La confisca penale delle costruzioni abusive e dei terreni abusivamente lottizzati
di Aldo FIALE
Relazione tenuta nell’incontro di studio del 1° marzo 2012 in Corte di Cassazione sul tema “Le misure cautelari reali: principi generali, prassi giurisprudenziali, problematiche applicative”.
1. La confisca penale delle costruzioni abusive
Nella materia edilizia il sistema sanzionatorio disciplinato dalla legge n. 47/1985 ha risolto negativamente il dibattuto problema relativo all’applicabilità della confisca prevista dall’art. 240 cod. pen. alle costruzioni abusive (edificate cioè in assenza del permesso di costruire ovvero in totale difformità da quello rilasciato).
Questa misura di sicurezza patrimoniale, talvolta disposta in passato dai giudici di merito, è stata sempre esclusa dalle decisioni della Suprema Corte.
Appare opportuno — in proposito — ricordare la più significativa giurisprudenza formatasi sotto il vigore della legge urbanistica (n. 1150/1942).
Il primo ad interessarsi della materia sembra sia stato il Pretore di Orvieto (sent. 8-10-1971), il quale ritenne ammissibile la confisca dell’edificio costruito senza licenza del Sindaco e della parti realizzate oltre i limiti della licenza stessa, escludendo l’incompatibilità del relativo provvedimento con le sanzioni amministrative della demolizione e della pena pecuniaria previste dall’art. 13 della legge 6 agosto 1967, n. 765.
Fu poi il Pretore di Latina (sent. 14-10-1972) ad affermare che il contrasto della confisca con la sanzione pecuniaria e con quella della demolizione non sussisteva, e che — nell’ipotesi di confisca — il trasferimento di proprietà era fatto al patrimonio disponibile dello Stato e non privava l’autorità comunale del potere di disporre la demolizione e di eseguirla.
A sconvolgere l’indirizzo dei giudici di merito intervenne la Corte di Cassazione (24-3-1972) con l’annullamento senza rinvio di una decisione del Pretore di Massa Marittima, con la quale era stata ordinata la confisca di alcuni locali chiusi laddove era prescritto un porticato.
Con questa sentenza, premesso che la confisca è una misura di sicurezza, con la quale lo Stato adempie ad un suo scopo di tutela preventiva sociale mediante la privazione di beni patrimoniali appartenenti o non all’autore di un fatto preveduto dalla legge come reato, a causa della loro pericolosità rilevata con la commissione dei reati, e che le cose confiscate sono devolute allo Stato (art. 622 c.p.p. del 1930) il quale provvede ad alienarle o a distruggerle a seconda dei casi, venne affermato un principio fondamentale nei rapporti fra confisca e sanzioni amministrative in materia urbanistica.
Affermò la Corte Suprema che il mezzo diretto a scoraggiare ogni tentativo di violazione delle prescrizioni urbanistico-edilizie era previsto dall’art. 32 della legge urbanistica. La confisca del manufatto, pertanto, non poteva essere ordinata dall’autorità giudiziaria, poiché il provvedimento di demolizione non era la conseguenza automatica e vincolata della violazione commessa, ma era discrezionale ed andava adottato dal Sindaco dopo accurata valutazione di tutti gli elementi di giudizio, al fine di stabilirne la rispondenza al pubblico interesse.
Le Sezioni Unite penali (30-4-1983, Manno) ribadirono l’uniforme e costante orientamento della Corte, sancendo l’illegittimità della confisca sia sotto l’aspetto di uno straripamento di potere del giudice penale, sia sotto quello della inidoneità giuridica di tale provvedimento a conseguire il suo effetto naturale o tipico per la impossibilità di devolvere allo Stato la cosa confiscata.
A queste argomentazioni parte della dottrina replicò rilevando che i poteri del Sindaco (esercitati non sulla base di una accertata responsabilità penale) non sono esclusivi nella materia in esame, ma concorrono con i poteri spettanti al giudice penale, poiché il nostro ordinamento, rispetto allo stesso fatto, ha inteso reagire con sanzioni operanti ciascuna nel ramo di diritto che le è proprio.
