Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4200, del 21 agosto 2013
Urbanistica.Illegittimità approvazione NTA del PRG senza VAS
La valutazione ambientale strategica (VAS) di cui alla Direttiva 42/2001/Ce del Parlamento europeo, è volta a garantire che gli effetti sull'ambiente di determinati piani e programmi siano considerati durante l'elaborazione e prima dell'adozione degli stessi, così da anticipare nella fase di pianificazione e programmazione quella valutazione di compatibilità ambientale che, se effettuata (come avviene per la valutazione di impatto ambientale) sulle singole realizzazioni progettuali, non consentirebbe di compiere un'effettiva valutazione comparativa, mancando in concreto la possibilità di disporre di soluzioni alternative per la localizzazione degli insediamenti e, in generale, per stabilire, nella prospettiva dello sviluppo sostenibile, le modalità di utilizzazione del territorio. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 04200/2013REG.PROV.COLL.
N. 04668/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4668 del 2012, proposto da:
Comune di Vasto, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Marina D'Orsogna, Franco Gaetano Scoca, con domicilio eletto presso Franco Gaetano Scoca in Roma, via Paisiello, 55;
contro
Casa Accoglienza F.Lli Alfonso E Luigi Genova Rulli, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Filippo Lattanzi, Massimo Cirulli, con domicilio eletto presso Filippo Lattanzi in Roma, via G.P. Da Palestrina,47;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. dell’ ABRUZZO – Sezione Staccata di PESCARA- SEZIONE I n. 00699/2011, resa tra le parti, concernente ADOZIONE E APPROVAZIONE N.T.A. PRG DEL COMUNE DI VASTO RELATIVE ALLA DESTINAZIONE D'USO DI ALCUNE AREE
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Casa Accoglienza F.Lli Alfonso E Luigi Genova Rulli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 giugno 2013 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati Marina D'Orsogna, Franco Gaetano Scoca e Filippo Lattanzi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso di primo grado l’odierna parte appellata aveva impugnato, chiedendone l’annullamento, le norme tecniche di attuazione al piano regolatore generale del comune di Vasto, adottato con delibera consiliare 87 del 2007 e approvato con delibera 134 del 2010 e tutti gli atti connessi, strumentali ed istruttori ed i pareri tecnici relativi ai precedenti provvedimenti.
Aveva prospettato svariate doglianze di violazione di legge ed eccesso di potere.
In particolare, tra l’altro, aveva sostenuto la illegittimità degli atti gravati, in quanto asseritamente resi in violazione della direttiva comunitaria 42 del 2001 e degli articoli 5 e seguenti del decreto legislativo 152 del 2006 ed affetti da difetto di istruttoria e sviamento: ciò perché la programmazione urbanistica avrebbe dovuto essere sottoposta alle procedure di valutazione ambientale e strategica, di cui alla citata direttiva comunitaria (mentre tale procedura era stata completamente omessa); parimenti aveva contestato la violazione del d.p.r. 357 del 1997 sostenendo che a cagione della circostanza che nel territorio comunale di Vasto erano presenti dei siti di interesse comunitario, sarebbe stato necessario uno studio apposito per valutare l'impatto ambientale delle NTA.
Il primo giudice ha in primo luogo preso in esame, respingendola, la eccezione di carenza d’interesse al ricorso in relazione alla variante.
Muovendo dalla circostanza che la originaria parte ricorrente risultava proprietaria di alcuni terreni edificabili, per cui lo scopo del ricorso era quello di ottenere una maggiore edificabilità (o comunque una più agevole edificabilità) dei terreni di propria pertinenza, e richiamata la maggioritaria elaborazione giurisprudenziale sul punto, il Tribunale amministrativo ha rilevato che la questione della mancata sottoposizione dello strumento urbanistico alla valutazione ambientale era stata prospettata qual indice della mancata accurata disamina delle ripercussioni della nuova normativa sull'intero assetto urbanistico comunale ed ha affermato che il lamentato vizio incideva direttamente sul terreno di proprietà dell’odierna parte appellata (il quale in virtù della nuova normativa risulta soggetto a maggiori limiti per la possibilità edificatoria).
Da tali considerazioni ha fatto discendere la reiezione della eccezione.
Il Tribunale amministrativo ha quindi esaminato nel merito le dedotte censure, accogliendo quella incentrata sulla necessità per il comune di sottoporre le avversate modifiche delle norme tecniche di attuazione alla valutazione d’impatto ambientale (prevista in via generale dalla normativa europea e nazionale di recepimento).
In proposito è stato infatti rilevato che la procedura prevista dall'articolo 5 del citato decreto legislativo 152 risultava applicabile a tutti gli strumenti urbanistici, con la sola implicita eccezione di quelli che per la loro limitata portata e per il ridotto contenuto non interessavano in alcun modo l'ambiente (eccezione che peraltro avrebbe dovuto risultare dalla motivazione dell'atto di programmazione e che comunque riguardava ipotesi del tutto limitate, ed esulava dalla variante generale al PRG in esame in quanto il raffronto tra la vecchia e nuova normativa del piano confermava che la variante aveva comportato una sostanziale e incisiva modifica di standard, parametri, quantità e qualità degli interventi ammissibili e che l'introduzione di nuovi strumenti attuativi aveva di fatto comportato un ridimensionamento degli standard edilizi e urbanistici e un’alterazione dell’edificabilità).
Parimenti è stata affermata dal primo giudice la illegittimità della procedura seguita, laddove lo strumento stesso non era stato sottoposto al vaglio delle autorità provinciali e regionali per verificarne la conformità al piano provinciale e al piano regionale, soprattutto dal punto di vista ambientale (verifica di conformità e congruità con gli strumenti pianificatori sovraordinati, questa, doverosa ad avviso del Tribunale amministrativo regionale, in quanto, come anche sostenuto dalla relazione della SUP della provincia di Chieti la proposta di piano, pur apparentemente di livello normativo, incideva in modo strutturale sul sistema delle trasformazioni territoriali).
Sotto altro profilo, è stata accolta la doglianza volta a contestare la possibilità per il comune - anche in una zona già completamente urbanizzata- di imporre un piano attuativo prima di concedere le autorizzazioni edilizie.
