Consiglio di Stato Sez. VI n. 8653 del 10 ottobre 2022
Urbanistica.Rilascio del titolo edilizio e tutela del confinante

Il vicino controinteressato all'opera edificanda non è un soggetto cui deve essere inviata la comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7, l. n. 241 del 1990; qualora sia richiesto il rilascio di un titolo edilizio, il confinante può intervenire nel procedimento ed eventualmente impugnare il provvedimento finale, ma non ha titolo ad essere avvisato ai sensi del citato art. 7.


Pubblicato il 10/10/2022

N. 08653/2022REG.PROV.COLL.

N. 10941/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10941 del 2021, proposto da
Loredana Fierro, rappresentata e difesa dall'avvocato Luigi Maria D'Angiolella, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Orazio Abbamonte in Roma, via Sistina, n. 121 (Studio dell’avvocato Corrias);

contro

Comune di Montella, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Antonio Saggese, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Francesco Cianciulli e Marco Cianciulli, rappresentati e difesi dall'avvocato Rossella Verderosa, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Bruno Cianciulli, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda) n. 1353/2021, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Montella e di Francesco Cianciulli e di Marco Cianciulli;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 settembre 2022 il Cons. Giovanni Pascuzzi. Nessuno è comparso per le parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso del 2021 la signora Loredana Fierro ha impugnato dinanzi al Tar per la Campania, Sezione di Salerno, il provvedimento del Responsabile del Settore Tecnico del Comune di Montella prot. n. 1514, del 9 febbraio 2021, con il quale, in attuazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 5089 del 19.07.2019, è stato rilasciato ai signori Francesco Cianciulli, Bruno Cianciulli e Marco Cianciulli (erede di Gennaro Cianciulli) in qualità di comproprietari:

a) il permesso di costruire a sanatoria ai sensi dell'art. 38, comma 2, del d.p.r. 380/2001 per quanto riguarda le opere eseguite in eccedenza in riferimento a quelle realizzabili;

b) il permesso di costruire per i lavori di completamento del fabbricato;

con riferimento ad un fabbricato urbano sito nel Comune di Montella, alla via dei Caduti (catasto foglio 30, part.lla n. 293).

Venivano impugnati anche gli atti relativi all'istruttoria posta in essere ai fini del rilascio del Permesso di Costruire citato mai comunicati né conosciuti, nonché ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale comunque lesivo degli interessi della ricorrente.

1.1 La presente controversia vede protagonisti da una parte la signora Fierro, proprietaria di una unità immobiliare sita in Montella (AV), alla via dei Caduti n. 11, e dall’altra i signori Cianciulli comproprietari di un suolo posizionato a poca distanza da quello della signora Fierro.

Una serie di provvedimenti amministrativi hanno interessato un fabbricato che i signori Cianciulli hanno realizzato sul proprio fondo. Ai fini del presente giudizio è conferente richiamare soprattutto il provvedimento 6 dicembre 2013 prot. 18102 con il quale il Responsabile del Settore edilizia privata del Comune di Montella, sulla domanda presentata da Bruno, Marco e Francesco Cianciulli quali comproprietari del fabbricato situato a Montella, via dei Caduti, sul terreno distinto al catasto al foglio 30 particella 293: a) aveva rilasciato permesso di costruire a sanatoria ai sensi dell’art. 38 del T.U. 6 giugno 2001 n.380 per le opere eseguite in eccedenza rispetto a quelle realizzabili; b) aveva applicato ai sensi dello stesso art. 38 la sanzione pecuniaria pari al valore delle opere stesse ed aveva rilasciato permesso di costruire per il completamento del fabbricato.

Sulla legittimità di tale provvedimento si è pronunciata questa Sezione del Consiglio di Stato che, con sentenza n. 5089/2019, ha annullato il ridetto atto «perché non motivato quanto alla sussistenza in concreto dei presupposti dell’applicabilità dell’art.38 alla fattispecie considerata, fermo che in astratto l’applicabilità sussiste, perché non preclusa dal tipo di vizio riscontrato».

A seguito di riesame dell’intera pratica, in attuazione della citata sentenza del Consiglio di Stato 5089/2019, il Comune di Montella emanava i provvedimenti citati al punto 1, avverso i quali ha proposto un nuovo ricorso la signora Ferro.

1.2 A sostegno dell’impugnativa venivano formulati i seguenti motivi:

I. Violazione e falsa applicazione dell'art. 38 del d.p.r. n. 380/2001. Violazione e falsa applicazione dell'art. 97 della Cost. Difetto di istruttoria. Violazione del principio di imparzialità della P.A: Violazione del principio del contraddittorio tra le parti.

