TAR Campania (NA) Sez. III n.3206 del 22 giugno 2016
Urbanistica.Cambio di destinazione d’uso tra categorie d’uso funzionalmente autonome e non omogenee

L’art. 23-ter d.p.r. 380/2001 - inserito nel testo unico dell’edilizia, dall'articolo 17, comma 1, lett. n), del D.L. n. 133 del 2014, convertito con modificazioni dalla Legge n. 164 del 2014 - chiarisce che l’utilizzo di un immobile da categoria funzionale “produttiva e direzionale” (comma 1, lett. b) a “commerciale” (comma 1, lett. c) rientra tra i casi in cui, “Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, si verifica un “mutamento rilevante della destinazione d'uso … dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie”. Il legislatore statale ha quindi escluso, e non poteva essere diversamente, carattere di omogeneità tra la destinazione commerciale e quella industriale produttiva di un immobile, considerate categorie funzionali tra loro diverse e non assimilabili a fronte delle evidenti diverse implicazioni in termini di carichi urbanistici ed impatto complessivo sul territorio.

N. 03206/2016 REG.PROV.COLL.

N. 05711/2015 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Società cooperativa a r.l. al Risparmio di Santa Maria Capua Vetere (di seguito: Cooperativa al Risparmio) in persona dell'amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Felice Laudadio ed elettivamente domiciliato in Napoli alla via F. Caracciolo, n 15;

contro

Comune di Santa Maria Capua Vetere, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Pasquale Iannuccilli col quale elegge domicilio, in Napoli, via Cuma n. 28, Borgo Santa Lucia presso lo studio dell'avv. Sbrescia;

per l'annullamento:

del provvedimento del dirigente SUAP n. 0025255 del 31 agosto 2015;

di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguenziale, comunque lesivo dei diritti della Società ricorrente.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Santa Maria Capua Vetere;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 marzo 2016 il dott. Gianmario Palliggiano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1.- La società ricorrente è affittuaria di un capannone industriale facente parte del complesso industriale Italtel (ex Siemens) insistente in un’area di oltre 200mi1a metri quadri, di proprietà della Biel Company s.r.l., situata nel comune di Santa Maria Capua Vetere alla via Appia, località Cappuccinelle.

Secondo il vigente Piano Regolatore Generale (PRG) comunale, l’area è classificata omogenea “D”, a destinazione industriale; sulla stessa insistono infatti diversi capannoni costruiti a partire dagli anni ’50, anche in deroga alle norme urbanistiche comunali e legislative, a fronte dell'importanza dell’attività industriale ivi svolta.

A seguito della dismissione dell'attività industriale, la società proprietaria e i suoi affittuari hanno presentato una molteplicità di SCIA, concernenti ciascuna singoli capannoni industriali o parti di essi, ma non l'intero insediamento.

In questo contesto, la Cooperativa al Risparmio in data 6 maggio 2015 presentava SCIA, all'Ufficio Tecnico del comune di Santa Maria Capua Vetere, per lavori destinati all'apertura di una media struttura commerciale all’interno di uno dei suddetti capannoni a destinazione industriale.

Con nota n. 16353 del 3 giugno 2015, l'Ufficio tecnico di Santa Maria Capua Vetere esprimeva il proprio preavviso di diniego, ai sensi dell’art 10-bis L. 241/1990, col significato di ritenere irricevibile la SCIA.

Alla nota del 3 giugno 2015, la Cooperativa ricorrente, in data 16 luglio 2015, aveva inviato le proprie controdeduzioni, alle quali il comune ha risposto con il provvedimento n. 0025255 del 31 agosto 2015 del dirigente SUAP contenente la dichiarazione di irricevibilità della SCIA.

2.- La ricorrente Cooperativa al Risparmio ha impugnato il menzionato provvedimento n. 0025255/2015 con l’odierno ricorso, notificato il 29 ottobre 2015 e depositato il successivo 23 novembre.

Affida il ricorso ad una serie di censure che di seguito si esporranno nel dettaglio.

Resiste in giudizio il comune di Santa Maria Capua Vetere che, con memoria di costituzione depositata il 30 novembre 2015 e con memoria difensiva depositata il 19 febbraio 2016, ha chiesto il rigetto del ricorso.

Alla pubblica udienza del 22 marzo 2016, la causa è stata trattenuta per la decisione Il ricorso è infondato

DIRITTO

1.- La società ricorrente formula i seguenti motivi di censura.

