TAR Lombardia (BS) Sez. I n. 520 del 29 maggio 2018
Urbanistica.Misure ripristinatorie  e diversità soggettiva tra il responsabile dell’abuso e l’attuale proprietario

In tema di violazioni urbanistiche non può ritenersi che, ferma restando la doverosità della misura ripristinatoria, la diversità soggettiva fra il responsabile dell’abuso e l’attuale proprietario imponga all’amministrazione un peculiare ed aggiuntivo onere motivazionale. Ed infatti il carattere reale dell’abuso e la stretta doverosità delle sue conseguenze non consentono di valorizzare ai fini motivazionali la richiamata alterità soggettiva (la quale può – al contrario – rilevare a fini diversi da quelli della misura ripristinatoria, come nelle ipotesi del riparto delle responsabilità fra il responsabile dell’abuso e il suo avente causa). In altri termini, le vicende di natura civilistica, aventi per oggetto la titolarità di un bene, non incidono sul doveroso esercizio del potere, conseguente alla violazione delle regole urbanistiche ed edilizie.

Pubblicato il 29/05/2018

N. 00520/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00528/2016 REG.RIC.

N. 01422/2016 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 528 del 2016, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avv.to Fabio Torri, con domicilio “digitale” corrispondente alla PEC indicata nell’atto introduttivo, e domicilio “fisico” ex lege presso la Segreteria della Sezione in Brescia, Via Zima n. 3;

contro

Comune di Grone, rappresentato e difeso dall’avv.to Federica Giazzi, con domicilio “digitale” corrispondente alla PEC indicata nell’atto introduttivo, e domicilio “fisico” presso il suo studio in Brescia, Via XX Settembre n. 66;


sul ricorso numero di registro generale 1422 del 2016, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avv.to Fabio Torri, con domicilio “digitale” corrispondente alla PEC indicata nell’atto introduttivo, e domicilio “fisico” ex lege presso la Segreteria della Sezione in Brescia, Via Zima n. 3;

contro

Comune di Grone, rappresentato e difeso dall’avv.to Federica Giazzi, con domicilio “digitale” corrispondente alla PEC indicata nell’atto introduttivo, e domicilio “fisico” presso il suo studio in Brescia, Via XX Settembre n. 66;

per l'annullamento

quanto al ricorso n. 528 del 2016:

- DELL’ORDINANZA DEL RESPONSABILE DELL’UFFICIO TECNICO N. 3 DEL 3/3/2016, CON LA QUALE È STATA INGIUNTA LA DEMOLIZIONE DI UN’AUTORIMESSA IN CEMENTO ARMATO, CON DUE BASCULANTI METALLICHE, REALIZZATA A MARGINE DELLA STRADA VICINALE DEI -OMISSIS- (MAPPALE N. 1964);

- DI OGNI ALTRO ATTO PREMESSO, CONSEQUENZIALE E CONNESSO.

quanto al ricorso n. 1422 del 2016:

- DEL PROVVEDIMENTO DEL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO IN DATA 19/10/2016, DI CONFERMA DELL’ORDINANZA N. 3/2016, DI DEMOLIZIONE DEL FABBRICATO ABUSIVO AD USO AUTORIMESSA;

- DI OGNI ALTRO ATTO PREMESSO, CONSEQUENZIALE E CONNESSO.


Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Grone e di Comune di Grone;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 maggio 2018 il dott. Stefano Tenca e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

A. Riferisce la ricorrente di essere proprietaria – in virtù di atto notarile del 15/12/2010 – di un fabbricato ad uso abitativo e della pertinente autorimessa, rispettivamente identificati al Catasto Fabbricati al -OMISSIS-.

B. Puntualizza in punto di fatto che, dall’analisi dell’atto di provenienza (rogito del Notaio -OMISSIS- del 19/9/1961 – doc. 3), l’unità immobiliare risultava costituita da un edificio rurale di 340 m² e da un ulteriore manufatto di 20 m² allocato proprio sul mappale 1964. Peraltro, entrambe le costruzioni sono indicate nella loro consistenza e ubicazione in una mappa catastale del 1903 (allegato n. 4).

