Consiglio di Stato, Sez. V, n. 3034, del 3 giugno 2013
Urbanistica.Condono edilizio, certificato di abitabilità e salubrità dell’immobile

Il rilascio del certificato di abitabilità di un fabbricato conseguente al condono edilizio, può legittimamente avvenire in deroga solo a norme regolamentari e non anche quando siano carenti le condizioni di salubrità richieste da fonti normative di livello primario, in quanto la disciplina del condono edilizio, per il suo carattere eccezionale e derogatorio, non è suscettibile di interpretazioni estensive e, soprattutto, tali da incidere sul fondamentale principio della tutela della salute con evidenti riflessi sul piano della legittimità costituzionale. Permangono, infatti, in capo ai Comuni tutti gli obblighi inerenti alla verifica delle condizioni igienico-sanitarie per l’abitabilità degli edifici, con l’unica possibile deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari. D’altra parte il certificato di abitabilità non serve ad abilitare l’immobile ad un certo uso piuttosto che ad un altro, giacché dopo il D.P.R. 22 aprile 1994, n. 425, non è previsto un certificato di abitabilità specializzato, così che l’abitabilità riguarda solo la salubrità dell’immobile, e quindi il solo manufatto edilizio e non l’attività che viene svolta; il rilascio del certificato di abitabilità è pertanto condizionato non solo alla salubrità degli ambienti, ma anche alla conformità edilizia dell’opera, sicché, attesa la presunzione iuris tantum di legittimità degli atti amministrativi, col rilascio del permesso di abitabilità devono intendersi verificate, salvo prova contraria, entrambe le suddette condizioni, senza necessità di produrre ulteriori certificati. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 03034/2013REG.PROV.COLL.

N. 01720/2001 REG.RIC.

N. 01721/2001 REG.RIC.

N. 01722/2001 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 1720 del 2001, proposto da: 
COMUNE DI LIVIGNO, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Luca Vianello, con domicilio eletto presso Luca Vianello in Roma, Lungotevere Marzio,n. 1;

contro

KIWI S.N.C. DI GALLI VALENTINO & C., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall'avv. Franco Di Lorenzo, con domicilio eletto presso Franco Di Lorenzo in Roma, via Germanico 12;




sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 1721 del 2001, proposto da: 
COMUNE DI LIVIGNO, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Luca Vianello, con domicilio eletto presso Luca Vianello in Roma, Lungotevere Marzio, n. 1;

contro

KIWI S.N.C. DI GALLI VALENTINO & C., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall'avv. Franco Di Lorenzo, con domicilio eletto presso Franco Di Lorenzo in Roma, via Germanico, n. 12;




sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 1722 del 2001, proposto da: 
COMUNE DI LIVIGNO, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Luca Vianello, con domicilio eletto presso Luca Vianello in Roma, Lungotevere Marzio, n.1;

contro

KIWI S.N.C. DI GALLI VALENTINO & C., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall'avv. Franco Di Lorenzo, con domicilio eletto presso Franco Di Lorenzo in Roma, via Germanico, n. 12/4;

per la riforma

- quanto al ricorso n. 1720 del 2001:

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA, Sez. II, n. 6171 del 31 ottobre 2000, resa tra le parti, concernente diniego concessione edilizia in sanatoria;

- quanto al ricorso n. 1721 del 2001:

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA, Sez. II, n. 6169 del 31 ottobre 2000, resa tra le parti, concernente diniego agibilita' locali per attività commerciale;

- quanto al ricorso n. 1722 del 2001:

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA, Sez. II, n. 6170 del 31 ottobre 2000, resa tra le parti, concernente sospensione e cessazione attività;



Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in tutti i giudizi di Kiwi s.n.c.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 febbraio 2013 il Cons. Carlo Saltelli e uditi per le parti gli avvocati Luca Vianello e Franco Di Lorenzo;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.



FATTO

I.1. Con atto prot. 13115/98, prog. n. 1591, del 21 agosto 1998, il responsabile dell’Ufficio Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di Livigno, nel determinare definitivamente la somma dovuta a titolo di oblazione (ai sensi dell’art. 35, comma 9, e 37 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni ed integrazioni) sulla richiesta di concessione in sanatoria presentata il 31 marzo 1995 (prot. n. 4902) dal sig. Valentino Galli, quale amministratore unico della Kiwi s.n.c., relativamente alle opere abusive realizzate nell’immobile sito in Fontana, n. 98, fg. 28, mapp. n. 589, respingeva l’istanza di condono a tip. 4, accogliendola a tip. 3 “come ampliamento di locali deposito interrati e seminterrati non costituenti superfici utili, in annessione alle attività artigianali assentite a quel piano”: ciò in quanto dal verbale di accertamento del 6 dicembre 1994 emergeva “…che l’intera porzione del piano seminterrato della quale si tratta era al rustico e senza finiture”, così che non poteva “…ritenere che fossero state eseguite entro il 31 dicembre 1993 modifiche alla destinazione d’uso ultimate funzionalmente per attività commerciale”.

Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sez. II, con la sentenza n. 6171 del 31 ottobre 2000, accogliendo il ricorso della soc. Kiwi s.n.c., annullava il predetto provvedimento, impugnato solo nella parte in cui aveva negato la concessione edilizia in sanatoria a tipologia 4 per il cambio di destinazione d’uso del piano seminterrato, ritenendo fondato il primo motivo di censura (rubricato “Violazione ed errata applicazione dell’art. 31, 2° comma, della L. 28.2.1985, n. 47 – Eccesso di potere per travisamento dei fatti e per difetto, carenza e contraddittorietà istruttoria”): a suo avviso, infatti l’accertamento dei tecnici comunali in data 6 dicembre 1994, a quasi un anno di distanza dalla scadenza del termine per la sanabilità delle opere non destinate dalla residenza (fissato al 31 dicembre 1993, ai sensi dell’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724), non poteva considerarsi di per sé sufficiente a dimostrare con certezza l’epoca del compimento e di ultimazione dei lavori, tanto più che, in mancanza di un’adeguata documentazione probatoria, l’amministrazione comunale avrebbe dovuto tener conto della relazione tecnica allegata alla richiesta di concessione edilizia, poi rilasciata con atto n. 6227 del 26 aprile/11maggio 1993, da cui emergeva la realizzazione di un ulteriore piano interrato sottostante il piano interrato e dell’effettivo e regolare svolgimento nel piano seminterrato di un’attività artigianale, regolarmente assentita sotto il profilo urbanistico, giusta concessione in sanatoria n. 429 del 10 ottobre 1994, e svolta con apposita autorizzazione d’abitabilità/agibilità, prot. 1231 del 27 luglio 1981, nonché con autorizzazione sanitaria n. 339 del 5 settembre 1985 (elementi da cui si ricavava un principio di prova in ordine alla preesistenza del manufatto e della sua puntuale destinazione d’uso).

I.2. Il Comune di Livigno con atto di appello notificato il 25 gennaio 2001 chiedeva la riforma di tale sentenza, deducendone l’erroneità e l’ingiustizia alla stregua di due motivi di gravame.

Con il primo, rubricato “In via pregiudiziale: mancata riunione del ricorso RG. 4449/88 con i ricorsi RG. 644/99 e 1725/99. Rapporto di obiettiva connessione tra i tre giudicati”, veniva rilevato che, successivamente all’impugnato diniego di concessione in sanatoria, erano stati emessi nei confronti della soc. Kiwi s.n.c. altri due provvedimenti, l’ordinanza n. 2212, prot. 2449, del 15 febbraio 1999 (di immediata sospensione e cessazione dell’esercizio di tipo “A” condotto nei locali posti al piano seminterrato del fabbricato in questione) ed il provvedimento n. 4432/99 – 5269/99 del 24 marzo 1999 (di diniego dell’agibilità dei locali posti al piano seminterrati del fabbricato in questione. dov’era condotto un esercizio di tipo “A”), entrambi impugnati innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia con autonomi ricorsi, rispettivamente NRG. 644/99 e 1725/99; tuttavia, malgrado l’evidente connessione tra detti giudizi e la pregiudizialità di quello concernente la legittimità del diniego di concessione edilizia rispetto agli altri due, ne era stata inopinatamente omessa la riunione.

