La dualità della SCIA edilizia, ovvero la duplice natura della semplificazione

di Paola MINETTI

Nel 2015 è stata avviata la riforma del procedimento amministrativo, all’interno della più ampia riforma della Pubblica Amministrazione, con la legge 124 dell’agosto del 2015 (c.d. Legge Madia) che ha conferito al Governo la delega per emettere più decreti legislativi volti a semplificare e liberalizzare le attività di impresa e le attività edilizie, ma non solo.

Si è scritto moltissimo sulla riforma, che è ancora in fase di attuazione, da parte delle Amministrazioni, trattandosi di una poderosa (se si può dare un giudizio su riforme legislative) produzione di normative che si traducono, per quanto riguarda il procedimento amministrativo, in:

- attività liberalizzate,

- certezza dei tempi di controllo da parte delle amministrazioni,

- procedure più snelle,

- strumenti di semplificazione più dettagliati di prima, nelle procedure, come avviene per la conferenza dei servizi,

- digitalizzazione e

- sempre meno discrezionalità per l’Amministrazione, cui dovrebbe fare da contraltare una maggiore certezza in capo ai privati.

Per tale motivo cercherò di non tediare il lettore ripetendo cose già risapute.

Però vorrei puntare l’attenzione su un fattore che è rimasto un po’ in ombra in tutto questo cambiamento, in cui si è messo a fuoco la liberalizzazione e la semplificazione, ma si è evitato di dare altrettanto risalto al versante “privato” della riforma, quello dei riflessi sulla responsabilità del privato, che aumenta in modo affine all'aumento della liberalizzazione.

Questo angolo di visuale rimane sempre fuori fuoco e ritengo che, invece, sia altrettanto rilevante della semplificazione operata per le Amministrazioni, perchè direttamente incidente nella sfera giuridica dei privati e, soprattutto, perchè direttamente incidente sulla attività economica ed imprenditoriale che, per espressa volontà legislativa, la riforma intende facilitare e garantire, creando una amministrazione più "affidabile".

SCIA EDILIZIA: NATURA GIURIDICA DEL TITOLO

Che la SCIA (segnalazione certificata di inizio di attività) sia un atto privato è ormai un dato di fatto pacifico, dopo che il nostro legislatore ha inserito, nel 2011, il comma 6 ter all'articolo 19 della legge 241/90 che disciplina la materia. Il comma recita: " La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all'articolo 31, commi 1, 2 e 3 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104." 1 In questo breve sunto discendono più conseguenze:

1) la scia deve essere presentata da un privato che è legittimato direttamente dalla legge a compiere determinate opere; in particolare, per quanto riguarda la disciplina edilizia, le opere che possono essere eseguite con questo "titolo" sono tutte quelle che sono elencate nella Tabella A allegata al decreto legislativo 222/2016 (pubblicato sulla GU del 23/11/2016 ed in vigore dall'11/12/2016, ma con possibilità di adeguamento, per le Amministrazioni, fino al 30/6/2017).

La Scia - titolo "privato" - diventa residuale, vista la centralità della Comunicazione di inizio dei Lavori Asseverata (rimasta unica dopo la riforma appena citata alla normativa edilizia, che ha eliminato la Comunicazione di Inizio dei Lavori) e il Permesso di Costruire, unica procedura rimasta a domanda di parte. Infatti, a parte i casi in cui è necessario presentare il permesso di costruire, il privato può operare modifiche ed interventi (conformi agli strumenti urbanistici) solo presentando un atto privato.

Questo atto, tuttavia, presenta delle particolarità rispetto alle SCIA che sono riconducibili alla materia del commercio e dell'ambiente.

Dal punto di vista soggettivo, infatti, l'interessato è composto da due soggetti: il proprietario (o chi abbia un diritto reale legittimante gli interventi) e il tecnico incaricato.

Dal punto di vista oggettivo da un atto complesso formato da più atti che confluiscono in un unico atto finale.

Si tratta di un atto complesso composto, infatti, da tre parti:

a) una parte dichiarativa che può essere compilata dall'"avente diritto" e cioè da colui che abbia un legame reale con l'oggetto che subirà la trasformazione e quindi legittimato ad eseguire gli interventi sul bene grazie alla legge, completa di dichiarazioni relative a questo status ed al bene da trasformare;

b) una parte grafica che rappresenti l'intervento da eseguire, nello stato di fatto e in quello di progetto;

c) una asseverazione, da parte del tecnico incaricato, che garantisca la correttezza dei lavori, la possibilità di farli e, soprattutto, la conformità degli stessi agli strumenti urbanistici vigenti (di pianificazione e regolamentari) 2 .

La valenza di questa asseverazione è di atto che fa pubblica fede, al pari di un atto formato dalla Pubblica Amministrazione, stabilendo e consolidando un principio di autoresponsabilità del privato, legittimato ad agire in via autonoma, che si sostituisce al principio autoritativo 3 . Che rimane per il controllo, ristretto in tempi molto esigui per l'edilizia, a soli 30 giorni (articolo 19 L 241/90 comma 6 bis).

Le normative - anche più recenti - che hanno esaltato il ruolo della semplificazione, non hanno mutato questo regime che, da lungo tempo, si è formato ad opera della Giurisprudenza Amministrativa e Penale, soprattutto.

