L’inutile disquisire attorno all’efficacia dell’ingiunzione di demolizione per effetto della presentazione dell’istanza di sanatoria edilizia
(Commento a Cons. Stato, Sez. II, n° 8383/2020)

di Massimo GRISANTI

Non so voi, ma diverse volte, nel rileggere una disposizione normativa, mi sono detto: Eppure non mi sembrava che fosse scritto così!
Evidentemente i Giudici amministrativi sono esenti da errate letture, come dimostrano, in ultimo, i componenti del collegio del Consiglio di Stato che nella pronuncia n° 8383/2020, in ordine al rapporto tra ingiunzione di demolizione ed istanza di sanatoria ex art. 36 d.P.R. 380/2001, hanno sentenziato:
“(…) L’istanza, cioè, incide solo sull’efficacia immediata dell’atto sanzionatorio, determinandone un arresto «all’evidente fine di evitare, in caso di accoglimento dell’istanza, la demolizione di un’opera astrattamente suscettibile di legittimazione» (cfr. ancora Cons. Stato, sez. II, n. 1260/2020, cit. supra). All’esito del procedimento di sanatoria, in caso di accoglimento dell’istanza, l’ordine di demolizione rimarrà privo di effetti in ragione del sopravvenuto venir meno dell’originario carattere abusivo dell’opera realizzata. Di contro, in caso di suo rigetto, anche per silentium, l’ordine di demolizione riacquisterà la sua efficacia (in termini, ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 19 febbraio 2008, n. 849; sez. II, 13 giugno 2019, n. 3954).
Tale indicazione ermeneutica si palesa particolarmente armonica all’istituto di cui è causa, connotato da una tempistica definitoria molto ristretta (60 giorni), ma anche dall’avere tra i presupposti temporali della possibile richiesta quelli indicati negli atti sanzionatori già adottati, tra i quali rientra pure l’ordinanza ingiunzione. La scelta prospettata, cioè, si palesa plausibile anche in termini di economia del procedimento, che induce a ritenere che l’efficacia dell’ordinanza di demolizione viene effettivamente meno solo se la sanatoria è concessa, mentre riacquista pienezza se la domanda è rigettata, anche tacitamente: il che, appunto, avviene dopo soli 60 giorni dall’avvenuta presentazione dell’istanza, diversamente da quanto previsto per i procedimenti di condono, ove l’inerzia dell’Amministrazione ha di regola valore positivo, ma presuppone il decorso di un ben più consistente lasso di tempo (…)”.
Lo scrivente non riesce a vedere dove nell’art. 36 d.P.R. 380/2001 il legislatore ha scritto che la presentazione dell’istanza di sanatoria sospende l’efficacia dell’ingiunzione di demolizione, così determinandone un arresto.
I Giudici offrono l’indicazione, a loro dire ermeneutica, della temporanea sospensione dell’efficacia non leggendo, nelle disposizioni che regolano la sanatoria edilizia, che i responsabili dell’abuso, comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, possono ottenere il permesso in sanatoria.
I Giudici continuano a leggere ‘richiedere, dove è scritto <ottenere>, per di più scorporando il limite temporale <comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative>. E la cosa non è irrilevante, giacché affermando che per effetto della presentazione dell’istanza di sanatoria è temporaneamente sospesa l’efficacia dell’ingiunzione si ha quale conseguenza il ritardo o l’indefinito momento dell’ingresso della res abusiva nel patrimonio dell’ente locale, con grave danno per le casse erariali.