C. Con licenza edilizia 26/3/1970 n. 13 (doc. 5), l’intimato Comune assentiva un intervento di ristrutturazione dell’immobile principale, e nel novembre 1976 rilasciava il certificato di abitabilità (all. 6). Il manufatto pertinenziale ubicato sul mappale 1964 – oggetto della contestata intimazione a demolire – è riportato nella scheda catastale del 15/1/1986 (doc. 7).

D. Durante un sopralluogo, compiuto il 19/1/2016 nell’ambito di un’istanza della parte ricorrente per il riutilizzo di una strada vicinale limitrofa, l’amministrazione accertava in loco alcune opere non assistite dal titolo abilitativo, ed attivava il procedimento per la loro rimozione (doc. 8).

E. Con l’atto impugnato, reso dopo aver attivato il contraddittorio procedimentale, il Responsabile dell’Ufficio Tecnico ha ingiunto alla ricorrente la demolizione di un’autorimessa in cemento armato (metri 6,30 x5,60 x 2,10) dotata di due basculanti metalliche, realizzata appunto sul mappale n. 1964 a margine della strada vicinale dei -OMISSIS-. Il provvedimento è stato emesso ai sensi dell’art. 27 del DPR 6/6/2001 n. 380, in quanto non è mai stato rilasciato un atto autorizzativo riguardante l’autorimessa, a differenza di quanto è avvenuto per l’edificio residenziale (ex mappale n. 1146, attuale mappale n. 4516), situato dall’altra parte della strada vicinale e realizzato sulla base della licenza edilizia n. 13 del 26/3/1970. Nell’atto repressivo si precisa che la visura catastale storica acquisita dagli uffici comunali ha individuato nel sito dell’autorimessa un fabbricato rurale di dimensioni considerevolmente inferiori (23 mq), rispetto a quanto riscontrato in sede di sopralluogo il 7/1/2016. Inoltre, l’area interessata risulta assoggettata a vincolo idrogeologico ai sensi della L.r. 5/12/2008 n. 31.

F. Con gravame ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione, la ricorrente impugna l’ordinanza in epigrafe, deducendo i seguenti motivi in diritto:

a) Violazione e falsa applicazione dell’art. 27 del D.P.R. 380/2001, eccesso di potere per carenza di motivazione e travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, lesione del principio dell’affidamento generato da precedenti atti, in quanto:

• la ricorrente ha fornito plurimi elementi a sostegno dell’esistenza del fabbricato in epoca anteriore al 1967;

• nell’atto di provenienza del 1961 il manufatto eretto sul mappale n. 1964 (di 20 m²) costituisce oggetto di compravendita;

• il medesimo viene rappresentato in una mappa catastale dell’anno 1903;

• nella planimetria di cantiere relativa all’intervento oggetto della licenza edilizia n. 13/1970, si rinvengono i collegamenti dell’impianto elettrico e di riscaldamento al manufatto contestato e alla cantina (all. 11);

• il certificato di abitabilità del 1976 attesta l’esistenza di “2 Locali destinati ad altro uso” e dunque afferma la legittimità dell’intervento;

• in una fotografia del 1973 (all. 12) l’autorimessa risulta esistente nelle attuali dimensioni;

• l’amministrazione, seppur in relazione ad altra vicenda, ha dato atto di interventi sulla limitrofa strada vicinale realizzati, unitamente alla ricostruzione del fabbricato del 1970, dalla Società immobiliare -OMISSIS-, all’epoca proprietaria degli immobili posti a monte e a valle della strada (comprendenti dunque l’autorimessa);

• nella scheda catastale del 1986, l’autorimessa compare con la consistenza e con le dimensioni attuali;

• in definitiva, il manufatto esisteva nell’anno 1961, se non addirittura nel 1903, anche se non si possono escludere modifiche nel periodo precedente il 1967, e in ogni caso l’autorimessa risultava esistente nell’attuale sagoma, dimensione e destinazione in occasione della sistemazione dell’edificio principale, autorizzata con licenza n. 13/1970;