Si sosteneva che il Comune si era limitato a riproporre tutte le argomentazioni poste a base del rilascio del P.d.C., senza risolvere i dubbi e le questioni che la sig.ra Fierro aveva evidenziato nel corso del precedente processo. La grave violazione dei principi di partecipazione e del contraddittorio rendeva illegittimo il provvedimento impugnato.

II. Violazione e falsa applicazione dell'art. 38 del d.p.r. n. 380/2001. Violazione e falsa applicazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990. Difetto di istruttoria. Difetto di motivazione. Eccesso di potere per travisamento dei fatti. Contraddittorietà dell'azione amministrativa. Violazione e falsa applicazione dell'art. 33 delle NTA.

Si sosteneva, pur nella consapevolezza della sussistenza ormai del giudicato, che, alla luce della pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 17/2020, l'art. 38 si applica solo nei casi di vizi formali del P.d.C. annullato, e quindi il Comune non avrebbe dovuto ammettere il regime della fiscalizzazione dell'abuso stante il carattere sostanziale e non meramente formale dello stesso.

Si sosteneva altresì:

- che il titolo edilizio impugnato era stato concesso, ancora una volta, sulla base di calcoli errati e che una corretta istruttoria avrebbe dovuto porre in evidenza che avendo le p.lle 293 e 294 già sfruttato tutto il loro potenziale urbanistico, in vigenza del PRG, essendo i volumi esistenti abbondantemente superiori ai 2.000 mc (ai mc. 1832 devono essere aggiunti quelli del sottotetto - mc. 382 - esistente) tutta la volumetria realizzata era da considerarsi illegittima;

- che la circostanza secondo cui la vicenda oggetto del presente giudizio sia il frutto, da un lato, di palesi errori da parte del Comune di Montella circa la legittimità della documentazione presentata dai sig.ri Cianciulli, e, dall'altro, di artifizi e raggiri posti in essere da quest'ultimi era provata anche dai procedimenti penali che ne sono scaturiti.

III. Violazione e falsa applicazione dell'art. 38 del d.p.r. 380/2001. Difetto di istruttoria. Difetto di motivazione. Eccesso di potere.

Si contestava quanto affermato nel provvedimento impugnato ovvero che l'abuso commesso non poteva essere sanato attraverso la demolizione, in quanto ciò avrebbe determinato l'impossibilità di conservare la parte realizzata in conformità, o in ogni caso avrebbe comportato la necessità di demolire una volumetria di gran lunga superiore a quella realizzata in eccesso. In particolare si sosteneva:

a) che la p.lla n. 293 non aveva alcuna potenzialità edificatoria, con la conseguenza che tutto quanto realizzato dai sig.ri Cianciulli era da considerarsi illegittimo, e come tale dovesse essere interamente abbattuto;

b) l'impossibilità di procedere all'abbattimento, e/o la necessità di dover abbattere una volumetria maggiore (mc. 173,12 a monte e mc. 179,52 a valle) rispetto a quella che si presume essere realizzata in maniera abusiva, era motivata facendo riferimento ad una ipotetica simulazione effettuata dall’Ente, affermazione che violerebbe il giudicato del Consiglio di Stato, che richiedeva una corretta istruttoria;

c) l'impossibilità di procedere all'abbattimento era circostanza già smentita dal CTU nominato nel precedente giudizio.

IV. Violazione e falsa applicazione dell'art. 38 del d.p.r. 380/2001. Violazione e falsa applicazione delle norme tecniche di attuazione del PRG del comune di Montella. Difetto di istruttoria. Difetto di motivazione.

Si sosteneva che erroneamente il Comune di Montella aveva ritenuto non violata nella specie la normativa sulle distanze. Il manufatto non era assentibile perché posto ad una distanza dal confine inferiore a 4,00, così come invece richiesto dalle NTA del PRG del Comune di Montella.

2. Nel giudizio di primo grado si costituivano il Comune di Montella e i controinteressati eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso.