Ciò alla stregua della considerazione per cui in una zona che risulti già urbanizzata (ed in cui, quindi tutti gli standard previsti siano stati già realizzati in modo compiuto) non sarebbe corretto dal punto di vista giuridico nè logico imporre un onere al privato che sostanzialmente sarebbe inutile (salva l’ipotesi in cui, ancorché ci si trovi al cospetto di una zona urbanizzata, la confusione edilizia e il disordine urbanistico – elementi questi sui quali il provvedimento pianificatorio si sarebbe comunque dovuto adeguatamente diffondere- siano tali da richiedere comunque la predisposizione di un piano attuativo).
Accolto pertanto il ricorso, il primo giudice (come peraltro richiesto dall’amministrazione comunale odierna appellante) si è fatto carico di stabilire la portata del proprio dictum demolitorio stabilendo quale fosse la latitudine dei poteri dell'amministrazione per conformarsi alla pronuncia stessa.
Il Tribunale amministrativo ha all’uopo precisato che l’ annullamento investiva le norme tecniche di attuazione nella parte in cui avevano imposto lo strumento attuativo,nelle aree di pertinenza della odierna parte appellata a far tempo dall’adozione e che l’annullamento predetto investiva in toto dette norme tecniche di attuazione a partire dal momento - successivo all’adozione, la quale conservava quindi il suo valore anche in salvaguardia - in cui era mancata la sottoposizione alla valutazione ambientale strategica e la verifica di conformità alla pianificazione sovraordinata.
Il primo giudice ha altresì stabilito che il Comune in relazione all’intera variante in questione (a parte le parti annullate già dall’adozione) avrebbe dovuto sottoporla alla valutazione ambientale e di conformità alla pianificazione superiore ed eventualmente riesaminarla in toto nella sua discrezionalità, usufruendo delle norme di salvaguardia entro un tempo massimo di mesi otto dalla notificazione o comunicazione della sentenza, trascorso il quale la variante stessa avrebbe perso efficacia in toto con riviviscenza della precedente normativa ed obbligo di rideterminarsi sulla istanza privata.
L’ amministrazione comunale di Vasto odierna appellante ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe chiedendone la riforma previa sospensione della esecutività riproponendo le eccezioni disattese in primo grado e lamentando che la sentenza impugnata non aveva ponderato la circostanza che la avversata variante normativa aveva apportato una diminuzione del carico urbanistico complessivo mercè decurtazione delle “cubature” originariamente previste dal PRG del 2001.
Ha in proposito preliminarmente ripercorso, anche sotto il profilo cronologico, la complessa sequenza infraprocedimentale sfociata nella avversata variante normativa, facendo presente che l’attività avviata successivamente alla pubblicazione della sentenza (iter per sottoporre la detta variante normativa alla Valutazione preliminare di compatibilità ambientale) non costituiva in alcun modo acquiescenza alla sentenza.
Nel merito, ha riproposto la disattesa eccezione di carenza di interesse con riguardo alla posizione di parte appellata, posto che l’interesse della stessa ad ottenere/mantenere un più favorevole regime di edificabilità con riguardo al suolo di propria pertinenza non era inciso dalle sollevate problematiche relative alla Vas ed alle altre valutazioni di compatibilità ambientale (il proprio interesse, al contrario, appariva antagonista all’espletamento della Vas).
Con la seconda censura ha ribadito che la valutazione ambientale strategica non era affatto necessaria con riguardo alla variante (meramente normativa) n. 87/2007 avversata.
Il procedimento di variante (essa era stata approvata il 17 novembre 2010 ed adottata il 23 ottobre 2007) era in corso alla data di entrata in vigore (31 luglio 2007) delle disposizioni in materia di Vas, e l’art. 52 del d.Lvo n. 152/2006 disponeva che detti procedimenti in corso (il parere della Commissione era stato rilasciato il 30 luglio 2007) proseguissero secondo le vigenti disposizioni (che escludevano la effettuazione della predetta verifica di compatibilità ambientale).
E ciò, in disparte la circostanza che giammai il primo giudice aveva chiarito
quali “effetti significativi” sull’ambiente sarebbero discesi dalla variante (meramente normativa) predetta: la sottoposizione della stessa a Vas sarebbe stata contraria alla Direttiva Ce che aveva introdotto l’istituto nel sistema.
Anche relativamente alla stigmatizzata carenza di parere rispetto alla valutazione di incidenza, la parte appellata non aveva alcun interesse a dedurla: la variante, in ogni caso, incidendo in senso attenuativo degli standards edificatori, non poteva produrre alcun “significativo impatto” sull’ ambiente.
Anche con riferimento alle problematiche di coordinamento con gli strumenti programmatori sovraordinati, la impugnata decisione non coglieva nel segno in quanto la valutazione di conformità con la normativa sovraordinata non era affatto mancata.
Parimenti la impugnata decisione appariva errata in relazione alla (censurata) introduzione dell’obbligo di predisposizione di un piano attuativo: l’area dell’appellata non era completamente urbanizzata (in quanto circondata da aree non edificate) e, per altro verso, il fondo della stessa insisteva in zona C1 di completamento e nuova urbanizzazione, dal che discendeva il permanere alterato della potestà comunale di esatta pianificazione dell’area con riferimento all’obiettivo dello “sviluppo sostenibile”.
Parte appellata ha depositato una argomentata memoria chiedendo la reiezione dell’appello perché infondato ed ha proposto un appello incidentale subordinato strutturato in cinque censure.
Ha poi comunicato che, a cagione della sopravvenuta positiva conclusione del procedimento l’unica censura subordinata in ordine alla quale permaneva il proprio interesse era la quinta ed ultima.
All’adunanza camerale del 24 luglio 2012 la causa è stata rinviata al merito.