• per le costruzioni realizzate prima del 1967 al di fuori del centro abitato, non era necessaria la licenza edilizia, e nelle situazioni dubbie deve essere valorizzato il principio di prova offerto dall’interessato ove l’amministrazione non abbia offerto argomenti contrari di maggiore spessore o verosimiglianza;

• quanto al vincolo idrogeologico, non viene indicato il periodo di cogenza e in ogni caso dallo stesso non deriva un divieto assoluto di edificabilità;

• il R.D. 3267/1923 e il R.D. 1126/1926 hanno trovato attuazione solo con la L.r. Lombardia n. 8/1976 e dunque in epoca successiva al rilascio della licenza edilizia e dell’attestato di abitabilità sul fabbricato principale; in ogni caso i lavori di sistemazione del fabbricato pertinenziale non hanno comportato alcuna trasformazione dei luoghi o rilevanti movimentazioni di terreno mediante sbancamenti o scavi;

b) Violazione di legge ed eccesso di potere per il lungo lasso temporale decorso e per l’assenza di una motivazione sulla sussistenza dell’interesse pubblico all’eliminazione del presunto abuso – di lieve entità – nonché sul fatto che la ricorrente, attuale proprietaria, non è responsabile dell’illecito, avendo acquistato l’immobile nel 2010 e trovandosi in uno stato di buona fede; in ogni caso, l’ampio periodo trascorso (46 anni dall’intervento autorizzato nel 1970 e 30 anni dalla rappresentazione dell’autorimessa nella scheda catastale del 1986) ha generato una posizione di affidamento in capo al privato, che deve essere oggetto di bilanciamento con le esigenze pubblicistiche.

G. Si è costituita in giudizio l’amministrazione, chiedendo il rigetto del gravame. In punto di fatto rappresenta che:

- l’autorimessa è separata dal fabbricato principale da una strada di pubblico passaggio (cd. “Dei -OMISSIS-”) e ha l’accesso carraio diretto su quest’ultima, posto che le pareti giungono fino al ciglio (doc. 2);

- l’autorimessa, alla luce dell’accertamento effettuato nel sopralluogo del 7/1/2016, ha conformazione, sedime e dimensioni diversi rispetto alla scheda catastale del fabbricato rurale del mappale n. 1964, passando da 23 m² e 35,28 m² in assenza di un titolo abilitativo edilizio legittimante (cfr. raffronto doc. 9);

- nel 1903 esisteva molto probabilmente un porcile, ma l’atto di compravendita del 1961 chiarisce che il fabbricato rurale in mappa al n. 1964 “consiste in un porcile distrutto”, e dunque non più esistente;

- prima del 1967 non insisteva in loco alcun manufatto, ed è verosimile che l’autorimessa sia stata realizzata in occasione dei lavori di sistemazione dell’abitazione nei primi anni ’70, e che non sia stato oggetto di istanza di licenza edilizia in quanto non rispettava la fascia di rispetto di 20 metri dalla strada provinciale n. 79;

- la licenza edilizia ha riguardato solo ed esclusivamente la casa di abitazione (avente superficie di 207 m² e volume di 1138 m³), e la tavola di cantiere prodotta in giudizio – che non risulta protocollata – non era inserita nella pratica di progetto;

- la dicitura “locali destinati ad altro uso”, che compare nel certificato di abitabilità, identifica superfici assentite dall’autorizzazione edilizia;

- la denuncia di nuova costruzione presentata al catasto urbano di Bergamo il 17/3/1987 non ha effetto sanante dell’irregolarità delle opere;

- la trasformazione (in ampliamento) dell’ex porcile in doppia autorimessa in cemento armato doveva essere accompagnata da un titolo abilitativo.

