Capanni e altane di caccia sono disciplinati dalla normativa di tutela paesaggistica e urbanistica

di Stefano DELIPERI

 

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 139 del 13 giugno 2013, ha dichiarato l’incostituzionalità della legge regionale 6 luglio 2012, n. 25 nelle parti in cui esenta gli appostamenti per la caccia (capanni, altane) dall’ottenimento dell’autorizzazione paesaggistica (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) e dal titolo abilitativo urbanistico-edilizio (D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i.).

E’ stato, quindi, accolto il ricorso governativo avverso la legge regionale veneta salva-altane di caccia, effettuato su istanza (18 luglio 2012) dell’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus nell’ambito della campagna effettuata nel Vicentino per verificare la legittimità urbanistica e paesaggistica di numerose postazioni venatorie con strutture fisse (altane, capanni in muratura e legno).

Hanno impegnato il loro tempo libero per mesi i coraggiosi volontari dalla L.A.C. e dall’E.N.P.A., sezioni di Vicenza, in collaborazione con il Gruppo di Intervento Giuridico veneto, per verificare la legittimità urbanistica e paesaggistica di numerose postazioni venatorie con strutture fisse (altane, capanni in muratura e legno).

Sono ormai più di un centinaio le altane di caccia e i capanni-bunker rinvenuti nei boschi e nelle campagne della Provincia di Vicenza, successivamente segnalati alle amministrazioni pubbliche e alla magistratura competenti per gli accertamenti del caso.

Il risultato ha fatto emergere una realtà di abusivismo e sprezzo dell’ambiente di proporzioni colossali, le postazioni rilevate sono centinaia, ricomprese nei territori da Breganze a Salcedo, da Mason Vicentino a Marostica, da Bassano del Grappa passando per Campolongo sul Brenta a Romano d’Ezzelino, salendo sul massiccio del Grappa per arrivare fino a Liedolo in provincia di Treviso.

I rilievi effettuati hanno permesso di portare alla luce altane, torrette e capanni serviti abusivamente ed illegittimamente per massacrare centinaia di migliaia di altri animali.

I seguaci di Diana non hanno esitato a costruire le torrette in prossimità delle strade, nonostante la legge preveda delle distanze ben precise per praticare l’attività venatoria, non c’è stata alcuna esitazione nemmeno a tagliare grossi rami ed alberi per aprirsi il fronte, e pertanto, la possibilità di avere una linea di tiro a 360 gradi, tutto ciò togliendo al paesaggio importanti parti di natura che costituiscono un patrimonio di tutti, compresi turisti ed escursionisti che annualmente visitano i boschi della Provincia, come pure non c’è stato nessun indugio a lasciare centinaia di bossoli e di borrette abbandonati sul suolo.

Decine e decine le irregolarità di natura urbanistica e paesaggistica rilevate dalle autorità territorialmente competenti, Carabinieri del G.T.A. di Treviso, il Corpo Forestale dello Stato, gli uffici urbanistici dei vari Comuni e, per gli aspetti di competenza, le varie Procure attivatesi a seguito degli esposti effettuati dalle associazioni animaliste e ambientaliste.

Irregolarità riscontrate anche nei confronti dell’ambiente circostante come il ritrovamento nelle prime colline di Marostica (VI) di centinaia di bossoli bruciati per terra, i quali, hanno sprigionato nell’aria pericolose tossine derivanti dalla bruciatura della plastica di cui sono costituiti, tutto ciò in spregio della salute dei cittadini residenti nelle vicinanze.

Ecco quindi che, dopo i comuni del nord-ovest vicentino, nei quali le costruzioni censite sono risultate, nella quasi totalità, completamente prive di autorizzazioni urbanistico-edilizie e paesaggistiche, si scopre che anche il nord-est della provincia non è immune da tanto scempio.

Le torrette e altane rinvenute, vere e proprie postazioni sopraelevate alte anche 20-30 metri dal suolo, erano realizzate dai cacciatori, con ferro, legno, plastica, lamiere e teli, costruite sia sui boschi, per la caccia ad ungulati e cinghiali, sia sui crinali dove si concentra la migrazione dei passeriformi; decine le vecchie postazioni abbandonate nel più totale degrado con pezzi pericolosamente arrugginiti e penzolanti.

Grazie al preciso e certosino lavoro effettuato dai volontari delle associazioni ambientaliste ed animaliste, ora tutto quello scempio non esiste più, nei confronti dei proprietari delle costruzioni e ai proprietari dei terreni su cui sorgevano sono stati, infatti, avviati procedimenti per l’irrogazione di sanzioni per violazioni urbanistiche ed edilizie, e se per molti il reato si è estinto con la rimessione in ripristino delle aree soggette a vincolo paesaggistico, diversa è la sorte toccata a chi dovrà rispondere di reati di natura penale.