1) Violazione dell’art. 10-bis L. n. 241/1990; violazione del giusto procedimento, eccesso di potere per inesistenza dei presupposti, omessa istruttoria, sviamento.

La ricorrente contesta la veridicità dell’affermazione relativa alla mancata produzione della documentazione indicata nel preavviso di diniego.

2) Violazione dell’art. 6, comma 2, d. lgs. n. 114 del 1998; violazione Legge reg. n. 1 del 2000; violazione legge reg. n. 1 del 2014; eccesso di potere.

Ad avviso della cooperativa ricorrente non avrebbe fondamento l’assunto dell’amministrazione comunale secondo cui sarebbe preclusa, sulla base del PRG vigente, l’allocazione di una media struttura commerciale in zona omogenea D.

Richiama al riguardo la delibera di giunta municipale n. 444 del 27 novembre 2008 - avente ad oggetto “insediamenti commerciali in zona D del PRG vigente” - secondo cui “per le zone ‘D’ del PRG vigente (colore senape), la previsione di insediamenti commerciali al dettaglio rappresenta un mero adeguamento dello stesso, senza dover quindi attivare un procedimento di variante urbanistica, stante la conformità tra P.R.G. e S.I.A.D., in attuazione del principio di sostanziale eguaglianza od assimilazione tra funzione produttiva e commerciale”.

3) Violazione del S.I.A.D.; violazione della legge Regionale Campania n. 1 del 2000 e dell’art. 15, comma 1, Legge regionale Campania n. 1 del 2014; dell’art. 23-ter d.p.r. n. 380 del 2001.

L’intervento oggetto dell’odierna controversia investe una struttura inferiore a mq 8.000.

Il S.I.A.D. per le strutture presenti nella zona D esistente legittima l’allocazione di strutture commerciali in edifici aventi destinazione industriale; ciò renderebbe ininfluenti le previsioni dell’art. 23-ter del d.p.r.380 del 2001, posto che le norme della pianificazione urbanistico-commerciale contenute nel richiamato S.I.A.D. consentirebbero, com’è già accaduto nell’ambito del medesimo comune resistente, di allocare le medie strutture di vendita in zona D del vigente PRG.

Il provvedimento impugnato violerebbe inoltre le previsioni del SIAD e dell’art. 15, comma 1, legge regionale n. 1 del 9 gennaio 2014, secondo cui “l’insediamento degli esercizi di vicinato è ammesso in tutte le zone territoriali omogenee comunali, ad eccezione di quelle per le quali lo strumento urbanistico generale espressamente ne vieta la realizzazione”

L’esame delle Norme di Attuazione dello strumento urbanistico vigente lascia intendere che l’intervento richiesto dalla ricorrente non sarebbe vietato in alcuna delle zone omogenee “A”, “B”, “C”, “D”.

4) Violazione della Legge regionale n. 1 del 2000 e n. 1 del 2014; violazione del d.p.r. 380 del 2001 e della legge regionale n. 16 del 2001; eccesso di potere per inesistenza dei presupposti.

La società ricorrente contesta l’ulteriore rilievo relativo alla necessità di approvare preventivamente un Piano urbanistico attuativo per assentire la S.C.I.A., essendo tale Piano richiesto per interventi superiori a mq 10.000 mq laddove quello da realizzare prevede uno sviluppo non superiore a mq 8.000.

 

Il ricorso non può essere accolto, stante l’infondatezza dei dedotti motivi di censura.

2.- Non fondato è il primo motivo di ricorso, col quale la ricorrente contesta la violazione dell'art.10 bis l. n. 241/1990 nonché la violazione del giusto procedimento, l’eccesso e lo sviamento di potere per omessa istruttoria ed inesistenza dei presupposti

In disparte ogni considerazione, che verrà sviluppata nel prosieguo dell’esame delle altre censure, in ordine all’applicabilità nel caso di specie della S.C.I.A., quale titolo edilizio abilitante l’intervento che si vorrebbe realizzare, la Cooperativa ricorrente, in data 16 luglio 2015, aveva comunicato le proprie controdeduzioni all'invito partecipativo formulato dal comune con la nota dell'UTC del 3 giugno 2015.