Alla odierna pubblica udienza del 25 giugno 2013 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1.L’appello principale è infondato e va disatteso nei termini di cui alla motivazione che segue, mentre l’appello incidentale (peraltro espressamente subordinato all’accoglimento del contrapposto mezzo principale)è improcedibile
2. Va premesso che l’avvenuta conformazione dell’ amministrazione comunale odierna appellante all’obbligo di effettuare la Vas affermato nella gravata sentenza ha avuto luogo senza che ciò potesse significare acquiescenza alle statuizioni contenute nella sentenza medesima (non a caso esplicitamente impugnata in parte qua): ne discende che non può ravvisarsi alcuna causa di improcedibilità del gravame (ex multis, Cons. Stato Sez. IV, 27-01-2012, n. 413 :“la spontanea esecuzione della sentenza di annullamento da parte dell'Amministrazione non comporta acquiescenza, e quindi non fa venir meno l'interesse all'appello di detta sentenza, trattandosi di semplice ottemperanza a un ordine giudiziale provvisoriamente esecutivo, fatta eccezione per la sola ipotesi in cui emerga in modo esplicito la volontà di accettare l'assetto di interessi come definito nella sentenza medesima. Tale principio resta valido anche nell'ipotesi in cui vengano adottati nuovi atti in sostituzione di quelli annullati dal T.A.R.” Cons. Giust. Amm. Sic., 19-01-2010, n.18 “l'esecuzione spontanea della sentenza di primo grado, pur in assenza di limitazioni o condizioni apposte al provvedimento, costituisce, per l'Amministrazione, atto dovuto in ottemperanza all'ordine del giudice, dal quale non può desumersi l'acquiescenza e la manifestazione di una volontà di segno contrario a quella resa evidente dalla coltivazione dell'appello avverso la pronuncia giurisdizionale dalla quale è scaturito l'obbligo di provvedere.”).
2.1. Le censure proposte avverso il capo demolitorio della impugnata decisione relativo all’asserita –illegittima, ad avviso del Tar- omissione della previa sottoposizione a Vas della gravata variante postulano l’esame di quattro problematiche: asserita carenza di interesse e legittimazione attiva di parte appellata a sollevare la doglianza in primo grado; erroneità, ratione temporis, dell’affermazione secondo cui la Vas era obbligatoria; non necessità in concreto della Vas posto che la variante non recava effetti significativi sull’ambiente; possibile “assorbimento” delle valutazioni da rendersi in sede di Vas con quelle relative alla valutazione di incidenza ex art. 5 del d.P.R. n. 357/1997.
2.2. Il Collegio le esaminerà partitamente.
2.3. Quanto alla supposta carenza di interesse in capo a parte originaria ricorrente, (doglianza, questa, già proposta in forma di eccezione dal Comune nel corso del giudizio di primo grado ed ivi prospettata con riferimento a tutti i motivi contenuti nel ricorso introduttivo del giudizio)rileva il Collegio che la doglianza non si fonda su argomenti giuridici ma su affermazioni di natura fattuale.
Essa muove, in sostanza, dalla constatazione che le Vas si concludono, di regola, con prescrizioni più stringenti per l’ambiente: ad avviso del Comune si dovrebbe allora affermare che l’ originaria parte ricorrente (interessata a incrementare la possibilità edificatoria delle aree di propria pertinenza) non aveva affatto interesse a prospettare tale gruppo di censure in quanto dalla eventuale effettuazione della Vas avrebbe potuto, semmai, ricavare conseguenze al limite pregiudizievoli all’interesse azionato in giudizio.
2.3.1. Ritiene il Collegio che detta tesi non abbia pregio, in quanto introduce un giudizio “concreto” che si fonda però su dati meramente ipotetici.
Il Collegio conosce – ed apprezza - la giurisprudenza del Consiglio di Stato segnalata dall’appellante amministrazione comunale (cfr. sez. IV, 12.1.2011, n. 133), per la quale le censure inerenti il procedimento di VAS sono ammissibili nei limiti in cui la parte istante specifichi quale concreta lesione alla sua proprietà sia derivata dall’inosservanza delle norme sul procedimento; in altri termini non deve trattarsi di una doglianza meramente “strumentale”, ma sostanziale, visto che il generico interesse ad un nuovo esercizio del potere pianificatorio dell’Amministrazione è insufficiente a distinguere la posizione del ricorrente da quella del quisque de populo (cfr. in termini, anche TAR Lombardia, Milano, sez. II, 12.1.2012, n. 297).
Nel caso in cui, viceversa, si lamenti la totale omissione di tale incombente procedimentale, non è dato applicare il detto principio, proprio a cagione della circostanza che non può ipotizzarsi quale sarebbe stato l’approdo della Vas, e si oblierebbe la circostanza che un possibile parere del tutto negativo avrebbe potuto indurre l’Amministrazione a rinunciare alla variante, ovvero a rimodularla integralmente.
In materia, è d'uopo richiamare la più recente giurisprudenza della Sezione sui limiti alla configurabilità dell'interesse c.d. strumentale all'impugnazione di uno strumento urbanistico, nel senso che tale impugnazione deve pur sempre ancorarsi a specifici vizi ravvisati con riferimento alle determinazioni adottate dall'Amministrazione in ordine al regime dei suoli in proprietà del ricorrente, e non può fondarsi sul generico interesse a una migliore pianificazione del proprio suolo, che in quanto tale non si differenzia dall'eguale interesse che quisque de populo potrebbe nutrire (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 luglio 2010, nr. 4546).
In altri termini, l'utilità comunque rappresentata dal possibile vantaggio che astrattamente il ricorrente potrebbe ottenere per effetto della riedizione dell'attività amministrativa non è ex se indicativa della titolarità di una posizione di interesse giuridicamente qualificata e differenziata, idonea a legittimare la tutela giurisdizionale.
Analoghe considerazioni possono farsi per l'ulteriore utilità, costituita dalla "reviviscenza" del previgente e più favorevole P.R.G. che si avrebbe per effetto dell'annullamento giurisdizionale del P.G.T.: utilità la quale, oltre a essere anch'essa non indicativa dell'esistenza di un interesse giuridicamente tutelabile, quand'anche effettivamente sussistente sarebbe comunque provvisoria, essendo jus receptum che l'effetto immediato dell'annullamento di uno strumento urbanistico consiste nel dovere dell'Amministrazione di riesercitare la propria potestà di pianificazione del territorio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 2004, nr. 3563; Cons. Stato, sez. V, 23 aprile 2001, nr. 2415).