Con il secondo motivo, lamentando “In via principale e nel merito: erronea applicazione della legge ed erronea valutazione dei presupposti della fattispecie”, l’amministrazione comunale sosteneva che l’adito tribunale aveva malamente apprezzato i fatti di causa ed erroneamente interpretato le norme applicabili al caso di specie, operando un’inammissibile inversione dell’onere della prova, spettando esclusivamente alla parte richiedente il condono edilizio la prova inconfutabile della utile e tempestiva (rispetto alla data indicata dalla legge) ultimazione delle opere abusive, onere cui non aveva ottemperato la società ricorrente né all’atto di presentazione dell’istanza di condono, né successivamente al verbale di sopralluogo dei tecnici comunali; d’altra parte, ad avviso dell’amministrazione appellante, né la relazione tecnica del 21 aprile 1992, né l’autorizzazione sanitaria del 5 settembre 1985 e neppure l’autorizzazione alla agibilità – abitabilità rilasciata il 27 aprile 1981 potevano costituire adeguati elementi di prova a supporto della richiesta di condono, riferendosi essi ad una situazione fattuale dell’immobile completamente diversa dalla ricordata richiesta di condono, del tutto inidonea a confutare le risultanze del sopralluogo dei tecnici comunali del 6 dicembre 1994, ininfluenti ed inutilizzabili essendo anche le prodotte dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà e la perizia giurata dell’aprile 2000.

Il ricorso è stato iscritto al NRG. 1720 dell’anno 2001.

Si è costituita in giudizio la soc. Kiwi s.n.c., deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza dell’avverso gravame, di cui ha chiesto il rigetto.

I.3. Con decreto n. 1940 del 25 luglio 2012, a seguito dell’istanza dell’appellante in data 14 giugno 2012, è stato revocato il precedente decreto n. 1243 del 16 maggio 2012, di perenzione del ricorso, disponendosene la reiscrizione sul ruolo del merito.

I.4. Nell’imminenza dell’udienza di discussione del ricorso la parte appellata ha illustrato con apposita memoria le proprie tesi difensive, insistendo per il rigetto dell’appello.

All’udienza pubblica del 5 febbraio 2013, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

II.1. Con nota in data 24 marzo 1999, prot. n. 4432/99 – 5269/99, il responsabile dell’Ufficio Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di Livigno respingeva l’istanza in data 16 marzo 1999 con cui la soc. Kiwi s.n.c. aveva chiesto il rilascio dell’autorizzazione all’agibilità dei locali posti al piano seminterrato del fabbricato sito alla via Fontana, n. 97 (oggetto della domanda di condono in sanatoria di cui al precedente par. I.1.), per la mancanza dei documenti essenziali prescritti dall’art. 4 del d.P.R. 22 aprile 1994, n. 425 (attestazione dell’avvenuta presentazione al catasto della documentazione per l’iscrizione e certificato del direttore dei lavori di conformità al progetto presentato, di prosciugatura dei muri e salubrità degli ambienti).

Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sez. II, con la sentenza n. 6169 del 31 ottobre 2000, accoglieva il ricorso della soc. Kiwi s.n.c. e annullava il predetto diniego, ritenendolo illegittimo in relazione ai vizi sollevati con i primi due motivi di censura (“Violazione di legge per falsa applicazione del D.P.R. 22.4.1994 n. 425 – Eccesso di potere per travisamento dei fatti” e “Eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica e per difetto assoluto di istruttoria”).

Secondo il predetto tribunale, per un verso, l’amministrazione comunale non aveva minimamente verificato la effettiva sussistenza dei requisiti igienico – sanitari per l’abitabilità o agibilità del manufatto, essendosi per contro limitata a riscontrare la presunta mancanza di documentazione. non richiesta nel caso di opere abusive soggette al procedimento, anche in deroga (alle norme regolamentari), di cui all’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e all’art. 35, comma 20, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, mentre, per altro verso, non solo la società ricorrente aveva attestato l’avvenuta prosciugatura dei muri e la salubrità degli ambienti, per quanto non era neppure necessaria, ai fini della richiesta di condono o del certificato di abitabilità o agibilità, l’avvenuta presentazione della documentazione per l’accatastamento.

II.2. Il Comune di Livigno con atto di appello notificato il 25 gennaio 2001 chiedeva la riforma di tale sentenza, deducendone l’erroneità e l’ingiustizia alla stregua di due motivi di gravame.

Con il primo, rubricato “In via pregiudiziale: mancata riunione del ricorso RG. 4449/88 con i ricorsi RG. 644/99 e 1725/99. Rapporto di obiettiva connessione tra i tre giudicati”, l’amministrazione appellante sottolineava, per un verso, di aver respinto la richiesta di concessione edilizia in sanatoria relativamente all’immobile oggetto dell’impugnato diniego del certificato di abitabilità, giusta nota prot. n. 13115/98, prog. n. 1591 del 21 agosto 1998, e di aver altresì emesso nei confronti della soc. Kiwi s.n.c. anche l’ordinanza n. 2212, prot. 2449, del 15 febbraio 1999, di immediata sospensione e cessazione dell’esercizio di tipo “A” condotto nei locali posti al piano seminterrato del fabbricato in questione, entrambi impugnati innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia con autonomi ricorsi, rispettivamente NRG. 4449/98 e 1725/99) e rilevava, per altro verso, che, malgrado la evidente connessione esistente i tre giudizi e la pregiudizialità del giudizio concernente la legittimità del diniego di concessione edilizia rispetto agli altri due, i primi giudici avevano omesso di procedere alla loro riunione.

