Consiglio di Stato Sez. VI n. 6253 del 10 settembre 2021
Beni culturali.Vincoli diretti ed indiretti
 
Il vincolo storico artistico c.d. diretto riguarda beni o aree nei quali sono stati rinvenuti beni di tale valenza, o in relazione ai quali vi è la certezza dell'esistenza, della localizzazione e dell'importanza di tali beni, mentre il vincolo c.d. indiretto viene imposto sui beni e sulle aree circostanti a quelli sottoposti a vincolo diretto, così da garantirne una migliore visibilità e fruizione collettiva, o migliori condizioni ambientali e di decoro

Pubblicato il 10/09/2021

N. 06253/2021REG.PROV.COLL.

N. 03894/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3894 del 2016, proposto da
Remo Roncato, Maria Pallaro, Renata Volpato, Igino Arrigo Volpato e Olinda Zorzetto, rappresentati e difesi dagli avvocati Agostino Cacciavillani e Ivone Cacciavillani, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Franco Gaetano Scoca in Roma, via Paisiello, 55;

contro

Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo e Segretariato Regionale Ministero Beni e Attività Culturali e del Turismo per il Veneto, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Comune di Piombino Dese, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) n. 01175/2015, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo e del Segretariato Regionale Ministero Beni e Attività Culturali e del Turismo per il Veneto;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 luglio 2021 il Cons. Francesco De Luca e udito per le parti appellanti l’avvocato Ivone Cacciavillani, in collegamento da remoto, ai sensi dell'art.25 Decreto Legge 28 ottobre 2020 n. 137 conv. in L. 18 dicembre 2020, n. 176, attraverso l'utilizzo di piattaforma "Microsoft Teams";

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Ricorrendo dinnanzi a questo Consiglio, i Sig.ri Remo Roncato, Maria Pallaro, Renata Volpato, Igino Arrigo Volpato e Olinda Zorzetto appellano la sentenza n. 1175 del 2015, con cui il Tar Veneto ha rigettato i motivi di ricorso proposti contro il decreto ministeriale 16.7.2013 -di ampliamento del vincolo posto a tutela della Villa Cornaro, in Comune di Piombino-, nonché le domande risarcitorie proposte ai sensi dell’art. 30 c.p.a.

In particolare, secondo quanto dedotto in appello:

- la Villa Cornaro era originariamente tutelata dalla L. n. 364 del 1909, il cui art. 14, mediante il rinvio all’art. 5, proteggeva la Villa e l’area appartenente allo stesso proprietario con apposito vincolo (successivamente definito) diretto;

- con decreti del 1° febbraio 1968 e del 30 luglio 1981 il vincolo di tutela è stato ampliato, anche con prescrizioni di tutela indiretta a carico di aree appartenenti a terzi;

- con D.M. 26.9.2011, n. 17299 il Ministero avrebbe imposto un ampliamento del vincolo indiretto, comprendendovi le aree di ventinove proprietari nominativamente indicati;

- con il D.M. 16.7.2013 il Ministero avrebbe imposto un ulteriore ampliamento del vincolo indiretto, estendendolo anche ad aree di duecentotrentatre nuovi proprietari;

- gli odierni appellanti hanno impugnato il D.M. del 2013, deducendone l’illegittimità sotto plurimi profili;

- il Tar ha rigettato il ricorso, ritenendo che la modifica del PRG del 2003, che aveva già giustificato l’estensione del vincolo del 1981 disposta con il DM del 2011, fosse idonea a giustificare anche l’ampliamento del 2013.

2. In particolare, alla stregua di quanto emergente dalla sentenza appellata, il Tar ha rilevato che:

- dalla lettera, dall’autoqualificazione e dal contenuto complessivo del decreto ministeriale del 21 settembre 2011, si evinceva come con esso fosse stato imposto sulla Villa e sulle sue pertinenze solo un vincolo diretto ex artt. 10, comma 3, e 13, D.lgs. 42/2004. Viceversa, le prescrizioni di tutela indiretta, ai sensi dell’art. 45 D.lgs. n.42, erano state dettate, successivamente al D.M. 29 luglio 1981, solo con il provvedimento del 16 luglio 2013;

- l’estensione del vincolo indiretto, rispetto a quello imposto nel 1981, era stata resa necessaria a seguito del sopraggiungere di fatti nuovi tali da giustificarla, ovvero l’adozione, da parte del Comune di Piombino Dese, nel febbraio del 2001, di una variante generale al piano regolatore, idonea a comportare una modifica del contesto ambientale della Villa;

-le coerenti e puntuali rilevazioni, di stretta natura tecnica e in principio inidonei a permettere un loro intrinseco sindacato da parte del giudice amministrativo, erano espressive di un’istruttoria piena ed adeguata (svolta anche nel contraddittorio con i privati e con il Comune), ed unitamente alla considerazione dell’intervenuto mutamento della disciplina urbanistica del territorio rispetto a quella esistente nel 1981, permettevano di individuare lo specifico interesse pubblico perseguito nel caso concreto dall’amministrazione, volto alla tutela della prospettiva e del decoro della Villa, che poteva essere assicurata solo attraverso l’integrale conservazione del paesaggio agrario di riferimento (comprensivo dell’area di proprietà dei ricorrenti), e quindi, di ritenere legittimo l'esercizio del potere di discrezionalità tecnica, quanto a impianto motivazionale, ragionevolezza e logicità dell'esercizio del potere;

- il diritto di proprietà, rispetto al potere d’ imposizione del vincolo indiretto, era intrinsecamente limitato e dunque esterno all’esercizio del potere tanto da non essere indennizzabile;

- l’interesse all’edificazione di cui erano portatori i ricorrenti, non poteva assumere posizione limitativa dell’apprezzamento tecnico della tutela dei beni culturali prevalente già per i beni paesaggistici e dunque a fortiori per i beni culturali, tale da precedere e comunque porre limite alla tutela di altri interessi pubblici in materia di governo del territorio;