SCIA: IL SOGGETTO INTERESSATO

2) per quanto riguarda il soggetto (privato) che la presenta lo stesso si sostituisce all'Ente Pubblico per la redazione del titolo e deve fornire le medesime garanzie che avrebbe fornito una Pubblica Amministrazione. Questo scenario non deve meravigliare perchè la società odierna, sempre più complessa, conosce fenomeni di ibridazione tra pubblico e privato, come riconosce lo stesso Consiglio di Stato, sezione VI, in ordine ad un giudizio in merito alla sottoposizione al regime di trasparenza delle Università libere, private.

I Giudici di Palazzo Spada dicono, proprio richiamando la legge sul procedimento amministrativo, che consente questa commistione, dettando disposizioni che possano indirizzare sia i privati che le amministrazioni nella loro attività: "l’attuale assetto ordinamentale, (è) caratterizzato da una crescente complessità, in cui, anche per rispondere alla corrispondente complessità dei bisogni da soddisfare, si fa spesso ricorso alla c.d. “ibridazione” delle forme giuridiche e si attenuano i confini tra diritto pubblico e diritto privato.

Forme giuridiche privatistiche vengono così utilizzate per perseguire interessi pubblicistici e, all’opposto, figure soggettive pubblicistiche vengono sempre spesso sottoposte a regimi di diritto privato .

Significativa conferma di questa fungibilità delle forme giuridiche è fornita proprio dall’art. 1 della legge n. 241 del 1990. L’articolo che apre la disciplina generale del procedimento amministrativo prevede, infatti, al comma 1-bis, la c.d. amministrazione secondo strumenti di diritto privato (“La pubblica amministrazione, nell’adozione degli atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme del diritto privato, salvo che la legge disponga diversamente”) e al comma 1-ter, quasi simmetricamente , l’attività amministrativa procedimentalizzata svolta da soggetti privati (“I soggetti preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei criteri e dei principi di cui al comma 1”)." 4

SCIA: LA FASE ISTRUTTORIA "ESTERNA" E LA VALENZA DELLE ASSEVERAZIONI

3) la fase istruttoria si svolge al di fuori dell'Amministrazione ed è compiuta dal tecnico di parte, privato, che presenta all'Amministrazione un risultato che deve garantire la "bontà" del prodotto finale, ossia qualcosa su cui si possa fare assolutamente affidamento perchè è un titolo a tutti gli effetti che legittima la trasformazione di un volume con interventi normativamente legittimi e consentiti. Si potrebbe assimilare la SCIA ad una obbligazione di risultato, che fornisce la garanzia di un intervento possibile e legittimo. Perché si possa avere questa obbligazione di risultato, sulla quale la PA può solo operare un controllo entro 30 giorni dalla presentazione presso gli uffici comunali, la legge pretende che l'istruttoria sia svolta da una persona particolarmente competente che è il tecnico.

Questi riveste addirittura la funzione di esercente un servizio di pubblica necessità, ai sensi dell’art. 359 c.p., è sanzionabile ai sensi dell’art. 481 c.p.. La figura dell'esercente un servizio di pubblica necessità, prevista dal Codice Penale, nel nostro ordinamento, qualifica alcune persone che non sono pubblici ufficiali ma possono, ugualmente, fornire adeguate garanzie di un prodotto particolarmente qualificato.

Proprio questa figura speciale, prevista dalle vigenti normative a garanzia di un titolo privato rende la SCIA edilizia una fattispecie unica, che deve essere diversamente trattata, rispetto al modello generale utilizzato per le imprese commerciali e negli altri casi stabiliti dal comma 1 dell'articolo 19 L 241/90.

La legge della Regione Emilia Romagna n. 15 del 2013 - testo unico di semplificazione della disciplina edilizia - prevede l'adozione di atti di coordinamento tecnico, uno dei quali, adottato dalla Giunta regionale in data 7 luglio 2014, definisce la modulistica edilizia unificata, prevedendoforme di autocertificazione e diasseverazione esperibili, da un lato, dalsoggetto richiedente titolare; e, dall’altro lato, dal t ecnico progettista, persona di fiducia del richiedente, e avvertendo che le false attestazioni sono punite, ai sensi del Codice Penale ( artt. 483 5 , 495 6 e 496 c.p ) e ai sensi dell'articolo 76 del DPR 445/2000 (testo unico di documentazione amministrativa). 7

La reazione così "forte" dell'ordinamento si giustifica con la tutela di un interesse giudicato molto alto e sensibile dallo stesso: la buona fede delle persone che confidano nella legittimità dell'operato (una volta) dell'Amministrazione e ora del soggetto che si è sostituito ad essa, cioè il tecnico di parte, che ha una grande responsabilità in questo senso. Lo stesso articolo 19 L 241/90 stabilisce, al comma 6, che: " Ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano la segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma 1 è punito con la reclusione da uno a tre anni" con sanzioni più gravi di quelle stabilite per i reati edilizi, che sono di natura contravvenzionale. E con la creazione di una fattispecie di falso a dolo generico che non era contemplata nel Codice Penale (che prevede il reato a dolo specifico).

Il dolo sussiste anche nella forma più blanda del “dolo eventuale” che nella fattispecie si potrebbe configurare nel caso il cui il tecnico asseveri il falso avvalendosi (fidandosi) di altra documentazione, senza riscontrarla nella pratica, assumendosi con coscienza il rischio (il solo rischio, non la certezza) che la sua dichiarazione sia non veritiera, con termini prescrizionali diversi (in questo caso 6 anni).