Le sanzioni amministrative, pertanto, realizzano interessi completamente distinti da quelli perseguiti dal giudice ordinario nell’applicare la confisca, la quale, come misura di sicurezza, «consiste nell’eliminazione di cose che, provenendo da fatti illeciti penali, o in alcuna guisa collegandosi alla loro esecuzione, mantengono viva l’idea e l’attrattiva del reato» (Relaz. min. sul progetto del codice penale).
Inoltre, se effettivamente il legislatore avesse inteso privare il giudice penale del suo tipico potere di ordinare la confisca del corpo del reato, avrebbe dovuto specificarlo espressamente, trattandosi di una eccezione ad un principio generale.
Deve riconoscersi comunque che il sistema delle sanzioni amministrative attualmente delineato dal T.U. n. 380/2001 — articolato su una generale obbligatorietà della demolizione, correlata all’acquisizione gratuita ed automatica dell’immobile abusivo al patrimonio del Comune — attua praticamente le medesime finalità della confisca penale e che, se questa venisse contemporaneamente disposta, genererebbe indubbi problemi di adeguamento tra procedure diverse.
La giurisprudenza più recente della Corte di Cassazione è costantemente orientata nel senso che «In materia edilizia, a seguito di sentenza di condanna per le ipotesi di reato di cui all’art. 44 D.P.R. n. 380/2001 (già art. 20 L. 28 febbraio 1985, n. 47), non può essere disposta la confisca, né obbligatoria né facoltativa, a norma dell’art. 240 cod. pen., atteso che tale disposizione è derogata dalla disciplina speciale del citato D.P.R. n. 380/2001, ai sensi della quale è prevista una specifica sanzione amministrativa (ingiunzione a demolire) di tipo ripristinatorio, fatta salva la possibilità di dichiarazione di prevalenti interessi pubblici che legittimano l’acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale» [vedi Cass., sez. III: 25 aprile 2009, n. 15717, Bianchi; 29 luglio 2008, n. 39514, Masullo; 28 novembre 2007, Irti; 30 maggio 2003, Vassallo; 7 dicembre 2001, Siniscalco].
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Ipotesi eccezionali di confisca
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Appare opportuno ricordare, però, che l’art. 39, 12° comma, della legge 23-12-1994, n. 724, ha previsto la confisca obbligatoria (in caso di condanna) delle opere oggetto di abusi edilizi poste in essere da soggetti definitivamente condannati per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. (associazione di tipo mafioso) e per i reati di riciclaggio di danaro.
La confisca si estende anche alle opere abusive eseguite da terzi per conto dei soggetti anzidetti.
La sentenza che dispone il provvedimento ablatorio è titolo per l’immediata trascrizione nei registri immobiliari e, per effetto della confisca, le opere sono acquisite di diritto e gratuitamente al patrimonio indisponibile del Comune sul cui territorio insistono.
2. Confisca penale e lottizzazioni abusive
2.1 La configurazione dell’istituto
L’art. 44, 2° comma, del T.U. n. 380/2001 — che riproduce testualmente l’art. 19 della legge n. 47/1985 — impone al giudice penale, ove accerti l’esistenza di una lottizzazione abusiva [senza alcun riferimento alla necessità della pronunzia di una sentenza di condanna], l’obbligo di disporre la confisca dei terreni abusivamente lottizzati, nonché delle opere eventualmente realizzate sugli stessi.
Per effetto della confisca, i terreni e le opere sono acquisiti di diritto e gratuitamente al patrimonio disponibile del Comune nel cui territorio è avvenuta la lottizzazione abusiva.
La relativa statuizione prescinde dall’affermazione della responsabilità penale, potendo dunque conseguire, oltre che ad una sentenza di patteggiamento, anche ad una sentenza di proscioglimento ovvero assolutoria, salvo che per insussistenza del fatto.
Essa diviene esecutiva con il passaggio in giudicato della sentenza (art. 648 c.p.p.) e questa, divenuta irrevocabile, costituisce «titolo per l’immediata trascrizione nei registri immobiliari».