In parole povere, sono i Giudici che – andando al di là della Costituzione (il Giudice è soggetto soltanto alla legge) laddove operano un’inammissibile interpretatio abrogans delle più importanti disposizioni dell’art. 36 d.P.R. 380/2001 – neutralizzano il più importante deterrente previsto dal legislatore nella lotta all’abusivismo edilizio: l’acquisizione della res abusiva. Infatti, come detto più volte, l’automatica e gratuita acquisizione della res abusiva al patrimonio disponibile dell’ente locale è l’irrogazione ex lege della principale, tra quelle previste dal legislatore, sanzione amministrativa, che, nella costruzione normativa dell’istituto della sanatoria, fa decadere ex art. 2934 del codice civile il responsabile dell’abuso dal diritto di ottenere il permesso a sanatoria (ove rilasciabile).
Il legislatore ha visto bene di non mettere il responsabile dell’abuso nella posizione di disporre dei tempi del procedimento di vigilanza edilizia fissando, implicitamente, un chiaro termine entro il quale rientrare nell’alveo della legalità senza rischiare l’acquisizione: al massimo entro trenta giorni dalla notificazione dell’ingiunzione l’interessato deve presentare l’istanza di sanatoria, dimodoché il responsabile del competente ufficio comunale si pronunci favorevolmente entro i successivi sessanta, in guisa da evitare l’automatica acquisizione de iure il novantunesimo giorno dalla notificazione dell’ingiunzione.
Sembra impossibile, ma pare che i Giudici non comprendano il meccanismo. Altrimenti non si lancerebbero in indicazioni ermeneutiche cambiando pure le parole utilizzate dal legislatore, ma, essenzialmente, in decisioni che svuotano il principale tra i caratteri peculiari della chance di ottenere il perdono, ovverosia l’arco temporale determinato dall’efficacia dell’ingiunzione di demolizione che commina l’acquisizione in caso di inottemperanza. Infatti, ancorché l’opera abusiva sia rispettosa della c.d. doppia conformità, il legislatore ha inteso dare prevalenza all’obbligo giuridico di ripristinare la legalità violata entro l’analizzato congegnato termine.
Per il legislatore prima ancora dell’ordinato assetto del territorio è importante il rispetto del principio di legalità. Non a caso, le regole della sanatoria trovano allocazione nel Titolo IV dedicato alla Vigilanza sull’attività urbanistico edilizia, responsabilità e sanzioni anziché nel Titolo II del TUE dedicato ai Titoli abilitativi.
Non si è mai visto, nell’intero ordinamento, una disposizione di vigilanza con correlata sanzione in caso d’inottemperanza (id est: ingiunzione di demolizione ed acquisizione ex art. 31) che viene posta in quiescenza da un’altra disposizione di vigilanza (id est: norme regolanti l’ottenimento del permesso in sanatoria ex art. 36), in ispecie allorquando di quest’ultima ne viene data interpretazione in guisa che ne dispongano, con i relativi propri tempi di iniziativa e reazione, il responsabile dell’infrazione e colui che è chiamato ad applicare la norma.
Di recente il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 18/2020 resa in Adunanza plenaria, ha affermato che dell’art. 21 nonies L. 241/1990 non può essere fatta applicazione, o data interpretazione, in guisa che si abbiano sanatorie ex ufficio. Però è bene che gli stessi Giudici inizino a comprendere che nemmeno dell’art. 36 d.P.R. 380/2001 possono essere fatte letture che integrino nuove sanatorie giurisprudenziali.

