INTERVENTI EDILIZI EFFETTUATI IN ASSENZA DI PERMESSO DI COSTRUIRE: CONFLITTO TRA LEGGE STATALE E LEGGE REGIONALE
di Roberto Felici

 


pubblicato su Giurisprudenza di Merito n. 12010. Si ringrazia l'Editore

L'attribuzione dell'«urbanistica» prima e del «governo del territorio» poi alla sfera della c.d. legislazione concorrente Stato-Regioni reca da sempre in nuce il pericolo di possibili conflitti nell'ambito della repressione penale degli illeciti concernenti le materie sopra indicate, ancorché, come unanimemente riconosciuto, la potestà punitiva dei reati rientri in linea di principio, in questo come in ogni altro caso, nell'area del monopolio della produzione normativa statale in virtù dei noti principi costituzionali (art. 25 comma 2 Cost.).
Va subito precisato come si collochi all'esterno di tale latente conflitto il caso delle c.d. norme penali in bianco, nelle quali la determinazione del precetto viene rimessa, sempre però per esplicita previsione legislativa statale, ad una fonte esterna la quale ben può sostanziarsi, oltre che in un atto amministrativo come usualmente avviene, anche in una disposizione di legge regionale (si veda ad esempio la fattispecie di cui all'art. 30 comma 8 l. n. 394 del 1991); in tali casi la questione, che viene normalmente posta in relazione al principio della riserva di legge in materia penale, è stata già risolta in via generale sulla scorta di una tesi risalente ma ancor oggi recepita secondo cui la non incostituzionalità di tali norme è subordinata alla condizione, da verificarsi caso per caso, che la legge statale «delimiti in modo netto presupposti, caratteri, contenuto e limiti della norma richiamata» (C. cost., sent. n. 26 del 1996).
Diversi e di più difficile risoluzione in quanto correlati al rispetto del principio di tassatività sono invece i casi in cui i precetti siano interamente formulati dal legislatore statale, ma attraverso il ricorso ad elementi normativi che, per loro natura, si prestano ad interventi legislativi da parte delle regioni nell'ambito della propria sfera di intervento; si pensi ad esempio, per quel che qui ci occupa, al caso emblematico degli interventi edilizi effettuati in assenza di permesso di costruire, laddove la rilevanza di tale omissione presuppone pur sempre che l'intervento rientri tra quelli per i quali tale titolo sia previsto in via necessaria o, quantomeno, alternativa.
Talvolta è lo stesso legislatore statale a prevedere tali possibili interventi integrativi e nel contempo a delimitarne in modo espresso l'efficacia sul versante repressivo: nel caso da ultimo citato, ad esempio, il Testo Unico dell'edilizia (d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), nell'ammettere la possibilità di un intervento integrativo regionale, nel contempo esclude in modo espresso la rilevanza penale del medesimo, sia esso in senso ampliativo (art. 22 comma 4) che, sull'opposto versante, restrittivo (art. 10 comma 3).
Le due disposizioni testé ricordate si lasciano peraltro apprezzare per il fatto di agire, se pure in direzioni opposte, in parziale deroga rispetto al canone generale secondo cui, in materia di legislazione concorrente, la norma regionale non può derogare agli standard minimi di tutela stabiliti dal legislatore nazionale ma può, nei limiti in cui ciò non sia incompatibile con i principi stabiliti dalla legge statale, fissare una disciplina più rigorosa; la conseguenza però è che, in tal caso, gli effetti della ridefinizione dell'elemento normativo possono riverberarsi indirettamente anche sulla fattispecie penale con effetto estensivo della medesima (sul punto, cfr. più diffusamente in questa Rivista, 2007, 925).
Un'applicazione puntuale di tale principio si rinviene nella disposizione di cui all'art.10 comma 2 T.U.E., secondo cui «le regioni stabiliscono con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti sono subordinati a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività».