Non può mancarsi di rilevare, al riguardo, che il sistema delle sanzioni amministrative previsto dall’art. 30 del T.U. n. 380/2001 per le lottizzazioni abusive — se correttamente applicato — dovrebbe rendere del tutto residuale tale provvedimento di confisca demandato all’autorità giudiziaria.
Si ricordi che:
— il dirigente del competente ufficio comunale deve emettere ordine di sospensione dei lavori (che va trascritto nei registri immobiliari) non appena accerti l’illecito; quindi, nei successivi 90 giorni, deve provvedere alla demolizione delle opere, mentre i terreni sono acquisiti di diritto (cioè ex lege e non ad opera di un apposito provvedimento con effetti costitutivi) al patrimonio disponibile del Comune;
— in caso di inerzia dovrà intervenire, con gli stessi poteri, il Presidente della Giunta regionale (entro 45 giorni dall’accertamento, ovvero entro 120 giorni dall’emissione dell’ordinanza di sospensione).
Ben note, però, sono le inadempienze della P.A. nella materia e notevoli ritardi possono ricollegarsi a pronunzie dei tribunali amministrativi che sospendano l’esecutività delle ordinanze di sospensione dei lavori.
2.2 La natura giuridica
La dottrina è stata divisa circa la individuazione della natura giuridica da attribuire a detta confisca: considerata da alcuni Autori quale vera e propria misura di sicurezza patrimoniale ed inquadrata ora nella previsione del 1° comma (DI GIOVINE, in “Commento all’art. 19 della legge n. 47/1985”, in Abusivismo edilizio: condono e nuove sanzioni, a cura di Predieri, Roma, 1985) ora in quella del 2° comma dell’art. 240 cod. pen. (MENDOZA-QUARTO, “Il reato di lottizzazione abusiva”, in Consiglio di Stato, 1989, p. 127); ma riguardata, secondo altro orientamento, quale sanzione amministrativa irrogata dal giudice penale (VERGINE, in Aa.Vv. “Condono edilizio ed innovazioni alla disciplina urbanistica nella legge 28 febbraio 1985, n. 47”, Rimini, 1985, p. 260; MONALDI, in “Commentario alla legge 28 febbraio 1985, n. 47”, in Le nuove leggi civili commentate, 1985, p. 1096).
Proprio quest’ultimo orientamento è stato condiviso dalla Corte Suprema (vedi già Cass., sez. III, 20-12-1995, n. 12471, ric. Besana ed altri).
La Cassazione ha rilevato che:
* non può parlarsi di istituto assimilabile alla confisca facoltativa di cui all’art. 240, 1° comma, cod. pen., sia poiché la sanzione è obbligatoria e deve essere irrogata indipendentemente da una sentenza di condanna sia poiché i terreni sono destinati al patrimonio comunale invece che a quello statale;
* né può configurarsi un’assimilazione alla confisca obbligatoria di cui al n. 2 del capoverso dell’art. 240 cod. pen., poiché il terreno abusivamente frazionato non ha caratteristiche intrinseche di pericolosità, mentre viene sanzionata soltanto una specifica destinazione di esso, che è antigiuridica esclusivamente se non autorizzata.
La confisca, dunque, deve essere ritenuta piuttosto una sanzione amministrativa irrogata dal giudice penale, alla stessa stregua dell’ordine di demolizione previsto dall’art. 31, ultimo comma, del T.U. n. 380/2001 [vedi Cass., sez. III: 8 novembre 2000, Petrachi, in Riv. giur. edilizia, 2001, I, 529; 7 luglio 2004, n. 38728, Lazzara, in Riv. giur. edilizia, 2005, I, 344; 22 settembre 2009, n. 36844, Contò; 16 febbraio 2011, n. 5857, Grova ed altri].
Trattasi di un provvedimento posto a chiusura di un complessivo sistema sanzionatorio con il quale tuttavia deve essere coordinato.