Con tale nota - avverso la quale la ricorrente aveva anche notificato ricorso davanti a questo Tar (R.G. n. 4144 del 2015) - l’amministrazione comunale rilevava la non completezza della documentazione di corredo alla S.C.I.A. e, pertanto, la legittimità del diniego e della dichiarazione di irricevibilità della stessa a fronte di tre aspetti essenziali:

a) mancato invio di documentazione necessaria alla formazione del silenzio significativo e non suscettibilità, in conseguenza dell’incompletezza della SCIA, di dare inizio al relativo procedimento;

b) rilevanza essenziale, in termini di assorbimento della problematica urbanistica, secondo cui - al di là delle deliberazioni degli organi elettivi comunali - non solo è necessario rispettare gli standards urbanistici con riferimento non solo alla zona "D" industriale in sé ma anche alle strutture commerciali insistenti su aree superiori a 8000 mq;

c) Violazione dell'art 23 T.U. DPR. 380/01 sul cambio di destinazione rilevante.

Secondo quanto chiarito dall’amministrazione comunale, la documentazione richiesta, che avrebbe necessariamente dovuto integrare la S.C.I.A. ai fini del suo completo esame, non è stata trasmessa neanche il 12 giugno 2015.

Non si sono pertanto realizzati i presupposti perché la S.C.I.A. potesse essere considerata ricevibile, posto che la società cooperativa ricorrente, in sostanza, non ha assolto l'onere di corredare la segnalazione di tutti gli elementi istruttori utili per le verifiche che l’amministrazione comunale avrebbe dovuto compiere secondo la disciplina legislativa e regolamentare vigente.

I documenti dei quali il Comune aveva rilevato la mancanza, con il rilievo della conseguente inammissibilità della S.C.I.A., sono quelli indicati nel provvedimento del 3 giugno 2015 prot. n.16353 confermato espressamente da quello impugnato.

3.- Per ragioni di sostanziale omogeneità nei contenuti, il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso possono ricevere un esame congiunto.

3.1.- La ricorrente sostiene che l’amministrazione comunale, con il proprio diniego, avrebbe violato il d. lgs. n. 114/1998, in particolare l’art. 6, comma 2; nonché le leggi regionali Campania n. 1 del 2000 e n. 1 del 2014.

Assume, in sintesi, che il SIAD adottato in adeguamento prevarrebbe sulle Norme tecniche di attuazione del PRG comunale, ciò in virtù dei richiamati art.6, comma 2, d. lgs. n. 114 del 1998 e delle leggi regionali n 1 del 2000 e n. 1 del 2014, disciplinanti le attività commerciali.

3.2.- L’assunto non ha fondamento.

Per un’esatta comprensione del tema controverso va preliminarmente chiarito che, secondo i regolamenti comunali, il capannone industriale oggetto della S.C.I.A. è parte di un unico complesso industriale che insiste su di un lotto inserito nell’area "D" industriale di oltre 200mi1a metri quadri.

Il relativo lotto, sulla base delle indicazioni fornite dall’amministrazione comunale, è unico e non è mai stato oggetto di frazionamento né oggetto di urbanizzazione per insediamenti commerciali. Benché non più attivo, il complesso industriale è dunque nello stato originario.

Come chiarito dall’amministrazione comunale, il complesso si era sviluppato, già dagli anni '50, con una serie di permessi in deroga in virtù dell'utilità e dell’importanza strategica dell'insediamento industriale per l'economia non solo locale ma della stessa Regione.

D'altronde, ai fini della preservazione dell’originaria vocazione dell'area a destinazione industriale milita anche la deliberazione n. 17 del 14 Maggio del 2014 con la quale il Consiglio comunale di Santa Maria Capua Vetere, con particolare riferimento alla salvaguardia dei lavoratori già impegnati in quell'area, ha tra l'altro statuito che " L'area ex Finmec ( già Italtel), oggi assegnata a destinazione urbanistica industriale deve rimanere esclusivamente tale e salvaguardata da interessi speculativi nel redigendo PUC".

Peraltro, con la precedente delibera n. 29 del 15 maggio 2012, relativa al Piano Casa, benché sia anche richiamata dalla stessa società ricorrente a sostegno delle sue tesi, il consiglio comunale aveva statuito di tutelare la vocazione produttiva industriale dell'area ex Siemens con la chiara esclusione di utilizzare la suddetta area industriale agli eventuali fini dell'applicazione della legge regionale sul Piano Casa.