Sembra di comprendere che l'esercizio di tale potestà da parte delle regioni, siccome idoneo ad integrare, nel caso di mutamenti connessi a trasformazioni (cioè, di modificazioni strutturali), il novero degli interventi edilizi abbisognevoli del preventivo rilascio del premesso di costruire oltre la previsione minima di cui all'art.10 comma 1, lett. c), si riverberi anche sulla rilevanza penale di talune condotte altrimenti neutre, e che tale appaia la volontà del legislatore lo si evince dal raffronto della disposizione in discorso con quella stabilita al comma successivo dove invece tale effetto viene, come detto, espressamente escluso rispetto agli ulteriori interventi che la regione può pure assoggettare a permesso di costruire, ma in relazione ai quali non sarebbero appunto applicabili, per espressa previsione normativa, le sanzioni penali di cui all'art. 44 (giurisprudenza costante; cfr. da ultimo Cass., sez. III, sent. n. 21923 del 2008, Femminò).
Rimane da esaminare il problema, specificamente affrontato dalla sentenza in commento, derivante dal caso in cui la legge regionale non specifichi o integri i principi stabiliti dalla legge statale bensì agisca in conflitto con i medesimi.
Sotto il profilo dogmatico, appare senza dubbio condivisibile la ricostruzione operata dal Tribunale di Cosenza il quale ha correttamente ricollegato le possibili soluzioni al dato temporale, distinguendo il caso della legge regionale successiva da quello della legge regionale antecedente.
Nel primo caso sono validi i principi espressi in motivazione secondo cui la norma regionale non può essere «disapplicata» (cfr. C. cost., sent. n. 285 del 1990, con la quale venne annullata una sentenza della Corte di Cassazione che aveva operato in tal senso), ma deve essere, in prima istanza, interpretata in modo adeguante così da ritagliarne un ambito applicativo che non sia contrastante con i principi generali (giurisprudenza costante; cfr. da ultimo Cass., sez. III, sent. n. 2017 del 2008, Giangrasso).
In caso di scrutinio negativo si può profilare il giudizio di costituzionalità, ed è interessante notare come la questione sia stata affrontata, proprio in tema di normativa antisismica, dalla Corte costituzionale con una recente pronuncia, la n. 182 del 2006, a seguito di conflitto di attribuzione, nella quale la Corte, una volta riaffermata, in contrasto con gli orientamenti giurisprudenziali richiamati in sentenza, la potestà legislativa concorrente (ma non già in riferimento alla materia del «governo del territorio» bensì a quella della «protezione civile»), ha però dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 105 comma 3 l.r. Toscana 3 gennaio 2005, n. 1 nella parte in cui non disponeva che, per gli interventi in zona sismica, non si possono iniziare i lavori senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della regione così come invece stabilito in via generale dall'art. 94 T.U.E., antecedente rispetto alla disposizione scrutinata.
Non possiamo peraltro omettere di precisare come, nel caso di una disposizione subprimaria che, in ipotesi, sia idonea ad escludere l'antigiuridicità di una condotta altrimenti prevista come penalmente illecita, una eventuale questione di legittimità sollevata in sede penale in via incidentale dovrebbe risultare non rilevante, posto che un accoglimento della medesima non potrebbe far rivivere una responsabilità da illecito quando risulterebbe che, nel momento in cui la condotta venne tenuta, la stessa non poteva considerarsi antigiuridica secondo l'ordinamento giuridico vigente (cfr. art.2 c.p.); in tal caso, quindi, la sentenza invocata dovrebbe svolgere un effetto retroattivo in malam partem che appunto, secondo la Corte, non è ammesso (giurisprudenza costante; cfr. da ultimo C. cost., ord. n. 204 del 2009).
Sull'opposto versante, la tesi dell'abrogazione automatica della norma regionale previgente da parte della norma statale successiva contenente principi contrastanti (c.d. effetto «ghigliottina») è conforme, oltre che al principio generale di cui all'art. 15 delle preleggi, alla disposizione specifica di cui all'art.10 comma 1 l. n. 62 del 1953 (c.d. legge Scelba, tuttora vigente, la quale prescrive altresì l'adeguamento delle disposizioni incompatibili nel termine di 90 giorni) ed è stata ribadita in precedenti pronunce richiamate in motivazione; con successive sentenze n. 222 e n. 223 del 2007 la Corte costituzionale ha altresì precisato che l'accertamento dell'effetto abrogativo costituisce prerogativa del giudice decidente e non può essere oggetto di censura in sede di giudizio di costituzionalità.
