Cass. Sez. III n. 28474 del 10 luglio 2009 (Cc. 7 apr. 2009)
Pres. Onorato Est. Franco Ric. Giacomin
Polizia giudiziaria. Utilizzabilità videoriprese
Sono legittime e pertanto utilizzabili le videoregistrazioni dell’ingresso e del piazzale di accesso a un edificio sede dell’attività di una società commerciale, eseguite dalla polizia giudiziaria dalla pubblica strada, mediante apparecchio collocato all’esterno dell’edificio stesso, non configurando esse un’indebita intrusione né nell’altrui privata dimora, né nell’altrui domicilio e ciò perché non rientra nell’ambito del domicilio o della privata dimora il luogo in cui si svolge una attività lavorativa, oltre tutto esposta alle ispezioni visive dei soggetti che si trovano all’ esterno (fattispecie relativa a videoriprese effettuate nell\'ambito di attività di indagine in materia di illecita gestione di rifiuti)
L’indagato propone ricorso per cassazione deducendo:
1) violazione degli artt. 309 e 273 cod. proc. pen.; violazione degli artt. 189 cod. proc. pen. e 13 e 14 Cost.; inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità in relazione alle videoriprese eseguite dalla PG; carenza e manifesta illogicità della motivazione sul punto.
Osserva che egli aveva eccepito la inutilizzabilità delle videoriprese eseguite di propria iniziativa dalla PG all’interno del cantiere di proprietà privata dove si svolgevano le attività lavorative, e da considerarsi quindi luogo di privata dimora. Il tribunale del riesame ha disatteso la censura sulla base dell’assunto che si trattasse di un luogo aperto o esposto al pubblico, assunto erroneo sia in fatto (non essendo stato provata la perfetta visibilità dalla strada) sia in diritto (perché la giurisprudenza citata si riferisce a riprese effettuate sulla pubblica via e non all’interno della proprietà privata). Inoltre, non può ritenersi che solo perché il luogo in cui si svolge il lavoro sia visibile dall’esterno esso degradi a luogo aperto o esposto al pubblico.
2) violazione degli artt. 309, 273, 244, 354 cod. proc. pen., dell’art. 197 d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152; dell’art. 223 disp. att. cod. proc. pen.; inosservanza di norme processuali stabilite a pena dì inutilizzabilità in relazione ai prelievi ed alle analisi eseguite dalla PG; carenza e manifesta illogicità della motivazione sul punto.
Osserva che aveva eccepito la illegittimità dei prelievi di campioni di materiali eseguiti dalla PG e la inutilizzabilità delle analisi effettuate su tali campioni. Sul punto l’ordinanza impugnata contiene una motivazione assente o meramente apparente e comunque del tutto insufficiente, in particolare ha omesso di rispondere sulla questione relativa alla attività di ispezione e sequestro operata di iniziativa della PG, in gran parte addirittura prima dell’inizio delle indagini preliminari e soprattutto all’interno di una proprietà privata, senza alcuna autorizzazione degli aventi diritto e della autorità giudiziaria. Gli otto accessi sono infatti avvenuti quasi tutti nottetempo e comunque sempre in assenza di personale o di responsabili della società proprietaria in un luogo da considerarsi privata dimora. Con ciò è stato violato oltre al diritto alla inviolabilità del domicilio, anche quello di difesa e di assistenza degli indagati e persino le disposizioni relative ai controlli di natura amministrativa. Si tratta in realtà di ispezioni e di sequestri, ossia di atti irripetibili non appartenenti alla sfera dei poteri di iniziativa della PG. Nella specie la PG ha effettuato varie ispezioni ex art. 244 cod. proc. pen. all’interno dell’area privata non disposte con decreto motivato della autorità giudiziaria, in assenza degli interessati, senza gli avvisi di legge ai fini amministrativi e penali, compiendo atti irripetibili con violazione di legge.
3) violazione degli artt. 309, 273, 267 cod. proc. pen.; inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità in relazione ai risultati delle intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche; carenza e manifesta illogicità della motivazione sul punto.