- non occorreva indire una conferenza di servizi, in quanto in tema di beni culturali, l’apprezzamento tecnico della Soprintendenza doveva ritenersi esclusivo e completo, non trattandosi di un vincolo da cogestire, né geneticamente, né funzionalmente, appartenendo la funzione di tutela dei beni culturali, in via esclusiva allo Stato, secondo il dettato dell'art. 117, secondo comma, lett. s), Cost.;

- a fronte di tali coordinate normative in tema di attribuzione del potere, ed a fronte degli elementi fattuali e tecnici esaminati nella relazione della Soprintendenza, in base ai quali l’estensione del vincolo indiretto sull’area di proprietà dei ricorrenti risultava una misura necessaria ed inevitabile, quest’ultimi non avevano convincentemente dedotto, né comunque dimostrato l’esistenza di errori o travisamenti circa la descrizione dello stato dei luoghi e degli elementi anche naturalistici che lo caratterizzavano, ovvero relativi alle ubicazioni o alle distanze delle aree assoggettate a vincolo rispetto alla Villa Cornaro;

- stante l’assenza di illegittimità provvedimentale o scorrettezza comportamentale imputabile alla pubblica amministrazione resistente, doveva provvedersi anche al rigetto delle domande risarcitorie.

3. I ricorrenti in primo grado hanno appellato la sentenza gravata, deducendone l’erroneità con l’articolazione di due motivi di impugnazione.

4. Le Amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio, resistendo all’appello.

5. I ricorrenti hanno ulteriormente argomentato a sostegno delle proprie conclusioni con memoria difensiva del 14 giugno 2021.

6. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza del 15 luglio 2021.

7. L’appello consta di due motivi di impugnazione, suscettibili di trattazione congiunta per ragioni di connessione.

7.1 In particolare, con il primo motivo di appello viene denunciata la violazione del combinato disposto degli artt. 39 c.p.a. e 112 c.p.c., in relazione alla mancata corrispondenza del decisum con il deductum, tenuto conto che il Tar avrebbe omesso di esaminare apposita censura svolta in prime cure.

In particolare, secondo quanto dedotto dal ricorrente, l’ampliamento del vincolo del 1981, avvenuto nel 2013, costituiva una reiterazione del precedente ampliamento del medesimo vincolo avvenuto nel 2011 in assenza di motivazione.

Il Tar, invece, avrebbe argomentato la propria decisione, rilevando che il DM del 2011 si sarebbe limitato ad imporre un vincolo diretto sulle aree appartenenti al proprietario della Villa e ad essa adiacenti, mentre il vincolo del 2013 avrebbe imposto un vincolo indiretto anche su aree appartenenti a soggetti terzi.

Dalla documentazione in atti, emergerebbe, invece, che il vincolo del 2011 incideva su ben 29 proprietari; pertanto, ove il Ministero nel 2013, appena due anni dopo l’ampliamento del vincolo di tutela realizzato con il DM del 2011, avesse inteso procedere ad un ulteriore ampliamento, avrebbe dovuto motivare anche tale secondo ampliamento, indicando le relative ragioni giustificatrici; non era possibile, invece, addurre a giustificazione dell’ulteriore ampliamento del vincolo l’approvazione del PRG del 2013, già valutata ai fini del primo ampliamento del 2011.

7.2 Con il secondo motivo di appello è dedotto l’abuso del diritto e la violazione degli artt. 17 e 18 della Cedu, oltre che l’eccesso di potere per travisamento del fatto, sviamento e carenza di motivazione.

Secondo quanto dedotto dall’appellante:

- il Ministero avrebbe dovuto indire una conferenza di servizi, influendo l’esercizio del pubblico potere su beni giuridici rientranti nella competenza di altre Amministrazioni, senza la possibilità di ravvisare alcuna primazia dell’una funzione (nella specie, tutela del bene artistico) sulle altre interferenti;

- l’Amministrazione avrebbe imposto prescrizioni sproporzionate, non avendo operato correttamente un bilanciamento e un contemperamento dei valori/diritti confliggenti;

-l’Amministrazione avrebbe violato il principio del giusto procedimento, per omessa convocazione della conferenza di servizi;

- non sarebbe stato indennizzato il sacrificio imposto ai privati.

7.3 Nell’ambito delle conclusioni svolte nel ricorso in appello, i ricorrenti hanno chiesto pure il risarcimento dei danni patiti ai sensi dell’art. 30.2 del c.p.a., nella misura determinanda anche ai sensi dell’art. 1226 c.c.

8. L’appello risulta fondato soltanto in parte, limitatamente alla censura incentrata sulla violazione del principio di proporzionalità, in ragione dell’imposizione di vincoli limitativi della sfera giuridica dei ricorrenti in assenza di un’adeguata motivazione.

9. In particolare, le censure attoree non meritano condivisione nella parte in cui qualificano il decreto ministeriale del 2011 quale atto impositivo di un vincolo indiretto, successivamente ampliato nel 2013 con il provvedimento impugnato in primo grado.

Dalla documentazione in atti, emerge, infatti, che il DM del 2011 ha dichiarato l’interesse culturale particolarmente importante del complesso di Villa Cornaro ai sensi degli artt. 10 e 13 D. Lgs. n. 42/04, mentre il vincolo imposto con il DM del 2013 assume la natura di vincolo indiretto ex art. 45 D. Lgs. n. 42/04.

Al riguardo, la Sezione ha ritenuto che “una volta attivato il procedimento volto alla dichiarazione dell’interesse culturale di un bene ed al conseguente ‘vincolo diretto’, sia del tutto ragionevole che l’Amministrazione statale attivi anche il procedimento volto alla tempestiva imposizione del ‘vincolo indiretto’, a tutela del bene oggetto della tutela primaria.

