Trib. Napoli Uff. GIP ord. 4 giugno 2012 Est. Piccirillo
Urbanistica. Archiviazione e restituzione immobile abusivo

Provvedimento adottato dal GIP quale giudice dell'esecuzione in tema di restituzione dell'immobile abusivo a seguito di archiviazione del procedimento per intervenuta prescrizione. L'istante chiedeva la revoca dell'ordine di restituzione impartito dal GIP in favore di un comune ischitano sul presupposto che - difettando la trascrizione dell'acquisto nei registri immobiliari -  il Comune non ne fosse divenuto proprietario. Veniva considerato, inoltre, il perdurante sequestro come causa impeditiva dell'adempimento del privato rispetto all'ordine di demolizione emanato dall'ente locale.

N. 2447/10 I.E.

 

TRIBUNALE DI NAPOLI

Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari

Sezione XXI

 

ORDINANZA

 

Il Giudice dr. Raffaele Piccirillo,

sciogliendo la riserva formulata all’udienza del 24 aprile 2012 sull’incidente di esecuzione promosso dal difensore di AMALFITANO Franca in data 8.9.2010;

 

OSSERVA

 

1. Con ordinanza resa all’esito dell’udienza celebrata in data 8 luglio 2011, questo Giudice disponeva l’acquisizione del fascicolo n. 66694/01 n.r. – 77690/012 R.G. GIP al quale afferiva il provvedimento reso dal GIP dr. Semeraro menzionato nel proposto incidente di esecuzione.

Dopo ripetuti solleciti, il fascicolo perveniva alla Cancelleria di questo Giudice che in data 2.1.2012 fissava la data del 14.3.12 per la celebrazione dell’udienza camerale.

La consultazione del fascicolo in questione ha consentito di apprezzare che l’ordinanza del GIP dr. Luca Semeraro alla cui “modifica e rettifica” tende l’odierno incidente di esecuzione è stata resa all’esito di procedura camerale svoltasi nel contraddittorio delle parti.

Il presente incidente di esecuzione dovrebbe dunque qualificarsi – tendendo palesemente alla revisione e rivalutazione in fatto e in diritto del primo provvedimento adottato dal GIP quale giudice dell’esecuzione - come opposizione regolamentata dall’art. 667 co. 4 c.p.p..

Detto rimedio, pur avendo natura diversa da quella del mezzo di impugnazione e atteggiandosi piuttosto come istanza diretta a ottenere una decisione in contraddittorio, è stato ritenuto dalla S.C. esperibile anche quando il provvedimento avversato sia stato già adottato all’esito di una procedura contrassegnata dal contraddittorio delle parti (Cass., I, 5.7.2007, Torcasio; Cass., I, 3.10.2007).

L’opposizione dev’essere però proposta nel termine di giorni 15 dalla comunicazione o dalla notificazione dell’ordinanza che decide l’incidente di esecuzione.

Detta comunicazione è partita dalla Cancelleria del Giudice il 15.2.2008 ed è pervenuta all’interessata, secondo l’attestazione dell’Ufficio NEP della Sezione distaccata di Ischia acquisita il 22.5.12, il 3.3.2008.

 

2. Era dunque ampiamente decorso al tempo della presentazione dell’istanza in esame un termine che la giurisprudenza qualifica come decadenziale (Cass., I, 29.4.2008, CED 240088).

Si è dunque formato sul tema un giudicato che non risulta dall’allegazione difensiva superato da “fatti nuovi”, per tali potendosi intendere soltanto facta principis sopravvenuti (per esempio l’allegazione di atti amministrativi o di decisioni del giudice amministrativo incompatibili con il provvedimento restitutorio emesso dall’A.G. in favore dell’ente locale); non certo rilievi e censure sulle argomentazioni di fatto e di diritto esibite dal primo giudicante che costituirebbero l’in sé del rimedio impugnatorio non esperito nel termine previsto.

Poiché però questo argomento formale potrebbe essere rovesciato alla stregua di una nozione “debole” del giudicato in questa specifica materia ovvero per la valorizzazione della perizia stragiudiziale in data 5.8.2009 che la difesa allega al suo ricorso, non appare superfluo addentrarsi nell’esame del merito della vicenda.