Con riferimento al caso di specie, il Tribunale ha quindi correttamente fatto applicazione del secondo principio citato sul presupposto della posterità della legge statale, ancorché il testo unico si sia limitato, quantomeno nel caso esaminato, a riprodurre una disposizione di legge preesistente (art.18 l. n. 64 del 1974); ci sembra tuttavia di poter condividere l'impianto motivazionale tenendo conto che, nel sistema delle fonti, il sopravvenire del d.P.R. n. 380 del 2001 (il quale ha riproposto il contenuto precettivo della precedente disposizione attraverso l'art. 94) dovrebbe aver sicuramente prodotto l'effetto abrogativo automatico delle norme regionali incompatibili medio tempore emanate, pur se l'art.137 comma 2 T.U.E. ha incluso la l. n. 64 del 1974 tra quelle che restano in vigore nei limiti ivi indicati.
La sentenza in commento affronta poi l'ulteriore questione della scusabilità dell'errore inerente la cessata efficacia della norma regionale a seguito dell'entrata in vigore dalla norma statale incompatibile e, in ipotesi, della eventuale sussistenza di un caso di ignoranza inevitabile della legge penale, concludendo, nel caso esaminato, per la soluzione negativa in ragione del mancato rispetto anche della normativa regionale più favorevole, e tale conclusione sembra in linea con la giurisprudenza della Suprema Corte (Cass., sez. III, sent. n. 2149 del 1996, Falsini) che esclude la scusabilità dell'ignoranza quando l'agente si rappresenta che la propria condotta è comunque antigiuridica.
Resta peraltro da chiedersi se, anche in caso di valutazione positiva, il fenomeno dell'abrogazione implicita, essendo conseguente all'introduzione di una norma penale o di una legge integratrice di essa e non influendo sulla portata precettiva della medesima, avrebbe potuto costituire, di per sé solo, condizione sufficiente per ravvisare un caso di ignoranza inevitabile della disposizione violata, posto che tale risultato viene usualmente ricollegato a determinati eventi «esterni» che si siano inseriti nel processo volitivo del soggetto agente e che abbiano prodotto nello stesso un invincibile sviamento del momento rappresentativo in ordine alla applicabilità di detta disposizione al caso concreto e dunque in ordine alla effettiva illiceità del suo agire (è tuttora valido il riferimento, espresso in Cass., sez. un., sent. n. 8154 del 1994, ai casi di comportamenti tenuti da funzionari pubblici o di unanime orientamento giurisprudenziale).

SENTENZA ANNOTATA

Tribunale Cosenza 20 aprile 2009

In fatto e diritto.
La signora F.M. é stata tratta a giudizio, imputata dei reati previsti dagli artt. 93 e 94 (in relazione all'art. 95) d.P.R. n. 380 del 2001, per aver realizzato, in zona sismica, un manufatto con strutture portanti in legno di considerevoli dimensioni (metri 3,30 * 6,60), senza farne denuncia al competente sportello unico per l'edilizia e in assenza di autorizzazione scritta da parte del competente ufficio tecnico della Regione.
Il processo è stato istruito con la testimonianza del geometra P.S., in servizio presso il settore tecnico regionale, ed inoltre con l'acquisizione dell'ordinanza di demolizione adottata dalla Regione Calabria e del decreto penale n. 1731 del 2007 del gip presso il Tribunale di Cosenza, divenuto irrevocabile in data 6 novembre 2007, con cui F.M. è stata condannata per il concorrente reato continuato previsto e punito dagli artt. 44, lett. c) del citato decreto e 181 d.lg. n. 42 del 2004, per aver realizzato la stessa opera oggetto di contestazione in questa sede, pure in assenza di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica.
All'esito il Pubblico ministero ha concluso chiedendo la condanna della imputata alla pena di euro 500,00 di ammenda; la difesa ha invece richiesto l'assoluzione con la formula perché il fatto non è previsto dalla legge come reato o, in subordine, l'applicazione del regime della continuazione con il reato già giudicato con decreto penale irrevocabile.
Ritiene il Tribunale che sia stata pienamente provata la colpevolezza di F.M. in ordine ai reati contestati in questa sede.
L'assunto difensivo fa riferimento alla l.r. n. 7 del 1998, rubricata «Disciplina per le costruzioni ricadenti in zone sismiche. Snellimento delle procedure in attuazione dell'art. 20 della l. 10 dicembre 1981, n. 741».