3. Con sentenza n. 1353 del 2021 il Tar per la Campania, Sezione di Salerno (Sezione Seconda) ha respinto il ricorso.

3.1 Il primo giudice ha ritenuto che:

- il provvedimento del 9 febbraio 2021, prot. n. 1514, è adeguatamente motivato in relazione alla sussistenza dei presupposti applicativi della sanzione alternativa pecuniaria ex art. 38 del d.p.r. n. 380/2001, anche con precipuo riguardo alle ravvisate condizioni di impossibilità tecnica di abbattimento parziale del manufatto realizzato;

- nessun incombente informativo-partecipativo si impone nei confronti della signora Ferro;

- le censure rivolte alle denunciate illegittimità urbanistico-edilizie sostanziali del progetto assentito con gli autoannullati P.d.C. n. 140 del 18 febbraio 2010 e P.d.C. in variante n. 3 del 16 maggio 2012 non possono trovare ingresso nel presente giudizio: perché ripropongono inammissibilmente la questione della radicale non monetizzabilità delle opere eseguite in forza di titoli edilizi inficiati da vizi sostanziali di incompatibilità con la normativa urbanistico-edilizia, già risolta in senso reiettivo, con efficacia di giudicato, dal Consiglio di Stato, sez. VI, nella sentenza n. 5089 del 19 luglio 2019; e perché finiscono per deviare il riesame dell’annullato provvedimento del 6 dicembre 2013, prot. n. 18102, dai binari conformativi irreversibilmente tracciati da quest’ultima pronunzia;

- pur tenuto conto del più rigoroso approccio ermeneutico frattanto accreditato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 17 del 7 settembre 2020 in ordine ai presupposti applicativi della fiscalizzazione ex art. 38 del d.p.r. n. 380/2001, l’Amministrazione resistente non avrebbe potuto, infatti, prescindere – pena la violazione o elusione del giudicato – dalla statuizione giurisdizionale circa il deficit istruttorio-motivazionale acclarato limitatamente alla possibilità tecnica di ripristinare la legalità violata dalla costruzione rimasta sine titulo;

- a fronte dell’insufficiente dimostrazione – da parte ricorrente – circa l’asserita consumazione integrale della capacità edificatoria del lotto censito in catasto al foglio 30, particella 293, l’impugnato provvedimento del 9 febbraio 2021, prot. n. 1514, ha congruamente illustrato come, rispetto alla massima volumetria edificabile (mc 1.858,59) ed alla massima superficie coperta utilizzabile (mq 216,84) in rapporto alla complessiva estensione dei lotti censiti in catasto al foglio 30, particelle 293 e 294 (mq 619,53), secondo i parametri urbanistici (indice di edificabilità: 3,00 mc/mq; rapporto di copertura: 0,35 mq/mq) dettati dal Programma di fabbricazione di Montella vigente all’epoca dell’instaurazione dei procedimenti abilitativi definiti con la CE n. 51/76 del 12 maggio 1977 e la CE in sanatoria n. 401 del 19 dicembre 2012, fosse residuata, all’indomani dell’edificazione da queste ultime legittimata, una volumetria di mc 588,24 ed una superficie coperta di mq 90,80; come, quindi, tali valori, una volta convertiti ai parametri urbanistici (indice di edificabilità: 1,25 mc/mq; rapporto di copertura: 0,30 mq/mq) previsti dal pro tempore vigente Piano regolatore generale (PRG) di Montella – ai sensi dell’art. 33, comma 11, delle relative NTA fossero risultati, rispettivamente, pari a mc 245,01 ed a mq 26,35; e come, infine, in rapporto alla volumetria (313,63) ed alla superficie coperta (mq 58,35) effettivamente realizzate in esecuzione dei progetti assentiti con gli autoannullati P.d.C. n. 140 del 18 febbraio 2010 e P.d.C. in variante n. 3 del 16 maggio 2012, si fosse verificata un’eccedenza di soli mc (313,63 – 245,01 =) 68,62 e mq (58,35 – 26,35 =) 32,00;

- non è accreditabile la tesi attorea di violazione della distanza legale minima (m 4,00) della costruzione controversa dal confine del lotto: il manufatto realizzato dai controinteressati risulta, infatti, posto sul “confine del lotto di pertinenza”, ossia sul confine del lotto censito in catasto al foglio 30, particella 293, così come espressamente consentito dal PRG di Montella in combinato disposto con l’art. 111, comma 7, del REC di Montella, a nulla rilevando, sotto il profilo strettamente urbanistico-edilizio, l’indirizzo pretorio evocato da parte ricorrente nel senso dell’inoperatività del meccanismo civilistico della prevenzione per le costruzioni su suoli interposti da fasce di terreno in proprietà di terzi con latitudine inferiore alla prevista distanza legale minima tra confini.

4. Avverso la sentenza n. 1353 del 2021 del Tar per la Campania, Sezione di Salerno, ha proposto appello la signora Fierro per i motivi che saranno più avanti analizzati.