Nella richiamata decisione della Quarta Sezione (12.1.2011, n. 133) si è espressamente affermata la condivisione del principio per cui "laddove la VAS si concluda con un giudizio positivo (o positivo condizionato) il soggetto che subisca determinazioni lesive della sua sfera giuridica discendenti dall'accettazione (piena o condizionata) delle proposte pianificatorie sottoposte a VAS, ben potrà censurare anche queste determinazioni preliminari condizionanti, poiché è per effetto di questo giudizio di sostenibilità complessiva di queste scelte che le stesse possono tramutarsi in atti pianificatori negativi"
Nella detta pronuncia si è altresì rilevato che per evitare di pervenire a una legitimatio generalis del tipo di quella sopra indicata, occorre che le "determinazioni lesive" fondanti l'interesse a ricorrere siano effettivamente "condizionate", ossia causalmente riconducibili in modo decisivo, alle preliminari conclusioni raggiunte in sede di V.A.S., e pertanto l'istante avrebbe dovuto precisare come e perché tali conclusioni nella specie abbiano svolto un tale ruolo decisivo sulle opzioni relative ai suoli in sua proprietà, ciò che non ha fatto.
Nel caso di specie, tuttavia, ciò che si lamenta è la totale omissione dell’incombente. Ne consegue che da un canto non è possibile preconizzare l’esito cui sarebbe approdata la Vas e l’eventuale pregiudizio che la originaria parte ricorrente ne avrebbe potuto ricavare: è ben vero che, di solito, il detto incombente ove espletato si risolve nella imposizione di prescrizioni più stringenti rispetto a quelle contenute nel piano o programma soggetto a valutazione.
E’ ben vero però che, per un verso, detta regola non può essere elevata a canone generale (non può escludersi, in via di principio, che la espletata vas introduca elementi di giudizio non già puramente e semplicemente “restrittivi” di prescrizioni ma modificativi delle stesse, rimodulativi, etc); per altro verso, i proprietari dei suoli soggetti a regolamentazione hanno comunque l’interesse a che ciò avvenga mediante atti immuni da censure, di guisa che possano comunque contare sulla stabilità ed incontestabilità dell’assetto di interessi prefissato nell’atto.
La doglianza va quindi disattesa.
2.4. Quanto alla censura -connessa unicamente sotto il profilo logico a quella dianzi esaminata- secondo cui trattavasi di variante “normativa” priva di significativi impatti sull’ambiente, di guisa che la Vas non sarebbe stata obbligatoria si rimarca che questo Consiglio di Stato ha in passato affermato che (Cons. Stato Sez. IV, 13-11-2012, n. 5715 ) “la cd. Valutazione ambientale strategica (VAS) è la valutazione delle conseguenze ambientali di piani e programmi al fine ultimo di assicurare lo sviluppo sostenibile di un territorio sotto il profilo ambientale. E' una procedura finalizzata precipuamente a mettere in rilievo le possibili cause di un degrado ambientale derivante dall'adozione di piani e programmi interessanti il territorio, introdotta dalla Direttiva comunitaria 2001/42/CE che prevede, appunto, la sua applicazione a piani e programmi produttivi di effetti significativi sull'ambiente”. “
La giurisprudenza di merito ha per il vero puntualizzato che (T.A.R. Friuli-Venezia Giulia Trieste Sez. I, 10-05-2012, n. 169 ) “in un'ottica sostanzialistica tesa ad evitare interpretazioni normative che si risolvano in meri adempimenti formali e rappresentano inutili appesantimenti del procedimento, non deve essere sottoposto alla procedura di valutazione ambientale strategica (VAS), né a quella di valutazione di incidenza, uno strumento pianificatorio le cui previsioni non si discostano in maniera sostanziale da quelle già fatte oggetto di tale indagine, tanto più che parte ricorrente non fornisce alcuna dimostrazione del fatto che le previsioni derivanti dall'applicazione del piano possono avere sull'ambiente effetti significativi diversi da quelli già presi in considerazione.”.
In estrema sintesi il comune di Vasto appellante invoca l’applicazione di tale principio al caso di specie (sebbene il PRG risalisse al 2001 e nessuno studio ambientale illo tempore lo avesse supportato) al fine di pervenire all’affermazione per cui, in concreto, la variante non sarebbe stata sottoponibile a Vas. Senonchè, nel caso di specie appare evidente che la stessa esposizione di parte appellante (pag 3 dell’appello) relativa alle prescrizioni contenute nella variante (anche adeguamento a piani sovraordinati) ed all’ambito della stessa (relativa all’intero PRG) esclude che si possa individuare una “modestia” della incidenza della stessa tale da condurre alla affermazione che, in concreto, la Vas non doveva essere effettuata.
In tal modo argomentando il comune inverte i termini del ragionamento: la variante riguardava di fatto l’intero territorio comunale; le modifiche, incidenti sulle NTA incidevano quindi sulla generalità delle prescrizioni relative al suolo del comune; inferire una carenza di effetti sull’ambiente dalla mancata previsione di zonizzazioni, ovvero dalla diminuzione del carico urbanistico integra apodittica affermazione, semmai destinata - eventualmente – ad essere corroborata in sede di effettuazione della Vas e responso favorevole di quest’ultima.
Può convenirsi quindi con la affermazione del primo giudice che “fotografa” esattamente la posizione dell’ amministrazione comunale e la inversione logica che dalla stessa discende: “ il comune deduce dal contenuto delle nuove norme tecniche di attuazione la non necessità di sottoporle a una previa valutazione ambientale, mentre è proprio l’esito di tale valutazione a eventualmente considerarne nullo l’impatto ambientale.”
Ad avviso del Collegio comunque, e conclusivamente sul punto, non può dirsi che una variante incidente sull’intero territorio comunale – e volta a modificare un piano per il quale, pacificamente, in passato non era stata effettuata la Vas- potesse andare esente dall’espletamento del detto incombente.
2.5. Quanto alle altre due doglianze, il Collegio non può che richiamare - in relazione alla pretesa fungibilità della procedura di Vas con quella relativa alla valutazione di incidenza dei Sic- l’affermazione contenuta nella decisione della Sezione VI (sent. 10-05-2011, n. 2755) secondo cui “in materia ambientale, la valutazione ambientale strategica va distinta dalla valutazione di incidenza, prevista dal D.P.R. n. 357/1997 nel sistema previgente all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 4/2008, che ha un rilievo meramente settoriale destinato alla particolare protezione dei siti di rilevanza comunitaria.