Con il secondo motivo poi, lamentando “In via principale e nel merito: erronea applicazione della legge ed erronea valutazione dei presupposti della fattispecie”, l’amministrazione comunale rivendicava la piena legittimità del provvedimento di diniego del certificato di agibilità/abitabilità, inopinatamente annullato dai primi giudici, in quanto non era stata neppure accolta la domanda di concessione in sanatoria cui si ricollegava il predetto certificato di agibilità/abitabilità, con conseguente inapplicabilità della disciplina di cui all’art. 35, comma 20, della legge n. 47 del 1985 e alla legge n. 724 del 1994 e piena operatività, peraltro, della norma contenuta nel D.L. n. 398 del 1993, convertito con modificazioni nella legge n. 493 del 1993, non sussistendo in alcun modo la carenza istruttoria posta a fondamento della sentenza impugnata.

Il ricorso è stato iscritto al NRG. 1721 dell’anno 2001.

Si è costituita in giudizio la soc. Kiwi s.n.c., deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza dell’avverso gravame, di cui ha chiesto il rigetto.

II.3. Con decreto n. 1979 del 31 luglio 2012, a seguito dell’apposita istanza prodotta dall’appellante in data 14 giugno 2012, è stato revocato il precedente decreto n. 1249 del 16 maggio 2012, di perenzione del ricorso, disponendosene la reiscrizione sul ruolo del merito.

II.4. Anche in questo giudizio la società appellata ha ritualmente illustrato le proprie tesi difensive nell’imminenza dell’udienza di discussione, reiterando la richiesta di rigetto del gravame.

All’udienza pubblica del 5 febbraio 2013, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

III.1. Con altra ordinanza n. 2212, prot. n. 2448, del 15 febbraio 1999, il Sindaco del Comune di Livigno, accertato, giusta sopralluogo del 3 gennaio 1999 del Comando di Polizia Municipale, l’attivazione, senza licenza d’uso, da parte della soc. Kiwi s.n.c. di un’attività di pubblico esercizio di tipo “A”, nei locali siti nel fabbricato posto in via Fontana 97 al piano seminterrato, disponeva l’immediata sospensione della predetta attività e la contestuale chiusura dell’esercizio.

Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sez. II, con la sentenza n. 6170 del 31 ottobre 2000, accoglieva l’ulteriore ricorso della soc. Kiwi s.n.c. ed annullava anche il predetto provvedimento, ritenendo fondata ed assorbente la censura di incompetenza, sollevata col quinto motivo di ricorso: ciò in quanto il provvedimento rientrato non rientrava nelle attribuzioni del sindaco, tanto più che non era configurabile nel caso di specie l’esercizio delle funzioni di ufficiale di governo.

III.2. Il Comune di Livigno con atto di appello notificato il 25 gennaio 2001 impugnava anche tale sentenza, chiedendone l’annullamento alla stregua di tre motivi di gravame.

Con il primo, rubricato “In via pregiudiziale: mancata riunione del ricorso RG. 644/99 con i ricorsi RG. 4499/98 e 1725/99. Rapporto di obiettiva connessione tra i tre giudicati”, veniva evidenziato il vizio (già rilevato con gli altri due ricorsi in appello) derivante dalla omessa riunione del ricorso proposto in primo grado con agli due proposti sempre dalla soc. Kiwi s.n.c. per l’annullamento del diniego di concessione in sanatoria e di diniego dell’agibilità dei locali posti al piano seminterrato del fabbricato in questione (dov’era condotto un esercizio di tipo “A”), pur essendo macroscopica la loro connessione e la pregiudizialità del giudizio concernente la legittimità del diniego di concessione edilizia rispetto agli altri due.

Con il secondo motivo, lamentando “In via principale e nel merito: erronea qualificazione della competenza del sindaco”, l’appellante amministrazione sosteneva che l’atto impugnato in primo grado non costituiva un normale atto di gestione per la pluralità delle violazioni accertate (riguardanti molteplici materie, urbanistica, edilizia, igiene e sanità, pubblica sicurezza), così che esso rientrava nelle attribuzioni del sindaco, quale ufficiale di governo.