H. Con ordinanza n. 398, adottata nella Camera di consiglio del 6/6/2016, questo T.A.R. ha accolto la domanda cautelare, statuendo quanto segue:

<<(a) per quanto riguarda la data di realizzazione dell’autorimessa, la compravendita del 19 settembre 1961 documenta la presenza di un edificio rurale, qualificato come porcilaia, avente superficie pari a 0,20 are (20 mq);

(b) la medesima compravendita dichiara (ai fini fiscali) che la porcilaia era ormai distrutta. Questo peraltro non significa che i diritti edificatori utilizzati, e acquisiti al suolo, siano andati perduti. La ricostruzione dei ruderi si deve sempre ritenere ammissibile, tranne quando una specifica disposizione del piano urbanistico limiti questa facoltà (normalmente, il divieto viene applicato a edifici crollati per rovina già da molto tempo, e ormai privi di segni evidenti nel paesaggio);

(c) nello specifico, non vi erano norme urbanistiche che vietassero la ricostruzione, né vi sono elementi che facciano presumere un definitivo stato di rovina. Si deve quindi ritenere che non si sia mai interrotta la linea di presenza dell’edificio rurale;

(d) verosimilmente, la trasformazione del rudere nell’attuale autorimessa, con aumento di superficie e cambio di destinazione, è avvenuta in concomitanza con la ristrutturazione dell’edificio residenziale, o poco dopo;

(e) si tratta pertanto di un abuso storico. Relativamente a questo tipo di abusi, la rimessione in pristino è subordinata a un percorso amministrativo che deve valutare preventivamente la sussistenza di un interesse pubblico alla demolizione. Qualora un simile interesse non sia più ravvisabile, vi è la possibilità di stabilizzare e regolarizzare la situazione, con versamento di un importo pari a quello dell’accertamento di conformità ex art. 36 del DPR 380/2001 (v. TAR Brescia Sez. I 10 maggio 2016 n. 652);

(f) occorre precisare che la valutazione dell’interesse pubblico deve essere condotta in concreto, in relazione alle specificità dei singoli casi, e può comprendere anche prescrizioni o condizioni a carico del privato. La normalizzazione delle opere abusive può infatti richiedere una regolamentazione dell’uso delle stesse, in modo che la loro presenza risulti utile (o almeno non molesta) per la collettività.

6. Il provvedimento impugnato deve quindi essere sospeso per consentire al Comune di effettuare un riesame della situazione nel rispetto delle indicazioni sopra esposte, garantendo il contraddittorio con la ricorrente. Per l’adozione di un nuovo provvedimento è fissato il termine ragionevole di 90 giorni dal deposito della presente ordinanza>>.

I. In esecuzione del dictum di questo T.A.R., l’amministrazione ha riattivato il procedimento, e lo ha concluso con la conferma del provvedimento restrittivo già adottato (cfr. atto demolitorio 19/10/2016 prot. n. 3436).

L. In particolare, con la comunicazione di avvio del procedimento trasmessa alla ricorrente il 23/7/2016, il responsabile comunale ha subordinato l’annullamento in autotutela dell’intimazione a ripristinare lo stato dei luoghi a una richiesta di titolo abilitativo in sanatoria comprendente un atto unilaterale d’obbligo <<a non parcheggiare le autovetture di proprietà della stessa o in uso alla stessa e propri familiari e conviventi o degli ospiti del B&B su entrambi i lati della via “Dei -OMISSIS->>, oltre alla richiesta del nuovo passo carrabile per l’uscita dell’autorimessa sulla pubblica Via. Nelle proprie osservazioni, la ricorrente ha precisato che il garage non ostruisce il pubblico transito e che già sussiste sul tratto in questione della Via “Dei -OMISSIS-” il divieto di sosta su entrambi i lati della carreggiata in corrispondenza del manufatto, a prescindere da atti unilaterali d’obbligo. A suo avviso l’istanza sarebbe ultronea, irrilevante e del tutto contraddittoria, anche per l’impossibilità di ripercuotersi su beni e soggetti estranei alla vertenza.