Il nuovo sesto comma art. 19 citato sembrerebbe perfettamente sovrapponibile all’art. 21, co. 1, ultima parte 8 , della legge n. 241/1990, che prevedeva che, salvo che il fatto costituisse più grave reato, il dichiarante che rendeva dichiarazioni false o mendaci dovesse essere perseguito ai sensi dell’art. 483 c.p. che prevede una fattispecie di falso ideologico simile, ma non coincidente a quella prevista dall’art. 483 c.p., in quanto differisce da quest’ultima norma per quel che riguarda la natura del documento su cui va ad incidere la falsificazione, perchè l'articolo 21 si riferisce ad atti formati da privati e il Codice Penali ad atti pubblici.

Vi è un onere per il dirigente che scopra una falsa attestazione di denuncia della medesima, configurandosi un reato di omessa denuncia, ai sensi degli articoli 361 e 362 del C.P. a suo carico la mancanza di segnalazione alla Autorità Giudiziaria.

La legge dispone che il falso non sia conformabile, ma l'articolo 19 comma 3 nella nuova formulazione, ad opera del Decreto Legislativo 126/2016, parla di "attestazioni non veritiere" mentre l'articolo 21 parla di "false attestazioni". Viene spontaneo domandarsi perchè e dove sia la differenza (se vi sia).

Ci rispondono i Giudici della Cassazione Penale sez. III, 16 luglio 2010, n. 27699 che, affermano che « il progettista assume la qualità di persona esercente un servizio di pubblica utilità anche con riferimento alla relazione iniziale che accompagna la denuncia di inizio attività e che quindi assumono rilevanza penale anche le false attestazioni contenute in questa relazione , qualora riguardino lo stato dei luoghi e la conformità delle opere realizzande agli strumenti urbanistici vigenti e non già la mera intenzione del committente o la futura eventuale difformità con le opere in concreto realizzate" (un orientamento di Cassazione Penale afferma che non vi sia falso e conseguente responsabilità per quanto asserito nella progettazione - ancora da realizzare).

Ed e` circoscritta pertanto all’ipotesi di «falsità» dell’attestazione, che e` concetto ben diverso e più ristretto della «non veridicità», che comprende le ipotesi in cui la mancanza di rispondenza tra l’asseverazione e la realtà sia dovuta a colpa ed è, dunque, conformabile ove la PA si accorga delle attestazioni non veritiere nei trenta giorni di tempo previsti per il controllo (ricollegandoci al disposto dell'articolo 19 comma 3 novellato dalla riforma Madia).

Il reato edilizio viene punito con una sanzione più lieve rispetto al reato, plurioffensivo (offende sia la PA che il cittadino ), della falsità in atti e documenti; le prime sanzioni sono poste a tutela del corretto sviluppo del territorio e le altre a tutela della fede pubblica, cioè di tutti i cittadini che si aspettano di leggere la verità nei documenti amministrativi. Poco conta se la SCIA è stata definita "atto privato" perchè le asseverazioni che la compongono rivestono ancora una importanza diversa, non privata o privatistica, ma di auto certificazione o auto dichiarazione, soggetta alla disciplina delle leggi speciali testè citate.

Tanto per chiarire il concetto con un esempio tratto dalla Giurisprudenza si può richiamare la massima della Cassazione Penale, sez. V, 19/12/2005-9/2/2006, n. 5122, secondo cui “Le false dichiarazioni del privato concernenti la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge o dagli strumenti urbanistici per il rilascio di concessione edilizia, essendo destinate a dimostrare la verità dei fatti cui si riferiscono e ad essere recepite quali condizioni per la emanazione o per l’efficacia dell’atto pubblico, producendo cioè immediati effetti rilevanti sul piano giuridico, sono idonee ad integrare, se ideologicamente false, il delitto di cui all’art. 483 c.p.”.

Un orientamento di Cassazione, piuttosto recente, considera le asseverazioni ed i disegni e progetti contenuti nella (DIA) ora Scia alla stregua di certificazioni con funzione di assolvere alla funzione di dare alla PA una rappresentazione dello stato dei luoghi 9 .

Sempre in materia edilizia la Cassazione Penale ha considerato un falso ideologico la planimetria non rispondente alla verità allegata alla presentazione della domanda di permesso di costruire, sottoscritta da un ingegnere che, per la sua professione, ha una speciale autorizzazione dello Stato, cosicchè le sue attestazioni hanno una natura di certificato.

In altre parole la Cassazione considera le attestazioni / asseverazioni del progettista come atti pubblici, perchè fanno pubblica fede. Atti che sono inseriti all'interno di un atto privato se siano presentati a corredo di una SCIA o di una comunicazione di inizio dei lavori "asseverata", perchè la natura delle asseverazioni del progettista non muta ancorchè muti il modo di presentarle alla Pubblica Amministrazione 10 .