5. Si sono costituiti in giudizio il Comune di Montella e i signori Francesco e Marco Cianciulli chiedendo il rigetto dell’appello.

6. Con ordinanza n. 704/2022 dell’11 febbraio 2022 questa Sezione ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata.

7. All’udienza del 15 settembre 2022 l’appello è stato trattenuto per la decisione.

8. L’appello è infondato.

9. Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del gravame ai sensi dell’art. 101, comma 1, d. lgs. n. 104/2010, sollevata dal Comune di Montella. Si sostiene che a fronte di una sentenza di rigetto del ricorso con cui il primo giudice ha statuito sulle censure attoree, reputandole infondate, opera la norma citata che impone di articolare specifiche censure contro la sentenza gravata. In tali casi, in sede di appello, la parte ricorrente non può riproporre i motivi di ricorso rigettati in primo grado, come avvenuto nella presente fattispecie, tenuto conto che «per risalente e non superato insegnamento giurisprudenziale, l’appello deve sempre contenere, accanto alla parte volitiva, anche una parte critica, a confutazione della sentenza di primo grado, non trattandosi di un novum iudicium ma di una revisio prioris istantiae» (Cons. Stato, Sez. IV, 18.02.2020, n. 1228).

L’eccezione non merita accoglimento perché nella specie non ricorrono i presupposti di operatività del principio richiamato dalla difesa del Comune.

L’appellante non si è limitata a riprodurre pedissequamente i motivi di ricorso rigettati in primo grado ma ha mosso censure specifiche contro le statuizioni del primo giudice. Questo rende l’appello ammissibile. Aspetto diverso è quello relativo alla sua fondatezza che di seguito verrà analizzato.

10. Con il primo motivo di appello si lamenta: Error in iudicando et in procedendo. Violazione e falsa applicazione dell’art. 38 del d.p.r. 380/2001. Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 della Cost. Difetto di istruttoria. Difetto di motivazione. Eccesso di potere. Violazione del principio di imparzialità della P.A.

L’appellante, premesso che il giudice di prime cure avrebbe erroneamente ritenuto adeguatamente motivato il provvedimento prot. n. 1514 del 9/02/2021, sostiene che:

- il titolo sarebbe stato rilasciato sulla base di una vecchia istruttoria senza compierne una nuova come richiesto dalla sentenza n. 5089/2019 del Consiglio di Stato;

- il Comune nel nuovo provvedimento si sarebbe limitato a riproporre pedissequamente le medesime argomentazioni poste a base del rilascio del precedente P.d.C.

L’appellante sostiene, inoltre, che la motivazione espressa dal Comune conterrebbe profili di infondatezza non colti dalla sentenza del primo giudice, ovvero:

a) non tiene conto che la p.lla n. 293 non ha alcuna potenzialità edificatoria, con la conseguenza che quanto realizzato dai sig.ri Cianciulli è da considerarsi completamente illegittimo, e come tale deve essere interamente demolito;

b) l’impossibilità di procedere all’abbattimento e/o la necessità di dover abbattere una volumetria maggiore (mc. 173,12 a monte e mc. 179,52 a valle) rispetto a quella che si presume essere realizzata in maniera abusiva, è motivata dall’Ente facendo riferimento ad una ipotetica simulazione: tale affermazione viola il giudicato del Consiglio di Stato e in ogni caso una simulazione non può sostituire una completa istruttoria;

c) la circostanza che l’abuso rappresenti una quota non individuabile dell’immobile non può giustificare un’impossibilità alla demolizione atteso che il manufatto può essere ugualmente ripristinato fino a raggiungere la quota eventualmente assentibile;

d) la circostanza che il fabbricato sia realizzato con telai armati costituiti da pilastri e travi non può ex se motivare un’impossibilità demolitoria.

Il motivo è infondato.

Conviene innanzitutto, per chiarezza, partire dalla riproposizione dell’inciso rilevante della sentenza del Consiglio di Stato n. 5089 del 2019 che ha annullato il precedente permesso di costruire del 2013: «In conclusione, la sentenza di I grado va riformata nel senso di accogliere il ricorso con diversa motivazione: il provvedimento impugnato va annullato, in sintesi, perché non motivato quanto alla sussistenza in concreto dei presupposti dell’applicabilità dell’art.38 alla fattispecie considerata, fermo che in astratto l’applicabilità sussiste, perché non preclusa dal tipo di vizio riscontrato. Nel riesaminare l’affare, quindi, l’Amministrazione dovrà esprimersi attraverso una corretta e completa istruttoria, di cui dovrà dar conto in motivazione, sulla sussistenza o insussistenza di tali presupposti di applicazione».