Da tale principio il Collegio non ravvisa motivo per discostarsi, il che esclude l’accoglibilità del mezzo.
2.5.1.In ordine, poi, alla pretesa inapplicabilità della procedura prevista dal D.Lgs. n. 152 del 2006 alla variante per cui è causa (a cagione della asserita circostanza per cui quest’ultima era in itinere al momento della entrata in vigore della disposizione in oggetto, fissata al 31 luglio 2007) la doglianza non coglie certamente nel segno ed è, anzi, strutturata in termini confusori, sol che si consideri che la stessa adozione della variante intervenne nell’ottobre 2007 e, quindi, successivamente alla entrata in vigore delle disposizioni in materia di Vas.
L’amministrazione comunale, infatti, da un canto sembrerebbe concordare con la tesi affermata in sentenza che fissava l’entrata in vigore delle disposizioni in materia di Vas al 31 luglio 2007; allorchè invece affronta la questione delle ragioni che avrebbero militato per la esclusione della Vas nella fase successiva all’adozione della variante e prodromica all’approvazione della stessa (avvenuta nel 2010, e quindi ben tre anni dopo) sembra discostarsi da tale punto di partenza, pervenendo all’affermazione per cui alla data in cui intervenne la delibera di adozione (23.10.2007)”non v’era alcuna norma che prescrivesse alle Regioni di applicare l’istituto della Vas”.
2.5.2. Nessuna delle tesi che sostanziano la critica dell’amministrazione comunale appare favorevolmente delibabile.
Detta critica si fonda su una serie di inaccoglibili forzature che sono così sintetizzabili: si fa “partire” il momento in cui ebbe ad avviarsi il procedimento di rinnovo della pianificazione non già dal momento di adozione della delibera di variante, ma da una data antecedente a quest’ultima (parere della Commissione consiliare Assetto ed utilizzazione del Territorio sulle Nta che sarebbe già intervenuto al 30 luglio 2007); si sostiene che la fase di approvazione della variante sia in sostanziale continuità con la fase dell’approvazione, tanto che le modifiche normative medio tempore intervenute fossero irrilevanti; a monte, si afferma che alla data dell’ottobre del 2007 le disposizioni in materia di vas non fossero cogenti per le Regioni.
Il comune pretenderebbe infatti che - sebbene sia pacifico che la variante non era stata neppure adottata al momento della entrata in vigore della normativa in materia di Vas - a cagione della circostanza che il procedimento complesso in oggetto era stato già avviato, di giovarsi della prescrizione di cui all’ art. 52 comma 2 del d.Lvo n. 152/2006 (“i procedimenti amministrativi in corso alla data di entrata in vigore della parte seconda del presente decreto, nonché i procedimenti per i quali a tale data sia già stata formalmente presentata istanza introduttiva da parte dell'interessato, si concludono in conformità alle disposizioni ed alle attribuzioni di competenza in vigore all'epoca della presentazione di detta istanza”).
Si sostiene quindi che non poteva trovare applicazione (neppure nel corso del sub procedimento autonomo finalizzato all’approvazione della variante adottata)la normativa in materia di vas.
Trattasi di una congerie di affermazioni che, seppur sapientemente formulate, non colgono nel segno proprio alla luce delle costanti affermazioni della giurisprudenza amministrativa, che di seguito verranno illustrate.
2.5.3. In ordine al dato temporale individuato dal giudice di prime cure per fissare la data di entrata in vigore nell’ordinamento giuridico italiano delle disposizioni in materia di Vas, la contestazione a tratti mossa dall’appellante comune (secondo cui alla data del 30 ottobre del 2007 le Regioni non erano obbligate ad applicare le disposizioni in materia di Vas) non coglie certamente nel segno.
La questione è stata esplorata dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato nella decisione n. 2755/2011 prima già richiamata, ed alla luce degli approdi in passato raggiunti dal Giudice delle leggi: nulla ritiene di dovere aggiungere il Collegio all’excursus motivazionale contenuto nella citata decisione, che di seguito si riporta nella parte di interesse.
Ivi, infatti, è stato chiarito che: “per determinare l'evoluzione normativa del settore, anche di quella antecedente all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 3 del 2008, risulta decisiva - per la sua chiarezza e la sua sinteticità- la sentenza della Corte Costituzionale 22 luglio 2009, n. 225, la quale ha osservato che:
- l'entrata in vigore della seconda parte del d.lgs. n. 152 del 2006, recante tra l'altro la disciplina della VAS (e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile 2006), è stata inizialmente fissata (art. 52) in centoventi giorni dalla sua pubblicazione;
- tale termine è stato differito, prima dall'art. 1 septies del decreto -legge 12 maggio 2006, n. 173, alla data del 31 gennaio 2007 e, successivamente, dall'art. 5, comma 2, del decreto legge 28 dicembre 2006, n. 300, alla data del 31 luglio 2007;
- il d.lgs. n. 152 del 2006 è stato oggetto di ampie modificazioni da parte del decreto legislativo 8 novembre 2006, n. 284, le quali non hanno, tuttavia, riguardato le disposizioni in materia di VAS;
- l'intera parte seconda del d.lg. n. 152 del 2006 è stata, invece, abrogata dall'art. 4, comma 2, del decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4, ed è stata sostituita dagli artt. 1, comma 2, e 4, comma 3, del medesimo decreto correttivo, che hanno introdotto, in materia di VAS, una disciplina (v. gli artt. da 4 a 18 e da 30 a 36, nonché gli allegati da I a V della parte seconda) largamente differente.
Le disposizioni in materia di VAS contenute nel citato decreto, nella versione antecedente alla entrata in vigore del d.lg n. 4 del 2008 hanno, pertanto, avuto vigenza dal 31 luglio 2007 al 13 febbraio 2008, data di entrata in vigore della nuova disciplina introdotta dal decreto legislativo "correttivo”n. 4 del 2008.”.