Con il terzo motivo, infine, denunciando “In via subordinata e nel merito: infondatezza degli altri motivo di ricorso”, veniva ribadita l’infondatezza degli altri motivi di censura sollevati in primo grado, riproponendo le argomentazioni difensive svolte.

Il ricorso è stato iscritto al NRG. 1722 dell’anno 2001.

Si è costituita in giudizio la soc. Kiwi s.n.c., deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza dell’avverso gravame, di cui ha chiesto il rigetto.



III.3. Con decreto n. 2002 del 31 luglio 2012, a seguito dell’apposita istanza prodotta dall’appellante in data 14 giugno 2012, è stato revocato il precedente decreto n. 1250 del 16 maggio 2012, di perenzione del ricorso, disponendosene la reiscrizione sul ruolo del merito.

III.4. Anche in questo giudizio nell’imminenza dell’udienza di discussione, la parte appellata ha illustrato le proprie tesi difensive, insistendo per il rigetto dell’appello.

All’udienza pubblica del 5 febbraio 2013, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

IV. Gli appelli in esame possono essere riuniti in ragione della loro connessione soggettiva, vertendo tra le stesse parti, e oggettiva, traendo in realtà origine dallo stesso fatto, la commissione di un abuso edilizio, solo parzialmente condonato.

V. Esigenze di sistematicità e di economia processuale inducono la Sezione ad esaminare preliminarmente la censura, comune a tutti gli appelli, con cui il Comune di Livigno ha lamentato l’erroneità di tutte le sentenze impugnate per l’omessa riunione dei tre separati ricorsi proposti in primo grado, in relazione ai quali è stata ribadita la pregiudizialità dell’impugnazione del diniego (parziale) del condono edilizio (ricorso NRG. 4499/98) rispetto all’impugnazione del diniego dell’autorizzazione di agibilità/abitabilità dei locali oggetto di condono (ricorso NRG. 644/99) e della sospensione dell’attività e cessazione dell’esercizio di tipo “A” nei locali in questione (ricorso NRG. 1725/99).

La doglianza è infondata.

La riunione nel giudizio di primo grado di ricorso tra loro connesso costituisce uno strumento di razionalizzazione e di economia processuale ed è espressione di una facoltà ampiamente discrezionale del giudice, il cui esercizio non è soggetto all’obbligo di motivazione, né può dar luogo ad un vizio della decisione (che non ha disposto la riunione) (C.d.S., sez. V, 17 ottobre 2012, n. 5294; sez. IV, 16 febbraio 2012, n. 823).

D’altra parte è stato evidenziato che la mancata riunione dei ricorsi non può essere sindacata in appello se non quando il giudice di primo grado sia incorso in un palese arbitrio e più in particolare quando il rapporto di pregiudizialità tra le cause connesse sia così stretto da non consentire al giudice di decidere i ricorsi separatamente (C.d.S., sez. 16 gennaio 2008, n. 74; IV, 27 febbraio 1996, n. 184).

Una simile situazione non si è verificata nel caso di specie, atteso che le decisioni sfavorevoli agli interessi del Comune di Livigno non sono dipese dall’omessa valutazione della pretesa pregiudizialità del primo ricorso (diniego parziale di condono) rispetto agli altri, quanto piuttosto dalla fondatezza nel merito delle censure sollevate dalla società ricorrente, indipendentemente quindi dalla loro omessa riunione che non ha impedito la esatta comprensione del thema decidendum.

VI. Passando all’esame dell’appello (NRG. 1720/01) proposto avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sez. II, n. 6171 del 31 ottobre 2000, concernente il parziale diniego di condono, la Sezione è dell’avviso che il secondo motivo di gravame sia fondato e debba pertanto essere accolto.

VI.1. L’articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 774, ha stabilito al primo comma, tra l’altro, che “Le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47 e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dal presente articolo, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993, e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale o assentita, un ampliamento superiore a 750 metri cubi…”, aggiungendo al quarto comma che “La domanda di concessione o di autorizzazione in sanatoria, con la prova del pagamento dell’oblazione, deve essere presentata al comune competente, a pena di decadenza, entro il 31 marzo 1995…”.