Un secondo dato da porre in esponente deriva dal raffronto testuale tra il permesso di costruire del 2013 e quello del 2021: quest’ultimo è molto diverso dal primo in quanto molto più ricco quanto ad ampiezza, qualità dei contenuti, coerenza delle argomentazioni.

L’appellante sostiene che l’Amministrazione avrebbe emanato nella sostanza un atto meramente confermativo del precedente perché non ci sarebbe stata nessuna nuova istruttoria né una nuova motivazione. L’assunto non può essere condiviso.

Nella fase istruttoria si svolgono tutte quelle attività necessarie a chiarire le questioni rilevanti per la decisione finale. É nel corso dell'istruttoria che la Pubblica Amministrazione procede: a) ad accertare, valutare e qualificare il fatto di realtà e la sua rilevanza per l'interesse pubblico, nonché ad accertare ed interpretare le norme che disciplinano l'esercizio del potere rispetto al caso concreto; b) ad acquisire compiutamente tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti; c) ad effettuare, ove l'Amministrazione eserciti potestà discrezionali, la valutazione comparativa dell'interesse pubblico primario con gli altri interessi in gioco siano essi interessi pubblici o privati.

Il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 5089 del 2019, di cui si è riportato il passaggio più rilevante ai fini del presente giudizio, ha stabilito che l’Amministrazione avrebbe dovuto riesaminare l’affare al fine di esprimersi sulla sussistenza o insussistenza dei presupposti di applicazione dell’articolo 38 del d.p.r. 380/2001, attraverso una corretta e completa istruttoria di cui avrebbe dovuto dare conto in motivazione.

Il Consiglio di Stato ha imposto all’Amministrazione un riesame della vicenda alla luce di una corretta e completa istruttoria. Ma il riesame non implica necessariamente l’acquisizione di nuovi documenti o l’espletamento di nuove perizie o simili. La nuova istruttoria chiesta dal Consiglio di Stato si sostanzia nell’espletamento di tutte le attività prima richiamate. Dalla lettura del provvedimento impugnato si evince che l’Amministrazione ha provveduto a ricostruire i fatti nella loro interezza, ha valutato gli interessi coinvolti, ha svolto un approfondito lavoro di individuazione e interpretazione delle norme applicabili alla fattispecie, il tutto volto a dare attuazione a quando chiesto dal Consiglio di Stato: esprimersi sulla sussistenza o insussistenza dei presupposti di applicazione dell’articolo 38 del d.p.r. 380/2001. Nella specie l’attività istruttoria è stata correttamente e compiutamente condotta come si evince dalla semplice lettura dell’ampia nuova motivazione posta a base del provvedimento.

Infondate appaiono anche tutte le considerazioni svolte dall’appellante a proposito di presunti profili di infondatezza della motivazione espressa dal Comune non colti dalla sentenza del primo giudice (potenzialità edificatoria della particella 293; ricorso alla simulazione; quote dell’immobile che renderebbero impossibile la demolizione; rilevanza dei telai armati).

Su tali profili si è espressa ampiamente la sentenza di primo grado (come ricordato in narrativa) ritenendoli infondati. La motivazione della sentenza di primo grado è congruente e adeguata alle peculiarità della controversia, nonché esaustiva rispetto alle censure e ai rilievi articolati dalla parte e rende in maniera chiara il perché le questioni esaminate siano state decise in un determinato modo e non in un altro.

Le considerazioni del giudice di prime cure sui punti qui in discussione sono condivisibili.

11. Con il secondo motivo di appello si lamenta: Error in iudicando et in procedendo. Violazione e falsa applicazione dell’art. 38 del d.p.r. 380/2001. Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 della Cost. Difetto di istruttoria. Violazione del principio di imparzialità della P.A: Violazione del principio del contraddittorio tra le parti.

L’appellante critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che nessun incombente informativo-partecipativo si imponeva nei confronti della stessa appellante: secondo il primo giudice il proprietario di un immobile confinante con quello oggetto del permesso di costruire, non è da considerarsi a guisa di soggetto destinatario del provvedimento o interessato allo stesso, se non in via riflessa, così da fondare, nei suoi confronti, un obbligo di comunicazione ex art. 7 della l. n. 241/1990. Secondo l’appellante, invece, sarebbe stato più che dovuto oltre che logico avviare un contraddittorio tra le parti che coinvolgesse anche la sig.ra Fierro. Una cosa sono i meri confinanti di immobili oggetto di abuso non costituenti parti attive della vicenda e verso i quali la P.A. può non avere obblighi di comunicare il procedimento, altra invece sono quei vicini confinanti per la cui iniziativa è stato avviato il procedimento stesso, come nel caso di specie.