Pubblicato il 28/12/2020

N. 08383/2020REG.PROV.COLL.

N. 10042/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10042 del 2011, proposto dal signor Gian Piero Smedile, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Gerbi e Giovan Candido Di Gioia, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, piazza Mazzini, n. 27,

contro

il Comune di Avegno, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio,

nei confronti

della signora Claudia Fausti, non costituita in giudizio,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 919/2011, resa tra le parti, concernente diniego di sanatoria e demolizione di un manufatto abusivo.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 e l’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con l. 25 giugno 2020, n. 70;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 17 novembre 2020, in collegamento da remoto in videoconferenza, il Cons. Antonella Manzione;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Il signor Gian Piero Smedile con ricorso n.r.g. 839 del 2010 ha impugnato innanzi al T.A.R. per la Liguria l’ordinanza n. 1 del 12 luglio 2010 con la quale il Comune di Avegno, richiamata la comunicazione di avvio del procedimento del 22 giugno 2009, n.3044 ed il parere negativo della Commissione edilizia del 18 dicembre 2009 sull’istanza di sanatoria relativa ad un manufatto adibito a magazzino agricolo, gliene intimava la demolizione.

2. A definizione del giudizio di primo grado, con la sentenza appellata n. 919 dell’8 giugno 2011 il T.A.R. accoglieva il ricorso limitatamente alla parte di provvedimento intesa come diniego di sanatoria, ritenendo che lo stesso avrebbe dovuto essere preceduto dal relativo preavviso ex art. 10 bis della l. n. 241 del 1990; lo respingeva invece avuto riguardo all’ingiunzione a demolire, non inficiata dalla ripristinata pendenza del termine per la definizione della sanatoria.

3. Il signor Smedile ha proposto appello, censurando le statuizioni negative del primo giudice: la comunicazione di avvio del procedimento avrebbe dovuto precedere anche l’ordine di ripristino dello stato dei luoghi, avendo la relativa previsione contenuta nella l. n. 241/1990 carattere generale; la pendenza, inoltre, della domanda di accertamento di conformità, anteriore all’ordine di demolizione, ne avrebbe dovuto impedire l’adozione. Di ciò sarebbe conferma nella formulazione dell’art. 38 della legge n. 47 del 1985, richiamato anche dal giudice di prime cure, che impone appunto all’Amministrazione di astenersi da ogni iniziativa repressiva nelle more della definizione del procedimento di sanatoria. Nello stesso senso deporrebbero anche gli artt. 33,40 e 44 della medesima legge, che, nel richiamare le sanzioni previste per le opere non suscettibili di sanatoria o in caso di domande dolosamente infedeli, confermano l’irrogazione della sanzione solo successivamente alla determinazione adottata in ordine alla domanda di condono.

4. Il Comune di Avegno non si è costituito in giudizio.

5. In vista dell’udienza pubblica l’appellante ha depositato richiesta che la causa passi in decisione allo stato degli atti, senza previa discussione orale.

Alla pubblica udienza del 17 novembre 2020, svoltasi con modalità da remoto ai sensi dell’art. 25, comma 2, del decreto legge n. 137 del 28 ottobre 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

6. Il Collegio rileva come dei tre distinti motivi di appello, il secondo e il terzo possano essere accorpati e trattati congiuntamente per omogeneità di contenuto giuridico, attenendo entrambi, seppur con distinta argomentazione, alla asserita pregiudizialità della definizione dell’istanza di sanatoria, prima di addivenire alla sanzione demolitoria.

7. Ancora in via preliminare si rendono necessarie alcune sintetiche precisazioni in punto di fatto. Nel caso di specie, la domanda di sanatoria era stata presentata in data 13 novembre 2007 ai sensi dell’art. 36 del d. P.R. n. 380 del 2001, recante la disciplina della c.d. “sanatoria ordinaria” o “accertamento di conformità”, siccome indicato nella rubrica della norma, per l’avvenuta realizzazione di un manufatto “in fase di completamento”, con una volumetria pari a mq. 24. Con una prima comunicazione del 19 dicembre 2007, nel riferire l’esito della seduta della Commissione edilizia, il Comune già rappresentava di necessitare di un sopralluogo per verificare la distanza da confini e da fabbricati. Con la successiva del 22 giugno 2009, faceva esplicito riferimento alla richiesta di verifica della legittimità delle opere in corso di realizzazione su denuncia della vicina: a fronte dei lavori riscontrati, rappresentava di aver rinvenuto quale “pratica edilizia” di riferimento la sola richiesta di sanatoria (dunque, non un qualche titolo edilizio) sulla quale la Commissione edilizia nella nuova seduta del 27 marzo 2008, a seguito del preannunciato sopralluogo, medio tempore effettuato, esprimeva un primo parere negativo. Infine, con l’ordinanza n. 1 del 12 luglio 2010, oggetto dell’odierno contenzioso, veniva ingiunta la demolizione del manufatto, riportando in motivazione in maniera testuale il parere negativo espresso dalla medesima Commissione edilizia nella successiva seduta del 18 dicembre 2009, riferito, oltre che alle distanze, a rilevate difformità nelle altezze del fabbricato rispetto alle previsioni del Piano urbanistico comunale.