 

3. I passaggi argomentativi del provvedimento emesso dal primo giudicante risultano tuttora conformi alle risultanze di fatto disponibili (sostanzialmente immutate) e agli assetti ermeneutici della S.C.

Pronunce successive a quelle citate dal primo giudicante confermano e consolidano il principio di diritto per il quale: “l’effetto ablatorio previsto dall’art. 31/3 del D.P.R. n. 380/2001si realizza ope legis alla inutile scadenza del termine fissato per ottemperare all’ingiunzione di demolire, mentre la notifica dell’accertamento formale dell’inottemperanza si configura solo come titolo necessario per l’immissione in possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari” con l’evidente corollario per il quale “il giudice che dispone il dissequestro di un immobile abusivo, dopo che il responsabile dell’abuso non ha ottemperato nel termine di legge all’ingiunzione comunale di demolire, e quindi dopo che si è verificato l’effetto ablativo a favore dell’ente comunale, deve disporre la restituzione dell’immobile allo stesso ente comunale e non al privato responsabile che per avventura sia ancora nel possesso del bene” (Così da ultimo Cass., III, 14.1-2.3.2009 n. 9186 e Cass., n. 4926/2008 che ‘rispondono’ a un motivo di ricorso identico all’argomento di cui al punto a) dell’istanza in esame).

Si discosta poi dall’insegnamento costante della S.C. l’affermazione contenuta nel punto b dell’atto difensivo, secondo la quale il termine di 90 giorni stabilito dall’ingiunzione demolitoria emessa dall’ente comunale (in data 8.3.2002), non avrebbe mai cominciato a decorrere perché non sono mai stati rimossi i sigilli apposti all’atto del sequestro.

Su questo punto la Corte, compiendo un’esatta ricostruzione del sistema, afferma che non costituisce impedimento assoluto all’esecuzione tempestiva dell’ingiunzione il sequestro del bene, dato il disposto della norma dell’art. 85 d. att. c.p.p. secondo il quale “quando sono state sequestrate cose che possono essere restituite previa esecuzione di specifiche prescrizioni, l’autorità giudiziaria, se l’interessato consente, ne ordina la restituzione impartendo le prescrizioni del caso”.

E’ dunque l’ordinamento stesso a consentire al privato (che risulta dal fascicolo non aver mai presentato domande di tal fatta) di superare l’impedimento e procedere nonostante alla demolizione (vedi la sentenza di legittimità citata da ultimo).

Risulta pertanto pretestuoso l’argomento difensivo secondo il quale la “Amalfitano, per ottemperare all’ordinanza n. 38/02 avrebbe dovuto commettere un reato violando i sigilli!”.

E’ pure infondata l’affermazione secondo la quale costituirebbe valutazione arbitraria ed errata nel merito, quella con la quale il primo giudicante si spingeva a pronosticare l’inaccoglibilità della domanda di condono presentata dalla parte ai sensi della legge n. 326/2003.

Sul punto occorre rilevare innanzitutto che, diversamente da quanto osservato dal difensore al punto 6 della sua premessa, incombe sul giudice penale (anche su quello investito dell’incidente esecutivo), l’obbligo di verificare la sussistenza dei presupposti affinché la normativa condonistica possa essere applicata. Tanto discende dal combinato disposto degli artt. 101, comma 2, 102, 104, comma 1 e 112 Cost. che non consentirebbero neppure alla legge ordinaria di riservare detta valutazione all’autorità amministrativa e che comportano l’annullamento delle decisioni revocatorie adottate dal giudice di merito senza valutare la legittimità del provvedimento di condono, quand’anche questi fosse stati effettivamente adottati (ex plurimis, v. Cass., III, 24.2-24.6.2010 n. 24273).