Non va peraltro dimenticato che, negli atti susseguitisi nel corso degli anni, il lotto interessato ha da sempre ricevuto una classificazione catastale assolutamente unitaria; non a caso, il complesso industriale in esso insistente ha un unico ingresso ed è privo di viabilità nonché di tutte le opere primarie e secondarie, le quali si presentano indispensabili laddove si intenda mutare la vocazione industriale dell’area a vantaggio di quella commerciale o residenziale che sarebbe potenzialmente fruibile da un diverso ed elevato numero di persone.

3.3.- Su questo premesse, la cooperativa ricorrente, nell’avanzare la S.C.I.A. allo scopo di ristrutturare uno dei sei capannoni del complesso industriale ed a tal fine aprire una media attività commerciale di vendita, ha del tutto trascurato le notevoli implicazioni urbanistiche derivanti dall’originaria destinazione industriale del complesso.

L’area è infatti sottoposta alla disciplina dell’art. 28 delle Norme tecniche di attuazione del Piano Regolatore vigente secondo cui "Le zone industriali D e D-PIP sono riservate esclusivamente a edifici e impianti di carattere industriale e artigianali ed attrezzature mercantili, magazzini all'ingrosso, capannoni e simili, con esclusione di quelle attività che dovessero per qualsiasi ragione recare molestia ed essere comunque pregiudizievoli alle residenze vicine”.

Per superare questo aspetto, la ricorrente fa leva sul S.I.A.D. del Comune di Santa Maria Capua Vetere le cui previsioni, a suo avviso, renderebbero compatibile in via automatica le attività commerciali anche in un’area industriale, qual è quella in esame, superando quindi il contrasto con le previsioni del PRG vigente, benché quest’ultimo non abbia subito alcuna variante ad opera del S.I.A.D. medesimo.

3.4.- La tesi non è condivisibile.

L’assunto della Cooperativa ricorrente, secondo cui il SIAD adottato dall’amministrazione comunale di Santa Maria Capua Vetere avrebbe automaticamente modificato la zonizzazione industriale dell'area in commerciale, laddove corretto, produrrebbe un oggettivo sbilanciamento dei parametri, in termini di indici e standards, sui quali si fonda il PRG.

Giova ricordare che tali parametri, riguardo allo specifico strumento urbanistico comunale di Santa Maria Capua Vetere, divergono profondamente a seconda che si abbia a riferimento zone a destinazione industriale ovvero commerciale.

Non potrebbe essere diversamente ove si consideri che l’automatica assimilazione delle attività commerciali a quelle industriali, senza una previa regolamentazione dell’assetto urbanistico della zona interessata, avrebbe come risultato lo stravolgimento dell’equilibrio individuato proprio con l’atto di programmazione e di governo del territorio comunale.

Devono infatti considerarsi i seguenti elementi di difformità:

- standard diversi ed indici edificatori più alti degli immobili commerciali rispetto a quelli industriali;

- possibilità, prevista dall'art 28 NTA, di costruire dipendenze annesse alle attività industriali e artigianali, con la conseguenza che l’equiparazione delle attività commerciali a quelle industriali, senza una regolamentazione urbanistica delle attività commerciali in zona "D" industriale, implicherebbe, quindi, anche la residenzialità della detta zona, considerando che - per ogni attività commerciale – sarebbe consentita anche la costruzione di un appartamento del custode e del proprietario nonché un servizio di ristorazione o mensa per gli avventori del supermercato ovvero di altro negozio di vicinato o di diversa dimensione.

3.5.- Parte ricorrente, a supporto delle sue tesi, richiama la delibera di Giunta comunale n. 444 del 27 novembre 2008 nel punto in cui precisa che il S.I.A.D. del Comune di Santa Maria Capua Vetere, per le zone “D” del PRG vigente (colore senape) è stato adottato in mero adeguamento.

L’assunto non è condivisibile.

In primo luogo, il PRG del comune di Santa Maria Capua Vetere esclude la possibilità di insediare attività diverse da quelle industriali e artigianali nelle aree "D"; conferma questa impossibilità, la previsione contenuta nell'art. 24 delle NTA al PRG che regolamenta in via distinta le aree commerciali rispetto a quelle industriali, circostanza chiarita in modo esplicito anche nel provvedimento impugnato.

Non va poi trascurato che la delibera di Giunta Regionale n. 349 del 19 marzo 2005 – relativa, per l’appunto, al visto di conformità del S.I.A.D. del Comune di Santa Maria Capua Vetere – nella parte dispositiva chiarisce in modo espresso che: “gli insediamenti di attività commerciali, ricadenti su aree non conformi agli strumenti urbanistici vigenti, saranno possibili o attraverso i procedimenti di variante così come previsto dalla normativa vigente o in presenza di nuova pianificazione urbanistica....”.

