TAR Lombardia (MI), Sez. II, n. 2673, del 6 novembre 2014
Urbanistica.Decadenza del vincolo espropriativo e applicabilità del regime delle c.d. “zone bianche”

La decadenza del vincolo espropriativo (allocazione sul compendio di una scuola elementare) non sempre determina l’applicabilità del regime delle cosiddette “zone bianche”; ed in particolare ciò non si verifica quando sussista una regolamentazione suppletiva contenuta nello stesso strumento urbanistico generale che escluda il bisogno di far ricorso ad una fonte di disciplina residuale quale è appunto quella dettata per le “zone bianche”. Si è così escluso che, nel caso di vincolo decaduto disposto da uno strumento attuativo scaduto e nel caso in cui sia lo stesso p.r.g. a dettare, per una specifica area, la disciplina destinata ad operare in caso di decadenza del vincolo, possa farsi riferimento al regime delle “zone bianche”, posto che, in tali ipotesi, sopravviene la regolamentazione suppletiva contenuta nello strumento di pianificazione generale. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 02673/2014 REG.PROV.COLL.

N. 03290/2004 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3290 del 2004, proposto da: 
METOPE s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Bruno Santamaria, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Milano, Galleria del Corso, n. 2;

contro

COMUNE di MONZA, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Franco Ferrari, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Milano, Via Larga, n. 23;

per l'annullamento

del provvedimento dell’8 aprile 2004 con cui il Comune di Monza ha inibito la D.I.A. presentata in data 22 marzo 2004 e per la condanna al risarcimento dei danni subiti



Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Monza;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 ottobre 2014 il dott. Stefano Celeste Cozzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

La società Metope s.r.l., odierna ricorrente, è proprietaria di un terreno situato nel territorio del Comune di Monza, identificato catastalmente al mappale n. 105 del foglio n. 70.

La società, in data 22 marzo 2004, ha presentato al predetto Comune una denuncia di inizio attività (d.i.a) al fine di realizzare sul suo terreno una struttura ricettiva.

Il Comune, con provvedimento dell’8 aprile 2004, ha inibito l’effettuazione dei lavori, rilevando la mancanza di un piano attuativo.

Avverso tale provvedimento è diretto il ricorso in esame. La ricorrente propone anche domanda risarcitoria

Si è costituito in giudizio, per opporsi all’accoglimento delle domande avverse, il Comune di Monza.

La Sezione, con ordinanza n. 2080/2013, ha disposto una verificazione al fine di accertare lo stato di urbanizzazione delle aree interessate dal progetto e la conformità della d.i.a. agli strumenti urbanistici vigenti ed adottati al momento di presentazione della stessa; ed ha ordinato all’Amministrazione intimata di depositare una relazione che chiarisca se gli interventi oggetto di d.i.a. siano compatibili con la disciplina dettata dal vigente piano di governo del territorio.

In prossimità dell’udienza di discussione del merito, le parti hanno depositato memorie insistendo nelle loro conclusioni.

Tenutasi la pubblica udienza in data 16 ottobre 2014, la causa è stata trattenuta in decisione.

Come anticipato, con il ricorso in esame viene impugnato un provvedimento di inibitoria di una d.i.a. presentata dalla ricorrente al fine di realizzare su un terreno di sua proprietà una struttura alberghiera.

Il provvedimento contiene una motivazione estremamente sintetica avente il seguente tenore:“l’area ricade in una zona soggetta a piano attuativo obbligatorio”.

La ricorrente contesta questa motivazione, evidenziando, nell’unico articolato motivo, che: a) l’area di sua proprietà ricade in zona F, disciplinata dall’art. 16 delle norme tecniche di attuazione (n.t.a.) del piano regolatore generale (p.r.g.); b) tale norma non subordina l’edificazione nella zona all’approvazione di un piano attuativo; c) neppure le disposizioni generali delle n.t.a., contenute negli artt. 4 e 5, impongono che, per l’esecuzione dell’intervento oggetto della d.i.a., sia necessaria l’approvazione di un piano attuativo; d) in ogni caso, il contesto in cui si inserisce l’area su cui si vuole realizzare la struttura ricettiva sarebbe già sufficientemente urbanizzato; sicché, in applicazione di un consolidato orientamento giurisprudenziale, la pianificazione attuativa sarebbe comunque da escludere anche in caso di previsioni contrarie contenute nel p.r.g.

In proposito il collegio non può che richiamare i numerosi precedenti, aventi ad oggetto analoghi provvedimenti emessi dal Comune di Monza.