Secondo la Cassazione il progettista che presenti delle planimetrie non veritiere integra il reato di falso perchè induce la PA a decidere e valutare sulla base di documentazione infedele, in quanto la " relazione d’asseverazione del progettista allegata alla denuncia d’inizio d’attività edilizia (DIA) ha natura di «certificato», sicché risponde del delitto previsto dall’art. 481 c.p. il professionista che redige la suddetta relazione di corredo, attestando, contrariamente al vero, la conformità agli strumenti urbanistici” 11 ; oppure indichi “le opere da realizzare sulla base di una descrizione dello stato presente dei luoghi, non corrispondente al vero 12 . Parimenti la Cassazione ha affermato che “Integra il reato di falsità ideologica in certificati (art. 481 c.p.) non solo la falsificazione della dichiarazione di inizio attività (cosiddetta DIA) ma anche quella riguardante la relazione di accompagnamento alla stessa, avendo essa natura di certificato in ordine alla descrizione dello stato attuale dei luoghi, alla ricognizione degli eventuali vincoli esistenti sull’area o sull’immobile interessati dall’intervento, alla rappresentazione delle opere che si intendono realizzare e all’attestazione della loro conformità agli strumenti urbanistici ed al regolamento edilizio” 13 14 .

Trattandosi di una figura specialistica il reato commesso è un reato proprio, ossia un reato che può essere compiuto soltanto dalla persona che rivesta quella particolare qualifica.

In altri termini, è la stessa configurazione della d.i.a. (oggi SCIA) come atto a controllo successivo che fa assumere alla condotta del professionista abilitato una specifica rilevanza pubblicistica: la relazione che egli presenta, infatti, finisce col sostituire, in via ordinaria, i controlli dell’ente territoriale e quindi garantisce la legalità e la correttezza dell’intervento (si veda Cass. pen., sez. III, 8 giugno 2011, n. 23072)

I suesposti rilievi inducono a ritenere che, anche se l’art. 29 T.U. non fa più riferimento alla d.i.a., il professionista che sottoscrive l’asseverazione e le tavole progettuali allegate alla denuncia (SCIA) possa essere (ancora) qualificato come persona esercente un servizio di pubblica necessità, con ogni conseguenza in ordine alla configurabilità di una sua responsabilità penale per il caso di dichiarazioni false o mendaci.

Non vi è alcun dubbio, per la Giurisprudenza, che sia così e ancora di più per la Comunicazione asseverata di Inizio dei Lavori, perchè non muta il bene tutelato dal legislatore, la fede pubblica, perseguita attraverso la configurazione del progettista come persona esercente un servizio di pubblica necessità.

Un tempo garantiva la PA, oggi garantisce il privato, ma il bene garantito (la pubblica fede e la buona fede) deve essere sempre tale, ossia deve essere "provvisto di una garanzia" tutelata con norme di rango penale dato il disvalore compiuto dalle azioni menzognere.

Più precisamente, arrivati a questo punto, occorre chiedersi se in queste fattispecie possa venire in rilievo l’art. 481 c.p., che prevede il reato di falso ideologico in certificati e punisce con la reclusione fino ad un anno o la multa da euro 51 a euro 516 «chiunque, nell’esercizio ... di un ... servizio di pubblica necessità, attesta falsamente, in un certificato, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità». La Cassazione Penale, sez. V, 1 luglio 2005, n. 24562, ha rilevato che «l’asseverazione ... viene ad avere ad oggetto ... un fatto, dovendosi ritenere la verificabile, attuale conformità delle opere progettate (in quanto tali) agli strumenti urbanistici».

Il necessario presupposto è la considerazione della natura giuridica della asseverazione che è contenuta nell'atto privato che chiamiamo SCIA; il legislatore non ha specificato alcunchè sulla sua natura la Giurisprudenza formatasi nel corso degli anni sì e la riforma Madia non ha cancellato, certo, questo diritto pretorio, limitandosi a disciplinare il diritto positivo in forma di semplificazione procedurale nei rapporti tra privato e PA, ma senza nulla dire a proposito delle garanzie che questi rapporti sono tenuti a fornire ai terzi di buona fede, da sempre tutelati nel nostro ordinamento. Che l'asseverazione abbia natura di certificato lo afferma la Cassazione Penale (ex multis: Cass. pen., sez. III, 4 ottobre 2013, n. 40975; Cass. pen., sez. V, 4 ottobre 2010, n. 35615; Cass. pen., sez. III, 16 luglio 2010, n. 27699; Cass. pen., sez. III, 4 ottobre 2013, n. 40975; Cass. pen., sez. III, 16 luglio 2010, n. 27699).

SCIA: DOPO I 30 GIORNI DEL CONTROLLO

La disposizione che determina la perentorietà del termine di intervento dell'amministrazione su un atto privato è a garanzia dei rapporti di impresa con i terzi; il passare del tempo consolida il rapporto e l'affidamento sulla sua correttezza e legittimità. Ma occorre chiedersi se davvero vi sia una garanzia a fronte di un rapporto che nasce sulla base di una falsa dichiarazione o attestazione o un falso presupposto.

Il collegamento da fare è tra l'articolo 19 comma 3, l'articolo 21 e l'articolo 21 nonies della Legge 241/90. Quest'ultimo prevede che vi sia un limite temporale di intervento di 18 mesi, se ricorrano i casi previsti dal primo comma e vi sia una sentenza passata in giudicato. Ma non coglie l'essenza della SCIA edilizia facendo un discorso generale e comprensivo di altre fattispecie che non sono atti complessi, come il titolo edilizio. Infatti da quanto abbiamo sopra dimostrato il titolo/atto privato si compone di più atti con una valenza diversa, di fronte al nostro ordinamento. Peraltro il collegamento con l'articolo 21 nonies esclude ogni altra fattispecie, e bene ha fatto il Consiglio di Stato, nel rendere il parere sul decreto legislativo 126/2016 (parere 839 del marzo 2016) a mettere in evidenza tale manchevolezza, ossia a sottolineare il mancato raccordo con la fattispecie della falsa attestazione dell'articolo 21.