Infatti, nessuna disposizione vieta la contestuale attivazione del procedimento volto alla imposizione del ‘vincolo indiretto’, bastando che questo sia disposto anche subito dopo dell’imposizione del ‘vincolo diretto’” (Consiglio di Stato, sez. VI, 10 luglio 2017, n. 3382).

Pertanto, fermo quanto si osserverà infra sul contenuto delle prescrizioni imposte, risulta ragionevole e coerente la condotta amministrativa censurata nel presente giudizio, tradottasi, dapprima, nell’ampliamento del vincolo di tutela diretta e, all’esito, nell’ampliamento del vincolo di tutela indiretta.

Peraltro, la distinzione tra vincolo di tutela diretta e indiretta non può essere tracciata, avuto riguardo alle aree rientranti nella titolarità del proprietario della Villa Cornaro e, dunque, limitando l’imposizione del vincolo di tutela diretta alle aree allo stesso appartenenti.

Il vincolo storico artistico c.d. diretto riguarda, infatti, beni o aree nei quali sono stati rinvenuti beni di tale valenza, o in relazione ai quali vi è la certezza dell'esistenza, della localizzazione e dell'importanza di tali beni, mentre il vincolo c.d. indiretto viene imposto sui beni e sulle aree circostanti a quelli sottoposti a vincolo diretto, così da garantirne una migliore visibilità e fruizione collettiva, o migliori condizioni ambientali e di decoro (Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 febbraio 2020, n. 1023).

Pertanto, ben potrebbe l’Amministrazione imporre un vincolo di tutela diretta su aree appartenenti a più soggetti, ove le stesse siano espressione del valore culturale protetto ai sensi dell’art. 13 D. Lgs. n. 42/04; il che si è verificato nella specie, avendo l’Amministrazione dichiarato di interesse culturale particolarmente importante l’intero complesso di villa Cornaro, catastalmente distinto in plurime particelle, appartenenti a plurimi soggetti.

La circostanza per cui la dichiarazione di particolare interesse culturale sia rivolta a più destinatari non può, dunque, intendersi come impositiva di un vincolo di tutela indiretta.

Una volta imposto il vincolo di tutela diretta nel 2011, l’Amministrazione ha, dunque, correttamente provveduto alla perimetrazione del vincolo di tutela indiretta con decreto del 2013, che non costituisce, per l’effetto, alcuna riedizione del medesimo vincolo già imposto appena due anni prima.

10. L’appello risulta infondato anche nella parte in cui deduce l’illegittimità del decreto ministeriale per cui è causa, per la mancata attivazione di una conferenza di servizi a cura del Ministero procedente.

Al fine di vagliare la legittimità dell’azione amministrativa, occorre verificare la coerenza delle modalità di esercizio del potere rispetto al paradigma normativo di riferimento.

Nella specie, l’art. 46 D. Lgs. n. 42/04 delinea il procedimento per la tutela indiretta, senza imporre l’indizione di una conferenza di servizi, non essendo la determinazione conclusiva subordinata all’acquisizione di atti di assenso di altre Amministrazioni titolari di (distinti) pubblici poteri sui beni in esame.

Peraltro, nel rapporto tra tutela dei valori culturali e paesaggistici e pianificazione urbanistica, alla stregua degli obiettivi di interesse generale posti dall’art. 9 Cost., deve ritenersi prevalente l’impronta unitaria della tutela culturale e paesaggistica sulle determinazioni urbanistiche, pur nella necessaria considerazione della compresenza degli interessi pubblici intestati alle due funzioni (cfr. Corte Cost. n. 180 e n. 437 del 2008; n. 367 del 2007).

11. Non potrebbe neppure dedursi alcuna violazione procedimentale, lesiva della sfera giuridica degli odierni ricorrenti, tenuto conto che le parti incise dall’imposizione del vincolo per cui è controversia hanno comunque avuto la possibilità di prendere parte al procedimento, ai fini dell’esercizio delle facoltà procedimentali riconosciute dall’ordinamento.

12. Il vincolo de quo, inoltre, iscrivendosi tra le limitazioni legali della proprietà ed avendo natura non ablativa ma conformativa del diritto sul bene (“in quanto fissate dall’ordinamento in via generale e non in relazione a beni singoli per garantirne la funzione sociale (art. 42, secondo comma, Cost.)” – Consiglio di Stato, sez. VI, 30 maggio 2018, n. 3246), non avrebbe potuto essere subordinato alla previsione di un indennizzo.

Come precisato dalla Sezione, infatti, “la classificazione di un’area come rilevante dal punto di vista culturale ed archeologico – ed il conseguente divieto di edificazione che venga eventualmente disposto senza indennizzo alcuno - trova giustificazione nella necessità di proteggere il patrimonio culturale ed archeologico- esso riguardando una collettività ben più vasta di quella che si trova nel territorio ove lo stesso materialmente ricade.

Il parametro di riferimento all’interno della Convenzione europea è stato così individuato nella seconda parte dell’art.1 Prot.n.1, allorché viene richiamato il diritto degli Stati di mettere in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale” (Consiglio di Stato, sez. VI, 10 maggio 2021, n. 3663).

13. L’appello merita, invece, di essere accolto nella parte in cui deduce la violazione del principio di proporzionalità.