Da tali affermazioni si è fatta discendere la conseguenza per cui “come ha rilevato la già richiamata sentenza della Corte Cost.n. 225 del 2009, la disciplina di cui all'originario testo del decreto legislativo n. 152 del 2006 era entrata in vigore il 31 luglio del 2007 (per poi essere sostituita nel gennaio 2008 dal più volte citato decreto legislativo n. 4 del 2008).”
Ivi si è conclusivamente rilevato che “non è invece condivisibile la tesi della Regione, secondo cui l'intera parte II del decreto 152 del 2006, come sostituita dal d.lg n. 4 del 2008, sarebbe entrata in vigore soltanto nel 2009 (tenuto conto del termine di adeguamento annuale concesso alle Regioni), con la conseguente assenza della necessità della VAS”.
Il Collegio non può che ribadire tale convincimento, osservando che, comunque, anche a volere opinare diversamente (il che per le già chiarite ragioni non è) nessun beneficio trarrebbe l’appellante comune in concreto dall’accoglimento di tale tesi posto che è incontestabile che, comunque, la delibera di approvazione della variante intervenne nel 2010 (data in cui nessuna parte processuale si spinge a sostenere che non fosse applicabile sul territorio italiano la disciplina in tema di vas).
2.5.4. Anche alle altre affermazioni del Comune è agevole replicare richiamando in senso contrario l’insegnamento della giurisprudenza amministrativa.
Secondo quest’ultima, infatti, (Cons. Stato Sez. IV Sent., 08-08-2008, n. 3929) “poiché gli unici atti inerenti ad un procedimento di formazione del P.R.G. dotati di rilevanza esterna, e quindi autonomamente impugnabili, sono la deliberazione comunale di adozione ed il provvedimento regionale di approvazione, la mancata impugnazione dell'atto con cui il Comune ha controdedotto alle osservazioni, proponendone alternativamente il rigetto o l'accoglimento, non può determinare l'inammissibilità dell'appello proposto avverso la delibera di variante, trattandosi di atto privo di contenuto provvedimentale e che assolve ad una mera funzione endoprocedimentale, ad un tempo consultiva e propositiva nei confronti dell'Amministrazione regionale.”
Tutta l’elaborazione giurisprudenziale sul tema collide con la tesi prospettata dall’appellante comune.
Invero, da un canto costituisce approdo consolidato quello per cui (Cons. Stato Sez. IV, 14-02-2012, n. 704, Cons. Stato Sez. IV, 16-09-2011, n. 5229) “l'adozione di una variante al piano regolatore generale, in quanto provvedimento di pianificazione generale, non deve essere necessariamente preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento nei confronti dei soggetti interessati”.
Secondariamente, è stato puntualmente osservato che (T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, 30-01-2013, n. 262) “in materia urbanistica, l'obbligo di provvedere gravante sul Comune in caso di decadenza di un vincolo preordinato all'esproprio, va assolto mediante l'adozione di una variante specifica o di variante generale, gli unici strumenti che consentono alle amministrazioni comunali di verificare la persistente compatibilità delle destinazioni già impresse ad aree situate nelle zone più diverse del territorio comunale, rispetto ai principi informatori della vigente disciplina di piano regolatore e alle nuove esigenze di pubblico interesse; peraltro, il potere di conformazione urbanistica è attribuito dalla legge all'organo consiliare, di talché il semplice e prospettato avvio del procedimento di revisione del piano regolatore generale comunale non costituisce adempimento da parte del Comune in ordine all'obbligo di riqualificazione urbanistica della zona rimasta priva di specifica disciplina a seguito di decadenza del vincolo di destinazione su di essa gravante”.
Il complesso procedimento di revisione dello strumento urbanistico generale quindi, trae avvio con l’adozione della variante e si conclude con la sua approvazione: eventuali atti prodromici e preparatorii non consentono di affermare che il procedimento era già in itinere, di guisa che nella incontroversa constatazione che al momento della semplice adozione della variante la normativa in materia di Vas era già entrata in vigore si deve escludere la pretesa applicabilità del richiamato art. 52.
E d’altro canto la superiore affermazione si impone anche per elementari esigenze di logica (oltre che avuto riguardo al dato testuale della disposizione citata, che non può ovviamente far riferimento ad un avvio del procedimento fondato su atti non tipici).
Se si aderisse alla opzione ermeneutica dell’amministrazione comunale, sarebbe stata sufficiente una mera e generica espressione dell’intento di procedere alla rivisitazione dell’assetto urbanistico dell’area comunale per considerare il procedimento di variante “avviato” e, pertanto per pervenire ad una inammissibile dequotazione degli obblighi nascenti ex d.Lgs n. 152/2006 esonerando le amministrazioni dall’obbligo di esperire la Vas.
2.5.5. Tali considerazioni sarebbero in realtà sufficienti a smentire la fondatezza della doglianza.
2.5.6. Ma ancora più rilevanti controindicazioni all’accoglibilità di quest’ultima emergono sol che si analizzi il rapporto intercorrente tra delibera di adozione e delibera di approvazione della variante generale.
La giurisprudenza ha chiarito in proposito che (Cons. Stato Sez. IV, 15-02-2013, n. 921) la mera adozione del piano regolatore, non ancora approvato, determina la facoltà, ma non anche l'onere di impugnazione; per altro verso, “la mancata impugnazione della delibera di approvazione della variante al piano regolatore non determina improcedibilità del ricorso proposto avverso la delibera di adozione del medesimo, poiché l'annullamento di quest'ultima esplica effetti caducanti e non meramente vizianti sul successivo provvedimento di approvazione nella parte in cui conferma le previsioni contenute nel piano adottato e fatto oggetto di impugnativa.”
Il rapporto tra i due atti è quindi di presupposizione eventuale, in quanto limitata all’ipotesi che le prescrizioni avversate contenute nella delibera di adozione restino immutate in fase di approvazione(si veda, sotto il profilo generale T.A.R. Puglia Lecce Sez. II, 16-04-2012, n. 679 :”la non necessità di impugnazione dell'atto finale, quando sia stato già contestato quello preparatorio, opera unicamente quando tra i due atti vi sia un rapporto di presupposizione /conseguenzialità immediata, diretta e necessaria, nel senso che l'atto successivo si pone quale inevitabile conseguenza di quello precedente, perché non vi sono nuove ed autonome valutazioni di interessi, né del destinatario dell'atto presupposto, né di altri soggetti; diversamente, quando l'atto finale, pur partecipando della medesima sequenza procedimentale in cui si colloca l'atto preparatorio, non ne costituisce conseguenza inevitabile perché la sua adozione implica nuove ed ulteriori valutazioni di interessi, l'immediata impugnazione dell'atto preparatorio non fa venir meno la necessità di impugnare l'atto finale).