Non è necessario, in proposito, che il giudice penale — nell’adottarlo — accerti previamente la non-avvenuta acquisizione delle aree ai sensi dell’art. 30, 8° comma, del T.U. n. 380/2001: non si ravvisa, invero, possibilità di incongrue interferenze per eventuale «sovrapposizione» di provvedimenti ablatori, poiché, anche per effetto della confisca disposta ex art. 44, i terreni vengono acquisiti di diritto e gratuitamente al patrimonio disponibile del Comune nel cui territorio è avvenuta la lottizzazione abusiva.
Sarebbe del tutto irrazionale, però, l’applicazione della misura anche qualora l’autorità amministrativa, cui compete istituzionalmente il governo del territorio, nell’autonomo esercizio del potere ad essa devoluto dalla legge, prima della formazione del giudicato, abbia ritenuto di dovere autorizzare l’intervento lottizzatorio.
2.3 Confisca e terzi acquirenti
La Corte di Cassazione aveva per lungo tempo affermato che «la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite sugli stessi deve essere disposta anche nei confronti dei beni dei terzi acquirenti in buona fede ed estranei al reato, i quali potranno fare valere i propri diritti in sede civile» [vedi Cass., Sez. III: 4.12.1995, Cascarino; 4.10.2004, n. 38728; 21.3.2005, n. 10916].
Tale orientamento, però, è stato rielaborato – più recentemente – nella prospettiva della valutazione dei rapporti tra l’ordinamento statuale e quelle peculiari norme internazionali contenute nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ai quali è stata data esecuzione con la legge di ratifica 4.8.1955, n. 848.
La Corte europea dei diritti dell’uomo, infatti, nelle sentenze pronunziate rispettivamente il 30.8.2007 ed il 20.1.2009 [ricorso n. 75909/01 proposto contro l’Italia dalla s.r.l. “Sud Fondi” ed altri] – a fronte di una sentenza nazionale che aveva disposto la confisca pur ritenendo insussistente l’elemento soggettivo del reato di lottizzazione abusiva – ha affermato che la confisca già prevista dall’art. 19 della legge n. 47/1985 ed attualmente collocata tra le “sanzioni penali” dall’art. 44, 2° comma, del T.U. sull’edilizia n. 380/2001:
— “non tende alla riparazione pecuniaria di un danno, ma mira nella sua essenza a punire per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge”;
— è, quindi, una “pena” ai sensi dell’art. 7 della Convenzione e la irrogazione di tale “pena” senza che sia stata stabilita l’esistenza di dolo o colpa dei destinatari di essa, costituisce infrazione dello stesso art. 7, una corretta interpretazione del quale “esige, per punire, un legame di natura intellettuale (coscienza e volontà) che permetta di rilevare un elemento responsabilità nella condotta dell’autore materiale del reato”.
La Corte Costituzionale, con le sentenze nn. 348 e 349 del 22.10.2007:
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ha affrontato la questione relativa alla posizione ed al ruolo delle norme della CEDU ed alla loro incidenza sull’ordinamento giuridico italiano, rilevando che dette norme, diversamente da quelle comunitarie, non creano un ordinamento giuridico sopranazionale e sono pur sempre norme internazionali pattizie, che vincolano lo Stato ma non producono effetti diretti nell’ordinamento interno. Il nuovo testo dell’art. 117, 1° comma, della Costituzione, introdotto dalla legge costituzionale 18-10-2001, n. 3, ha reso inconfutabile la maggiore forza di resistenza delle norme CEDU (nell’interpretazione ad esse data dalla Corte europea per i diritti dell’uomo) rispetto alle leggi ordinarie successive, trattandosi di norma costituzionale che sviluppa la sua concreta operatività solo se posta in stretto collegamento con altre norme (cd. «fonti interposte», di rango subordinato alla Costituzione ma intermedio tra questa e la legge ordinaria), destinate a dare contenuti ad un parametro che si limita ad enunciare in via generale una qualità che le leggi in esso richiamate devono possedere;
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ha attratto le stesse norme CEDU come interpretate dalla Corte europea (quali norme – diverse sia da quelle comunitarie sia da quelle concordatarie – che, rimanendo pur sempre ad un livello sub-costituzionale, integrano però il parametro costituzionale), in ipotesi di asserita incompatibilità con una norma interna, nella sfera di competenza della Corte Costituzionale, alla quale viene demandata la verifica congiunta della compatibilità della norma interposta con la Costituzione e della legittimità della norma legislativa ordinaria rispetto alla stessa norma interposta;
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ha escluso che le pronunce della Corte di Strasburgo siano incondizionatamente vincolanti ai fini del controllo di costituzionalità delle leggi nazionali, evidenziando che “tale controllo deve sempre ispirarsi al ragionevole bilanciamento tra il vincolo derivante dagli obblighi internazionali, quale imposto dall’art. 111, primo comma, Cost. e la tutela degli interessi costituzionalmente protetti contenuta in altri articoli della Costituzione”.