Lamenta che aveva eccepito la inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche eseguite dalla PG per insufficienza della motivazione dei decreti autorizzativi e di proroga fino al 18 giugno 2008 (perché motivati per relationem, senza indicare le ragioni della assoluta indispensabilità) e per inesistenza della motivazione di quelli emessi dal 18 giugno 2008 in poi (perché fanno rinvio a note della PG che non solo non sono state allegate ma non sono state nemmeno rese ostensibili alla difesa e al giudice). Il tribunale del riesame non ha adeguatamente risposto a tali eccezioni e non ha nemmeno rilevato che il giudice si era limitato a dichiarare le intercettazioni soltanto necessarie e non già assolutamente indispensabili, senza valutare se vi fossero altri mezzi di prova. Non risulta poi che il giudice abbia preso effettivamente cognizione del contenuto dei provvedimenti ai quali ha fatto rinvio. Per le autorizzazioni successive alla data del 18 giugno 2008, inoltre, le note richiamate non solo non sono state allegate ma non sono state nemmeno depositate al tribunale del riesame.
4) violazione degli artt. 309, 273, 268 cod. proc. pen.; inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità in relazione ai risultati delle intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche; carenza e manifesta illogicità della motivazione sul punto. Lamenta che il tribunale del riesame ha omesso di motivare sulla eccezione di inutilizzabilità delle intercettazioni per mancato deposito dei verbali delle intercettazioni svolte dalla PG, compresi i brogliacci.
5) contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza.
6) carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione circa l’esistenza delle esigenze cautelari e dei criteri di scelta della misura. Lamenta che sul punto l’ordinanza impugnata ricalca la motivazione utilizzata per il coindagato ing. Gosetti, e quindi per il Giacomin è solamente apparente.
In prossimità dell’udienza il difensore ha depositato una memoria difensiva.
Motivi della decisione
Ritiene il Collegio che il ricorso sia infondato.
Quanto al primo motivo, invero, va rilevato che la massima citata dal ricorrente si riferisce a riprese video di comportamenti non comunicativi effettuate all’interno di un domicilio. Nella specie, invece, il tribunale del riesame ha motivatamente escluso che possa parlarsi di domicilio. La giurisprudenza di questa Corte ha del resto ritenuto che le riprese fotografiche violano il domicilio quando vengano ripresi comportamenti sottratti alla normale osservazione dall’esterno, atteso che la tutela del domicilio è limitata a ciò che si compie in luoghi di privata dimora in condizioni tali da renderlo tendenzialmente non visibile dall’esterno, mentre qualora l’azione, pur svolgendosi in luoghi di privata dimora, può essere liberamente osservata senza ricorrere a particolari accorgimenti, il titolare del domicilio non può vantare alcuna pretesa al rispetto della riservatezza (nella specie si trattava di ripresa fotografica dalla strada pubblica di due persone che uscivano di casa e si trovavano in un cortile visibile dall’esterno) (Sez. VI, 1.10.2008, Apparuti, m. 241213). Esattamente pertanto l’ordinanza impugnata ha applicato nel caso in esame l’altro principio affermato dalla stessa sentenza delle Sezioni Unite richiamata dal ricorrente, secondo cui «Le videoregistrazioni in luoghi pubblici ovvero aperti o esposti al pubblico, non effettuate nell’ambito del procedimento penale, vanno incluse nella categoria dei “documenti” di cui all’art. 234 cod. proc. pen. Le medesime videoregistrazioni eseguite dalla polizia giudiziaria, anche d’iniziativa, vanno invece incluse nella categoria delle prove atipiche, soggette alla disciplina dettata dall’art. 189 cod. proc. pen. e, trattandosi della documentazione di attività investigativa non ripetibile, possono essere allegate al relativo verbale e inserite nel fascicolo per il dibattimento» (Sez. Un., 28.3.2006, n. 26795, Prisco, m. 234267; nello stesso senso Sez. II, 24.4.2007, n. 35300, Caruso, m. 237848, in un caso in cui la P.G. aveva installato telecamere sulla pubblica via per verificare il flusso di automezzi e persone in arrivo ed in partenza dal covo degli imputati; Sez. V, 17.7.2008, n. 37698, Stranieri, m. 241946, in un caso dì riprese esterne ad un edificio che ne inquadravano l’ingresso, i balconi e il cortile). Quest’ultima decisione ha anche osservato che nel caso di luoghi esposti al pubblico, la percettibilità dall’esterno fa venir meno le ragioni di tutela dei luoghi stessi, pur se di proprietà privata, sicché l’impiego della video camera potrebbe equipararsi ad un’operazione di appostamento della p.g., eseguita nei limiti dell’autonomia investigativa, senza necessità di autorizzazione dell’a.g. La sentenza Sez. I, 25.10.2006, n. 37530, Arcione, m. 235027, poi, ha rilevato che «sono legittime e pertanto utilizzabili le videoregistrazioni dell’ingresso e del piazzale di accesso a un edificio sede dell’attività di una società commerciale, eseguite dalla polizia giudiziaria dalla pubblica strada, mediante apparecchio collocato all’esterno dell’edificio stesso, non configurando esse un’indebita intrusione né nell’altrui privata dimora, né nell’altrui domicilio», e ciò perché non rientra nell’ambito del domicilio o della privata dimora «il luogo in cui si svolge una attività lavorativa, oltre tutto esposta alle ispezioni visive dei soggetti che si trovano all‘esterno».
