TAR Friuli VG Sez. I n. 31 del 21 gennaio 2019
Acque.Gestore del servizio idrico integrato e morosità dell'utente

Non appare incongruo il comportamento del soggetto gestore del servizio idrico integrato che, preso atto della situazione di grave inadempimento, ha, nella sostanza, subordinato il ripristino dell’accesso al servizio (ossia il rinnovo dell’autorizzazione) alla preventiva estinzione delle pendenze pregresse, così da scongiurare l’ulteriore propagazione della situazione di squilibrio finanziario generata dalla mancata copertura dei costi connessi alle prestazioni individuali reclamate dall'utente.


Pubblicato il 21/01/2019

N. 00031/2019 REG.PROV.COLL.

N. 00264/2018 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 264 del 2018, proposto da
Caffaro S.r.l. in Liquidazione in Amministrazione Straordinaria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alfredo Bianchini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Cafc S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Luca Ponti e Luca De Pauli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Consulta d'Ambito per il Servizio Idrico Integrato Centrale Friuli non costituita in giudizio;

per l'annullamento

del provvedimento di CAFC S.p.A. – Divisione Operativa Fognatura prot. n. 16265/18 dell'8 marzo 2018 - pratica PRA – 25529 – 6J0WND e di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, anche non noto.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Cafc S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2018 il dott. Nicola Bardino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La società Caffaro S.r.l. in liquidazione, assoggettata a procedura di amministrazione straordinaria, espone di essere proprietaria di un’area, sita nel Comune di Torviscosa, sottoposta a bonifica.

La messa in sicurezza dell’area è stata attuata mediante la realizzazione di una barriera idraulica, eseguita mediante la dislocazione di una rete di pozzi di emungimento delle acque di falda. Queste sono state (e sono tuttora) convogliate, ai fini del trattamento e dello smaltimento, nella rete fognaria, in forza dell’autorizzazione allo scarico di acque reflue industriali n. 1453/2015 del 15 gennaio 2015, rilasciata da CAFC S.p.a., gestore del servizio idrico integrato dell'Ambito Territoriale Ottimale “Centrale Friuli”.

La ricorrente segnala che, con nota prot. n. 21266/15 del 30 aprile 2015, CAFC S.p.a. ha contestato il mancato pagamento del corrispettivo del servizio di depurazione, comunicando, contestualmente, l’avvio del procedimento di revoca dell’autorizzazione per la morosità rilevata.

Con nota prot. n. 29166/15, comunicata il 7 luglio 2015, l’autorizzazione veniva infine revocata.

La revoca era confermata dal presidente del consiglio di amministrazione di CAFC S.p.a., il quale, con nota del 4 settembre 2015, replicava alle ampie controdeduzioni prodotte dalla ricorrente.

Con nota prot. n. 42858/15 del 29 settembre 2015, CAFC preannunciava l’effettuazione degli interventi necessari alla chiusura dello scarico fognario utilizzato dalla ricorrente

Tali atti erano tutti impugnati avanti questo Tribunale: il giudizio, così instaurato, recante il n. 320/2015 Reg. Ric. (chiamato, unitamente alla presente causa, nell’udienza pubblica del 5 dicembre 2018), è stato definito con sentenza di rigetto.

2. Nella presente controversia, la Società Caffaro ha peraltro censurato, con ricorso straordinario al Capo dello Stato, il diniego opposto da CAFC alla richiesta, nel frattempo inoltrata, intesa ad ottenere il rilascio di una nuova autorizzazione al conferimento dei reflui nella rete fognaria: il ricorso è stato poi trasposto nella presente sede giurisdizionale, a seguito dell’opposizione formulata da CAFC.

Il diniego in esame, adottato con provvedimento prot. n. 16265/18, veniva motivato mediante il rinvio alla precedente revoca dell’autorizzazione allo scarico dei reflui e alle ordinanze cautelari, pronunciate rispettivamente da questo Tribunale e dal Consiglio di Stato (in appello), con le quali era stata rigettata, in seno al ricorso n. 320/2015, la richiesta di sospensione avanzata dalla ricorrente.