Nel rapporto, come sopra delineato, tra il diritto interno e le norme pattizie poste dalla CEDU, deve rilevarsi che la Corte europea dei diritti dell’uomo – nella citata sentenza 20.1.2009 – ha escluso la “prevedibilità” del carattere abusivo della lottizzazione sottoposta al suo esame sui rilievi che, alla stregua di quanto definitivamente affermato dalla Corte di Cassazione, gli imputati avevano commesso un errore inevitabile e scusabile nell’interpretazione delle norme violate. La Corte di Strasburgo ha ritenuto perciò “arbitraria” la confisca (considerata “sanzione penale” secondo le previsioni della CEDU) applicata a soggetti che, a fronte di una base legale non accessibile e non prevedibile, non erano stati messi in grado di conoscere il senso e la portata della legge penale, “a causa di un errore insormontabile che non può in alcun modo essere imputato a colui o colei che ne è vittima”.
I Giudici di Strasburgo non hanno detto, però, che presupposto necessario per disporre la confisca in esame sia una pronuncia di condanna del soggetto al quale la res appartiene.
Alla stregua di tali considerazioni la Cassazione penale ha enunciato l’ormai consolidato principio di diritto secondo il quale: «Per disporre la confisca prevista dall’art. 44, 2° comma del T.U. n. 380/2001 (e precedentemente dall’art. 19 della legge n. 47/1985), il soggetto proprietario della res non deve essere necessariamente “condannato”, in quanto detta sanzione ben può essere disposta allorquando sia stata comunque accertata la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva in tutti i suoi elementi (soggettivo ed oggettivo) anche se per una causa diversa, quale è, ad esempio, l’intervenuto decorso della prescrizione, non si pervenga alla condanna del suo autore ed alla inflizione della pena» (Cass., sez. III, 20 maggio 2009, n. 21188, Casasanta).
Si ricordi, in proposito, che la Corte Costituzionale ha affermato che fra le sentenze di proscioglimento ve ne sono alcune che “pur non applicando una pena comportano, in diverse forme e gradazioni, un sostanziale riconoscimento della responsabilità dell’imputato o comunque l’attribuzione del fatto all’imputato medesimo” (vedi le sentenze n. 85 del 2008 e n. 239 del 2009). Siffatto “sostanziale riconoscimento”, per quanto privo di effetti sul piano della responsabilità penale, non è pertanto impedito da una pronuncia di proscioglimento, conseguente a prescrizione, ove invece l’ordinamento imponga di apprezzare tale profilo per fini diversi dall’accertamento penale del fatto di reato.
Appare opportuno, comunque, evidenziare l’orientamento della Corte di Cassazione secondo il quale la confisca delle aree oggetto di lottizzazione abusiva può essere disposta anche con la sentenza di non luogo a procedere resa all'esito dell'udienza preliminare, ma l'estinzione del reato per prescrizione, maturata in data antecedente all'esercizio dell'azione penale, preclude al giudice l'accertamento, a fini di confisca, degli elementi oggettivi e soggettivi del reato. (Cass., sez. III: 16 febbraio 2011, n. 5857, Grova ed altri; 24 luglio 2009, n. 30933, Costanza).