7.1. Ciò posto, il T.A.R., anziché dare rilievo quanto meno alla comunicazione del 22 giugno 2009, ne ha sostanzialmente ignorato l’esistenza, sottolineandone l’inutilità, a fronte della portata sanzionatoria, e come tale necessitata, del provvedimento impugnato; la doverosità, al contrario, in relazione al diniego implicito di sanatoria sussumibile nello stesso, con riferimento al quale ha pertanto accolto il ricorso. L’interessato ha evidentemente impugnato la sentenza nella sola parte in cui non ha ritenuto necessaria la comunicazione di avvio del procedimento anche con riferimento all’ingiunzione a demolire. Rileva il Collegio come accettando come ormai inconfutabile, in assenza di appositi rilievi da parte dell’appellante, l’assunto che la richiamata comunicazione del 22 giugno 2009 non fosse da riferire (anche) al procedimento di sanatoria, la stessa non può che essere ascritta almeno al successivo esito sanzionatorio. La circostanza di fatto che una comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della l. n. 241 del 1990, vi sia stata, infatti, non può essere del tutto neutralizzata, considerando l’atto tamquam non esset. Tanto più che la parte vi ha dato riscontro, non senza avere chiesto un differimento dei termini originariamente assegnati per controdedurre.

7.2. Quanto detto, peraltro, malgrado costituisca ius receptum, siccome affermato anche dal primo giudice con riferimento ad arresti giurisprudenziali già consolidatisi, quello in forza del quale i provvedimenti aventi natura di atto vincolato, come l’ordinanza di demolizione, non devono essere preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento non essendo prevista la possibilità per l’amministrazione di effettuare valutazioni di interesse pubblico relative alla conservazione del bene. L’ordine di demolizione conseguente all’accertamento della natura abusiva delle opere edilizie, cioè, come tutti i provvedimenti sanzionatori edilizi, è un atto dovuto per l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato dalla legge; pertanto, essendo volto a reprimere un abuso edilizio, esso sorge in virtù di un presupposto di fatto, ossia l’abuso, appunto, di cui il ricorrente deve essere ragionevolmente a conoscenza, rientrando nella propria sfera di controllo (Cons. Stato, sez. II, 11 dicembre 2019, n. 8422; sez, VI, 5 giugno 2017, n. 2681; id., 5 marzo 2018, n. 1392; 7 maggio 2018, n. 2700; 30 ottobre 2018, n. 6176; 25 febbraio 2019, n. 1281).

8. Quanto agli altri due motivi di censura, come anticipato riconducibili al comune denominatore della ritenuta valenza pregiudiziale del procedimento di sanatoria rispetto all’irrogazione di qualsivoglia sanzione, il Collegio ritiene egualmente opportune alcune precisazioni.

Nel richiamare ridetta “pregiudizialità” l’appellante invoca in generale la tematica degli effetti determinati dalla presentazione di una domanda di sanatoria, nel caso di specie “ordinaria”, sulla sanzionabilità di un abuso edilizio. La giurisprudenza si è reiteratamente occupata della questione, in particolare con riferimento agli effetti della stessa sul piano processuale, addivenendo peraltro a soluzioni non sempre omologhe, in particolare laddove si è fatto promiscuamente riferimento ad accertamenti di conformità e istanze di condono, in verità concettualmente ed ontologicamente diversi per presupposti e procedimento (nel senso della improcedibilità del ricorso avverso l’ingiunzione a demolire ove sopravvenga domanda di sanatoria o condono, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3 marzo 2020, n. 1540; sez. II, 20 dicembre 2019, n. 8637; nel senso della necessità di uno scrutinio di merito, avuto riguardo ai soli accertamenti di conformità, v. invece sez. VI, 1 marzo 2019, n. 1435; sez. II, n. 3954 del 2019; id., 19 febbraio 2020, n. 1260).