Nelle citate sentenze si è rilevato che, qualora la disciplina specifica di zona non imponga la pianificazione attuativa e qualora l’intervento per il quale è stata presentata la d.i.a. non ecceda i limiti volumetrici indicati nell’art. 5 delle n.t.a. (3 mc/mq), è necessario verificare, al fine di stabilire se sia necessaria o meno la pianificazione attuativa, se il contesto in cui ricade l’area da edificare presenti le caratteristiche di cui allo stesso art. 5 (idoneo accesso da esistenti strade pubbliche o private, adeguata illuminazione, adeguato allacciamento alle reti dei servizi, aree riservate ai parcheggi) e possa considerarsi, dunque, sufficientemente urbanizzato

Se la verifica dà esito positivo, in applicazione del più volte citato art. 5 delle n.t.a. del p.r.g. del Comune di Monza, l’intervento può essere realizzato direttamente senza previa pianificazione attuativa (cfr. TAR Lombardia Milano, sez. II, 15 aprile 2010, n.1092; id., 21 novembre 2008, n. 5482; id. 30 gennaio 2007, n. 124).

Nel caso concreto non è contestato che l’area su cui la ricorrente vorrebbe realizzare la struttura ricettiva ricade in zona F, disciplinata dall’art. 16 delle n.t.a.; norma che non subordina l’edificazione all’approvazione di un piano attuativo.

E’ altrettanto incontestato che l’intervento per il quale è stata presentata la d.i.a. ha una volumetria inferiore a 3 mc/mq.

Rimane pertanto da verificare se l’area sia o meno sufficientemente urbanizzata.

In proposito il collegio non può non rilevare che, dall’esame del provvedimento impugnato e dagli atti ad esso presupposti, non emerge che l’amministrazione abbia svolto tale verifica. Anzi, il provvedimento impugnato neppure indica le ragioni per le quali si ritiene necessaria la pianificazione attuativa.

Già di per sé, questo rilievo depone per l’illegittimità del provvedimento impugnato: l’Amministrazione avrebbe dovuto difatti accertare essa stessa la sussistenza del requisito della sufficiente urbanizzazione; e la mancanza di questo accertamento e dell’esplicitazione delle sue risultanze nel provvedimento impugnato non possono che denotare una carente istruttoria oltre che una carente motivazione dell’atto.

In ogni caso va rilevato che, la sezione, con ordinanza n. 2080/2013, ha disposto una verificazione dalla quale è emerso che il compendio in cui ricade l’area di cui è causa presenta adeguate strutture di urbanizzazione primaria e secondaria.

Le risultanze dell’istruttoria non fanno quindi che confermare l’illegittimità dell’operato dell’Amministrazione.

A contrario non può neppure essere invocata la norma contenuta nell’art. 15 delle n.t.a., richiamata dal verificatore nella propria relazione e dall’Amministrazione nelle proprie difese, norma che, a differenza del successivo art. 16, subordina l’edificazione alla pianificazione attuativa (in particolare all’approvazione di un piano particolareggiato). Innanzitutto, perché non sono state chiarite del tutto le ragioni per le quali l’art. 15, che si riferisce ad una differente zona (zona E), debba applicarsi anche per le aree ricadenti in zona F; in secondo luogo (è ciò appare decisivo) perché il provvedimento impugnato non fa riferimento a tale norma e, a maggior ragione, non indica le ragioni giuridiche e fattuali che la renderebbero applicabile al caso di specie: residua pertanto il vizio di difetto di motivazione dell’atto.

Per queste ragioni, la domanda di annullamento deve essere accolta ed il provvedimento impugnato deve essere, di conseguenza, annullato.

Occorre ora passare all’esame della domanda risarcitoria.

La ricorrente, nel ricorso introduttivo, chiede che le venga risarcito il danno da ritardo, posto che l’atto impugnato le avrebbe impedito di realizzare tempestivamente l’intervento programmato con conseguente perdita di profitto.

Nelle memorie successive chiede il risarcimento di altre voci di danno, connesse alla presumibile sopravvenuta impossibilità di realizzare la struttura ricettiva, stante l’intervento, nelle more del giudizio, del nuovo piano di governo del territorio che ha attribuito all’area una disciplina differente da quella prescritta dal previgente p.r.g.

Il collegio non può che rilevare l’infondatezza della domanda risarcitoria.

Va invero osservato che la verificazione disposta con ordinanza n. 2080/2013 era finalizzata anche ad accertare se l’allocazione di una struttura ricettiva sull’area di cui è causa fosse compatibile con l’allora vigente p.r.g.

Ebbene, il verificatore ha accertato che lo strumento urbanistico prevedeva l’allocazione sul compendio di una scuola elementare.

L’istruttoria si è quindi conclusa in senso negativo per la parte ricorrente posto che la destinazione a scuola impediva comunque l’insediamento della struttura ricettiva sull’area e che, pertanto, il bene della vita negato con il provvedimento impugnato non avrebbe comunque potuto essere conseguito dalla parte stessa.