La Cassazione penale ha altresì specificato che:
— presupposto essenziale ed indefettibile, per l’applicazione della confisca in oggetto, è (secondo l’interpretazione giurisprudenziale costante) che sia stata accertata l’effettiva esistenza di una lottizzazione abusiva;
— ulteriore condizione, però, che si riconnette alle recenti decisioni della Corte di Strasburgo, investe l’elemento soggettivo del reato ed è quella del necessario riscontro quanto meno di profili di colpa (anche sotto gli aspetti dell’imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza) nella condotta dei soggetti sul cui patrimonio la misura viene ad incidere (vedi Cass., sez. III: 2 ottobre 2008, n. 37472, Belloi; 20 maggio 2009, n. 21188, Casasanta; 8 ottobre 2009, n. 39078, Apponi).
Profili di colpa possono ravvisarsi anche per l’accertata violazione (deliberata o dovuta a trascuratezza) degli specifici doveri di informazione e conoscenza che costituiscono diretta applicazione dei doveri di solidarietà sociale di cui all’art. 2 della Costituzione (vedi Cass., sez. III, 17 marzo 2009, n. 17865, Quarta).
La Corte di appello di Bari, con ordinanza del 9.4.2008, aveva rimesso alla Corte Costituzionale la valutazione circa la legittimità del provvedimento di confisca qualora emesso “a prescindere dal giudizio di responsabilità e nei confronti di persone estranee ai fatti”, per asserito contrasto con gli artt. 3, 25 - comma 2 e 27 - comma 1 della Costituzione.
La Corte Costituzionale — con la sentenza n. 239, depositata il 24.7.2009 — ha espressamente affermato che, «in presenza di un apparente contrasto fra disposizioni legislative interne ed una disposizione della CEDU, anche quale interpretata dalla Corte di Strasburgo, può porsi un dubbio di costituzionalità, ai sensi del primo comma dell’art. 117 Cost., solo se non si possa anzitutto risolvere il problema in via interpretativa.
Al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò è permesso dai testi delle norme e qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, egli deve investire [il giudice delle leggi n.d.r.] delle relative questioni di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117, primo comma, Cost.» [sentenze nn. 348 e 349 del 2007].
La Corte Costituzionale ha concluso che «spetta, pertanto, agli organi giurisdizionali comuni l’eventuale opera interpretativa dell’art. 44, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001 che sia resa effettivamente necessaria dalle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo; a tale compito, infatti, già ha atteso la giurisprudenza di legittimità, con esiti la cui valutazione non è ora rimessa a questa Corte. Solo ove l’adeguamento interpretativo, che appaia necessitato, risulti impossibile o l’eventuale diritto vivente che si formi in materia faccia sorgere dubbi sulla sua legittimità costituzionale, questa Corte potrà essere chiamata ad affrontare il problema della asserita incostituzionalità della disposizione di legge».
La Corte di Cassazione ha fornito appunto un’interpretazione adeguatrice dell’art. 44, comma 2, del D.P.R. n. 380 del 2001 alle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo ed ha affermato l’esclusione dell’applicabilità della confisca nei confronti di coloro che effettivamente risultino “in buona fede”.
2.4 Strumenti processuali di tutela dei terzi acquirenti
Il soggetto che rivendichi la illegittimità, nei suoi confronti, della disposta confisca – qualora non abbia partecipato al procedimento nel quale è stata applicata la misura e sia quindi rimasto estraneo al giudizio di merito – pur non avendo ovviamente diritto di impugnare la sentenza nella quale la sanzione ablatoria è stata applicata, può chiedere la restituzione dei beni di propria pertinenza esperendo incidente di esecuzione, nell’ambito del quale può svolgere le proprie deduzioni e chiedere l’acquisizione di elementi utili ai fini della decisione [vedi Cass., sez. I: 9.4.2008, n. 14928, Marchitelli e 12.11.2008, n. 42107, Banca].
Restano precluse le valutazioni di merito riferite alla configurazione della lottizzazione abusiva, qualora sia stata oggettivamente riscontrata in sede di merito; ma il giudice dell’esecuzione potrà sicuramente valutare, sia pure ai soli fini riguardanti la confisca, la implicazione (caratterizzata quanto meno da profili di colpa) nella lottizzazione medesima del soggetto che, dichiarandosi “terzo estraneo”, chiede la restituzione della parte di sua pertinenza del terreno confiscato.
