sanatorie di opere non espressamente dichiarate quale oggetto della domanda e derivate solo in via indiretta o implicita.
Nel caso di specie la pratica edilizia del 1988 riguardava il rifacimento parziale del tetto e del solaio di sottotetto, mentre la pratica del 1989 il rifacimento parziale dei muri perimetrali, ovverosia in sostanza interventi di manutenzione straordinaria, aventi, quindi, un oggetto ben diverso e minoritari rispetto all’ampliamento di superficie e volumetria del locale in questione, che pertanto non può considerarsi in alcun modo sanato.
E’ pur vero, come sostenuto dall’appellante, che il titolo edilizio scaturisce dalla compresenza tanto della descrizione letterale dell’opera, contenuta nel testo della concessione, quanto della sua rappresentazione grafica, ricavabile dalle tavole progettuali. Ciò, tuttavia, deve essere inteso nel senso che la rappresentazione grafica contenuta negli allegati alla richiesta di titolo abilitativo edilizio va a specificare gli estremi del titolo edilizio, ovverosia le effettive dimensioni e modalità realizzative del titolo così come richiesto e autorizzato, ma non può, come sarebbe nel caso di specie, mutare implicitamente l’oggetto del titolo richiesto, da sanatoria di opere di manutenzione straordinaria a intervento di sanatoria di realizzazione di opere di ampliamento di superficie e volumetria.
Le già richiamate perizia di parte anche in questo caso non apporta elementi determinanti in senso contrario.
Ciò, peraltro, in aderenza con quanto indicato dalla sentenza gravata che sul punto ha dedotto “a nulla rileva poi che l’ampliamento in parola sia stato rappresentato nello stato di fatto dell’autorizzazione edilizia del 1988 relativa ad opere di manutenzione, poiché esso non era comunque oggetto della richiesta di autorizzazione. La mera rappresentazione dell’illecito edilizio nelle pratiche successive non può infatti comportare la regolarizzazione postuma alla loro esecuzione non potendo surrogare il mancato rilascio del pertinente titolo edilizio”.
7) Per le suesposte ragioni l’appello va rigettato.
La presente decisione è stata assunta tenendo conto dell’ormai consolidato “principio della ragione più liquida”, corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5.1.2015, n. 5, nonché Cass., Sez. un., 12.12.2014, n. 26242), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22.3.1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16.5.2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 19.1.2022, n. 339), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Le specifiche circostanze inerenti al ricorso in esame costituiscono elementi che militano per l’applicazione dell’art. 92 c.p.c., come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a. e depongono per la compensazione delle spese del grado di giudizio di appello tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Compensa le spese del grado di appello tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 settembre 2022 con l'intervento dei magistrati:
Italo Volpe, Presidente FF
Francesco Frigida, Consigliere
Maria Stella Boscarino, Consigliere
Fabrizio D'Alessandri, Consigliere, Estensore
Stefano Filippini, Consigliere