M. Dopo una nuova interlocuzione nella quale le parti hanno mantenuto le rispettive posizioni, è stato emesso il provvedimento confermativo, nel quale si sottolinea la natura prescrittiva della sottoscrizione dell’atto unilaterale d’obbligo, e il suo carattere imprescindibile alla luce delle plurime segnalazioni pervenute agli uffici comunali, in data 12/9/2016, 15/9/2016, 22/9/2016, 23/9/2016 “con le quali veniva comunicata e documentata fotograficamente … l’interdizione del pubblico transito lungo il sopraccitato tratto di strada vicinale in prossimità del fabbricato abusivo a causa dell’invasione di porzione della sede stradale dell’autoveicolo di proprietà della Sig. -OMISSIS-”: quest’ultima “non parcheggia la propria autovettura all’interno dell’autorimessa come dimostrato dalle segnalazioni degli utenti” e pertanto è priva di un interesse specifico ed attuale al mantenimento della stessa, consentendo la sua eliminazione di allargare la sede stradale e di procedere alla regolamentazione di eventuali parcheggi a latere della strada.

N. Con ricorso r.g. 1422/2016 la ricorrente impugna il predetto provvedimento del 19/10/2016 deducendo le seguenti doglianze:

c) Contrasto con l’ordinanza cautelare di accoglimento di questo T.A.R. n. 398/2016, eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione, lesione del principio di proporzionalità, insussistenza di un interesse pubblico, in quanto:

- l’interesse pubblico al libero transito sulla Via -OMISSIS- è emerso solo in occasione dell’avvio del procedimento del 23/7/2016;

- i luoghi di cui si discorre si trovano all’esterno del centro abitato, lontano da strutture pubbliche, con un’affluenza e un passaggio assolutamente ridotti, e dunque è totalmente illogica la creazione di nuovi parcheggi pubblici a lato della strada;

- la Via predetta è una strada vicinale agrosilvopastorale con limiti di transito, ed è percorsa da pochissimi e qualificati utenti;

- l’autorimessa non ostacola la circolazione, come la stessa amministrazione ha riconosciuto, e il lieve restringimento della carreggiata può legittimare l’imposizione del divieto di sosta su ambo i lati;

- la nuova sanzione demolitoria viene inflitta alla ricorrente per asserite violazioni del Codice della Strada, quando sarebbe stato sufficiente introdurre o ribadire l’interdizione alla sosta su entrambi i lati, mediante installazione di apposita segnaletica;

- per la redazione dell’atto unilaterale l’esponente dovrebbe farsi carico dei relativi oneri economici, e comunque non è possibile assumere un impegno per conto di soggetti diversi, terzi e indeterminati (l’atto sarebbe inidoneo a produrre effetti nei confronti di questi ultimi);

- la condizione è abnorme e sproporzionata alla luce dei riflessi concreti, non potendo un privato assumersi l’impegno di istituire e garantire un divieto su un bene pubblico;

- il salto logico compiuto dalla resistente in occasione del riesame rivela la scarsa considerazione dell’invito racchiuso nell’ordinanza del T.A.R.;

d) Violazione dei principi di leale collaborazione, correttezza e imparzialità dell’azione amministrativa, dal momento che le esigenze pubblicistiche sono affiorate solo successivamente all’ordinanza cautelare di accoglimento, per cui l’attenzione riservata al caso solleva seri dubbi sull’oggettiva connessione tra il provvedimento e i reali bisogni della collettività;

e) Invalidità derivata dai vizi che affliggono il provvedimento presupposto.

O. Alla pubblica udienza del 9/5/2018, i due gravami sono stati chiamati per la discussione e trattenuti in decisione.

DIRITTO

I ricorsi appaiono connessi sotto il profilo soggettivo e oggettivo e pertanto – in accoglimento dell’istanza di parte ricorrente – se ne dispone la riunione, potendo essere decisi con un’unica sentenza ai sensi dell’art. 70 del Codice del processo amministrativo.

La vicenda controversa investe la legittimità dell’ordine di demolizione di un manufatto asseritamente abusivo, destinato ad autorimessa. All’esito della riedizione del potere amministrativo, l’amministrazione ha emesso un provvedimento di conferma, censurato con autonomo gravame.