E’ stato rilevato che ai fini del condono edilizio la realizzazione dell’opera abusiva, alla data del 31 dicembre 1993, è identificabile se l’immobile è già eseguito, sia pure al rustico in tutte le sue strutture essenziali, fra le quali devono essere comprese le tamponature che sono necessarie per stabilire la relativa volumetria e la sagoma esterna (C.d.S., sez. V, 18 novembre 2004, n. 7547), aggiungendosi che, per quanto riguarda le opere interne o quelle non destinate ad uso non residenziale, la loro ultimazione è da ricollegare al loro completamento funzionale, inteso nel senso della sussistenza delle opere indispensabili a rendere effettivamente possibile l’uso per il quale sono state realizzate (o l’uso diverso da quello a suo tempo assentito o incompatibile con l’originaria destinazione d’uso, nel caso di mutamento di quest’ultimo) (C.d.S., sez. IV, 9 febbraio 2012, n. 683; 9 maggio 2011, n. 2750; sez. V, 21 maggio 1999, n. 587; 18 novembre 2004, n. 7547; 23 maggio 2005, n. 2578; 4 ottobre 2007, n. 5153).

Posto poi che la distinzione tra ultimazione a rustico e completamento funzionale deve essere eseguita in concreto e non in astratto, non essendo sufficiente la qualificazione della parte a determinare oggettivamente il contenuto dei lavori eseguiti (C.d.S., sez. V 18 dicembre 2002, n. 702l), sempre ai fini del condono edilizio, è stato sottolineato che è onere del richiedente il condono edilizio provare che l’opera sia stata completata entro la data utile fissata della legge, non essendo a tal fine sufficiente la sola dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio, che deve essere supportata da ulteriori riscontri documentali, eventualmente indiziari, purché altamente probanti (C.d.S., sez. IV, 6 giugno 2001, n. 3067; così del resto anche sez. V, 14 marzo 2007, n. 1249, secondo cui la prova del completamento dell’edificio entro la data prevista dalla legge può essere validamente fornita, in alternativa alla dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio, attraverso la produzione della documentazione, munita di data certa, delle fatture e delle bolle di accompagnamento dei materiali necessari per la realizzazione dell’opera).

VI.2. Sulla base del delineato substrato normativo e giurisprudenziale, la Sezione è dell’avviso che l’impugnato diniego (parziale) di condono edilizio sia esente dai vizi sollevati dalla società ricorrente in primo grado con il primo motivo di ricorso, incentrati sostanzialmente sulla pretesa inidoneità del sopralluogo svolto dai tecnici comunali il 6 dicembre 1994 a dar effettivamente conto della mancata realizzazione delle opere abusive, oggetto di condono, entro la data del 31 dicembre 1993, e sulla conseguenza carenza di motivazione e di istruttoria del predetto diniego.

Infatti, anche a voler condividere, in linea puramente astratta, la tesi secondo cui un mero sopralluogo non possa costituire di per sé prova incontrovertibile ed inconfutabile in ordine all’effettivo momento di completamento di opere a distanza di circa un anno dalla scadenza in cui le stesse sarebbe state ultimate, nel caso in esame l’esito del sopralluogo svolto dai tecnici comunali il 6 dicembre 1994 non contiene generiche affermazioni o valutazioni, attuali ma riferite al passato e cioè al presunto momento di completamento delle opere abusive oggetto di condono, bensì accerta, all’attualità, che “Al piano seminterrato è stata ultimata la porzione di edificio colorata in giallo, come già rilevato con verbale di accertamentp nr. 33/94 del 21.02.1994 progressivo nr. 73, mentre è ultimata solo al rustico e senza finiture (salvo la realizzazione di pavimentazione di parte del magazzino/laboratorio compreso nella zona interrata, che non è stata misurata in quanto in fase di completamento e quindi inaccessibile) la parte di fabbricato colorata in arancione”.

Tale accertamento esclude in radice che le opere oggetto della richiesta di condono fossero state effettivamente completate funzionalmente entro la data del 31 dicembre 1993, rendendo pienamente legittimo l’operato dell’amministrazione comunale.

Peraltro, sotto altro concorrente, ma non meno decisivo profilo, non può sottacersi che anche le eventuali perplessità che avrebbe potuto ingenerare tale accertamento non potevano comportare, come puntualmente evidenziato dall’amministrazione appellante, l’inversione dell’onere della prova, spettando al soggetto richiedente il condono (e non all’amministrazione comunale) la prova della utile e tempestiva conclusione delle opere abusive nel termine stabilito dalla legge, cosa che non si è verificata nel caso di specie.