In particolare all'art. 2 comma 1 è previsto che «Chiunque intenda procedere a nuove costruzioni, ristrutturazioni o sopraelevazioni, a lavori di adeguamento e miglioramento sismico, nonché alla realizzazione di opere o ad interventi di qualsiasi tipo su strutture rientranti nel campo di applicazione delle norme sismiche, prima dell'inizio dei lavori, è tenuto a farne denuncia, depositando in triplice copia presso il Settore tecnico decentrato regionale (ex ufficio del Genio Civile), competente per territorio, il progetto esecutivo delle opere e gli allegati, secondo le modalità precisate nei successivi artt. 3 e 4».
Dunque non è prevista alcuna autorizzazione preventiva, bensì esclusivamente una denuncia iniziale, con la previsione di controlli successivi del tutto eventuali.
Infatti il successivo art. 5 espressamente prevede che «Il Settore tecnico decentrato regionale competente esercita il controllo sulle realizzazioni in corso d'opera e sulle opere ultimate, per accertare il rispetto delle norme tecniche sulle costruzioni e per verificare che siano stati seguiti corretti criteri di progettazione e di esecuzione, con specifico riferimento alla l. 2 febbraio 1974, n. 64. Il controllo è eseguito con il metodo a campione, mediante sorteggi...».
Al contrario la legislazione statale, introdotta con il d.P.R. n. 380 del 2001 (Testo Unico dell'edilizia), richiamata in imputazione, prevede all'art. 93, che «Nelle zone sismiche di cui all'art. 83, chiunque intenda procedere a costruzioni, riparazioni e sopraelevazioni, è tenuto a darne preavviso scritto allo sportello unico, che provvede a trasmetterne copia al competente ufficio tecnico della regione, indicando il proprio domicilio, il nome e la residenza del progettista, del direttore dei lavori e dell'appaltatore»; e soprattutto, all'art. 94, dispone che «Fermo restando l'obbligo del titolo abilitativo all'intervento edilizio, nelle località sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità all'uopo indicate nei decreti di cui all'art. 83, non si possono iniziare lavori senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della regione».
Il successivo art. 95 prevede le sanzioni, per il caso di inosservanza ai precetti appena richiamati, sancendo che «Chiunque violi le prescrizioni contenute nel presente capo e nei decreti interministeriali di cui agli artt. 52 e 83 è punito con l'ammenda da euro 206,00 a euro 10.329». Dunque, in sintesi, la legislazione regionale prevede «procedure semplificate per le costruzioni in zone sismiche, fra cui l'abolizione di ogni autorizzazione preventiva, sostituita dal controllo successivo alla costruzione, con metodi a campione e a sorteggio».
La disciplina statale, ben più rigorosa, introduce la regola del controllo preventivo per tutte le costruzioni eseguite in zona sismica, la cui realizzazione deve essere necessariamente preceduta da specifica autorizzazione.
In tale contesto, l'argomentazione difensiva, tendente ad ottenere una pronuncia assolutoria - quantomeno per il reato previsto e punito dagli artt. 94 e 95, si basa sul seguente ragionamento: se la legge regionale, in ipotesi riferibile al caso di specie, non richiede l'autorizzazione, allora, non sarebbe applicabile la norma sanzionatoria introdotta dall'art. 95 del testo unico sull'edilizia (per chi costruisce in zona sismica senza autorizzazione), difettando un elemento integrativo della fattispecie, e precisamente la subordinazione dell'intervento edilizio ad autorizzazione, che seppur regolato da una norma extrapenale, incide indubbiamente sulla doverosa tassatività della norma incriminatrice ed anche sul giudizio di disvalore della condotta incriminata.
Occorre chiarire come si risolve il contrasto tra le due discipline.
La Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto che eventuali deroghe della normativa regionale possono applicarsi limitatamente alla materia dell'urbanistica e non possono quindi essere estese alla diversa disciplina edilizia antisismica e a quella per le costruzioni in conglomerato cementizio armato, attenendo tali materie alla sicurezza statica degli edifici, come tale rientrante nella competenza esclusiva dello Stato ex art. 117 comma 2 Cost.; ne consegue che tali opere continuano ad essere soggette ai controlli preventivi previsti dalla legislazione nazionale ed in particolare dal Testo Unico dell'edilizia.
L'argomentazione è certamente condivisibile nella soluzione finale, ancorché non del tutto pacifica nell'iter argomentativo.