Il motivo è infondato.

Come chiarito, ex multis, da Consiglio di Stato, sez. IV , 24/05/2019, n. 3416, il vicino controinteressato all'opera edificanda non è un soggetto cui deve essere inviata la comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7, l. n. 241 del 1990; qualora sia richiesto il rilascio di un titolo edilizio, il confinante può intervenire nel procedimento ed eventualmente impugnare il provvedimento finale, ma non ha titolo ad essere avvisato ai sensi del citato art. 7.

Il principio non viene meno per il fatto che l’originario procedimento è stato avviato dallo stesso controinteressato, come sostenuto dall’appellante.

12. Con il terzo motivo di appello si lamenta: Error in iudicando et in procedendo. Violazione e falsa applicazione dell’art. 38 del d.p.r. n. 380/2001. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990. Difetto di istruttoria. Difetto di motivazione. Eccesso di potere per travisamento dei fatti. Contraddittorietà dell’azione amministrativa. Violazione e falsa applicazione dell’art. 33 delle NTA.

L’appellante ritiene errata e contraddittoria la sentenza impugnata nella parte in cui ha considerato inammissibili le censure in ordine alle illegittimità sostanziali del progetto assentito.

Si sostiene che, nella sentenza 5089/2019, il Consiglio di Stato avrebbe riformato la sentenza di primo grado esclusivamente sotto l’aspetto del difetto di motivazione ed istruttorio, ritenendo il provvedimento impugnato da annullare perché non motivato quanto alla sussistenza in concreto dei presupposti dell’applicabilità dell’art. 38 alla fattispecie in esame e ritenendo che solo «in astratto l’applicabilità sussiste, perché non preclusa dal tipo di vizio riscontrato». Proprio la circostanza che i giudici d’appello si siano espressi solo in via astratta e non siano entrati nel merito in virtù del pregiudiziale deficit motivazionale ed istruttorio (che ha assorbito tutti gli ulteriori aspetti di quella vicenda), non può far pensare che si sia formato un giudicato sul punto.

Si sostiene inoltre che essendo il provvedimento emesso dal Comune del tutto nuovo, la P.A. ed il Giudice di prime cure avrebbero dovuto tener conto di quanto espresso dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 17 del 17/09/2020 che ha definitivamente chiarito l’applicabilità dell’art. 38 ai soli casi di vizi formali del P.d.C. annullato e non anche a quelli sostanziali.

L’appellante conclude il motivo di appello affermando che l’applicabilità in astratto dell’art. 38 alla fattispecie in esame non implica assolutamente che non possa essere censurata l’evidente erroneità ed infondatezza della motivazione espressa dal Comune di Montella. Nella fattispecie oggi in esame, la P.A. avrebbe effettuato una istruttoria tutt’altro che corretta e completa, essendo viziata e fallace già per gli errati presupposti su cui è stata compiuta nonché elusiva del giudicato, e conseguentemente avrebbe reso una motivazione in ordine fiscalizzazione dell’abuso evidentemente illegittima.

Il motivo è infondato.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 5089/2019 ha seguito il seguente procedimento argomentativo:

- nel giudizio veniva chiesto di stabilire se nel caso di specie sussistevano i presupposti per applicare l’art. 38 del T.U. 380/2001, e se il provvedimento (del 2013) ne desse adeguato conto;

- tale norma, che prevede la cosiddetta fiscalizzazione dell’abuso, si applica indipendentemente dal tipo di vizio che ha caratterizzato la procedura, ovvero nel caso di vizi sia formali che sostanziali;

- l’autorità comunale è tenuta a rimuovere eventuali vizi di carattere formale, ma ove ciò non sia possibile, perché i vizi sono inemendabili o sono di altra natura, prima di ordinare la rimessione in pristino deve valutare se essa sia possibile o no;

- il Consiglio di Stato ha espressamente scritto di essere consapevole dell’esistenza di un orientamento di segno contrario, secondo il quale l’art. 38 T.U. 380/2001 si applicherebbe esclusivamente ai vizi formali, ma ha anche chiarito le ragioni che lo portavano a non aderire a detto diverso approccio;

- il provvedimento del 2013 era carente di una motivazione circa l’esistenza dei presupposti per applicare l’art. 38 del T.U. 380/2001 che richiede: a) una “motivata valutazione” sulla impossibilità di rimettere in pristino, che può essere fondata su ragioni tecniche o anche di equità od opportunità; e b) una motivazione ulteriore sul valore venale delle opere, motivazione che ovviamente non può ridursi alla semplice indicazione di un prezzo;

- di qui la necessità che l’Amministrazione riesaminasse l’affare per dare conto della sussistenza o meno dei presupposti di applicazione della norma più volte citata.