Il legislatore non ha colto il suggerimento e, nuovamente, il Consiglio di Stato, nel secondo parere, a fronte del decreto legislativo 222/2016, ha sostenuto, nel parere 1784 del 4/8/2016: " 1.3.1. Il Consiglio di Stato non può fare a meno di rilevare che, nonostante il lavoro svolto sia davvero considerevole, residuano tuttavia alcune esigenze di raccordo con la legge n. 241 del 1990 già rilevate dal parere n. 839 del 2016, senza alcun seguito da parte dell’amministrazione .

In particolare, restano aperte alcune questioni di raccordo già segnalate al punto 8.3 del precedente parere n. 839, e soprattutto:

- quale sia il dies a quo per la decorrenza dei 18 mesi dell’art. 21-nonies, comma 1: la norma, infatti – testualmente riferibile anche alla SCIA e non solo ai provvedimenti espressi – non chiarisce se tale termine decorra dalla presentazione della SCIA ovvero dal decorso del termine (60 o 30 gg.) previsto dal comma 3 o dal comma 6-bis per l’esercizio del potere ordinario di verifica. Su un piano logico, la seconda soluzione potrebbe apparire più corretta, in quanto i diciotto mesi costituiscono il margine temporale entro il quale l’amministrazione può rivedere le proprie decisioni. Il dato letterale (che opera un riferimento sostanziale alla “attribuzione di vantaggi economici”) e la scelta del legislatore del settembre 2011 di non attribuire all’inerzia dell’amministrazione valenza di diniego di contestazione dell’utilizzo della DIA/SCIA potrebbero, però, indurre a ritenere corretta la prima soluzione;

- se il limite temporale massimo di cui all’art. 21-nonies debba applicarsi anche all’intervento in caso di sanzioni per dichiarazioni mendaci ex art. 21, comma 1 (unica norma residua dopo l’abrogazione del comma 2), ovvero se l’art. 21 debba considerarsi come un’ulteriore deroga a tale limite, aggiuntiva rispetto a quella prevista al comma 2-bis dello stesso art. 21-nonies. In tale seconda ipotesi dovrebbero, però, essere specificati quali siano i poteri ulteriori esercitabili ex art. 21, comma 1, rispetto a quelli di intervento ex post alle condizioni dell’art. 21-nonies, posto che entrambe le norme sembrano riferirsi, nel caso di SCIA, all’accertamento della mancanza o della ‘falsità’ dei requisiti, su cui fondare i più volte richiamati poteri inibitori, repressivi o conformativi;

- quale sia la esatta delimitazione della (unica) fattispecie di deroga ai 18 mesi prevista dall’art. 21-nonies, comma 2-bis (ad esempio, se tra le “false rappresentazioni dei fatti” in deroga ai 18 mesi rientri anche la difettosa indicazione del sistema normativo di riferimento; ovvero se si possa aggiungere la possibilità di superare i 18 mesi, al di là delle condanne penali passate in giudicato, in tutti i casi in cui il falso è immediatamente evincibile dal contrasto con pubblici registri, come nel caso di percezione di pensione a nome di persona defunta; ovvero ancora quale sia l’esatta portata del riferimento alle “sanzioni penali, nonché” alle “sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al d.P.R. 445 del 2000”, che più d’uno tra i primi commentatori ha considerato come il frutto di un errore di drafting ).

Si invita nuovamente il Governo a considerare, prima della scadenza della delega, una soluzione sul punto, per prevenire sicure incertezze e contenzioso in sede applicativa della riforma.

Il contenzioso relativo all’esercizio del potere inibitorio è, infatti, particolarmente significativo. Se si aggiunge che, anche alla luce delle riforme innescate dalla legge n. 124 del 2015, il modulo della SCIA è diventato il paradigma generale dell'azione amministrativa di controllo sull’iniziativa economica privata, risulta evidente la necessità di precisare in termini chiari e inequivoci il dies a quo della decorrenza del termine perentorio, la scadenza dello stesso e le eventuali eccezioni alla sua operatività."

Il Governo accoglie questa seconda opportunità e all'articolo 2 del D. Lgs 222/2016, al comma 4, dispone che nulla è mutato rispetto al contenuto dell'articolo 21 della L 241/90 ossia le false attestazioni, che siano facilmente risconoscibili (falso palese) devono essere perseguite ai sensi dell'articolo 21 e non hanno bisogno del passaggio in giudicato di una sentenza.

Anche perchè, se così non fosse, non saremmo in grado di perseguire tutte le ipotesi di falso riconosciute direttamente da chi le abbia commesse e patteggiate (il patteggiamento non è una sentenza che passi in giudicato) e in questi casi il falso resterebbe impunito. Non è possibile che il legislatore abbia voluto dire questo per cui la sanzione applicabile non è quella prevista dall'articolo 21 nonies ma quella dell'articolo 21 della citata L 241/90.

Il D.lgs. 25 novembre 2016 n. 222, con l’art. 2, comma 4, ha poi stabilito che i diciotto mesi decorrono dalla data di scadenza del termine previsto dalla legge per l’esercizio del potere di verifica riservato all’amministrazione. Ha richiamato la punizione ai sensi dell'articolo 483 del Codice Penale salvo che il fatto non costituisca più grave reato.