Tra i motivi ostativi all’ammissibilità della S.C.I.A., l’amministrazione comunale rileva la circostanza del cambio di destinazione, rilevante ai sensi dell'art. 23-ter DPR 380/2001, tale per cui sarebbe doveroso il ricorso alla diversa procedura del permesso a costruire.

Il rilievo dell’amministrazione comunale appare condivisibile.

L’art. 23-ter d.p.r. 380/2001 - inserito nel testo unico dell’edilizia, dall'articolo 17, comma 1, lett. n), del D.L. n. 133 del 2014, convertito con modificazioni dalla Legge n. 164 del 2014 - chiarisce che l’utilizzo di un immobile da categoria funzionale “produttiva e direzionale” (comma 1, lett. b) a “commerciale” (comma 1, lett. c) rientra tra i casi in cui, “Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, si verifica un “mutamento rilevante della destinazione d'uso … dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie”.

Il legislatore statale ha quindi escluso, e non poteva essere diversamente, carattere di omogeneità tra la destinazione commerciale e quella industriale produttiva di un immobile, considerate categorie funzionali tra loro diverse e non assimilabili a fronte delle evidenti diverse implicazioni in termini di carichi urbanistici ed impatto complessivo sul territorio.

E’ sufficiente considerare - a tacere delle inevitabili modificazioni in termini di volumi, superfici e prospetti - che il cambio di destinazione, da capannone industriale ad immobile commerciale, richiesto dalla Cooperativa al risparmio, imponga di norma la ristrutturazione ed il frazionamento dei preesistenti locali, con aumento del loro numero e conseguenti ricadute sull’assetto urbanistico locale.

Ne consegue che, in virtù delle previsioni di cui agli articoli 10 e 22 menzionato d.p.r. n. 380/2001, trattandosi di cambio di destinazione d’uso che incide sul carico urbanistico, si rende necessario quale titolo autorizzatorio il permesso di costruire.

Come chiarito infatti da condivisibile giurisprudenza, anche della Suprema corte di Cassazione, solo il cambio di destinazione d'uso fra categorie edilizie omogenee non necessita di permesso di costruire (in quanto non incide sul carico urbanistico), mentre, allorché intervenga tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee, integra una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico, con conseguente assoggettamento al regime del permesso di costruire, indipendentemente dall'esecuzione di opere (in questo senso, ex multis, Cass. pen., Sez. III, 24 giugno 2014, n. 39897; cfr. anche, T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, 4 aprile 2012, n. 3096)

4.- La cooperativa ricorrente argomenta circa l’errore in cui sarebbe incorsa l’amministrazione comunale nell’interpretare ed applicare le norme di cui all’art. 6, comma 2, d. lgs. n. 114 del 1998, insieme alle prescrizioni di cui alle leggi regionali n. 1 del 2000 e n. 1 del 2014.

Sul punto, in tema di disciplina normativa delle attività commerciali e, segnatamente, circa i rapporti, da un lato, tra le richiamate legislazioni nazionale e regionale e, dall’altro, tra SIAD ed atti di programmazione urbanistica comunale, il Collegio ritiene utile ed esaustivo fare rinvio a quanto di recente precisato da questa stessa Sezione con la sentenza 10 agosto 2015, n. 4227.

Con tale sentenza, in sintesi, la Sezione ha chiarito che, se è vero che la legislazione nazionale e regionale assecondino il tendenziale processo di liberalizzazione delle attività commerciali, come auspicato dalla normativa dell’Unione, le prescrizioni contenute nei piani di programmazione urbanistici, in ragione del fondamentale interesse pubblico che gli stessi intendono tutelare circa il corretto e razionale uso del territorio comunale, impediscono di attribuire prevalenza alle previsioni del S.I.A.D. laddove queste risultino non compatibili con quelle degli stessi piani.

Questo perché, le previsioni di un piano commerciale devono avvenire ed attuarsi in conformità e comunque in coerenza con le scelte di pianificazione territoriale contenute nello strumento urbanistico, incluse quelle relative al commercio; ne consegue che la disciplina urbanistica deve sempre ricevere considerazione prioritaria anche nel caso in cui si tratti di valutare l'ammissibilità di un'attività commerciale.