Avverso il provvedimento di diniego, sono ora proposti motivi analoghi a quelli delineati nel giudizio instaurato avverso la revoca dell’autorizzazione:

-- (1) Violazione dell’art. 97 della Costituzione. Violazione dell’art. 130 del D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152. Eccesso di potere per difetto di presupposto e per illogicità ed ingiustizia manifeste. Violazione dei principi di legalità, determinatezza, tipicità e conoscibilità delle fattispecie sanzionatorie; violazione del principio di proporzionalità; si sostiene che il rigetto opposto alla richiesta di autorizzazione costituirebbe nella sostanza un provvedimento volto a sanzionare il mancato pagamento del canone per il servizio di depurazione. Per contro il rilascio dell’autorizzazione non presuppone in alcun modo l’avvenuto assolvimento delle pendenze pregresse;

-- (2) Eccesso di potere per difetto di presupposto e di istruttoria e per illogicità ed ingiustizia manifeste. Violazione dell’art. 97 della Costituzione; sussisterebbe un preminente interesse pubblico al mantenimento del servizio a favore della ricorrente, anche in ragione della presenza delle opere di messa in sicurezza eseguite sull’area oggetto di bonifica;

-- (3) incompetenza. Violazione di legge: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 124 e 155 D. Lgs. 3 aprile 2006 n. 152. Sviamento di potere. Eccesso di potere per difetto di presupposto; si sostiene che CAFC S.p.a. avrebbe ecceduto dall’ambito delle proprie attribuzioni. Come gestore del servizio idrico integrato, CAFC non sarebbe titolare del potere di adottare atti individuali finalizzati ad impedire l’accesso al servizio, perché ciò si porrebbe in violazione dell’obbligo (che su di essa incombe) di garantirne la continuità in favore della generalità degli utenti;

-- (4) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 quinquies della Legge 7 agosto 1990 n. 241. Eccesso di potere per difetto di presupposto, di istruttoria, di motivazione. Violazione dell’art. 97 della Costituzione. Sviamento di potere; conclude la ricorrente, rilevando che la revoca, presupposta dal diniego impugnato in questa sede, si pone in violazione del disposto di cui all’art. 21 quinquies, L. n. 241 del 1990, non essendo giustificata né da una sopravvenuta riconsiderazione dei motivi posti alla base del rilascio dell’autorizzazione iniziale, né da un mutamento della situazione di fatto.

3. Si è costituita la Società CAFC S.p.a. che ha controdedotto nel merito delle censure sollevate dalla ricorrente, evidenziando come la morosità abbia comportato un significativo squilibrio finanziario ai danni della gestione del servizio, con improprio rovesciamento dei costi, non sorretti dai corrispettivi dovuti, sull’intera collettività degli utenti. Ha rilevato, nel contempo, che non sussiste la benché minima possibilità di recupero dei canoni, considerata l’incapienza della procedura.

Infine, CAFC S.p.a. ha eccepito l’inammissibilità del gravame: il diniego sarebbe stato impugnato non già mediante motivi aggiunti, come richiesto dall’art. 43 c.p.a., bensì con ricorso straordinario al Capo dello Stato (successivamente trasposto nella presente sede).

Quest’ultimo andrebbe pertanto giudicato inammissibile, perché proposto in chiaro contrasto con la regola processuale secondo la quale tutte le domande nuove devono essere inserite, esclusivamente nelle forme di rito, all’interno del giudizio instaurato.

Di conseguenza, risulterebbe violato il principio di alternatività, di cui all’art. 8, comma 2, D.P.R. n. 1199 del 1971: in relazione a tale norma, sostiene in particolare la resistente che l’iniziale scelta del rimedio giurisdizionale preclude la successiva proposizione, mediante ricorso straordinario, delle domande connesse, in ragione del petitum o della causa petendi, all’impugnazione originaria.

Di qui l’eccepita inammissibilità del presente gravame.

4. L’impugnazione deve essere respinta, sicché può prescindersi dall’esame del pur non implausibile rilievo preliminare, dovendosi reputare maggiormente satisfattiva dell’interesse delle parti, la decisione della controversa nel merito.

4.1 I quattro motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente stante la loro evidente connessione.

Essi, a ben vedere, rappresentano molteplici profili dell’assunto, in sé unitario, che si pone alla base del gravame, secondo cui la morosità in atto non costituirebbe la ragione sufficiente per denegare l’autorizzazione allo scarico dei reflui, rilasciata alla ricorrente.