Il Consiglio regionale del Veneto, su proposta della Giunta e richiesta insistente da parte del mondo venatorio, ha con arroganza puntato alla legalizzazione del far west di altane e capanni di caccia alla faccia dei basilari principi giuridici di tutela ambientale e del territorio.

La risposta del Giudice costituzionale è stata chiara e netta: la leggina regionale veneta salva-altane è illegittima.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus









SENTENZA N. 139

ANNO 2013



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Franco GALLO; Giudici : Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 3, e 2, comma 1, della legge della Regione Veneto 6 luglio 2012, n. 25 (Modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio”), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 10-13 settembre 2012, depositato in cancelleria il 17 settembre 2012 ed iscritto al n. 122 del registro ricorsi 2012.

Visto l’atto di costituzione della Regione Veneto;

udito nell’udienza pubblica del 7 maggio 2013 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi;

uditi l’avvocato dello Stato Cristina Gerardis per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Luigi Manzi e Daniela Palumbo per la Regione Veneto.

Ritenuto in fatto

1.− Con ricorso notificato il 10 settembre 2012 e depositato il successivo 17 settembre (reg. ric. n. 122 del 2012) il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 3, e 2, comma 1, della legge della Regione Veneto 6 luglio 2012, n. 25 (Modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio”), in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione.

Le disposizioni impugnate modificano la legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio).

In particolare, l’art. 1, comma 3, aggiungendo un comma 3-bis all’art. 20-bis di quest’ultimo testo normativo, stabilisce che «gli appostamenti per la caccia al colombaccio di cui al presente articolo sono soggetti alla comunicazione al comune e non richiedono titolo abitativo edilizio ai sensi dell’articolo 6 del decreto del Presidente della repubblica 6 giugno 2001, n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia” e successive modificazioni e si configurano quali interventi non soggetti ad autorizzazione paesaggistica, ove siano correttamente mimetizzati e siano realizzati, secondo gli usi e le consuetudini locali, in legno e metallo, di altezza non superiore il limite frondoso degli alberi e siano privi di allacciamenti e di opere di urbanizzazione e comunque non siano provvisti di attrezzature permanenti per il riscaldamento».

Il ricorrente ritiene lesiva della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.) la previsione che esclude gli appostamenti per la caccia al colombaccio, indicati dalla norma impugnata, dall’autorizzazione paesaggistica, dato che essa deve ritenersi richiesta ai sensi degli artt. 146 e 149 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137). Tali interventi, infatti, non potrebbero avere carattere di lieve entità e non ricadrebbero, quindi, nel regime dell’“autorizzazione semplificata” di cui all’art. 1 del d.P.R. 9 luglio 2010, n. 139 (Regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità, a norma dell’articolo 146, comma 9, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni).

La seconda disposizione impugnata, cioè l’art. 2, comma 1, aggiunge una previsione all’art. 9, comma 2, lettera h), della legge regionale n. 50 del 1993, stabilendo che «tutte le tipologie di appostamento di cui all’articolo 20 della presente legge e all’articolo 12, comma 5 della legge n. 157 del 1992, realizzate secondo gli usi e le consuetudini locali, sono soggette a comunicazione al comune e non richiedono titolo abitativo edilizio ai sensi dell’articolo 6 del decreto del Presidente della repubblica 6 giugno 2001, n. 380 “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia” e successive modificazioni e si configurano quali interventi non soggetti ad autorizzazione paesaggistica; per gli appostamenti che vengono rimossi a fine giornata di caccia non è previsto l’obbligo della comunicazione al comune territorialmente competente».

Il ricorrente in primo luogo formula la medesima censura di violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. avanzata nei confronti dell’art. 3, comma 1, per la sottrazione di tutti gli appostamenti all’autorizzazione paesaggistica.

In secondo luogo, per l’esclusione della necessità del titolo abilitativo edilizio, il ricorrente denuncia la violazione del principio fondamentale in materia di governo del territorio (art. 117, terzo comma, Cost.) recato dall’art. 3, comma 1, lettera e.5), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A).

A parere del ricorrente, in base a questa disposizione restano soggetti a permesso di costruire interventi edilizi privi del carattere della precarietà funzionale, per la tipologia dei materiali impiegati e l’uso non temporaneo.