Il ricorso introduttivo è infondato.

1. In punto di fatto, è condivisibile quanto affermato nell’ordinanza cautelare, per cui “la trasformazione del rudere nell’attuale autorimessa, con aumento di superficie e cambio di destinazione, è avvenuta in concomitanza con la ristrutturazione dell’edificio residenziale, o poco dopo”. Questo Collegio si allinea a quanto anticipato nella pronuncia interinale per cui – secondo un giudizio di attendibilità e verosimiglianza – non può ritenersi comprovata l’edificazione del manufatto in data anteriore al 1967.

1.1 Come hanno sottolineato i difensori delle parti in lite, l’esenzione dall’obbligo di munirsi del titolo abilitativo presuppone che un’opera sia stata edificata prima dell’1/9/1967 in area esterna al perimetro del Centro abitato, in un Comune privo di strumentazione urbanistica.

1.2 E’ assolutamente pacifico in giurisprudenza (T.A.R. Veneto, sez. II – 2/2/2017 n. 121 e l’ampia giurisprudenza citata, tra cui Consiglio di Stato, sez. V – 20/8/2013 n. 4182; T.A.R. Lazio Roma, sez. II-quater – 20/2/2017 n. 2645) che l’onere di provare – con elementi obiettivamente inconfutabili – la preesistenza rispetto ad una data di riferimento (con “ragionevole certezza”) incombe esclusivamente all’interessato, unico ad averne la disponibilità (cfr., per un’applicazione, sentenza breve di questo T.A.R. 15/5/2017 n. 640): è dunque il proprietario (o il responsabile dell'abuso) assoggettato all’ingiunzione di demolizione che ha l’onere di dimostrare il carattere risalente del manufatto della cui demolizione si tratta, con riferimento ad epoca anteriore alla c.d. Legge "ponte" n. 765 del 1967, con la quale l'obbligo di previa licenza edilizia venne esteso alle costruzioni realizzate al di fuori del perimetro del centro urbano (cfr. sentenza Sezione 26/4/2017 n. 663).

E’ stato tuttavia introdotto un temperamento secondo ragionevolezza, qualora il privato da un lato porti a sostegno della propria tesi – sulla realizzazione dell’intervento prima del 1967 – elementi non implausibili, e dall’altro il Comune fornisca argomenti incerti sulla presumibile data della realizzazione del manufatto privo di titolo edilizio (Consiglio di Stato, sez. VI – 18/7/2016 n. 3177).

1.3 Nella fattispecie, non sono stati forniti indizi degni di spessore sul carattere risalente degli interventi che il Comune ritiene abusivi. Al contrario, l’atto notarile del 1963 attesta il venir meno della porcilaia, ed è del tutto attendibile l’asserzione per cui il compimento delle basculanti metalliche è avvenuto in concomitanza con i lavori di costruzione della casa di abitazione (nell’anno 1973). Gli stessi elementi di prova addotti dalla Sig.ra -OMISSIS- acclarano tale conclusione, e in particolare la planimetria di cantiere relativa all’intervento oggetto della licenza edilizia n. 13/1970, che indica i collegamenti dell’impianto elettrico e di riscaldamento al manufatto contestato (all. 11 ricorrente -gravame r.g. 528/2016).

1.4 Se l’ordinanza ha qualificato l’opera realizzata come “abuso storico”, ravvisando la necessità di valutare preventivamente la sussistenza di un interesse pubblico alla sua demolizione, si deve tener conto dei recenti arresti di questo T.A.R. e della pronuncia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (n. 9/2017) sulla questione controversa.

1.5 Sul profilo di diritto, questa Sezione ha recentemente statuito (cfr. sentenza 12/2/2018 n. 174) che <<… la motivazione che sorregge i provvedimenti volti alla repressione degli abusi edilizi può di norma consistere nella mera constatazione della sussistenza dell'abuso, senza necessità che vengano indicate in atto le ragioni di interesse pubblico sottese alla decisione assunta.