SCIA: IN CONCLUSIONE

L'unico tema rimasto aperto e lasciato tale dal legislatore rimane la tutela del terzo che rimanga leso da questo atto privato non impugnabile innanzi al TAR.

Già la Giurisprudenza Amministrativa sta elaborando tesi al riguardo, ma vi sono interpretazioni assai diverse l'una dall'altra e non suffragate da dati normativi, attualmente non esistenti; ma siccome una tutela processuale è necessaria e prevista dal nostro ordinamento (nella Costituzione) come diritto di tutti i cittadini il timore è che questa forma di semplificazione e liberalizzazione si scarichi sul contenzioso civile e penale, con buona pace del nostro legislatore che, forse, non ha tenuto in considerazione che la Giurisprudenza Amministrativa era già avvezza a considerare l'attività edilizia e gli atti in questione. La materia è in divenire e la parola, ora, resta ai Giudici, nel silenzio della norma.

Tuttavia è lecito chiedersi se la semplificazione debba avere un prezzo così alto dato che i professionisti tecnici, in edilizia, devono asseverare molteplici aspetti confrontandosi con uno scenario quanto mai eterogeneo, se consideriamo:

  1. la competenza concorrente nella legislazione urbanistica (ed anche edilizia) che ha condotto a scenari tali da convincere il legislatore statale a ricondurre ad uniformità le disposizioni legislative e regolamentari, con l’introduzione del regolamento edilizio tipo e di un glossario unico (si veda la promessa di un glossario contenuta nell’articolo 1 del D Lgs 222/2016), il che significa che nemmeno il linguaggio è comune, oggigiorno;

  2. la difformità – tra Regione e Regione – degli strumenti urbanistici - disegnati dalle Leggi Regionali o dalla normativa nazionale - e la mancanza di regole comuni - all'interno degli stessi - che rendono la lettura degli strumenti di pianificazione piuttosto complessa e difforme da luogo a luogo ed anche in ordine di tempo, visto che alcuni strumenti restano ancorati alla LU del 1942 ed altri sono più innovativi; e

  3. non ultimo il fatto che, spesso, i Comuni non si sono allineati con le riforme nazionali e continuano ad applicare normative superate perché non sono stati adeguati gli strumenti urbanistici; non vi è adeguamento al linguaggio utilizzato dal legislatore 15 nelle ultime modifiche (si pensi solo alle norme di piano che parlano di superfici mentre il legislatore ragiona in termini di volumi).

Ciò comporta che sia difficile progettare, dichiarare e assicurare la conformità quando, sovente, non è comprensibile nemmeno se sia conforme il piano alle disposizioni di legge! La mancanza di conformità e la dichiarazione non veritiera comporta conseguenze penali molto gravi; anzi il legislatore sanziona la falsità in maniera molto più grave della violazione edilizia (che resta un reato contravvenzionale). La sanzione penale deve avere, a fronte, una norma di diritto positivo certa ed inequivocabile: e non è certo così in questa materia così mutevole e fluida.

Sicuramente questo scenario “liquido” non contribuisce a fornire certezze e impone comportamenti dovuti, ma non scevri da incertezze; una soluzione povrebbe essere una maggiore razionalizzazione e uniformità delle norme, per consentire di muoversi su un terreno di maggiore certezza, che possa essere garanzia per tutti, di chiarezza e semplificazione.

Fino ad allora pretendere di scaricare sulla parte tecnica privata ogni responsabilità non è una vera semplificazione. Questo, ritengo, meriti una riflessione giuridica.

Paola Minetti

1 (comma aggiunto dall'art. 6, comma 1, decreto-legge n. 138 del 2011, convertito dalla legge n. 148 del 2011)

2 Sulla documentazione da presentare T.A.R. Marche, sez. I, 30 marzo 2007, n. 448: "Si deve fare riferimento alle caratteristiche degli interventi oggetto di d.i.a., in modo tale che il comune abbia una documentazione idonea a permettere una verifica della sussistenza dei presupposti giuridici e tecnici per consentire la realizzazione delle opere, come ad es. i precedenti atti autorizzatori della costruzione interessata da interventi di manutenzione programmati, il parere della P.A. proprietaria in caso di edificio prospiciente una strada, la relazione tecnica prevista dal D.M. 27 luglio 2005 in caso di intervento finalizzato a rimediare alla struttura dell’edificio per conseguire risparmio energetico. Nella relazione del professionista, inoltre, dovranno essere indicate tutte le opere che si intendono eseguire, non essendo sufficiente che esse siano rappresentate negli elaborati progettuali, se di esse non risulti attestata la conformità agli strumenti urbanistici, sotto la formale responsabilità del progettista: Cons. Stato, sez. VI, 10 marzo 2014, n. 1084. In dottrina (G. PAGLIARI, Corso di diritto urbanistico, cit., pag. 700) si è ritenuta altresì necessaria l’indicazione della data dell’effettivo inizio dei lavori, poiché essa non potrebbe ritenersi comunicata implicitamente con la presentazione della d.i.a.. Si è chiarito, inoltre, che la materiale aggiunta di un testo su una d.i.a. già presentata da parte del soggetto che l’ha presentata non integra il delitto di falso materiale in atto pubblico commesso dal pubblico ufficiale (art. 476 c.p.), in ragione del fatto che la d.i.a. è una dichiarazione proveniente da un privato, che non diventa atto pubblico per il semplice fatto che sia stata depositata presso la P.A.: Cass. pen., sez. III, 8 ottobre 2013, n. 41480". La citazione è tratta dal volume edito, on line, da Exeo Edizioni DIA e SCIA denuncia, dichiarazione e segnalazione certificata di inizio di attività dopo i dd.ll 78/2010, 70/2011138/2011, 83/2012, 69/2013,133/2014 e la legge 124/2015 di Fabio Doro, IV edizione.