Nel sistema di legislazione urbanistica statale, i soli atti del procedimento di formazione del piano regolatore dotati di rilevanza esterna e, come tali, immediatamente impugnabili, sono la deliberazione comunale di adozione e il provvedimento regionale di approvazione (T.R.G.A. Trentino-Alto Adige Trento, 19-12-1996, n. 505).
Anche a volere concordare con parte appellante (il che, per le prima esplicate motivazioni, non è) in ordine alla circostanza che al momento di entrata in vigore della disciplina ex d.Lgs n. 152/2006 la variante fosse in itinere, ciò avrebbe potuto comportare, che si potesse pervenire alla legittima adozione della stessa pur in carenza di preventiva effettuazione della Vas: non anche che anche il sub procedimento di approvazione (conclusosi circa tre anni dopo, peraltro) restasse immune da tale obbligo.
E, d’altro canto, analogo modus comportamentale è stato a più riprese predicato, in passato, dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato secondo il quale (Cons. Stato, VI, 31 gennaio 2007, n.370), è principio acquisito quello per cui la rinnovazione del giudizio di compatibilità ambientale è necessario quando le varianti progettuali determinino la costruzione di un intervento significativamente diverso da quello già esaminato. Se è prevista un'autorizzazione alla realizzazione di un intervento in più fasi, è necessaria una seconda VIA se nel corso della seconda fase (e quindi per esempio in sede di definitivo o di variante) il progetto può avere mostrato un nuovo impatto ambientale importante, in particolare per la sua natura, le sue dimensioni o la sua ubicazione (in termini, Cons. Stato, VI, n.2694 del 2006, principio conforme a Corte giust. Comm. eu. 4 maggio 2006, C-290/2003; Consiglio di Stato sez. IV, 7 luglio 2011, n. 4072).
Ad analoghe affermazioni deve pervenirsi, ad avviso del Collegio - salva inequivoca volontà contraria esplicitamente espressa dal Legislatore (ma l’art. 52 del dLgs n. 152/2006 non autorizza una simile conclusione)- allorchè un sopravvenuto obbligo in materia ambientale si inserisca in una fase subprocedimentale autonoma, costituendo inammissibile dequotazione delle esigenze al medesimo sottese l’omessa effettuazione dell’incombente.
Tale omissione, peraltro, nel caso di specie, si porrebbe in antitesi al principio di precauzione che ha presieduto alla adozione nel sistema giuridico sovranazionale prima, e nazionale poi, di detta valutazione.
Invero la valutazione ambientale strategica (VAS) di cui alla Direttiva 42/2001/Ce del Parlamento europeo, è volta a garantire che gli effetti sull'ambiente di determinati piani e programmi siano considerati durante l'elaborazione e prima dell'adozione degli stessi, così da anticipare nella fase di pianificazione e programmazione quella valutazione di compatibilità ambientale che, se effettuata (come avviene per la valutazione di impatto ambientale) sulle singole realizzazioni progettuali, non consentirebbe di compiere un'effettiva valutazione comparativa, mancando in concreto la possibilità di disporre di soluzioni alternative per la localizzazione degli insediamenti e, in generale, per stabilire, nella prospettiva dello sviluppo sostenibile, le modalità di utilizzazione del territorio.
Detta valutazione, si rende necessaria in armonia con il principio di “precauzione” direttamente discendente dal Trattato Ue che, per ciò solo, costituisce criterio interpretativo valido in Italia, a prescindere da singoli atti di recepimento delle direttive in cui esso si compendia (per una definizione di quest’ultimo: “il cd. "principio di precauzione" fa obbligo alle Autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l'ambiente, ponendo una tutela anticipata rispetto alla fase dell'applicazione delle migliori tecniche proprie del principio di prevenzione.”- T.A.R. Lazio Roma Sez. II bis, 20-01-2012, n. 665-; “la regola della precauzione può essere considerata come un principio autonomo che discende dalle disposizioni del Trattato UE. L'applicazione del principio di precauzione comporta che, ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un'attività potenzialmente pericolosa, l'azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, anche nei casi in cui i danni siano poco conosciuti o solo potenziali. “-T.A.R. Lazio Roma Sez. II bis, 20-01-2012, n. 663-).
2.6. Conclusivamente ad avviso del Collegio la censura va disattesa:come correttamente rilevato dal primo giudice la relazione della SUP della provincia di Chieti sosteneva che la proposta di piano, pur apparentemente di livello normativo, incidesse in modo strutturale sul sistema delle trasformazioni territoriali: la cartografia e la pianificazione generale risultava quella relativa al piano regolatore del 2001, ( e detta epoca mancavano altresì gli strumenti pianificatori di livello superiore), e pertanto in concreto non appaiono accogli bili le argomentazioni del comune incentrate, in sostanza, sull’unico argomento della riduzione della portata edificatoria.
3. Il convincimento espresso dal Collegio in ordine alla esattezza della sentenza gravata, esonera dall’esame delle ulteriori censure prospettate ai punti da 2.7 a 4 del terzo motivo di ricorso, trattandosi di doglianze che attingono passaggi ulteriori dell’iter motivazionale contenuto nella decisione di primo grado e che, seppur accolte, non potrebbero condurre ad una decisione di segno diverso allorchè è stato ritenuto fondato il giudizio di illegittimità incentrato sull’omesso espletamento della Vas.