La Cassazione ha evidenziato pure [Sez. III, 27-9-2010, n. 34882, ric. Usai] che l’ordinamento appresta altri strumenti di tutela patrimoniale al soggetto che non risulta indagato o imputato, in quanto:
— il 1° comma dell’art. 257 c.p.p. dispone che “contro il decreto di sequestro [probatorio], l’imputato, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre richiesta di riesame, anche nel merito, a norma dell’art. 324”;
— il 2° comma dell’art. 322 c.p.p. prevede che “contro il decreto di sequestro [preventivo] emesso dal giudice, l’imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre richiesta di riesame, anche nel merito, a norma dell’art. 324”,
— il 3° comma dell’art. 355 c.p.p. dispone, altresì, che “contro il decreto di convalida [del sequestro effettuato ad iniziativa della polizia giudiziaria], la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre, entro dieci giorni dalla notifica del decreto ovvero dalla diversa data in cui l’interessato ha avuto conoscenza dell’avvenuto sequestro, richiesta di riesame, anche nel merito, a norma dell’art. 324”.
La persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, pertanto, possono proporre autonomamente richiesta di riesame; possono partecipare all’udienza camerale del riesame eventualmente proposto dall’indagato, quali soggetti interessati ex art. 127 c.p.p.; possono avanzare in qualsiasi momento autonoma istanza di restituzione.
2.5 Estensione della confisca
Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte [Cass., sez. III: 8-10-2009, n. 39078, Apponi; 2-10-2008, n. 37472, Belloi]:
— nel caso in cui si accerti un preventivo frazionamento di un’area abusivamente lottizzata, preordinato ad agevolarne l’utilizzazione a scopo edilizio, la confisca prevista dall’art. 44, 2° comma, del T.U. n. 380/2001 investe l’intera area interessata da tale frazionamento nonché dalla previsione delle relative infrastrutture ed opere urbanizzative, indipendentemente dall’attività di edificazione posta concretamente in essere;
— nell’ipotesi, invece, in cui non sia stato predisposto un frazionamento fondiario e tuttavia si sia conferito, di fatto, un diverso assetto ad una porzione di territorio comunale, la confisca va limitata a quella porzione territoriale effettivamente interessata dalla vendita di lotti separati, dall’edificazione e dalla realizzazione di infrastrutture.
2.6 La confisca del ricavato della vendita di lotti abusivi
In qualche pronunzia dei giudici di merito è stata ritenuta la obbligatorietà (ex art. 240, 2° comma - n. 1, cod. pen.) della confisca del ricavato della vendita di lotti abusivamente formati, configurandosi questo come il «prezzo del reato» di lottizzazione abusiva (così: Trib. Siracusa, 10-12-1979, in Foro it., 1980, II, 543).
La Corte di Cassazione ha affermato, invece, che il denaro che si ricava dalla vendita dei terreni abusivamente lottizzati non costituisce prezzo, ma «profitto» del reato ed è, come tale, suscettibile di confisca facoltativa ex art. 240, 1° comma, cod. pen. [sez. III: 6-4-1988, n. 6644, Grasso; 23-12-1985, n. 12374, Pizzi; 6-11-1984, n. 1630, Castaldo; 31-3-1984, n. 2974, Marrotto; 1-3-1982, n. 2103, Piscitelli].
Il provvedimento ablatorio, inoltre, deve colpire «il danaro materialmente pagato dall’acquirente e percepito dal venditore», «esattamente individuato» (sez. III, 11-10-1983, n. 8059, Ferrarotto).