3 L'articolo 23 comma 6 del testo unico dell'edilizia approvato con Dpr 380/2001 recita: " «il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale ... in caso di falsa attestazione del professionista abilitato, informa l’autorità giudiziaria e il consiglio dell’ordine di appartenenza».

L'articolo 14 del testo unico di semplificazione edilizia della regione Emilia Romagna , adottato con legge regionale 15/2013 recita, al comma 9, stabilendo l'obbligatorietà dell'intervento repressivo " "Decorso il termine di trenta giorni di cui al comma 5, lo Sportello unico adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’intervento e di rimozione degli effetti dannosi di esso nel caso in cui si rilevi la falsità o mendacia delle asseverazioni, delle dichiarazioni sostitutive di certificazioni o degli atti di notorietà allegati alla SCIA "

Articolo 73 DPR 445/2000 sulla assenza di responsabilità della PA sulle dichiarazioni e attestazioni dei privati: "Le pubbliche amministrazioni e i loro dipendenti, salvi i casi di dolo o colpa grave, sono esenti da ogni responsabilità per gli atti emanati, quando l'emanazione sia conseguenza di false dichiarazioni o di documenti falsi o contenenti dati non più rispondenti a verità, prodotti dall'interessato o da terzi.

4 sentenza n 3043 del 2016 dal sito di Giustizia Amministrativa

5 l’art. 483 c.p. punisce la “ falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico”, stabilendo “ chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni. – Se si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile, la reclusione non può essere inferiore a tre mesi ”: l'articolo del Codice Penale riportato sanziona la condotta di qualunque persona che attesti al pubblico ufficiale falsamente, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto sia destinato a provare la verità.

6 “Chiunque dichiara o attesta falsamente al p.u. l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni. – La reclusione non è inferiore a due anni: 1) se si tratta di dichiarazioni in atti dello stato civile; 2) se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa all’autorità giudiziair da un imputato o da una persona sottoposta ad indagini, ovvero se per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione viene iscritta sotto falso nome”.

7 L’art. 76 del D.P.R. n. 445 stabilisce che è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia chiunque rilasci dichiarazioni mendaci, formi atti falsi o ne faccia uso nei casi previsti dallo stesso D.P.R., con la precisazione che “ l’esibizione di un atto contenente dati non più rispondenti a verità equivale ad uso di atto falso ”. Il comma 3 dell'articolo 76 stabilisce che la formazione o l'uso di atti falsi comporta effetti penali; infatti la conseguenza è come aver dichiarato il falso a un pubblico ufficiale (“ sono considerate come fatte a pubblico ufficiale)”.

8 Recita l'articolo 21 comma 1 modificato dalla legge 124/2015 (riforma Madia) articolo 6: "1. Con la segnalazione o con la domanda di cui agli articoli 19 e 20 l’interessato deve dichiarare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti. In caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni non è ammessa la conformazione dell’attività e dei suoi effetti a legge o la sanatoria prevista dagli articoli medesimi ed il dichiarante è punito con la sanzione prevista dall’articolo 483 del codice penale, salvo che il fatto costituisca più grave reato.