Ed è esattamente ciò che il Comune ha fatto. Non a caso il Permesso di Costruire n. 1514 viene definito «Pratica di Riesame» e si apre con le parole «in attuazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 5089 del 19.07.2019». L’Amministrazione non poteva che dare attuazione a quella pronuncia attenendosi a quanto in essa statuito anche in relazione all’interpretazione da seguire nell’applicare l’art. 38 del T.U. 380/2001.

L’appellante sostiene il Comune avrebbe reso una motivazione, in ordine fiscalizzazione dell’abuso, evidentemente illegittima. Nella sostanza si contesta l’impossibilità della demolizione o della rimessione in pristino delle parti eseguite in eccedenza senza compromissione delle parti legittime dell’edificio.

Anche questa prospettazione non merita di essere accolta.

Nel provvedimento impugnato sono ampiamente illustrate le ragioni che rendono impossibile la demolizione della parte del fabbricato, sia in volumetria che in superficie, realizzata in eccedenza senza il pregiudizio della parte eseguita in conformità, in quanto la demolizione di parte di una struttura in c.c.a. comporterebbe l'automatica necessità di demolizione totale del manufatto, con preclusione totale della volumetria realizzata.

Il sindacato sugli atti della Pubblica Amministrazione deve rispondere ai principi di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, dovendo, pertanto, da un lato, estendersi anche all'accertamento dei fatti operato sulla base di concetti giuridici indeterminati o di regole tecnico-scientifiche opinabili, al fine di evitare che la discrezionalità tecnica trasmodi in arbitrio specialistico, dall'altro, implicare la verifica del rispetto dei limiti dell'opinabile tecnico-scientifico, attraverso gli strumenti processuali a tal fine ritenuti idonei. Un tale sindacato, non può, tuttavia, spingersi fino al punto di sostituire le valutazioni discrezionali dell'Amministrazione. Orbene, qualora ad un certo problema tecnico ed opinabile l'Amministrazione abbia dato una determinata risposta, il giudice non è chiamato, sempre e comunque, a sostituire la sua decisione a quella dell'Amministrazione, dovendosi piuttosto limitare a verificare se siffatta risposta rientri o meno nella ristretta gamma di risposte plausibili, ragionevoli e proporzionate, che possono essere date a quel problema alla luce della tecnica, delle scienze rilevanti e di tutti gli elementi di fatto (Cons. Stato di Stato, sez. VI, 03/02/2022, n.757).

Il Comune si è figurato con una simulazione un rischio di compromissione delle strutture residue, tenendo conto della loro natura, consistenza delle tecniche costruttive e dei materiali utilizzati.

Il giudizio non appare, sulla base degli elementi disponibili, affetto da vizi di irragionevolezza o da errori di fatto tali da inficiarne la legittimità.

D’altronde le censure mosse dagli appellanti sono generiche e assolutamente inidonee ad accreditare l’esistenza di vizi palesi di irragionevolezza nell’analisi condotta dall’Amministrazione.

Anche nel processo amministrativo vige il principio di cui all'art. 2697 c.c., per il quale spetta alle parti l'onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità e riguardanti i fatti posti a fondamento delle loro domande ed eccezioni; e, anche se è vero che in detto processo vige pure il cd. “metodo acquisitivo”, che consente al giudice di integrare allegazioni probatorie parziali, ciò tuttavia non gli consente d'invertire l'onere probatorio e di sostituirsi al dovere processuale del diretto interessato, il quale deve comunque allegare un qualche concreto elemento di riscontro circa i vizi che denuncia e che assume dopo averli appresi in modo indiretto, o che desume dalla documentazione interna acquisita a seguito di accesso agli atti; e, in nessun caso, risultano ammissibili censure del tutto generiche, o basate su semplici supposizioni (Cons. Stato, sez. V, 28/07/2014, n. 3973).

13. Con il quarto motivo di appello si lamenta: Error in iudicando et in procedendo. Omessa pronuncia. Stessa censura sub III, sotto diverso profilo.