La statuizione demolitoria resa dal Tar, infatti, resiste alle censure proposte nell’appello quanto alla sussistenza di una omissione viziante l’iter procedimentale: l’eventuale accoglimento degli altri motivi dell’appello proposto dall’amministrazione comunale non potrebbe avere effetto “sanante“ sulla riscontrata illegittimità e, quindi, sulla conferma dell’annullamento dell’azione amministrativa (ex multis:”Ove l'atto impugnato -provvedimento o sentenza- sia legittimamente fondato su una ragione di per sé sufficiente a sorreggerlo, diventano irrilevanti, per difetto di interesse, le ulteriori censure dedotte dal ricorrente avverso le altre ragioni opposte dall'autorità emanante a rigetto della sua istanza.” -
Consiglio Stato , sez. VI, 31 marzo 2011 , n. 1981-; “Laddove una determinazione amministrativa di segno negativo si fondi su una pluralità di ragioni, ciascuna delle quali di per sé idonea a supportarla in modo autonomo, è sufficiente che anche una sola di esse resista alle censure mosse in sede giurisdizionale perché il provvedimento nel suo complesso resti esente dall'annullamento.”-
Consiglio Stato , sez. VI, 29 marzo 2011 , n. 1897-).
4. Quanto all’ultimo caposaldo dell’appello, volto a censurare il punto 4 della impugnata decisione, anche in questo caso le doglianze dell’amministrazione comunale non appaiono persuasive.
Essa si richiama al concetto di discrezionalità dell’amministrazione in subiecta materia, e critica gli approdi cui è giunto il primo giudice ma nella sostanza perviene a considerazioni anche collidenti intrinsecamente con quanto affermato nella prima parte dell’appello.
La omessa modifica delle zonizzazioni, infatti (nella prima parte dell’appello esaltata qual elemento in grado di dimostrare che la variante era puramente normativa e non avrebbe necessitato della Vas) viene svalutata nella seconda parte del gravame in quanto –ivi si sostiene- non renderebbe illogica la scelta comunale di sottoporre l’edificazione delle aree di pertinenza della odierna parte appellata alla previa redazione di un piano attuativo.
4.1.Rimarca in contrario senso il Collegio che costituisce approdo consolidato in dottrina ed in giurisprudenza quello per cui (ex multis T.A.R. Campania Salerno Sez. II, 23-02-2012, n. 372 T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. II, 10 febbraio 2011 , n. 117) “il principio, secondo cui va esclusa la necessità di strumenti attuativi per il rilascio di concessioni in zone già urbanizzate, è applicabile solo nei casi nei quali la situazione di fatto, in presenza di una pressoché completa edificazione della zona, sia addirittura incompatibile con un piano attuativo (ad es. il lotto residuale ed intercluso in area completamente urbanizzata), ma non anche nell'ipotesi in cui per effetto di una edificazione disomogenea ci si trovi di fronte ad una situazione che esige un intervento idoneo a restituire efficienza all'abitato, riordinando e talora definendo ex novo un disegno urbanistico di completamento della zona (ad esempio, completando il sistema della viabilità secondaria nella zona o integrando l'urbanizzazione esistente per garantire il rispetto degli standards minimi per spazi e servizi pubblici e le condizioni per l'armonico collegamento con le zone contigue, già asservite all'edificazione).”
Questo Consiglio di Stato ha in passato osservato che "l'esigenza di un piano di lottizzazione, quale presupposto per il rilascio della concessione edilizia, si impone anche al fine di un armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo, allo scopo di potenziare le opere di urbanizzazione già esistenti e, quindi, anche alla più limitata funzione di armonizzare aree già compromesse ed urbanizzate, che richiedano una necessaria pianificazione della maglia e perciò anche in caso di lotto intercluso o di altri casi analoghi di zona già edificata e urbanizzata."( cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 13 ottobre 2010, n. 7486 Consiglio Stato: sez. IV, 1 ottobre 2007, n. 5043 e 15 maggio 2002, n. 2592; sez. V, 1 dicembre 2003, n. 7799 e 6 ottobre 2000, n. 5326).
Parte appellante contesta che l’area sia completamente urbanizzata, ricorrendo ad un artificio dialettico, in quanto ciò desume dalla circostanza che la detta area (della quale quindi non si contesta sotto il profilo intrinseco la completa urbanizzazione) è circondata da aree non urbanizzate.
Ciò che più rileva, però, è che la seconda parte del ragionamento del Tar, in sostanza volto ad affermare che, seppur in via di principio l’evenienza di una imposizione della redazione di un piano attuativo non possa escludersi, residua l’esigenza che detta opzione volitiva sia congruamente motivata dal Comune (così la sentenza impugnata: “vi possono essere peraltro delle ipotesi in cui, ancorché in una zona urbanizzata, la confusione edilizia e il disordine urbanistico siano tali da richiedere comunque la predisposizione di un piano attuativo, però tali situazioni devono risultare nella motivazione del provvedimento amministrativo anche pianificatorio o perlomeno dalla relazione accompagnatoria e dalla documentazione allegata”) non è stato contestato, se non per ribadire che le scelte potrebbero ricavarsi dai criteri logico-discrezionali seguiti per la redazione del Piano.
4.2. osserva il Collegio che – proprio in virtù dei principi di matrice giurisprudenziale cui il Comune dichiara di rifarsi- la detta opzione avrebbe necessitato un duplice chiarimento: in fatto, in ordine alla non completa urbanizzazione della specifica area; in diritto, in ordine alle ragioni che imponevano la subordinazione dell’edificazione alla redazione di un strumento attuativo, nella specifica area.
Di tali chiarimenti non v’è traccia in atti, ed il richiamo ad obiettivi esposti nella Relazione del Piano (”sviluppo sostenibile”, etc) tanto generici quanto non tarati sullo specifico caso finiscono con eludere l’obbligo motivazionale: anche sotto tale profilo la sentenza di prime cure, che ha esattamente colto l’omessa soddisfazione di tale onere di motivazione “rafforzata” appare esente da mende (mentre appare addirittura confessoria rispetto alla prima parte dell’appello l’ultima proposizione contenuta nell’appello comunale, relativo all’avvenuto aumento delle aree a standard).
5.Conclusivamente l’appello principale proposto dal comune va respinto il che comporta la improcedibilità delle censure riproposte da parte appellata.
6. Sussistono le condizioni di legge per disporre l’integrale compensazione delle spese processuali sostenute dalle parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,lo respinge e dichiara improcedibile l’appello incidentale.
Spese processuali compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:
Marzio Branca, Presidente FF
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Francesca Quadri, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/08/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)