In subiecta materia, deve confermarsi l’indirizzo giurisprudenziale, secondo cui “l'imposizione del "vincolo indiretto" disciplinato dall'art. 49 del D.Lgs. n. 490 del 1999, e oggi dall'art. 45 del D.Lgs. n. 42 del 2004, costituisce espressione della discrezionalità tecnica dell'Amministrazione, sindacabile in sede giurisdizionale solo quando l'istruttoria si riveli insufficiente o errata o la motivazione risulti inadeguata o presenti manifeste incongruenze o illogicità anche per l'insussistenza di un'obiettiva proporzionalità tra l'estensione del vincolo e le effettive esigenze di protezione del bene di interesse storico-artistico, e si basa sull'esigenza che lo stesso sia valorizzato nella sua complessiva prospettiva e cornice ambientale, onde possono essere interessate dai relativi divieti e limitazioni anche immobili non adiacenti a quello tutelato purché allo stesso accomunati dall'appartenenza ad un unitario e inscindibile contesto territoriale. Il c.d. "vincolo indiretto", inoltre, non ha contenuto prescrittivo tipico, per essere rimessa all'autonomo apprezzamento dell'Amministrazione la determinazione delle disposizioni utili all'ottimale protezione del bene principale - fino all'inedificabilità assoluta -, se e nei limiti in cui tanto è richiesto dall'obiettivo di prevenire un vulnus ai valori oggetto di salvaguardia (integrità dei beni, difesa della prospettiva e della luce, cura delle relative condizioni di ambiente e decoro), in un ambito territoriale che si estende fino a comprendere ogni immobile, anche non contiguo, la cui manomissione si stimi potenzialmente idonea ad alterare il complesso delle condizioni e caratteristiche fisiche e culturali connotanti lo spazio circostante” (Consiglio di Stato, sez. VI, 3 luglio 2014, n. 3355; cfr. anche Consiglio di Stato, sez. VI, 28 dicembre 2017, n. 6142).

Stante la mancata predeterminazione di un contenuto tipico del vincolo indiretto, l’Amministrazione, nell’esercizio del potere discrezionale di cui è attributaria, è tenuta a valutare, nel caso concreto, altresì, la proporzionalità delle misure limitative delle facoltà proprietarie in concreto da imporre (Consiglio di Stato, sez. VI, 11 maggio 2018, n. 2839).

Il sindacato di proporzionalità, in particolare, è volto a verificare se una misura limitativa dell’altrui sfera giuridica (nella specie, delle facoltà proprietarie dei soggetti incisi dall’imposizione del vincolo) sia idonea a conseguire l’obiettivo di tutela prefissato, sia necessaria (non sussistendo misure alternative meno restrittive), nonché sia sostenibile per il destinatario, non elidendo il contenuto essenziale del diritto o della libertà all’uopo limitate (Consiglio di Stato, sez. III, 26 giugno 2019, n. 4403).

Nella specie, attraverso la lettura combinata dell’impianto motivazionale del decreto di imposizione del vincolo e della relazione tecnica, non risulta adeguatamente valutata l’idoneità e la necessarietà della significativa limitazione delle facoltà proprietarie conseguente all’estensione del vincolo di tutela indiretta.

14. Preliminarmente, al fine di esaminare le censure attoree relative alla eccessiva estensione del vincolo per cui è causa, giova ricostruire il contenuto precettivo del decreto ministeriale impugnato in prime cure e gli obiettivi di tutela sottesi alla relativa regolazione amministrativa.

Successivamente, potrà evidenziarsi come l’Amministrazione non abbia adeguatamente motivato in ordine all’insussistenza di misure altrettanto efficaci, ma meno invasive della sfera giuridica dei soggetti incisi.

15. Alla stregua di quanto emerge dal decreto di imposizione del vincolo in esame, risulta, in particolare, che:

- con provvedimento del 1° febbraio 1968 erano state già dettate prescrizioni di tutela indiretta in favore dell’immobile denominato “Complesso di Villa Cornaro con annesso scoperto”, ai sensi dell’art. 21 L. n. 1089 del 1939;

- con provvedimento del 30 luglio 1981 sono state dettate ulteriori prescrizioni di tutela indiretta a favore dell’immobile denominato “Complesso Monumentale di Villa Cornaro” ai sensi dell’art. 21 L. n. 1089 del 1939;

- la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso con nota n. 10202 del 15 aprile 2011 ha proposto l’adozione di ulteriori prescrizioni di tutela indiretta a favore del bene culturale in parola, ai sensi dell’art. 45 D. Lgs. n. 42/04.

Nella relazione tecnica facente parte integrante del decreto di vincolo si dà atto che:

- il complesso denominato “Villa Cornaro” sorge nel centro storico del Comune di Piombino Dese, caratterizzando l’antico borgo comunale e le immediate pertinenze agricole; il complesso, dato dal corpo residenziale, dalla barchessa scamozziana, dall’antico brolo, dal giardino e dalle altre aree pertinenziali è stato sottoposto a tutela diretta con provvedimenti del 15 settembre e del 21 settembre 2011, ai sensi degli artt. 10 e 12 D. Lgs. n. 42/04, a rinnovo ed estensione del decreto ministeriale del 29 luglio 1981;

- ogni considerazione di carattere architettonico sui contenuti intrinseci e formali del complesso costituito dalle aree, scoperte ed edificate, pertinenti alla Villa palladiana, dovrebbe essere accompagnata dalla consapevolezza che una parte fondamentale del suo valore e del suo significato è riconducibile alla relazione attiva che la Villa esprime nei confronti del territorio circostante;

- la Villa, in particolare, costituisce il fulcro di un impianto ordinatore tanto dell’impaginato urbano del centro storico comunale, quanto delle dirette pertinenze agricole che si estendono in profondità su tutto il versante meridionale per mezzo di un asse proiettato dal corpo principale verso la campagna;

- il complesso individuato di tutela indiretta comprende ampie aree libere e, ai margini di esse, aree edificate, anche di recente, lungo le principali arterie viarie, oltre che l’abitato propriamente detto sviluppatosi, lungo via Roma, a partire dai capisaldi della Villa stessa e della Chiesa di San Biagio;