9 “Le planimetrie presentate a corredo della richiesta di certificazioni o autorizzazioni, redatte, secondo le vigenti disposizioni, dall’esercente una professione necessitante speciale autorizzazione dello Stato, hanno natura di certificato, poiché assolvono la funzione di dare alla pubblica amministrazione una esatta informazione dello stato dei luoghi; conseguendone, pertanto, che rispondono del delitto previsto dall’art. 481 cod. pen. il professionista che redige le planimetrie e la committente che firma la domanda fondata sulla documentazione infedele” Cass., Sez. V, 21 marzo/5 maggio 2006 n. 15860; in termini cfr. Sez. III, 23 giugno/22 luglio 2009 n. 30401; Sez. V, 8 marzo 2000 n. 5098 e Sez. V, 23 aprile 1998 n. 5298; Cass., Sez. II, 12 dicembre 2006/31 gennaio 2007 n. 3628 precisava che “Nell’ambito di un procedimento autorizzatorio, i certificati sono atti che assolvono la funzione di dare alla Pubblica Amministrazione una esatta informazione su circostanze di “fatto” e, quindi, di provare la oggettiva verità di quanto in esso affermato, manifestando la conoscenza dell’esistenza o della conformità al vero di un fatto, mentre non può ritenersi tale un atto che esprima un giudizio, una valutazione, un convincimento soggettivo di colui che lo ha redatto, sia pure erronei, ma senza alterazione di fatti, non essendo rilevante, inoltre, ai fini della fattispecie criminosa in esame, se ciò sia dovuto a malafede o a difetto di diligenza. Se ciò è vero, l’organo competente al rilascio dell’autorizzazione, non può esimersi dal valutare, nell’ambito del procedimento autorizzatorio, la sussistenza di tutte le condizioni e i presupposti di legge, non potendo basare le proprie determinazioni su un atto di tipo valutativo e non certificativo del richiedente, così come non può esimersi dal verificare se la documentazione a corredo dell’istanza sia completa secondo le prescrizioni di legge”. Un terzo indirizzo, più radicale, propugnava una perfetta equiparazione tra D.I.A. ed istanza di permesso di costruire, sicché anche in quest’ultima il progettista era penalmente responsabile sia della corretta raffigurazione dello stato di fatto sia dei giudizi e calcoli relativi alla conformità urbanistica dell’intervento (Cass., Sez. V, 7 dicembre 2007/21 gennaio 2008 n. 3146 per cui “è innanzitutto errata l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui «per principio pacifico» il progetto redatto da un esercente un servizio di pubblica necessità avrebbe natura di certificato solamente nella parte (planimetrie, relazioni planimetriche) destinata a rappresentare l’esistente, assolvendo solamente per detta parte la funzione di fornire alla Pubblica amministrazione una esatta informazione dello stato dei luoghi. In realtà, per principi consolidati (cfr. sez. 5, sent. del 22.6.2000, Gamba e altri, nonché, tra molte, sez. 5, n. 15773 del 24.1.2007, Marigliano; sez. 5, n. 1004 del 31.1.2000, Moro; sez. 5, n. 3552 del 18.3.1999, Andronico) anche un giudizio o una previsione possono essere ideologicamente falsi, al pari di un enunciato in fatto, quando i parametri di valutazione cui si riferiscono costituiscono “misure” obiettivamente verificabili, normativamente determinate o tecnicamente accertabili, e quando tali giudizi – che si definiscono perciò tecnici o in termini classici di misura per distinguerli da quelli considerati di valore in senso stretto in quanto sviluppati su parametri che non sono né universali né esatti – provengano da soggetti cui la legge riconosce una determinata competenza e perizia e ai quali per tale ragione ne riserva la formulazione. In tali casi, fondandosi il giudizio o la previsione sulla postulazione di criteri predeterminati, esso si risolve in una rappresentazione della realtà analoga alla descrizione o alla constatazione ed è nello stesso modo suscettibile di essere considerato un falsa certificazione quando perviene a risultati artefatti perché basati su dati predeterminati, o predeterminabili, falsati”). Tutte le sentenze sono consultabili in Iusexplorer-Giuffré. In dottrina, del tema si è occupata F. Pontis, Falso e abuso edilizio, in Resp. civ. previdenza, 2009, 1122ss..

Tutte le sentenze sono tratte dall'articolo di G Graziosi pubblicato su Lexitalia "L'accertamento dello stato legittimo degli immobili tra obblighi del Comune e responsabilità del progettista" febbraio 2016.

10 Cass., sez. V, 21 marzo 2006, n. 15860. Così, pure: Cass., sez. III, 23 giugno 2009, n.30401, “ Integra il delitto di falsità ideologica in certificati la presentazione a corredo della richiesta del permesso di costruire di una planimetria falsamente descrittiva dello stato dei luoghi, di cui rispondono sia il professionista, che ha redatto la planimetria, che il committente che ha allegato la stessa alla richiesta del permesso di costruire ”; Cass., sez. V, 7 dicembre 2007, n. 3146, “ È configurabile il reato di cui all’art. 481 c.p. (falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità) a carico del tecnico qualificato il quale, incaricato di predisporre la documentazione da presentare, come poi avvenuto, a corredo di una domanda di concessione edilizia (ora permesso di costruire), pur avendo indicato, nelle tavole planimetriche, misure corrispondenti alla realtà, abbia però scientemente alterato i calcoli volumetrici, sì da far risultare, contrariamente al vero, la compatibilità dell’opera progettata con il limite della volumetria assentibile ”.

11 Cass., sez. III, 21 ottobre 2008, n. 1818.

12 Cass., sez. V, 14 maggio 2010, n. 35615.

13 Cass., sez. III, 17 aprile 2012, n. 35795. Similmente, Cass., sez. V, 11 maggio 2012, n. 39153, “ Integra il reato di falsità ideologica in certificati commesso da persone esercenti un servizio di pubblica necessità l’attestazione resa dal direttore dei lavori e dal proprietario dell’immobile nel rispetto della normativa in materia di sicurezza della costruzione con riguardo ad un fabbricato in cui al posto di una scala in cemento armato vi sia un vuoto spaziale. (In motivazione la Corte ha precisato che il concetto di sicurezza di cui all’art. 25 del d.P.R. n. 380 del 2001 deve essere inteso nella più ampia accezione quale presenza nel fabbricato di caratteristiche edificatorie conformi alle previsioni progettuali ed alle prescrizioni normative, funzionali alla sicurezza del fabbricato, sia con riguardo alla sua stabilità strutturale che all’esigenza di prevenzione di danni a persone o cose) ”.

14 Le sentenze citate sono tratte dal lavoro del dottor Antonello Gustapane magistrato della Procura della Repubblica di Bologna, dalla relazione presentata sul tema del falso nei titoli edilizi tenuto a Rimini, presso l'Ordine degli Architetti in data 17 dicembre 2016.

pubblicato su Ufficio Tecnico di Maggioli, Si ringraziano Autrice ed Editore

15 Anche se alcune regioni hanno fatto uno sforzo in questo senso, si veda la delilberazione della Regione Emilia Romagna 279 del 2010