La ricorrente obietta che: a) la destinazione a scuola determinava la sussistenza di un vincolo espropriativo sull’area; b) tale vincolo apposto con il p.r.g. approvato nell’anno 1971, al momento di proposizione della d.i.a., era ormai decaduto stante il superamento del limite quinquennale di validità; c) l’area doveva ritenersi disciplinata dalle disposizioni contenute nell’art. 16 delle n.t.a. le quali ammettevano la possibilità di insediamento di strutture ricettive in zona F.

L’argomentazione non può essere condivisa.

La tesi di parte ricorrente prende spunto da alcune pronunce del Consiglio di Stato nelle quali si è affermato che la decadenza del vincolo espropriativo non sempre determina l’applicabilità del regime delle cosiddette “zone bianche”; ed in particolare ciò non si verifica quando sussista una regolamentazione suppletiva contenuta nello stesso strumento urbanistico generale che escluda il bisogno di far ricorso ad una fonte di disciplina residuale quale è appunto quella dettata per le “zone bianche” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 20 marzo 2008, n. 1216; id. 9 ottobre 2003, n. 6071).

Si è così escluso che, nel caso di vincolo decaduto disposto da uno strumento attuativo scaduto (sent. n. 1216 del 2008) e nel caso in cui sia lo stesso p.r.g. a dettare, per una specifica area, la disciplina destinata ad operare in caso di decadenza del vincolo (sent. n. 6071 del 2003), possa farsi riferimento al regime delle “zone bianche”, posto che, in tali ipotesi, sopravviene la regolamentazione suppletiva contenuta nello strumento di pianificazione generale.

Nel caso in esame, il vincolo espropriativo sull’area della ricorrente non è stato apposto da uno strumento attuativo ma dallo stesso piano regolatore generale il quale, con riferimento alla specifica area, non prevede una regolamentazione destinata ad operare in caso di decadenza del vincolo.

Né si può ritenere che la decadenza del vincolo abbia determinato una sorta di espansione orizzontale dell’ambito di efficacia di tutte le disposizioni contenute nell’art. 16 delle n.t.a che disciplinano l’intera zona F (zona in cui, come detto, ricade l’area della ricorrente).

L’art. 16 delle n.t.a. detta invero una regolamentazione di carattere generale della zona F e prevede che, in tale ambito, possano essere realizzati interventi aventi diverse funzioni di interesse generale, fra i quali le scuole e le strutture ricettive.

Bisogna però prendere atto che la specifica area della ricorrente era destinata a scuola e che, quindi, la volontà del pianificatore era quella di far sì che essa ospitasse tale specifica funzione e non una qualsiasi di quelle indicate dall’art. 16 delle n.t.a.

Ne consegue che, come anticipato, il venir meno del vincolo ha fatto venire altresì meno ogni regolamentazione urbanistica riguardante l’area della ricorrente la quale, all’epoca della presentazione della d.i.a. di cui è causa, doveva considerarsi quindi “zona bianca”, sulla quale, stante i noti stringenti limiti di edificabilità che caratterizzano tali zone, non era certo possibile realizzare una struttura ricettiva.

Del tutto indimostrate sono poi le allegazioni della stessa parte ricorrente, la quale sostiene che la destinazione a scuola fosse una destinazione di massima, per tale ragione, non vincolante.

Invero, nessun elemento dimostra che il pianificatore comunale avesse realmente tale proposito. Neppure la comparazione con altri ambiti (il riferimento è alla documentazione depositata in giudizio dalla ricorrente in data 21 luglio 2014) può ritenersi decisiva, atteso che l’autorizzazione a realizzare presso tali ambiti - anch’essi destinati a scuola elementare dal p.r.g. del 1971 - interventi diversi dalle scuole può essere dipesa da una pluralità di fattori che in questa sede non possono essere adeguatamente apprezzati e che, comunque, l’eventuale errore commesso dal Comune in quelle occasioni non può certo giustificare l’errore che si sarebbe commesso nell’autorizzare la realizzazione di una struttura alberghiera sul terreno dell’interessata.

Da tutto ciò consegue che la ricorrente non ha subito alcun reale danno dal provvedimento impugnato e che, quindi, la domanda risarcitoria non può che essere respinta.

In conclusione, il ricorso deve essere accolto con riferimento alla domanda di annullamento, mentre va respinta la domanda risarcitoria

La soccombenza reciproca induce il collegio a disporre la compensazione integrale delle spese di giudizio, compreso il compenso del verificatore che verrà liquidato con separato decreto.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte in parte nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e lo respinge per il resto.

Compensa integralmente fra le parti le spese di giudizio, comprese le competenze del verificatore che verranno liquidate con separato decreto.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 16 ottobre 2014 con l'intervento dei magistrati:

Riccardo Savoia, Presidente

Stefano Celeste Cozzi, Primo Referendario, Estensore

Alberto Di Mario, Primo Referendario

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 06/11/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)