Per completezza è appena il caso di rilevare che le risultanze del sopralluogo dei tecnici comunali sono state solo genericamente contestate, facendo riferimento a complesse e confuse vicende che avrebbero interessato i locali in questione, vicende che in ogni caso non solo non sono state supportate da adeguate ed obiettive prove o elementi indiziari (a tanto non potendo assurgere dichiarazioni o testimonianze di parte per altro temporalmente successive ai fatti indicati), per quanto non sono idonee a dimostrare l’eventuale incongruenza o erroneità dell’esito del sopralluogo del 6 dicembre 1994.

VI.3. In definitiva l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, deve essere respinto il ricorso proposto in primo grado dalla soc. Kiwi s.n.c.

VII. Ugualmente fondato e da accogliere è l’appello (NRG. 1721/01) proposto avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sez. II, n. 6169 del 31 ottobre 2000, concernente il diniego dell’autorizzazione di agibilità/abitabilità dei locali oggetto di condono, meritevole di favorevole considerazione essendo anche in questo giudizio il secondo motivo di gravame.

VII.1. La Sezione non intende discostarsi dal consolidato indirizzo giurisprudenziale (C.d.S., sez. V, 13 aprile 1999, n.414; 15 aprile 2004, n. 2140) a tenore del quale “…il rilascio del certificato di abitabilità di un fabbricato conseguente al condono edilizio (ai sensi dell’art. 35, comma 20, della legge n. 47 del 1985), può legittimamente avvenire in deroga solo a norme regolamentari e non anche quando siano carenti le condizioni di salubrità richieste da fonti normative di livello primario, in quanto la disciplina del condono edilizio, per il suo carattere eccezionale e derogatorio, non è suscettibile di interpretazioni estensive e, soprattutto, tali da incidere sul fondamentale principio della tutela della salute con evidenti riflessi sul piano della legittimità costituzionale”; ciò del resto è stato ritenuto coerente con quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 256 del 1996, ad avviso della quale la deroga introdotta dall’articolo 35 della legge n. 47 del 1985 “…non riguarda i requisiti richiesti da disposizioni legislative e deve, pertanto, escludersi una automaticità assoluta nel rilascio del certificato di abitabilità…a seguito di concessione in sanatoria, dovendo invece il Comune verificare che al momento del rilascio del certificato di abitabilità siano osservate non solo le disposizioni di cui all’art. 221 T.U. delle leggi sanitarie (rectius, di cui all’art. 4 del D.P.R. 425/94), ma, altresì quelle previste da altre disposizioni di legge in materia di abitabilità e servizi essenziali relativi e rispettiva normativa tecnica…Permangono, infatti, in capo ai Comuni tutti gli obblighi inerenti alla verifica delle condizioni igienico – sanitarie per l’abitabilità degli edifici, con l’unica possibile deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari” (C.d.S., sez. V, 15 aprile 2004, n. 2140).

D’altra parte il certificato di abitabilità non serve ad abilitare l’immobile ad un certo uso piuttosto che ad un altro, giacché dopo il D.P.R. 22 aprile 1994, n. 425, non è previsto un certificato di abitabilità specializzato, così che l’abitabilità riguarda solo la salubrità dell’immobile (C.G.A., 13 ottobre 1999, n. 469) e quindi il solo manufatto edilizio e non l’attività che viene svolta (C.d.S., sez. V, 3 giugno 1996, n. 613); il rilascio del certificato di abitabilità è pertanto condizionato non solo alla salubrità degli ambienti, ma anche alla conformità edilizia dell’opera, sicché, attesa la presunzione iuris tantum di legittimità degli atti amministrativi, col rilascio del permesso di abitabilità devono intendersi verificate, salvo prova contraria, entrambe le suddette condizioni, senza necessità di produrre ulteriori certificati (Cass. Civ., sez. II, 12 ottobre 2012, n. 17498).

VII.2. Ciò precisato, anche l’impugnato diniego di autorizzazione all’agibilità dei locali oggetto del (diniego) di condono edilizio non può essere considerato illegittimo.

Invero non solo l’amministrazione comunale di Livigno aveva correttamente rilevato nella richiesta di rilascio del certificato di agibilità avanzata dalla società interessata la mancata produzione della documentazione a tal fine prescritta dall’art. 4 del D.P.R. n. 425 del 1994, documentazione necessaria anche nel caso di condono edilizio, per quanto presupposto di tale certificato è proprio l’effettivo condono edilizio che nel caso di specie è stato legittimamente negato, potendo rinviarsi sul punto alle considerazioni scolte nel precedente paragrafo VI.