Il tribunale del riesame ha appunto ritenuto che nella specie fossero applicabili i suddetti principi perché la discarica in questione era perfettamente visibile sia dalla strada sia dalle zone adiacenti e che le videoriprese erano state effettuate proprio dalla strada o da altri luoghi pubblici o aperti al pubblico. Il ricorrente contesta questa affermazione e sostiene che invece le videoriprese erano state tutte effettuate all’interno della proprietà privata dove gli agenti del corpo forestale erano entrati, senza autorizzazione della a.g., attraverso una strada privata e superando la recinzione che delimitava la proprietà privata. Si tratta però di una questione in punto di fatto, in quanto il tribunale del riesame ha invece accertato che le riprese erano state effettuate tutte da un luogo pubblico. Questo accertamento in fatto non può essere pertanto rimesso in discussione in questa sede di legittimità, e la relativa questione dovrà eventualmente essere affrontata e risolta in sede di giudizio di merito.
Anche in ordine al secondo motivo il Collegio ritiene congrua ed adeguata la motivazione dell’ordinanza impugnata, la quale ha ritenuto che le operazioni di prelievo e di analisi dei campioni effettuate dagli accertatori rientrano nella normale attività che può essere svolta dalla polizia giudiziaria in sede di indagini preliminari e che costituisce un elemento di valutazione, in sede di riesame, della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Ed invero anche con riferimento a tale motivo sarebbero necessari accertamenti di fatto circa gli orari e le modalità degli accessi e dei prelievi nonché i soggetti che li hanno svolti, che potranno essere compiuti solo in sede di merito. In questa sede è quindi sufficiente ricordare che in forza dell’art. 197, comma 3, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, «Gli addetti al controllo sono autorizzati ad effettuare ispezioni, verifiche e prelievi di campioni all’interno di stabilimenti, impianti o imprese che producono o che svolgono attività di gestione dei rifiuti». Né sembra prospettabile una violazione dell’art. 223 disp. att. cod. proc. pen. che si riferisce alle analisi non ripetibili perché aventi ad oggetto campioni deteriorabili, mentre nella specie non è stato dedotto dal ricorrente che si tratterebbe appunto di sostanze deteriorabili e quindi di analisi non ripetibili.
E’ infondato anche il terzo motivo. Per quanto riguarda i decreti di autorizzazione alle intercettazioni e di proroga fino al 18 giugno 2008 — dei quali il ricorrente eccepisce l’insufficienza di motivazione perché consistente in un richiamo per relationem alle note della polizia giudiziaria, senza indicazione delle ragioni della assoluta indispensabilità delle intercettazioni stesse — ritiene il Collegio che esattamente e congruamente il tribunale del riesame li ha invece ritenuti adeguatamente motivati per relationem, avendo accertato che nella specie il giudice aveva fatto richiamo alle richieste del p.m. ed alle relazioni di servizio della polizia giudiziaria, ponendo così in evidenza, per il fatto di averle prese in esame ed averle fatte proprie, l’iter cognitivo e valutativo seguito per giustificare l’adozione del particolare mezzo di ricerca della prova.