- le parti edificate consentono, comunque, in virtù della frammentarietà del tessuto edilizio, una permeabilità, visiva e percettiva, verso il complesso monumentale di Villa Cornaro;

- in particolare, ad occidente e ad oriente del brolo insistono aree libere ed aree verdi intercluse tra gli ambiti edificati, nella quali permane la percezione dell’originaria vocazione agricola dell’area; la strada denominata via Roma (già detta Strada Regia) marca storicamente il limite del centro abitato oltre il quale si attestano, a formare un fronte costruito, la Villa, la barchessa e gli altri edifici costituenti l’edilizia residenziale minore, databili a partire dal XIX secolo e realizzati in parte in contiguità alla stessa barchessa;

- la concezione evolutiva, dal punto di vista morfologico e urbanistico, in relazione al complesso monumentale palladiano, del nucleo urbano appare tuttora chiaramente percepibile e differenziata rispetto alla connotazione delle aree libere legate, invece, alle pertinenze agricole del giardino e del brolo palladiani, nella visione aperta del paesaggio di villa;

- nella struttura del territorio in esame sono riconoscibili i segni della regolare divisione agraria della centuriazione romana costituenti l’Agro di Altino, collocato tra l’Agro di Padova e quello di Asolo; in particolare, tali elementi sono rintracciabili nella regolarità della trama con cui si disegnano le linee fondamentali del sistema fondiario irriguo e viario, rispetto alle quali la Villa appare perfettamente orientata;

- un tale sistema territoriale determina una decisiva integrazione della Villa con le aree agricole confinanti e con gli ambiti urbanizzati del centro storico comunale;

- per l’effetto, la “rottura di tale integrazione, possibile non solo in ragione della realizzazione di nuovi volumi edificati, ma anche come conseguenza della disposizione lungo il suo perimetro di infrastrutture e attrezzature che ne svuoterebbero l’originaria vocazione agricola, arrecherebbe una grave perdita di identità al complesso: da un lato la Villa vedrebbe ridotta la sua cornice ambientale ed il suo ambito di riferimento storico e dall’altro il territorio che la comprende, da sistema complesso e integrato ad essa connesso, verrebbe ridotto a sommatoria di aree distinte e disgiunte”.

Alla stregua di tali considerazioni con il decreto di vincolo, assunto a rinnovo dei precedenti provvedimenti di tutela indiretta del 30 luglio 1981, l’Amministrazione ha esteso “l’area interessata dalle misure e prescrizioni di tutela indiretta… al fine di garantire la conservazione dei caratteri peculiari della cornice ambientale entro la quale il bene culturale in oggetto è collocato, con particolare riferimento alla salvaguardia delle direttrici prospettiche e visuali dalle quali è possibile apprezzarne l’inserimento, nelle condizioni di prospettiva e decoro storiche e attuali e rispetto al sistema territoriale di cui il complesso della Villa palladiana Cornaro risulta essere il caposaldo visivo e la matrice costitutiva” (relazione tecnica).

L’Amministrazione, pertanto, ai sensi dell’art. 45 D. Lgs. n. 42/04, ha prescritto, tra l’altro:

- in relazione alle aree non edificate, salve le previsioni in materia di ripristino filologicamente documentato o di ricostruzione, il divieto di nuovi edifici, costruzioni o manufatti, modifiche o alterazioni della morfologia del terreno (salvo che per il ripristino di assetti o contesti storicamente documentati o il riordino di situazioni caratterizzati da incuria o abbandono); il divieto di messa a dimora di specie arboree il cui sviluppo interferisca con la libera veduta e la prospettiva della Villa; il divieto di edificazione, opera o costruzione, ivi compresa l’installazione di manufatti fissi o mobili di alcun genere, ancorché con carattere precario;

- in relazione alle aree edificate, il divieto di demolizione, ampliamento planimetrico o volumetrico, sopraelevazione o interventi idonei al alterare comunque le caratteristiche o il rapporto con il tessuto insediativo, in relazione agli edifici o alle costruzioni eseguiti anteriormente alla metà del ventesimo secolo che abbiano mantenuto in tutto o in parte le caratteristiche o gli elementi esteriori dell’architettura o dell’edilizia storica appartenenti al periodo (ferma l’ammissibilità del restauro o ripristino filologicamente documentato); il divieto di realizzazione di nuove aperture o la modifica di quelle esistenti, comportanti un’alterazione delle facciate; il divieto di incremento volumetrico, planimetrico e di altezza delle costruzioni identificate all’art. 2, punto 2).

16. Alla luce di quanto emergente dal decreto di imposizione del vincolo e dalla relazione tecnica allegata, l’esigenza sottesa alle prescrizioni di tutela dettate dall’Amministrazione riguardava la conservazione della permeabilità del tessuto edilizio attualmente esistente, ancora percepibile nei confronti del complesso palladiano, al fine di evitare una riduzione o eliminazione delle visuali attualmente godibili verso e dal complesso della Villa, oltre che della stretta connessione, in termini di prospettiva e decoro, tra il complesso in esame e le immediate pertinenze urbane e agricole.

Occorreva, in particolare, evitare “una perdita dei contenuti intrinseci e formali connessi alla matrice progettuale palladiana, ancora riconoscibili e di ampio respiro nei confronti delle aree urbane ed agricole e delle strutture idrauliche e territoriali che ne costituiscono il riferimento imprescindibile” (relazione tecnica), costituenti “la parte organica del sistema territoriale urbano e agrario annesso al complesso di Villa, la cui distribuzione planimetrica appare governata da una serie di assi, principali e secondari, tra loro perpendicolari, destinati a formare una griglia regolare uniformata al reticolato della centuriazione romana, percepibile nella regolarità della trama data dalle direttrici degli assi viari di riferimento e dalle linee fondanti la partitura agraria” (relazione tecnica).