VII.3. A ciò consegue l’accoglimento dell’appello e la riforma dell’impugnata sentenza, con rigetto del ricorso proposto in primo grado.

VIII. Deve essere invece respinto l’appello (NRG. 1722/01) proposto avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sez. II, n. 6170 del 31 ottobre 2000, che ha riconosciuto l’illegittimità dell’ordinanza sindacale n. 2212, prot. n. 2448, del 15 febbraio 1999, di sospensione dell’attività di pubblico esercizio di tipo “A”, svolta nei locali in questione, e di chiusura dell’esercizio stesso, in quanto adottata da organo incompetente.

Al riguardo è appena il caso di ricordare che, a seguito della separazione tra attività di indirizzo politico – amministrativo e attività gestionale, spetta ai dirigenti comunali e, nei comuni privi di personale di tale qualifica, ai responsabili degli uffici o dei servizi, indipendentemente dalla loro qualifica funzionale, l’adozione degli atti di gestione ovvero di attuazione degli indirizzi politico – amministrativi attribuiti esclusivamente agli organi di governo (sindaco, consiglio comunale e giunta), tra cui a titolo esemplificativo, i provvedimenti in materia urbanistica ed edilizia (C.d.S., sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5232; 5 ottobre 2005, n. 5312; 4 maggio 2004, n. 2694), assegnazione e revoca dell’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica (C.d.S., sez. V, 31 gennaio 2007, n. 405; 30 agosto 2006, n. 5073), autorizzazione all’apertura o al mancato mantenimento in esercizio di un passo carrabile (C.d.S., sez. V, 21 novembre 2005, n. 6413), provvedimento di chiusura temporanea di un esercizio commerciale (in applicazione degli artt. 14 della legge 30 aprile 1962, n. 283, e 21, ultimo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689. C.d.S., sez. V, 14 maggio 2004, n. 3143).

Se è vero poi che restano attribuite al sindaco le potestà di gestione connesse alle funzioni di ufficiale di governo (C.d.S., sez. V ottobre 2005, n. 5312), tale speciali potestà danno vita a provvedimenti contingibili ed urgenti connotati dall’eccezionalità e dalla imprevedibilità di fatti che rendono indispensabile prevenire ed eliminare gravi pericoli per l’incolumità dei cittadini e che non possono essere fronteggiati con i normali mezzi apprestati dall’ordinamento (C.d.S., sez. V, 10 febbraio 2010, n. 670; 11 dicembre 2007, n. 6366; sez. VI, 13 giugno 2012, n. 3490).

Nel caso di specie tali peculiari elementi di fatto non sono rinvenibili, non potendo fondarsi il potere del sindaco, quale ufficiale di governo, sulla sola molteplicità degli interessi pubblici tutelati con il provvedimento emanato, così come pretende l’amministrazione appellante.

IX. In conclusione sulla base delle osservazioni svolte, riuniti gli appelli, devono essere accolti i primi due (NRG. 1720 e 1721 del 2001) e per l’effetto, in riforma delle sentenze n. 6171 e n. 6169 del 31 ottobre 2000 del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sez. II, devono essere respinti i relativi ricorsi proposti in primo grado dalla soc. Kiwi s.c.n., con compensazione delle spese del doppio grado di giudizio; deve essere invece respinto il terzo appello (NRG. 1722 del 2001), con conferma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sez. II, n. 6170 del 31 ottobre 2000, con compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sui separati ricorsi in appello proposti dal Comune di Livigno avverso le sentenze del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sez. II, n.6171, 6169 e 6170 del 31 ottobre 2000, iscritti rispettivamente ai NRG. 1720, 1721 e 1722 del 2001, così provvede:

- riunisce gli appelli;

- accoglie gli appelli NRG. 1720 e 1721 del 2001 e, per l’effetto in riforma delle sentenze del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sez. II, n.6171 e 6169 del 31 ottobre 2000, respinge i ricorsi proposti in primo grado dalla Kiwi s.n.c., rispettivamente NRG. 4449/98 e 644/99, dichiarando interamente compensate tra le parti le spese del doppio grado di giudizio;

- respinge l’appello NRG. 1722 del 2001 e per l’effetto conferma la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sez. II, n. 6170 del 31 ottobre 2000, dichiarando compensate le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Stefano Baccarini, Presidente

Carlo Saltelli, Consigliere, Estensore

Manfredo Atzeni, Consigliere

Antonio Amicuzzi, Consigliere

Antonio Bianchi, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 03/06/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)