Si ritiene, infatti, che l’obbligo, incombente sul gestore (CAFC S.p.a.), di erogare il servizio nei confronti della collettività, prescinda dalle situazioni debitorie dei singoli beneficiari, i quali, ai fini dell’acquisizione o del ripristino del rapporto d’utenza, risulterebbero tenuti all’osservanza delle prescrizioni specificate nel provvedimento autorizzatorio ma non anche al pagamento degli importi dovuti sulla base della tariffa loro applicata.

Essi, in altri termini, non sarebbero tenuti a sanare le morosità pregresse.

Il diniego della richiesta di autorizzazione, sulla base di tali rilievi, assumerebbe (primo motivo) i contorni di un’impropria sanzione di matrice civilistica (una sorta di rifiuto a contrarre per il precedente inadempimento), ovvero i connotati di un atto di revoca (propagatosi nel diniego), carente di motivazione e presupposto (quarto motivo), adottato in chiara contraddizione con la natura del servizio erogato (terzo motivo), specie in considerazione dei preminenti interessi pubblici che si porrebbero alla base del mantenimento in essere dello scarico utilizzato dalla ricorrente (secondo motivo)

Le caratteristiche del servizio e, in particolare, l’intrinseca attinenza di questo all’interesse pubblico e al regime di monopolio naturale (entro cui il servizio viene svolto) consentirebbero, a detta della ricorrente, di profilare un legame necessario (e perciò non negoziabile) tra il gestore e l’utente, tale da non consentire al primo (il gestore) di escludere, sulla base di un proprio apprezzamento discrezionale (in questo caso collegato all’incerta prospettiva di pagamento dei canoni dovuti), il secondo (l’utente) dall’accesso alle prestazioni (il servizio pubblico).

4.2 Ritiene il Collegio che tale ricostruzione debba essere disattesa perché essa muove, a ben vedere, dall’erroneo presupposto secondo cui la condizione di indifferenziata fruibilità del servizio pubblico, intesa come garanzia della parità di accesso a favore di tutti gli utenti, consentirebbe di eludere l’obbligo, correlato alla fruizione del servizio, di sostenere il costo delle prestazioni rese a favore di ogni singolo utente, così da assicurare l’equilibrio economico complessivo della gestione.

In questa prospettiva, si deve osservare che il rapporto tra ciascun utente e il gestore manifesta chiari profili di corrispettività, la cui riconduzione allo schema del rapporto obbligatorio non appare in contrasto con la sua attinenza rispetto al servizio pubblico, in quanto essa trova la propria giustificazione nel dovere di copertura del costo che incombe specificamente sul soggetto destinatario della prestazione individuale (nel caso di specie l’afflusso e lo smaltimento dei reflui prodotti dalle opere attuate sul fondo, mediante l’allaccio alla rete fognaria).

L’attrazione del rapporto tra gestore ed utente entro l’alveo dello schema obbligatorio, retto dai principi privatistici (e quindi del tutto estraneo alla struttura applicativa delle imposte – C. Cost. sent. n. 39 del 2010), risulta inoltre connessa all’utilitàparticolare che l’utente stesso ritrae dal servizio individuale erogatogli, sicché il mancato pagamento della tariffa si traduce nell’inadempimento all’obbligo, assunto in sede di rilascio dell’autorizzazione allo scarico dei reflui, di assicurare la copertura del costo industriale della singola prestazione ricevuta.

Con la conseguenza che, ove la morosità persista, vengono anche meno le condizioni per l’erogazione della suddetta utilità particolare, che non può più essere messa a disposizione dell’utente, da parte del gestore, proprio perché essa non risulta contestualmente sorretta dalla copertura del relativo costo, mediante il pagamento della tariffa (e fintantoché detta copertura non sia nuovamente garantita).

4.3 Le conclusioni ora esposte trovano ulteriore conferma nel contesto della giurisprudenza formatasi in tema di risoluzione per inadempimento del contratto stipulato con il monopolista legale (art. 2597 c.c. – per tutte cfr. Cass. S.U. 23 gennaio 2004, n. 1232), secondo la quale la sussistenza dell’obbligo di contrarre (posto in capo al monopolista) è pacificamente ritenuto compatibile con il principio di risolubilità del rapporto contrattuale (art. 1453 c.c.) e con la facoltà di astenersi temporaneamente dall’adempimento fino a che l’altra parte non adempia o non offra di adempiere contemporaneamente la propria prestazione (art. 1460 c.c. – facoltà rinvenibile, nel caso in esame, all’interno della Carta dei Servizi).