Il Ministero ha, dunque, valorizzato la cornice ambientale in cui è inserito il complesso palladiano in esame.

17. Al riguardo, la Sezione (cfr., di recente, la sentenza n. 4923 del 30 giugno 2021) ha valorizzato l’importanza del paesaggio non solo quale valore autonomo, ma anche in funzione della tutela culturale.

La stretta connessione, in termini di prospettiva e decoro, suscettibile di instaurarsi tra il bene culturale e il contesto ambientale in cui è inserito, dato dalle sue immediate pertinenze (nella specie, urbane e agricole), consente infatti di apporre un vincolo indiretto per consentire di comprendere l’importanza dei luoghi in cui gli immobili tutelati dal vincolo diretto si inseriscono mediante la loro conservazione pressoché integrale.

Per l’effetto, stante l’assenza di un contenuto prescrittivo tipico, caratterizzante il cd. vincolo indiretto, nella determinazione delle disposizioni utili all’ottimale protezione del bene principale, l’Amministrazione potrebbe pure imporre prescrizioni di inedificabilità assoluta, a salvaguardia della cornice ambientale in cui è collocato il bene culturale, “se e nei limiti in cui tanto è richiesto dall’obiettivo di prevenire un vulnus ai valori oggetto di salvaguardia (integrità dei beni, difesa della prospettiva e della luce, cura delle relative condizioni di ambiente e decoro), in un ambito territoriale che si estende fino a comprendere ogni immobile, anche non contiguo, la cui manomissione si stimi potenzialmente idonea ad alterare il complesso delle condizioni e caratteristiche fisiche e culturali connotanti lo spazio circostante” (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 10 maggio 2021, n. 3663).

L’amplia discrezionalità nella valutazione delle prescrizioni di tutela indiretta, tuttavia, deve essere sorretta da un’adeguata motivazione alla base della relativa decisione amministrativa, occorrendo, in particolare (per quanto di maggiore interesse ai fini dell’odierno giudizio), “verificare l’effettiva necessità e proporzionalità delle misure di tutela” (Consiglio di Stato, sez. VI, 14 agosto 2015, n. 3932).

L’Amministrazione, per l’effetto, è comunque tenuta a valutare la possibilità di adottare soluzioni alternative in grado di assicurare al bene culturale lo stesso livello di tutela, ma con un minor sacrificio per le ragioni proprietarie.

Le prescrizioni devono, infatti, essere non soltanto idonee ma anche necessarie al raggiungimento dell’obiettivo di tutela perseguito, stante l’impossibilità di configurare misure (altrettanto efficaci ma) meno restrittive delle libertà e posizioni giuridiche incise.

17. Una tale valutazione non emerge dal decreto impugnato in prime cure.

A fronte di prescrizioni idonee a determinare una consistente limitazione della proprietà privata - discendente (tra l’altro), per le aree non edificate, dal divieto di edificazione, per le aree edificate, dal divieto di demolizione, ampliamento planimetrico o volumetrico, sopraelevazione o interventi idonei al alterare comunque le caratteristiche o il rapporto con il tessuto insediativo (in relazione agli edifici o alle costruzioni eseguiti anteriormente alla metà del ventesimo secolo che abbiano mantenuto in tutto o in parte le caratteristiche o gli elementi esteriori dell’architettura o dell’edilizia storica appartenenti al periodo) -, l’Amministrazione ha richiamato l’esigenza di salvaguardare la cornice ambientale, storica e tradizionale entro cui si esplica il rapporto funzionale ed estetico tra il complesso di Villa Cornaro e le aree allo stesso maggiormente prossime.

La regolazione del sistema territoriale urbano e agrario annesso al complesso in esame è stata, in particolare, preordinata a conservare la permeabilità del tessuto edilizio attualmente esistente, percepibile nei confronti del complesso palladiano e la persistenza delle visuali godibili verso e dal complesso di Villa Cornaro, in tale modo tutelando la prospettiva, la visibilità, il decoro e la “cornice ambientale” e, dunque, la piena fruibilità del complesso monumentale oggetto di vincolo diretto dai diversi punti di vista.

Nel caso di specie, tuttavia, non si fa questione dell’imposizione, per la prima volta, di un vincolo indiretto a tutela del complesso palladiano, bensì di un’estensione di un vincolo indiretto già imposto nel 1981.

Le esigenze di protezione rappresentate nel decreto ministeriale e nell’annessa relazione tecniche afferiscono alla conservazione del contesto ambientale in cui è inserito il complesso in esame, facendosi questione, dunque, di esigenze originarie che (deve ritenersi, in assenza di specifici elementi contrari emergenti dal provvedimento per cui è causa) sussistevano ed erano riscontrabili già all’atto della decisione sul vincolo cd. indiretto assunta nel 1981.

Non emergono dal contenuto motivazionale dell’atto gravato le ragioni per le quali, negli anni ’80 del secolo scorso, il bene culturale in esame dovesse ritenersi adeguatamente tutelato da una data perimetrazione dell’ambito territoriale di tutela indiretta, mentre a distanza di circa trenta anni, una tale tutela fosse divenuta insufficiente, dovendo provvedersi ad una rilevante estensione dell’ambito di applicazione delle prescrizioni all’uopo imposte, produttive di una considerevole limitazione della sfera giuridica dei soggetti incisi. Né risulta un’analisi specifica in relazione all’assenza di misure alternative altrettanto efficaci, ma meno invasive delle ragioni proprietarie.

A tali fini, peraltro, non potrebbe valorizzarsi l’eventuale sopravvenuta modifica della disciplina urbanistica di riferimento.