Tale specifico profilo esula dal perimetro dell’odierna controversia, laddove è questione, più genericamente, degli effetti sostanziali, non processuali, della pendenza del procedimento di sanatoria, tanto più che la stessa consegue non alla presentazione di un’istanza di parte, ma alla sostanziale “rimessione in termini” dell’appellante con riferimento a quella già a suo tempo avanzata. Su tali effetti, il Collegio ritiene di poter richiamare le conclusioni sostanzialmente concordi della giurisprudenza più recente di questo Consiglio di Stato, nel senso della sospensione temporanea dell’efficacia dell’atto sanzionatorio, ovvero del “congelamento” della sua efficacia, come talvolta affermato. Vuoi, infatti, che se ne sancisca l’efficacia, ma solo futura e condizionata, (v. al riguardo Cons. Stato, sez. II, n. 1260/2010), vuoi che, al contrario, si parli di inefficacia attuale, salvo preventivarne il recupero (cfr. Cons. Stato, sez. II, n. 3954/2019), è evidente che trattasi del rovescio della stessa medaglia, intendendosi comunque fare riferimento ad un “blocco” limitato nel tempo degli effetti del provvedimento, tale da non incidere né sulla sua validità, né, almeno in via definitiva, sulla sua efficacia. L’istanza, cioè, incide solo sull’efficacia immediata dell’atto sanzionatorio, determinandone un arresto «all’evidente fine di evitare, in caso di accoglimento dell’istanza, la demolizione di un’opera astrattamente suscettibile di legittimazione» (cfr. ancora Cons. Stato, sez. II, n. 1260/2020, cit. supra). All’esito del procedimento di sanatoria, in caso di accoglimento dell’istanza, l’ordine di demolizione rimarrà privo di effetti in ragione del sopravvenuto venir meno dell’originario carattere abusivo dell’opera realizzata. Di contro, in caso di suo rigetto, anche per silentium, l’ordine di demolizione riacquisterà la sua efficacia (in termini, ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 19 febbraio 2008, n. 849; sez. II, 13 giugno 2019, n. 3954).

Tale indicazione ermeneutica si palesa particolarmente armonica all’istituto di cui è causa, connotato da una tempistica definitoria molto ristretta (60 giorni), ma anche dall’avere tra i presupposti temporali della possibile richiesta quelli indicati negli atti sanzionatori già adottati, tra i quali rientra pure l’ordinanza ingiunzione. La scelta prospettata, cioè, si palesa plausibile anche in termini di economia del procedimento, che induce a ritenere che l’efficacia dell’ordinanza di demolizione viene effettivamente meno solo se la sanatoria è concessa, mentre riacquista pienezza se la domanda è rigettata, anche tacitamente: il che, appunto, avviene dopo soli 60 giorni dall’avvenuta presentazione dell’istanza, diversamente da quanto previsto per i procedimenti di condono, ove l’inerzia dell’Amministrazione ha di regola valore positivo, ma presuppone il decorso di un ben più consistente lasso di tempo ( di regola, 24 mesi).