Gli appostamenti per la caccia rientrerebbero in tale fattispecie, avendo carattere fisso, sicché neppure in forza dell’art. 6, comma 6, lettera a), del d.P.R. n. 380 del 2001, che pure consente alla Regione di estendere il regime dell’attività edilizia libera, il legislatore regionale avrebbe potuto derogare all’obbligo del permesso di costruire.

2.− Si è costituita in giudizio la Regione Veneto, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile e comunque non fondato.

La Regione rileva che lo Stato non ha impugnato l’art. 1 della legge regionale 24 febbraio 2012, n. 12 (Modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio”), che ha esentato gli appostamenti per la caccia a ungulati, ivi indicati, dall’autorizzazione paesaggistica e dal titolo abilitativo edilizio, né l’art. 3 della stessa legge, recante analoga esenzione per gli appostamenti nel territorio lagunare e vallivo.

Ciò avrebbe indotto il legislatore regionale a confidare nella legittimità degli analoghi interventi oggi impugnati. Del resto, aggiunge la difesa regionale, la delibera di Giunta del 2 ottobre 2012, n. 2005, nell’approntare una disciplina più puntuale circa il regime degli appostamenti per la caccia ad ungulati e colombacci, avrebbe recepito le indicazioni rese dalla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici.

Rispetto all’art. 1, comma 3, impugnato, e alla deroga ivi introdotta all’obbligo di autorizzazione paesaggistica, andrebbe considerato che gli appostamenti per la caccia ai colombacci sono collocabili solo nelle zone identificate dalle Province, sulla base di criteri minimi uniformi sull’assetto del territorio e la sicurezza enunciati dalla Giunta regionale (art. 20-bis, comma 2, della legge regionale n. 50 del 1993). La Regione ribadisce, a tale proposito, che la relativa delibera di Giunta è stata preceduta da un parere favorevole del competente organo statale.

Ne seguirebbe che i profili di tutela dell’ambiente di competenza statale sarebbero da valutare solo con riguardo all’atto amministrativo della Giunta, e non alla disposizione impugnata, «priva di autonomo carattere precettivo».

Rispetto all’art. 2, comma 1, la Regione ritiene che, sotto il profilo edilizio, tutti gli appostamenti per la caccia abbiano carattere precario, poiché destinati ad un impiego limitato alla stagione venatoria, perciò la legge regionale potrebbe esentarli dal titolo abilitativo, ai sensi dell’art. 6, comma 6, lettera a), del d.P.R. n. 380 del 2001, al pari delle serre mobili stagionali previste dal comma 1, lettera e), di tale ultima norma.

Né sarebbe pertinente il richiamo fatto dal ricorrente alla sentenza n. 171 del 2012 di questa Corte, con la quale sarebbe stata dichiarata la illegittimità costituzionale di una norma regionale che esentava dal titolo edilizio strutture di natura permanente, e non precaria, come gli appostamenti per la caccia.

Quanto all’autorizzazione paesaggistica, la Regione reputa che gli appostamenti per la caccia possano costituire interventi inerenti all’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale, per i quali l’art. 149, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 42 del 2004, a certe condizioni, non richiede l’autorizzazione. Tale conclusione andrebbe desunta dall’art. 10, comma 1, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), che assoggetta tutto il territorio agro-silvo-pastorale a pianificazione faunistico-venatoria.

Inoltre, la difesa regionale evidenzia che sono esentati gli appostamenti realizzati secondo gli usi e le consuetudini locali: essi, perciò, sarebbero per definizione “strutture integrate con il territorio” e non potrebbero reputarsi “nuove costruzioni”.

Considerato in diritto

1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 3, e 2, comma 1, della legge della Regione Veneto 6 luglio 2012, n. 25 (Modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio”), in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione.

Le disposizioni impugnate apportano modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio).

In particolare, l’art. 1, comma 3, della legge oggetto di ricorso aggiunge un comma 3-bis all’art. 20 della legge regionale n. 50 del 1993, il quale, per quanto qui interessa, sottrae al regime dell’autorizzazione paesaggistica gli appostamenti per la caccia al colombaccio, realizzati con particolari accorgimenti secondo gli usi e le consuetudini locali.

L’art. 2, comma 1, impugnato modifica, invece, l’art. 9, comma 2, lettera h), della legge regionale n. 50 del 1993 ed esclude la necessità di richiedere sia l’autorizzazione paesaggistica, sia il titolo abilitativo edilizio per gli appostamenti fissi per la caccia, che sono definiti come attività edilizia libera, ai sensi dell’art. 6 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia – Testo A).

Il ricorrente impugna entrambe le disposizioni, con riferimento alla deroga introdotta all’obbligo dell’autorizzazione paesaggistica, perché violerebbero la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.).