Il rischio è quello di una disapplicazione di una legge regionale, operata dai giudici di merito, eludendo la via maestra della sottoposizione a scrutinio di costituzionalità.
Molte volte il Giudice delle leggi ha censurato tale procedimento ermeneutico, osservando che la disapplicazione da parte dei giudici di merito delle leggi regionali, effettuata considerando le stesse alla stregua di un atto amministrativo, costituisce esercizio di potere del tutto abnorme, non previsto dal nostro ordinamento costituzionale, con palese violazione degli artt. 101 comma 2 e 117 comma 1 Cost. Inoltre, la pretesa di sindacare la legittimità costituzionale della predetta normativa, integra violazione dell'art. 134 Cost. (non essendo il caso assimilabile al conflitto di leggi statali o regionali con regolamenti comunitari, nei cui confronti l'ordinamento interno non è più operante) atteso che, il principio, tra i basilari del nostro sistema costituzionale - per il quale il giudice, ove dubiti della legittimità di una legge deve adire la Corte costituzionale, che sola può esercitare tale sindacato, pronunciandosi, se la questione sia riconosciuta fondata, con sentenze aventi efficacia erga omnes - non può soffrire eccezione alcuna.
Tuttavia, ritiene questo Tribunale di poter pervenire allo stesso risultato della soluzione adottata dalla Cassazione, sia pure attraverso una via diversa e più agevole, segnata dai principi in materia di successione di leggi.
È indubbio che la legge statale - art. 94 e 95 d.P.R. n. 380 del 2001 -, che sancisce il principio della necessaria autorizzazione preventiva, sanzionandone penalmente l'inosservanza, sia entrata in vigore successivamente alla legge regionale - artt. 2 ss. l.r. n. 7 del 1998.
Orbene è principio consolidato nella giurisprudenza della Corte costituzionale quello che - come ha chiarito la sentenza n. 498 del 1993 -, anche in considerazione dell'art. 10 comma 1 l. 10 febbraio 1953, n. 62, allorquando una legge regionale sia in contrasto con una legge dello Stato che stabilisca una norma di principio e detta legge regionale sia precedente alla legge statale, la sopravvenienza di quest'ultima deve interpretarsi come abrogativa della legge regionale.
Nel caso in esame, le due norme sono effettivamente in insanabile contrasto, quella statale prevedendo la necessità del controllo preventivo sotteso alla necessaria autorizzazione per ogni singola costruzione in zona sismica, laddove quella regionale non richiede alcuna autorizzazione ma si limita a prevedere, al più, controlli successivi, a campione, o addirittura a sorteggio, in relazione alle opere di cui è stato soltanto denunciato l'inizio di esecuzione.
Inoltre, alla legge regionale non può essere riconosciuto neppure uno spazio residuale a livello di normazione di dettaglio; torna utile l'argomentazione - suindicata - secondo cui la materia antisismica è riservata alla competenza esclusiva dello Stato.
Di conseguenza, in applicazione del principio affermato dalla stessa Corte costituzionale nella decisione appena richiamata, si deve ritenere che la legge statale, successiva, ha dunque implicitamente abrogato quella regionale, sicché è indubbio che anche per la Regione Calabria è pienamente applicabile il disposto di cui agli artt. 94 e 95 del testo unico edilizia, essendo perciò sempre necessaria l'autorizzazione preventiva, in difetto della quale è configurabile il reato sanzionato dallo stesso art. 95.
Di certo, si tratta di una sanzione soltanto pecuniaria, ma l'efficacia preventiva della disciplina applicabile è assolutamente rilevante, se è vero - come è vero - che impone un controllo preventivo connaturato al regime autorizzatorio, per ogni singola costruzione, superando le discutibili «procedure semplificate per le costruzioni in zone sismiche, fra cui l'abolizione di ogni autorizzazione preventiva, sostituita dal controllo successivo con metodi a campione o addirittura a sorteggio».
Si discute inoltre se la prassi, apparentemente finora seguita dalla Regione Calabria, che continuerebbe a non ritenere necessaria l'autorizzazione, possa avere rilevanza sotto il profilo della buona fede del soggetto che ha realizzato l'opera in zona sismica, adeguandosi ai dettami dell'ufficio regionale.
Occorre premettere che, in materia di errore scusabile, a seguito della sentenza 23 marzo 1988, n. 364 della Corte costituzionale, l'ignoranza della legge penale, a cagione della sua inevitabilità, scusa l'autore dell'illecito soltanto se incolpevole.