Una possibilità siffatta non appare esclusa dalla previsione legislativa dell’obbligo di confisca dei terreni e delle opere (tenuto conto della peculiare natura della misura di sicurezza di cui all’art. 240 c.p., rivolta alla «eliminazione di cose che, provenendo da fatti illeciti penali, o in alcuna guisa collegandosi alla loro esecuzione, mantengono viva l’idea e l’attrattiva del reato» - Relaz. min. sul progetto del codice penale), allorquando il giudice si convinca — in relazione al particolare carattere o alla tendenza anti-sociale del reo — che la perdurante disponibilità di tali somme tenga viva in quegli l’idea della condotta antigiuridica, sì da rendere probabile che lo stesso reato venga portato ad ulteriori conseguenze o che nuovi reati vengano perpetrati.
Perplessità in proposito sono state, però, espresse — in dottrina — da BELLOMIA e A.M. SANDULLI.
2.7 Confisca ed effetti di sopravvenute determinazioni comunali
Secondo la giurisprudenza della Cassazione, sarebbe del tutto irrazionale l’applicazione della misura anche qualora l’autorità amministrativa, cui compete istituzionalmente il governo del territorio, nell’autonomo esercizio del potere ad esso devoluto dalla legge, nelle more del giudizio e prima della formazione del giudicato, abbia ritenuto di dovere autorizzare l’intervento lottizzatorio, ovvero di modificare la pianificazione territoriale rendendo edificabili i terreni lottizzati prima che si pervenga alla sentenza definitiva [così Cass., sez; III: 20 dicembre 1995, n. 12471; 13 ottobre 2004, n. 39916; 5 luglio 2006, n. 23154].
Al contrario i provvedimenti amministrativi che, dopo il passaggio in giudicato della sentenza contenente il provvedimento di confisca, mutano la destinazione delle aree o comunque consentono ciò che anteriormente era vietato, non solo non elidono l’illiceità della condotta oggetto della condanna, ma non possono incidere sull’esecuzione del trasferimento di proprietà del bene che costituisce conseguenza indefettibile della confisca [Cass. sez. III: 18 marzo 2002, n. 11141, Montalto, in Questione giustizia, 2002, 936; 29 maggio 2007, n. 21125, in Impresa c.i., 2007, 925; 26 ottobre 2007, Casile ed altri].
Nella sentenza n. 21125/2007 rileva tra l’altro la Corte che « … dalla circostanza che il Comune, dopo il passaggio in giudicato della sentenza, decida di rendere edificabili proprio i terreni oggetto di lottizzazione non può in alcun modo farsi derivare un obbligo, non previsto da alcuna disposizione, di ritrasferire la proprietà ai privati che subirono l’ablazione. Essendo divenuto pieno proprietario (con trasferimento a titolo originario, caratteristica che rafforza la cesura irreversibile nella titolarità dei beni rispetto ai precedenti proprietari), il Comune può scegliere quale utilizzo dare agli immobili pervenutigli per ordine del giudice. Può decidere di dare corso in proprio alle opere di urbanizzazione, in tutto o in parte; può decidere di cedere i terreni a persone interessate a dare corso all’edificazione; può decidere di locare i terreni, di darli in comodato, e così via. Se così non fosse, porremmo a carico della proprietà un limite che non risulta presente nell’ordinamento e che non trova fondamento in alcuna disposizione di legge … Il Comune conserva la piena e incondizionata potestà di programmazione e gestione del territorio e va escluso che dall’adozione di nuovi strumenti urbanistici derivi una fonte di retro-trasferimento della proprietà in favore dei privati destinatari dell’ordine di confisca … Ciò non significa, tuttavia, che proprio nell’ambito di quella potestà di gestione del territorio il Comune non possa adottare strumenti che tengano conto della realtà preesistente rispetto alla sentenza che ha ordinato la confisca. Qualora ragioni di opportunità e di convenienza consiglino di destinare l’area lottizzata alla edificazione da parte di privati, il Comune può decidere di non esercitare in proprio le iniziative di edificazione e di non conservare la proprietà sui terreni e sui manufatti che eventualmente vi insistono. Nel caso che a tali scelte seguano da parte del Comune atti dispositivi volontari ed a titolo oneroso che trasferiscono la proprietà a tutti o parte dei precedenti proprietari, si sarà in presenza di atti aventi natura contrattuale al pari di qualsiasi altro trasferimento di proprietà dal titolare del diritto all’acquirente».
ALDO FIALE