Il solo art. 2, comma 1, viene censurato anche nella parte in cui esenta gli appostamenti fissi per la caccia dal titolo abilitativo edilizio, perché violerebbe il principio fondamentale espresso, nella materia concorrente del governo del territorio (art. 117, terzo comma, Cost.), dall’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001, secondo il quale tali manufatti sarebbero soggetti a permesso di costruire.

2.− In via preliminare, la Corte rileva che l’omessa impugnazione, da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, di precedenti norme del legislatore veneto, analoghe alle disposizioni oggetto di ricorso, non ha alcun rilievo, dato che l’istituto dell’acquiescenza non è applicabile nel giudizio di legittimità costituzionale in via principale (ex plurimis, sentenze n. 71 del 2012 e n. 187 del 2011).

Ai fini della risoluzione delle odierne questioni, non è dunque pertinente l’osservazione della difesa regionale, secondo cui l’art. 1, comma 3, impugnato estende agli appostamenti per la caccia ai colombacci quanto era già stato stabilito per gli ungulati dall’art. 1 della legge regionale 24 febbraio 2012, n. 12 (Modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio”). Ugualmente privo di pertinenza è il riferimento all’art. 3 della medesima legge regionale, che ha sottratto gli appostamenti per la caccia in territorio lagunare e vallivo, sia al titolo edilizio, sia all’autorizzazione paesaggistica.

3.− Le questioni di legittimità costituzionale di entrambe le disposizioni impugnate, nella parte in cui esse derogano all’obbligo dell’autorizzazione paesaggistica, sono fondate in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che non compete al legislatore regionale disciplinare ipotesi di esenzione, rispetto ai casi per i quali la normativa dello Stato subordina l’esecuzione di un intervento al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica (sentenze n. 66 del 2012; n. 235 del 2011; n. 232 del 2008). Questo istituto persegue, infatti, finalità di tutela dell’ambiente e del paesaggio, rispetto alle quali la legge regionale, nelle materie di propria competenza, può semmai ampliare, ma non ridurre, lo standard di protezione assicurato dalla normativa dello Stato (ex plurimis, sentenze n. 58 del 2013; n. 66 del 2012; n. 225 del 2009; n. 398 del 2006; n. 407 del 2002).

Ciò posto, deve ritenersi che l’impatto prodotto nelle aree tutelate dagli appostamenti venatori, siano essi fissi, ovvero destinati a cacciare i colombacci, comporti la necessità di una preventiva valutazione di compatibilità, mediante il ricorso all’autorizzazione paesaggistica.

È da aggiungere che la Regione non sarebbe competente, in una materia di esclusiva spettanza dello Stato, ad irrigidire nelle forme della legge casi di deroga al regime autorizzatorio, neppure quando essi fossero già desumibili dall’applicazione in concreto della disciplina statale. In ogni caso per gli appostamenti in questione è da escludere che, come invece pretenderebbe la difesa regionale, una simile deroga possa venire tratta dall’art. 149, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), posto che tale disposizione esenta dall’autorizzazione taluni interventi attinenti all’attività agro-silvo-pastorale, e non dunque a quella venatoria.

Va da sé, poi, che le finalità sottese al regime autorizzatorio debbono venire assolte mediante lo strumento tipico previsto dalla legge statale, senza che la Regione possa addurre, in via surrogatoria, modalità procedimentali comunque diverse dall’autorizzazione. Perciò è irrilevante sia che la delibera della Giunta regionale n. 2005 del 2012 abbia approvato criteri di sicurezza e di uso del territorio ai fini della realizzazione degli appostamenti per ungulati e colombacci; sia che tale atto sia stato adottato su parere favorevole della competente amministrazione dello Stato; sia che usi e consuetudini locali permettano, come prospetta la difesa regionale, una favorevole integrazione degli appostamenti fissi nel territorio.

4.− La questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, della legge regionale n. 25 del 2012, anche nella parte in cui esenta dal titolo abilitativo edilizio gli appostamenti fissi per la caccia, realizzati secondo usi e consuetudini locali, è fondata, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.

Questa Corte ha già affermato che la disciplina dei titoli richiesti per eseguire un intervento edilizio, e l’indicazione dei casi in cui essi sono necessari, costituisce un principio fondamentale del governo del territorio, che vincola la legislazione regionale di dettaglio (sentenza n. 303 del 2003; in seguito, sentenze n. 171 del 2012; n. 309 del 2011).