Ai sensi dell’art. 45, comma 2, D. Lgs. n. 42/04, “Le prescrizioni di cui al comma 1, adottate e notificate ai sensi degli articoli 46 e 47, sono immediatamente precettive. Gli enti pubblici territoriali interessati recepiscono le prescrizioni medesime nei regolamenti edilizi e negli strumenti urbanistici”. Parimenti, l’art. 21 L. n. 1089 del 1939 prevedeva il potere dell’Amministrazione statale di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che fosse messa in pericolo la integrità delle cose immobili d'interesse artistico e storico, ne fosse danneggiata la prospettiva o la luce o ne fossero alterate le condizioni di ambiente e di decoro, precisando che “L'esercizio di tale facoltà è indipendente dalla applicazione dei regolamenti edilizi o dalla esecuzione di piani regolatori”.

Ne deriva che le valutazioni volte alla tutela storico artistica, tra le quali è compreso il vincolo indiretto, operano su di un piano differente, esterno e sovraordinato rispetto a quello urbanistico (Consiglio di Stato, sez. VI, 30 giugno 2021, n. 4923): non è, dunque, l’Amministrazione preposta alla tutela dei beni culturali a dovere adeguare le proprie prescrizioni allo sviluppo dell’assetto del territorio, per come conformato dagli strumenti urbanistici locali suscettibili di variazione nel corso del tempo, ma sono gli enti pubblici territoriali interessati a dovere recepire le prescrizioni di tutela indiretta de quibus nei regolamenti edilizi e negli strumenti urbanistici.

L’Amministrazione statale intimata deve, in particolare, assumere le decisioni di competenza, avendo riguardo alla sola salvaguardia del bene culturale e prescindendo dall’attuale disciplina urbanistica di riferimento, pure variabile nel corso del tempo senza che ciò possa compromettere le esigenze di tutela culturale, già garantite da prescrizioni prevalenti ex art. 45, comma 2, D. Lgs. n. 42/04 sulle previsioni urbanistiche.

Per l’effetto, non appare sufficiente, al fine di giustificare l’estensione del vincolo per cui è causa, l’esigenza di adeguare la protezione indiretta del bene culturale alla variazione della disciplina urbanistica, trattandosi di un’eventualità indipendente dalle valutazioni alla base della tutela del bene culturale.

Se le ulteriori aree oggi comprese nel perimetro applicativo del decreto censurato in prime cure fossero state reputate rilevanti ai fini delle prescrizioni di tutela indiretta, l’Amministrazione odierna appellata avrebbe dovuto prevedere già nel 1981 una maggiore estensione del perimetro di tutela indiretta, evitando in tale modo la possibilità di un futuro mutamento della disciplina urbanistica in senso pregiudizievole per il complesso palladiano in esame.

Il decreto per cui è causa, dunque, deve essere annullato per violazione del principio di proporzionalità, non emergendo le ragioni per le quali l’Amministrazione abbia assunto una nuova determinazione sulla tutela indiretta del bene culturale in parola, estendendo in misura significativa l’ambito applicativo delle precedenti prescrizioni, anche in relazione ad un numero di destinatari e quindi di soggetti incisi estremamente rilevante (il che, in assenza di un’adeguata motivazione, disvela il carattere sproporzionato delle misure in contestazione).

In particolare, non risultano adeguatamente rappresentate le ragioni per le quali, da un lato, l’originaria tutela indiretta comunque apprestata fosse inidonea a consentire il raggiungimento degli obiettivi di interesse generale perseguiti, dall’altro, non fossero prospettabili misure alternative in grado di assicurare al bene culturale lo stesso livello di tutela, ma con un minor sacrificio per le ragioni proprietarie.

Occorre, dunque, nella fase di riedizione del potere successiva all’emissione della presente sentenza, una nuova valutazione in ordine alla sussistenza di adeguate ragioni giustificatrici – rispettose del principio di proporzionalità – idonee a legittimare l’eventuale imposizione del vincolo di tutela indiretta sulle aree di proprietà degli odierni appellanti.

Facendosi questione di impugnazione di un atto avente una pluralità di destinatari, suscettibile di incidere autonomamente sulla sfera giuridica di ciascuno dei soggetti amministrati, l’effetto caducatorio prodotto dalla sentenza di annullamento - per motivi riferiti alla valutazione in concreto svolta dall’Amministrazione, in ordine all’estensione e al contenuto delle prescrizioni imposte - deve infatti essere limitato alle parti dell’odierno giudizio.

18. L’accoglimento del motivo di appello riferito alla violazione del principio di proporzionalità, pur determinando, in riforma della sentenza gravata, l’annullamento in parte qua del decreto impositivo del vincolo di tutela indiretta, non consente di addivenire all’accoglimento delle domande risarcitorie riproposte in grado di appello.

In materia di responsabilità civile della Pubblica Amministrazione la parte che affermi di avere subito un danno in conseguenza dell’altrui condotta lesiva è, tenuta ad allegare e provare puntualmente gli elementi costitutivi dell’illecito e le conseguenze pregiudizievoli subite (Consiglio di Stato, Sez. IV, 23 ottobre 2020, n. 6394).

In particolare, l’illecito civile ascrivibile all’Amministrazione nell’esercizio dell’attività autoritativa, quale quella rilevante nell’odierna sede processuale, richiede:

- sul piano oggettivo, la presenza di un provvedimento illegittimo causa di un danno ingiusto, con la necessità, a tale ultimo riguardo, di distinguere l’evento dannoso (o c.d. “danno-evento”) derivante dalla condotta, che coincide con la lesione o compromissione di un interesse qualificato e differenziato, meritevole di tutela nella vita di relazione, e il conseguente pregiudizio patrimoniale o non patrimoniale scaturitone (c.d. “danno-conseguenza”), suscettibile di riparazione in via risarcitoria (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 23 marzo 2011, n. 3);

- sul piano soggettivo l’integrazione del coefficiente di colpevolezza, con la precisazione che la sola riscontrata ingiustificata o illegittima inerzia dell'amministrazione o il ritardato esercizio della funzione amministrativa non integra la colpa dell'Amministrazione (Consiglio di Stato, sez. IV, 15 gennaio 2019, n. 358).