Appare quindi legittimo l'operato dell’amministrazione comunale che ha posto in evidenza una serie di limitazioni in relazione sia alla mancata urbanizzazione dell'area sia all’inosservanza degli indici e degli standard la cui presenza avrebbe potuto consentire, in concreto, il cambio di destinazione da industriale a commerciale.

Correttamente l’amministrazione comunale osserva che tale cambio di destinazione in alcun modo può ritenersi automatico solo ove si considerino i riflessi sull’ammontare degli oneri di urbanizzazione conseguenti alla maggiorazione del carico urbanistico, ciò anche a prescindere da eventuali aumenti plano-volumetrici.

5.- Non condivisibile è anche l’assunto della ricorrente secondo cui non vi sarebbe stato alcun aumento di volumetria dei capannoni originari, posto che tale assunto trascura di considerare che la questione deve basarsi sugli indici previsti in astratto per le attività commerciali dal Piano Regolatore e non quelli utilizzati in concreto, non potendosi in via plausibile escludere che, una volta consentita la destinazione commerciale dell'area, vi sia la tendenza a sfruttare per intero gli indici previsti per gli immobili commerciali.

 

6.- La ricorrente, inoltre, giustifica la legittimità della S.C.I.A. presentata rilevando il contrasto delle certificazioni urbanistiche rilasciate in relazione all’area D, su cui insiste il proprio immobile, e quelle rilasciate in merito ad altro intervento commerciale assentito in area limitrofa.

Il rilievo non può essere seguito.

In via preliminare, come chiarito dalla dominante giurisprudenza amministrativa: “Il certificato di destinazione urbanistica ha carattere meramente dichiarativo e non costitutivo degli effetti giuridici che dallo stesso risultano, atteso che la situazione giuridica attestata nel predetto certificato è la conseguenza di altri precedenti provvedimenti che hanno contribuito a determinarla.”.

La natura meramente dichiarativa del certificato urbanistico, dunque, non preclude all'amministrazione comunale, una volta accertato che la certificazione contiene un'attestazione incompleta o non veritiera, di annullare in autotutela un titolo edilizio basato su un presupposto erroneo (in questo senso, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 16 settembre 2015, n. 4553; Consiglio di Stato, Sez. IV, 26 agosto 2014 n. 4306 e 4 febbraio 2014 n. 505).

Da quanto sopra, consegue che nessun rilievo assume la circostanza che l'Amministrazione comunale abbia assentito interventi edilizi sulla base di certificati di destinazione urbanistica che non rispecchiano le prescrizioni contenute negli atti di programmazione urbanistica.

7.- Parte ricorrente formula un rilievo in merito al diverso criterio, adottato dall’amministrazione comunale, in merito all’utilizzo dell'area, in origine anch'essa industriale, nella quale insisteva l'ex Tabacchificio. In merito a questa fattispecie, si osserva che, nella predetta area, le attività edilizie sono state assentite in virtù del permesso a costruire n. 55 dell’11 aprile 2009, rilasciato in adesione ad un progetto contenente la chiara definizione dei fabbricati, degli standard e, non ultimo, della viabilità di accesso ai vari corpi di fabbrica.

In altri termini, proprio il rilascio del permesso di costruire dimostra che l’amministrazione comunale ha preventivamente valutato tutte le ricadute urbanistiche essenziali, in termini di standard e delle necessarie opere di urbanizzazioni primarie e secondarie da sviluppare.

Nel caso in esame, invece, gli interventi risultano frammentari tra di loro, sebbene inclusi all’interno di un unico lotto, ragion per cui appare del tutto condivisibile il rilievo dell’amministrazione comunale secondo cui il risultato edilizio sui singoli corpi di fabbrica avrebbero potuto, ove ammissibile, assicurare il solo rispetto delle volumetrie non anche degli altri indeclinabili aspetti urbanistici essenziali, ciò in evidente contrasto con l'art. 5 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 nonché con la Legge Regionale Campania n. 1 del 2014, a tacere delle implicazioni negativi in termini di prescrizioni sanitarie ed ambientali.

8.- Per quanto sopra il ricorso va respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono determinate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna la società ricorrente al pagamento, in favore del comune di Santa Maria Capua Vetere, delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi € 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2016 con l'intervento dei magistrati:

 

Fabio Donadono, Presidente

Gianmario Palliggiano, Consigliere, Estensore

Giuseppe Esposito, Consigliere

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 22/06/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)