9. Nel caso di specie, la domanda di sanatoria era stata presentata prima dell’avvio del procedimento sanzionatorio: trattandosi di accertamento di conformità, l’adozione dell’ingiunzione a demolire assume per lo più la portata di atto complesso che assorbe in sé il diniego della stessa, trovando giustificazione nella ritenuta abusività dell’opera. In linea di diritto, cioè, va ribadito che il silenzio serbato dal Comune su un’istanza di accertamento di conformità urbanistica non ha valore di silenzio inadempimento, ma di silenzio rigetto, con la conseguenza che, una volta decorso il relativo termine, non sussiste un obbligo di provvedere, dovendosi ritenere già perfezionato il provvedimento negativo da impugnare nel termine ordinario di decadenza (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 11 giugno 2018, n. 3556). Una volta conclusosi negativamente l’iter avviato con l’istanza di sanatoria ordinaria, sussistono cioè i presupposti per l’adozione dei provvedimenti repressivi degli abusi. Nel caso di specie, applicando tali coordinate alla scansione sopra riassunta, risulta che al momento dell’adozione dell’ordine sanzionatorio l’istanza di sanatoria era già stata risolta negativamente dal Comune, ai sensi e per gli effetti della norma invocata così come intesa dalla prevalente opinione giurisprudenziale sopra richiamata. Verrebbe quindi smentito il motivo posto a fondamento dell’accoglimento del ricorso di prime cure, basato sulla asserita pendenza della domanda di sanatoria. La scelta interpretativa del primo giudice, tuttavia, non essendo stata oggetto di censure in parte qua, deve costituire il postulato di partenza insormontabile dell’odierna decisione, avendo prodotto l’effetto di far retroagire il procedimento al momento della presentazione dell’istanza di accertamento di conformità, della quale ha imposto il riesame, epurandolo del riscontrato vizio di omessa partecipazione. A ciò consegue che l’ordinanza ingiunzione a demolire non trova più il suo presupposto nel diniego di sanatoria, ma deve fare i conti con l’avvenuta (ri)presentazione fittizia della relativa istanza, essendosene operata una sorta di rimessione in termini per via giudiziale. Sul punto, non può non condividersi l’affermazione del primo giudice, laddove afferma che «ferma la validità dell’ordine di demolizione, la presentazione della domanda di accertamento sospende la sua efficacia, ma non vale a condizionarne la validità».

10. Corretto si palesa anche il richiamo alla diversa disciplina contenuta nell’art. 38 della l. n. 47 del 1985, pure invocato dall’appellante in senso diametralmente opposto a quello fatto proprio dal senso testuale delle parole. Con esso, infatti, si intende evidenziare la differenza strutturale tra procedimento di sanatoria e procedimento di condono già accennata nei paragrafi precedenti. La norma, infatti, prevede espressamente che «La presentazione entro il termine perentorio della domanda di cui all’ articolo 31, accompagnata dalla attestazione, del versamento della somma di cui al primo comma dell’articolo 35, sospende il procedimento penale e quello per le sanzioni amministrative». Indicazione al contrario mancante nell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, relativo all’accertamento di conformità.

Inconferente, infine, si palesa il richiamo agli artt.33,40 e 44 della medesima l. n. 47 del 1985 (peraltro inapplicabili ratione temporis), riferite ai casi di non assentibilità di un’istanza di sanatoria, non al rapporto tra accertamento di conformità e sanzioni conseguenti al suo diniego, ovvero alla forma necessariamente esplicita ed autonoma dello stesso.

11. Conclusivamente, il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto. L’avvenuta presentazione dell’istanza di sanatoria, al pari della affermata necessità di un suo riesame previo inoltro della necessaria comunicazione all’interessato, non inficia infatti la validità dell’ordinanza ingiunzione a demolire già adottata, ma ne sospende gli effetti fino alla definizione del procedimento conseguito alla stessa.

Nulla sulle spese non essendosi costituito il Comune di Avegno in nessuno dei due gradi giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla sulle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 novembre 2020 tenutasi con modalità da remoto con l’intervento dei magistrati:

Carlo Deodato, Presidente

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere

Giancarlo Luttazi, Consigliere

Italo Volpe, Consigliere

Antonella Manzione, Consigliere, Estensore