Ciò in quanto:

- da un lato, l'interesse pubblico alla repressione degli abusi edilizi è in re ipsa

- e, da altro lato, l'autore dell'abuso e il proprietario del bene non possono vantare un legittimo affidamento al mantenimento in essere di un'opera abusiva, neppure quando la realizzazione della stessa sia risalente nel tempo, (ex plurimis, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 6 febbraio 2017 n. 299) …>>. Ha poi aggiunto questo T.A.R. che l’analisi delle problematiche relative alla correlazione tra decorso del tempo e consolidamento della situazione è stata, segnatamente in materia di legittima adottabilità di interventi ripristinatori in materia edilizia, esaminata funditus dal noto arresto giurisprudenziale integrato dalla pronunzia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 17/10/2017, la quale in conclusione ha enunciato il seguente principio di diritto: “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino”.

1.6 Quest’ultimo principio è stato evocato anche dalla sez. II dei questo T.A.R. (cfr. sentenza 16/3/2018 n. 319), richiamando altresì l’ulteriore precisazione dell’Adunanza plenaria per cui “nel caso di tardiva adozione del provvedimento di demolizione, la mera inerzia da parte dell'amministrazione nell'esercizio di un potere/dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l'edificazione sine titulo) è sin dall'origine illegittimo. Allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere "legittimo" in capo al proprietario dell'abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un'aspettativa giuridicamente qualificata”.

1.7 Colui che abbia realizzato un abuso edilizio non può dolersi del fatto che l'amministrazione, ricusando di attivare tempestivamente le prerogative di ordine repressivo di cui è attributaria, abbia al medesimo arrecato un (temporaneo) vantaggio, atteso che l'ordinamento tutela il solo affidamento incolpevole, mentre la realizzazione di un’opera abusiva si concretizza in una volontaria attività del costruttore “contra legem” (sentenza Sezione I – 22/1/2018 n. 91, che richiama Consiglio di Stato, sez. VI – 13/12/2016 n. 5256). Diversamente opinando, come soggiunto dalla stessa sentenza dell’Adunanza plenaria già citata n. 9/2017, si verrebbe a “connettere al decorso del tempo e all’inerzia dell’amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare il grave fenomeno dell’abusivismo edilizio, ovvero [a]legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta – e inammissibile – forma di sanatoria automatica o praeter legem”.

1.8 Come già accennato, il carattere reale della misura ripristinatoria della demolizione e la sua precipua finalizzazione al ripristino di valori di primario rilievo non si pongono in modo peculiare nelle ipotesi in cui il proprietario non sia responsabile dell’abuso. Come ha sostenuto il Consiglio di Stato (sez. VI – 6/4/2018 n. 2134) <<Non può infatti ritenersi che, ferma restando la doverosità della misura ripristinatoria, la diversità soggettiva fra il responsabile dell’abuso e l’attuale proprietario imponga all’amministrazione un peculiare ed aggiuntivo onere motivazionale. Ed infatti il carattere reale dell’abuso e la stretta doverosità delle sue conseguenze non consentono di valorizzare ai fini motivazionali la richiamata alterità soggettiva (la quale può – al contrario – rilevare a fini diversi da quelli della misura ripristinatoria, come nelle ipotesi del riparto delle responsabilità fra il responsabile dell’abuso e il suo avente causa). In altri termini, le vicende di natura civilistica, aventi per oggetto la titolarità di un bene, non incidono sul doveroso esercizio del potere, conseguente alla violazione delle regole urbanistiche ed edilizie.>>.

2. Anche prestando adesione al percorso indicato da questo T.A.R., valorizzando il contenuto dell’impulso cautelare che ha provocato la riedizione del potere amministrativo, il gravame r.g. 1422/2016 si rivela infondato. L’ordinanza di accoglimento n. 398/2016 precisava infatti che “la valutazione dell’interesse pubblico deve essere condotta in concreto, in relazione alle specificità dei singoli casi, e può comprendere anche prescrizioni o condizioni a carico del privato. La normalizzazione delle opere abusive può infatti richiedere una regolamentazione dell’uso delle stesse, in modo che la loro presenza risulti utile (o almeno non molesta) per la collettività”.