4.4 In questo contesto, non appare pertanto incongruo il comportamento del soggetto gestore che, preso atto della situazione di grave inadempimento, ha, nella sostanza, subordinato il ripristino dell’accesso al servizio (ossia il rinnovo dell’autorizzazione) alla preventiva estinzione delle pendenze pregresse, così da scongiurare l’ulteriore propagazione della situazione di squilibrio finanziario generata dalla mancata copertura dei costi connessi alle prestazioni individuali reclamate dalla ricorrente.

Tale ultimo rilievo, del resto, trova piena conferma nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, nel cui contesto si è ritenuto pienamente condivisibile il principio secondo cui laddove il soggetto, il quale richieda di accedere al servizio, “si sia reso moroso in precedenza, ben possa il monopolista legale rifiutarsi di eseguire (nuovamente) la propria prestazione nei confronti del medesimo cliente sino a che l'inadempimento pregresso non sia sanato”. Sotto questo profilo, si osserva pertanto come “tale principio rientri nel complesso sistema di garanzie approntate dall'ordinamento al fine di garantire la posizione creditoria da possibili successive (al limite seriali) condotte morose che, con riferimento alla posizione dell'erogatore monopolista legale sarebbero, aderendo all'impostazione dell'appellante, di fatto sprovviste di sanzione” (così Cons. Stato, Sez. VI, 3 dicembre 2008, n. 5936; vd. inoltre: Cass. Civ, Sez. III, 19 ottobre 2007, n. 21973 e Cass. Civ. Sez. I, 20 aprile 2007, n. 9447).

4.5 Sulla base delle considerazioni che precedono, devono dunque essere disattesi i motivi proposti in sede di impugnazione, in quanto:

- il diniego opposto alla ricorrente costituisce l’effetto dell’inadempimento del pregresso obbligo di assunzione del costo industriale dell’utilità ricevuta, la quale, in mancanza di copertura, non è suscettiva di ulteriore erogazione pena l’indebita alterazione dell’equilibrio economico posto alla base della complessiva gestione pubblicistica del servizio (primo motivo) e l’altrettanto indebita traslazione del medesimo costo sulla collettività degli utenti, tutti egualmente soggetti (anche in virtù del principio solidaristico) all’obbligo contribuzione in ragione del beneficio individuale conseguito;

- in accordo con lo schema civilistico, sopra delineato, la revoca disposta nei confronti dell’utente assume i contorni di un mezzo posto a tutela delle ragioni creditorie del gestore, attuato mediante la cessazione del servizio disposta nei confronti del soggetto inadempiente, finalizzato ad impedire l’insorgere di una situazione di morosità seriale;

- la cessazione del servizio, così come il rifiuto di rinnovo dell’autorizzazione, si dimostrano quindi ampiamente giustificati dalla preminente necessità di assicurare la copertura economica delle prestazioni individuali erogate a favore dei singoli utenti (quarto motivo) e di perseguire la più equa e razionale allocazione delle risorse, indipendentemente da eventuali effetti riflessi favorevoli che siffatte prestazioni individuali possano arrecare a vantaggio della collettività, dovendosi peraltro rilevare che, come prospettato da CAFC nelle proprie difese e non contestato dalla ricorrente, ben può essere valutata la possibilità di rivisitare, attraverso l’individuazione di procedure alternative, le misure di messa in sicurezza, attualmente in essere, così da escludere l’adduzione dei reflui al sistema fognario comune;

- la circostanza che il servizio, erogato in regime di monopolio naturale, possa essere fruito, senza distinzioni di sorta, dalla collettività degli utenti, non appare in contraddizione con la cessazione, ad opera del gestore, di specifiche prestazioni individuali, quando sussistano situazioni di grave inadempimento e di perdurante morosità rilevate a carico del beneficiario (terzo motivo).

Il ricorso, per le ragioni anzidette, deve essere pertanto respinto in relazione a tutte le censure proposte.

5. Sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio, in ragione della novità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2018 con l'intervento dei magistrati:

Oria Settesoldi, Presidente

Manuela Sinigoi, Consigliere

Nicola Bardino, Referendario, Estensore

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Nicola Bardino        Oria Settesoldi