L’appellante sostiene che la sentenza del Tar per la Campania sarebbe errata anche nel merito nella parte in cui ha ritenuto correttamente illustrati i calcoli effettuati dal Comune di Montella in ordine alla volumetria e superficie residua edificabile. In particolare si ritorna sulla reale capacità edificatoria della p.lla 293 anche alla luce di alcune pronunce dell’autorità giudiziaria penale.

Il motivo è infondato.

Tanto il Permesso di Costruire quanto la sentenza impugnata (riportata in narrativa) espongono in maniera chiara i calcoli effettuati che partendo dal potenziale urbanistico delle particelle 293 e 294 e nella consapevolezza che rispetto sia al volume che alla superficie occorresse anche fare riferimento sia alla concessione edilizia n. 51/76 sia alla pratica di condono a sanatoria con rilascio della relativa concessione n. 401/86 del 19/12/2012, ai sensi della L.47/85 hanno portato a definire la volumetria assentibile. L’Amministrazione comunale ha operato una corretta applicazione dell’art.33 delle NTA del vigente PRG.

L’appellante riafferma l’erroneità dei calcoli, ma non offre un reale principio di prova delle proprie asserzioni.

14. Con il quinto motivo di appello si lamenta: Error in iudicando et in procedendo. Omessa pronuncia. Violazione e falsa applicazione dell’art. 38 d.p.r. 380/2001. Violazione e falsa applicazione delle NTA del PRG del Comune di Montella. Assoluto difetto di motivazione e di istruttoria.

L’appellante sostiene che la sentenza impugnata sarebbe viziata ed errata anche nella parte in cui ritiene non accreditabile la tesi attorea di violazione della distanza legale minima (m 4,00) della costruzione controversa dal confine del lotto in quanto il manufatto realizzato dai controinteressati risulta, infatti, posto sul confine del lotto di pertinenza.

Si sostiene che le NTA del PRG prevedono che per la zona BC debba essere rispettata una distanza di 4,00 m. dal confine, salvo il caso in cui in fabbricato sia realizzato sul confine del lotto di pertinenza. Tuttavia, sulla base di quanto espressamente previsto dalla normativa regolamentare comunale, che il manufatto in parola sia stato realizzato sul confine del lotto di pertinenza, non sta a significare che non debbano essere rispettate le distanze legali stabilite dallo stesso regolamento comunale. Il Giudice di prime cure si sarebbe pronunciato solo parzialmente sulla censura sollevata dalla sig.ra Fierro, non esprimendosi sulla circostanza che a confine con la p.lla 293 v’è una striscia di terreno, la p.lla 729, che la separa dalla p.lla di proprietà dell’appellante avente una larghezza variabile a partire da mt 3,50 e che, dunque, il manufatto dei sig.ri Cianciulli non può in alcun modo essere considerato come realizzato sul confine.

Il motivo è infondato.

Il provvedimento chiarisce che le Norme Tecniche di Attuazione (NTA) del PRG per la Zona BC stabiliscono che la distanza da rispettare dal confine è di mt 4,00 o sul confine. Il fabbricato realizzato è posizionato sul confine del lotto di pertinenza e quindi nel rispetto della norma.

É stato inoltre chiarito in motivazione che l’art 111, comma 7, del RE riporta la definizione della distanza dai confini e cioè «la distanza minima dai confini –misurata in proiezione orizzontale- è la distanza dai punti più vicini all’edificio, dal confine del lotto di pertinenza» e che quindi per le distanze dai confini si deve fare riferimento al lotto di terreno di pertinenza ed asservito per il calcolo degli indici di fabbricabilità territoriale e fondiaria, che nel caso di specie, è quella delle p.lle 293 e 294, e non altri confini.

Le considerazioni svolte dal giudice di prime cure sul punto sono condivisibili.

15. L’appellante ha chiesto, ove fosse stato ritenuto necessario dal Collegio, di disporre una nuova CTU per valutare la legittimità o meno di quanto posto in essere dal Comune di Montella.

La richiesta non merita accoglimento perché alla luce di quanto detto non può essere revocata in dubbio la legittimità di quanto posto in essere dal Comune di Montella.

16 Per le ragioni esposte l’appello deve essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese relative al presente giudizio che si quantificano in € 3.000,00 (tremila) in favore del Comune di Montella ed in € 3.000,00 (tremila) in favore dei signori Francesco e Marco Cianciulli, oltre accessori, se per legge dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 settembre 2022 con l'intervento dei magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Stefano Toschei, Consigliere

Francesco De Luca, Consigliere

Giovanni Pascuzzi, Consigliere, Estensore