Gli appostamenti regolati dalla norma impugnata, attraverso il rinvio all’art. 12, comma 5, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), e all’art. 20 della legge regionale n. 50 del 1993, sono “fissi”; essi, in altri termini, comportano una significativa e permanente trasformazione del territorio, che la stessa realizzazione secondo usi e consuetudini non è in grado di sminuire: basti pensare che dall’art. 1, comma 3, impugnato si deduce la compatibilità con gli usi di strutture in legno o metallo, di un’altezza che può raggiungere «il limite frondoso degli alberi».

È da aggiungere che il carattere stagionale dell’attività venatoria e, conseguentemente, dell’impiego dell’appostamento non vale ad escludere, sulla base della legislazione vigente, il rilievo che quest’ultimo assume sul piano edilizio. L’art. 3, comma 1, lettera e.5), del d.P.R. n. 380 del 2001, dedotto quale norma interposta dal ricorrente, qualifica come nuova costruzione, soggetta a permesso di costruire in forza dell’art. 10, comma 1, lettera a), del medesimo testo normativo, l’installazione di manufatti leggeri che non siano destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee. Da tale disposizione si è tratto il più generale principio che la natura stagionale dell’uso non implica precarietà del manufatto, quando esso sia volto a garantire bisogni destinati a reiterarsi nel tempo, sia pure non continuativamente.

Ne consegue che l’appostamento fisso per la caccia, che la stessa difesa regionale distingue «da quelli suscettibili di rimozione al termine» della stagione venatoria, è soggetto a permesso di costruire, in base agli artt. 3 e 10 del d.P.R. n. 380 del 2001.

Ciò premesso, si tratta di decidere se possa trovare applicazione l’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, che indica casi di attività edilizia libera e prevede, con il comma 6, lettera a), che le Regioni a statuto ordinario possono estendere tale disciplina a «interventi edilizi ulteriori».

Questa Corte ha già escluso che la disposizione appena citata permetta al legislatore regionale di sovvertire le “definizioni” di “nuova costruzione” recate dall’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001 (sentenza n. 171 del 2012).

L’attività demandata alla Regione si inserisce pur sempre nell’ambito derogatorio definito dall’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, attraverso la enucleazione di interventi tipici da sottrarre a permesso di costruire e SCIA (segnalazione certificata di inizio attività). Non è perciò pensabile che il legislatore statale abbia reso cedevole l’intera disciplina dei titoli edilizi, spogliandosi del compito, proprio del legislatore dei principi fondamentali della materia, di determinare quali trasformazioni del territorio siano così significative, da soggiacere comunque a permesso di costruire.

Lo spazio attribuito alla legge regionale si deve quindi sviluppare secondo scelte coerenti con le ragioni giustificatrici che sorreggono, secondo le previsioni dell’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, le specifiche ipotesi di sottrazione al titolo abilitativo.

Gli appostamenti fissi per la caccia, sotto questo profilo, non sono assimilabili, come sostiene la difesa regionale, alle serre mobili stagionali, sprovviste di struttura in muratura e funzionali allo svolgimento dell’attività agricola, che costituiscono attività edilizia libera ai sensi dell’art. 6, comma 1, lettera e), del d.P.R. n. 380 del 2001.

Il perno del regime derogatorio, infatti, è costituito dalla mobilità delle serre, requisito di cui l’appostamento “fisso” di per sé non gode.

Il legislatore regionale ha perciò valicato il limite determinato dall’art. 6, comma 6, lettera a), del d.P.R. n. 380 del 2001, relativo alla estensione dei casi di attività edilizia libera ad ipotesi non integralmente nuove, ma “ulteriori”, ovvero coerenti e logicamente assimilabili agli interventi di cui ai commi 1 e 2 del medesimo art. 6.

Ne consegue che la norma impugnata, avendo ad oggetto manufatti per i quali la normativa dello Stato esige il permesso di costruire, ha ecceduto dalla sfera di competenza concorrente assegnata dall’art. 117, terzo comma, Cost.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 3, della legge della Regione Veneto 6 luglio 2012, n. 25 (Modifiche alla legge regionale 9 dicembre 1993, n. 50 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio”), nella parte in cui esenta dall’assoggettamento al regime dell’autorizzazione paesaggistica gli appostamenti per la caccia al colombaccio;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 1, della legge della Regione Veneto n. 25 del 2012, nella parte in cui esenta dall’assoggettamento al regime del titolo abilitativo edilizio e dell’autorizzazione paesaggistica gli appostamenti fissi per la caccia.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2013.

F.to:

Franco GALLO, Presidente

Giorgio LATTANZI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2013.

Il Cancelliere

F.to: Roberto MILANA