Le Sezioni Unite hanno poi affermato alcune linee direttrici per stabilire i limiti di tale inevitabilità, affermando che per il comune cittadino tale condizione è sussistente, ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell'ordinaria diligenza, al cosiddetto «dovere di informazione», attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell'illecito anche in virtù di una culpa levis nello svolgimento dell'indagine giuridica. Per l'affermazione della scusabilità dell'ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l'agente abbia tratto il ragionevole convincimento della correttezza dell'interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto.
In sintesi, al più potrebbe invocare la buona fede il soggetto che abbia comunque osservato la prassi applicativa, seguita dagli uffici regionali, di ritenete ancora applicabili i dettami della l. n. 7 del 1998.
Al contrario - e con specifico riferimento al concreto caso - nella prospettiva dell'imputato che ha realizzato l'opera sopra descritta senza neppure formalizzare la denuncia di inizio lavori, è da escludere il ragionevole affidamento, non avendo costui neppure osservato la prassi derivante dalla protratta applicazione della disciplina ormai abrogata.
Ciò è puntualmente accaduto nel caso di specie.
Invero, sotto il profilo oggettivo, come è stato dimostrato attraverso la testimonianza di P.S., in servizio presso l'ufficio regionale, l'odierna imputata ha realizzato il manufatto in legno, senza alcun titolo, omettendo altresì di denunciare l'inizio dell'opera e di presentare i relativi elaborati all'ufficio competente.
La considerevole struttura portante in legno necessitava certamente della preventiva autorizzazione di cui al citato art. 94. Infatti, ai sensi degli artt. 83 e 94 d.P.R. n. 380 del 2001, la predetta disciplina riguarda tutte le costruzioni la cui sicurezza possa comunque interessare la pubblica incolumità in zone dichiarate sismiche, così che in queste zone non si possono iniziare lavori edilizi di qualsiasi genere senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico regionale. Da questo punto di vista non fa alcuna differenza che le opere edilizie abbiano natura permanente oppure precaria (sia in senso strutturale sia in senso funzionale), essendo evidente che anche un'opera precaria, sino a che non venga rimossa, può attentare alla sicurezza delle persone, se non è costruita secondo le regole tecniche stabilite per le zone sismiche
La riconducibilità dei fatti alla stessa F., si ricava altresì, indiscutibilmente, dalla decisione di condanna, pronunciata nei confronti di F.M. dal GIP di Cosenza con decreto n. 1731 del 2007, divenuto irrevocabile in data 6 novembre 2007, per i reati edilizio e paesaggistico, relativi alla realizzazione dello stesso manufatto senza alcun titolo.
Sotto il profilo soggettivo, come si è già detto, non avendo l'odierna imputata neppure osservato la prassi seguita dall'ufficio regionale, conformata alla disciplina della l. n. 7 del 1998 - ormai implicitamente abrogata -, è da escludersi un ragionevole affidamento o, quantomeno, l'intima convinzione di aver osservato la legge.
Sotto il profilo sanzionatorio, il reato contestato in questa sede è legato dal vincolo della continuazione con quelli già giudicati con il citato decreto, in quanto evidentemente espressivi di un medesimo disegno criminoso.
Pertanto, premesso che nel separato giudizio F.M. è stata condannata alla pena di 11.278.00 di ammenda, tenuto conto dei criteri fissati dagli artt. 133 ss. c.p., si stima di giustizia irrogare un ulteriore aumento di pena nella misura di euro 500,00.
Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.
Tenuto conto del solo precedente non ostativo e della funzione di emenda conseguente alla presente condanna, si ritiene di poter formulare una prognosi favorevole alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Resta fermo, inoltre, l'ordine di demolizione pronunciato con il decreto ormai irrevocabile; la pena per il reato continuato, in conseguenza dell'aumento operato con la presente decisione, va rideterminata in euro 11.778,00 di ammenda (11.278,00 + 500,00).


P.Q.M.
Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiara F.M. colpevole del reato ascrittole, unito per continuazione con i reati già giudicati con decreto penale n. 1731 del 2007 GIP di Cosenza, irrevocabile il 6 novembre 2007, e la condanna all'aumento di pena di euro 500,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali. Pena sospesa.