Nel caso in esame, a oltre due anni dalla precedente decisione, non risulta neppure adottato il provvedimento di condono e la decisione del TAR relativa al ricorso presentato dalla parte contro l’ingiunzione a demolire, come correttamente evidenziato dal primo giudicante, statuisce l’inammissibilità del ricorso per la pendenza del procedimento amministrativo diretto al condono. Questi dati di per sé giustificherebbero il rigetto dell’istanza di “rettifica” del provvedimento con il quale il giudice dell’esecuzione confermava la restituzione del manufatto all’ente locale.

E’ appena il caso di rammentare che la S.C. esige, perché possa giustificarsi la paralisi della procedura amministrativa sanzionatoria dell’abuso (della quale l’acquisizione gratuita del bene alla disponibilità dell’ente locale è indiscutibilmente parte), che il provvedimento amministrativo “incompatibile”, risulti, se non già legittimamente adottato, legittimamente adottabile “in un brevissimo arco temporale” (Cass., III, 16.4-26.5.2004 n. 23992).

Nel caso in esame risulta invece corretta (e insuperata) la prognosi di non condonabilità, formulata dal giudice nel provvedimento del 6.2.2008.

Le opere edilizie descritte negli atti del procedimento (vedi la c.n.r. del 2.10.2001 e il verbale di sequestro) esorbitano senz’altro dalle nozioni di restauro/risanamento conservativo/manutenzione straordinaria alle quali il comma 26 dell’art. 32 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 circoscrive la sanatoria degli immobili.

Dette nozioni, così come descritte nell’art. 3 co. 1 lett. b) e c) del D.P.R. 380/2001, implicano che gli interventi non alterino volumi e superfici preesistenti. Ciò che nel caso in esame non può dirsi avvenuto, visto che furono realizzate su preesistente fabbricato in muratura ampliamenti volumetrici e di superficie attraverso: la realizzazione di un portico coperto esteso 25 mq., la sopraelevazione del muro di confine con la strada comunale (per ml. 1.25) sul quale poggia il porticato in parola; una scala a giorno lunga ml. 6 e un piccolo locale; una sopraelevazione di 40 cm. del solaio di copertura con l’apertura di nuovi vani porta.

Non v’è dubbio allora che, atteso il vincolo paesistico vigente sull’area da epoca anteriore agli interventi, si tratti di opere neppure astrattamente condonabili.

Dette considerazioni valgono a confutare le argomentazioni contenute nella perizia stragiudiziale dell’ing. Sacchetti (allegata all’istanza dell’8 settembre 2010).

Detta perizia poi, laddove definisce i vincoli esistenti nell’area in oggetto come “relativi” e ipotizza la condonabilità delle opere alla stregua di una legge regionale, contrasta palesemente con chiari principi di diritto dettati dalla Corte di legittimità attenendosi anche a ricostruzioni sistematiche operate dal giudice delle leggi.

Vengono in considerazione le affermazioni per le quali:

 

a) la speciale procedura di sanatoria prevista dall’art. 9 della legge regionale Campania 18 novembre 2004 n. 10 è inapplicabile agli abusi edilizi in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, in quanto la normativa regionale non può essere interpretata in senso confliggente con la legge nazionale che ne consente la condonabilità negli stretti limiti previsti dall’art. 32 cit. (Cass., III, 2.78-16.10.2009 n. 40198, P.M. in proc. Trofa);

 

b) il silenzio serbato per oltre 180 giorni dall’amministrazione preposta alla tutela del vincolo, laddove questa sia stata investita (come sarebbe stato necessario e come la parte non dimostra di aver fatto), a seguito delle modifiche apportate dall’art. 32 del D.L. 269/2003, ha valore di silenzio rifiuto, impugnabile nel termine di legge (Cass., III, 16.3-14.4.2010, Cacace), sì da precludere, anche sotto questo aspetto, una prognosi di effettiva condonabilità dell’abuso.

 

P.Q.M.

Rigetta la richiesta presentata in data 8.9.2010 dal difensore di AMALFITANO Franca per la “modifica e rettifica” della decisione assunta dal GIP dr. Semeraro quale giudice dell’esecuzione in data 8 febbraio 2008.

 

Napoli, 4 giugno 2012

 

Il Giudice

Dr. Raffaele Piccirillo