Per quanto riguarda invece i decreti di proroga successivi al 18 giugno 2008 è pacifico che non sono stati depositati dinanzi al tribunale del riesame le note della polizia giudiziaria sulle quali si basavano le richieste di proroga delle intercettazioni avanzate dal p.m. Ora, secondo la giurisprudenza, la motivazione per relationem dei decreti di autorizzazione e di proroga di intercettazioni è sufficiente purché le relazioni di polizia giudiziaria richiamate nei decreti stessi siano conosciute o almeno conoscibili dalla difesa. Il tribunale del riesame ha ritenuto che il mancato deposito delle note in questione fosse irrilevante perché era stata comunque depositata la relazione conclusiva finale del 5.11.2008, che riepilogava tutte le relazioni intermedie precedentemente redatte, sicché la difesa era stata messa in grado di effettuare agevolmente un controllo sull’operato del Gip e sull’adeguatezza delle motivazioni dei singoli decreti. Il ricorrente invece eccepisce che la relazione riassuntiva non era sufficiente a verificare tutti i requisiti (compresi quelli di compatibilità temporale) di legittimità delle intercettazioni, ed in particolare la corrispondenza dei singoli decreti con il contenuto delle singole relazioni di polizia giudiziaria. Va però osservato che il tribunale del riesame ha accertato in punto di fatto che la relazione conclusiva riassumeva e riepilogava tutte le relazioni intermedie precedentemente redatte e conteneva quindi tutti gli elementi desumibili dalle singole relazioni. Tale accertamento di fatto non è stato posto in discussione dal ricorrente, il quale invero non contesta che effettivamente la relazione conclusiva contenesse in forma riepilogativa tutti gli elementi desumibili dalle singole relazioni e comunque non specifica quali elementi delle singole relazioni — necessari per accertare la sufficienza di motivazione dei decreti di proroga — non fossero contenuti nella relazione riepilogativa finale. In ogni caso il motivo in esame è generico anche sotto un altro profilo. Ed infatti, quand’anche fossero inutilizzabili le intercettazioni autorizzate dopo il 18 giugno 2008, non è stato nemmeno specificato quali elementi di prova erano stati tratti da queste intercettazioni e pertanto quale rilevanza decisiva tale inutilizzabilità avrebbe in ordine al giudizio di sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Il quarto motivo è del tutto generico, in quanto non si riesce a comprendere l’oggetto della censura che sarebbe stata proposta dinanzi al tribunale del riesame e da questo non esaminata, dal momento che la proposizione del terzo motivo sembrerebbe dimostrare di per se stessa che il ricorrente era a conoscenza del contenuto delle intercettazioni.
Il quinto motivo è anch’esso del tutto generico, non essendo nemmeno dedotto sotto che profilo sarebbe viziata la motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Il sesto motivo si risolve in una censura in punto di fatto della decisione impugnata, con la quale si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità, ed è comunque infondato perché il tribunale del riesame ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali ha ritenuto la sussistenza delle esigenze cautelari. Ed invero, quanto al pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, l’ordinanza impugnata lo ha ritenuto sussistente in considerazione della gravità e della durata delle condotte criminose — le quali inoltre costituivano il risultato di una complessa attività che richiedeva la collaborazione di una molteplicità di soggetti —, del fatto che l’attività criminosa era proseguita anche dopo gli iniziali controlli, del fatto che il Giacomin aveva posto in essere una complessa attività di copertura e di falsificazione, del fatto che vi era stata perfino una violazione dei sigilli, compiuta materialmente dal Giacomin, al fine di evitare che fossero scoperti cumuli di rifiuti posti sotto sequestro. Quanto al pericolo di inquinamento probatorio, esso è stato con congrua ed adeguata motivazione rinvenuto nella necessità che potessero essere realizzate false comunicazioni, atti o analisi. Vi è congrua ed adeguata motivazione anche in ordine alla scelta della misura cautelare, in considerazione della notevole capacità criminosa dimostrata dal Giacomin. che aveva concorso anche nella attività di falsificazione operando con una certa autonomia e del fatto che una misura meno afflittiva non avrebbe escluso il rischio di inquinamento probatorio.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.