L’integrazione degli elementi costitutivi dell’illecito non è, tuttavia, sufficiente per pervenire all’accoglimento della domanda risarcitoria, dovendo verificarsi comunque la sussistenza di conseguenze dannose, da accertare secondo un (distinto) regime di causalità giuridica che ne prefigura la ristorabilità solo in quanto si atteggino, secondo un canone di normalità e adeguatezza causale, ad esito immediato e diretto della lesione del bene della vita ai sensi degli artt. 1223 e 2056 Cod. civ. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 4 agosto 2015, n. 3854).

Nell'ambito di un giudizio amministrativo avente ad oggetto una domanda di risarcimento del danno nei confronti dell'amministrazione pubblica, inoltre, il principio dispositivo non è temperato dal metodo acquisitivo, dal momento che, da un lato, non si registra la necessità di bilanciare un'asimmetria informativa tra l'amministrazione danneggiante e il danneggiato e dall'altro, è pienamente operante il criterio di cd. vicinanza della prova, con la conseguenza che è il danneggiato nella cui sfera giuridica si assume la verificazione del danno a dover offrire elementi probatori dai quali desumere l'illecito lamentato sia per ciò che concerne l'an che per ciò che riguarda il quantum (ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, 10 maggio 2021, n. 3648).

Né sarebbe possibile sopperire ad una lacuna probatoria mediante il ricorso ad una consulenza tecnica d’ufficio o ad una valutazione equitativa del giudice procedente.

Questo Consiglio ha infatti precisato che l'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c., che onera l'interessato di dimostrare sia la sussistenza del danno che la responsabilità di chi lo ha provocato, “non può essere assolto mediante consulenza tecnica d'ufficio, che non è un mezzo di prova, ma uno strumento di valutazione delle prove già fornite dalle parti (Cons. Stato, sez. V, 29 aprile 2016, n. 1649)” (Consiglio di Stato, sez. V, 29 maggio 2019, n. 3596).

Parimenti, in ordine alla valutazione equitativa del danno, è stato osservato che “Per ogni ipotesi di responsabilità della p.a. per i danni causati per l'illegittimo esercizio (o, come nel caso di specie, ritardato esercizio) dell'attività amministrativa, spetta al ricorrente fornire in modo rigoroso la prova dell'esistenza del danno, non potendosi invocare il c.d. principio acquisitivo perché tale principio attiene allo svolgimento dell'istruttoria e non all'allegazione dei fatti; se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subito e della sua entità, è comunque ineludibile l'obbligo di allegare circostanze di fatto precise e quando il soggetto onerato della allegazione e della prova dei fatti non vi adempie non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone l'impossibilità di provare l'ammontare preciso del pregiudizio subito” (Consiglio di Stato, sez. II, 25 maggio 2020, n. 3269).

L’applicazione di tali coordinate ermeneutiche al caso di specie conduce al rigetto delle domande risarcitorie, tenuto conto che i ricorrenti, nell’ambito dell’atto di appello, non hanno puntualmente dedotto le conseguenze dannose da ciascuno subite per effetto dell’illecito ascritto all’Amministrazione statale, né a fortiori hanno richiamato i mezzi di prova sulla base dei quali tali conseguenze avrebbero potuto essere dimostrate.

Al fine di statuire sulle domande risarcitorie non sarebbe, peraltro, neppure possibile operare un rinvio agli atti di primo grado, non configurando l’appello un novum iudicium ma una revisio prioris istantiae (tra gli altri, Consiglio di Stato, sez. IV, 3 febbraio 2020, n. 844), con la conseguenza che il thema decidendum su cui è chiamato a statuire questo Consiglio è definito, anziché dal ricorso dinnanzi al Tar, dal ricorso in appello, cui deve aversi riguardo al fine di garantire la corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Difatti, la parte appellante è comunque chiamata a dedurre specificatamente i fatti costitutivi delle domande proposte in grado di appello, sia quale specifica critica delle sfavorevoli statuizioni rese dal primo giudice, sia mediante un’espressa riproposizione delle domande non esaminate in primo grado, risultando al riguardo il rinvio indeterminato agli atti di primo grado, senza alcuna precisazione ulteriore del loro contenuto attraverso la specificazione delle censure all’uopo svolte, inidoneo ad introdurre in giudizio questioni giuridiche esaminabili nel merito (trattandosi di una mera formula di stile insufficiente a soddisfare l'onere di espressa riproposizione ex art. 101, comma 2, c.p.a. - Cons. giust. amm. Sicilia, 30 aprile 2020, n. 2781).

Per l’effetto, difettando nella specie, avuto riguardo alle deduzioni svolte in appello, la specificazione (e, di conseguenza, la prova) delle conseguenze dannose subite da ciascuno dei ricorrenti per effetto dell’illecito contestato all’Amministrazione appellata, le domande risarcitorie, pure formulate nelle conclusioni del ricorso in appello, devono essere rigettate.

19. Alla luce delle considerazioni svolte, l’appello deve essere accolto ai sensi e nei limiti di quanto sopra precisato, in relazione alla sola censura riferita alla violazione del principio di proporzionalità, e per l’effetto, nei predetti limiti, deve essere riformata la sentenza gravata.

L’accoglimento soltanto parziale dell’appello giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie ai sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie nei predetti limiti il ricorso di primo grado.

Compensa interamente tra le parti le spese processuali del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 luglio 2021 con l'intervento dei magistrati:

Sergio De Felice, Presidente

Andrea Pannone, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere

Francesco De Luca, Consigliere, Estensore