2.1 Ebbene, la regolamentazione d'uso dell'autorimessa doveva implicare l’utilizzo costante della medesima, evitando la sosta delle autovetture – limitatamente a quelle rientranti nella sfera di dominio della proprietà – in adiacenza alla stessa, poiché avrebbe creato intralcio alla regolarità della circolazione. Il Comune ha cioè dato atto degli ostacoli alla fluidità del transito sulla Via, connessi alle condotte assunte dalla ricorrente: le molteplici segnalazioni (circostanziate, documentate e non smentite nella loro dinamica fattuale) pervenute al Comune di Grone giustificano la richiesta di produrre l'atto unilaterale recante l’obbligo di non parcheggiare. L’impegno specifico di mantenere il sedime stradale sgombro da automezzi sarebbe ricaduto, secondo la richiesta del Comune, solo sulle "autovetture di proprietà della stessa o in uso alla stessa e ai propri familiari conviventi" (nota comunale 3/8/2016, in riscontro alle osservazioni della Sig.ra -OMISSIS- – doc. 6 ricorrente nel gravame r.g. 1422/2016).

2.2 Riferisce in particolare il Comune che il divieto di sosta su entrambi i lati della carreggiata è già disposto dall’art. 23 (ultima parte) del Regolamento comunale del transito sulla viabilità locale Agro-silvo - pastorale (doc. n. 11 ricorrente - gravame r.g. 1422/2016), per cui “Per una profondità pari a ml 1,00 dal sedime stradale è vietato: - il deposito, anche provvisorio, di materiali; - il parcheggio e sono altresì vietate tutte quelle attività che possono determinare limitazioni al transito”. Inoltre, l’ordinanza n. 3/2016 – non ritualmente impugnata sul punto – dispone che “Il tracciato stradale nelle immediate adiacenze, dovrà essere mantenuto libero e sgombro da qualsiasi ostacolo o veicolo in sosta garantendo la viabilità al pubblico transito pedonale e carrabile lungo la strada vicinale denominata Dei -OMISSIS-”, prevedendo, in caso di trasgressione, la sanzione della "rimozione forzata del veicolo in sosta con spese a carico del proprietario”.

2.3 Le circostanze rappresentate dagli utenti della strada risultano accompagnate dalla documentazione fotografica (cfr. doc. 10 – 15 amministrazione), ed è comprovato che in una pluralità di occasioni (nel settembre 2016 e nel giugno 2017) il passaggio sulla Via è risultato impedito dall’autovettura parcheggiata, appartenente alla Sig.ra -OMISSIS-. E’ chiaro che, avendo la strada vicinale in questione un’ampiezza ridotta, l’occupazione con un automezzo inibisce il transito ai soggetti che ne hanno interesse.

2.4 La relazione del Tecnico Comunale Incaricato geom. -OMISSIS- in data 2/3/2018 (cfr. doc. 16 Comune, nel gravame r.g. 1422/16) attesta che la Via “Dei -OMISSIS-” è una strada vicinale ad uso pubblico, che collega da tempo “… i comuni di Grone e Adrara San Martino con passaggio di una collettività di persone qualificate dall'appartenenza e dai legami al territorio” e dunque soddisfa “esigenze di carattere generale, anche per il collegamento attuale e diretto con la strada provinciale”.

2.5 Gli elementi descritti avvalorano la ragionevolezza della prescrizione impartita dal Comune, che trae legittimazione dal provvedimento interinale emesso da questo T.A.R.

In relazione alle deduzioni di parte ricorrente, esplicitate nel secondo ricorso r.g. 1422/16, si può rilevare quanto segue:

- la stessa Sig.ra -OMISSIS- ammette che la strada è ordinariamente percorsa da alcuni utenti (anche se in numero ridotto);

- è vero che l’autorimessa non ostacola il pubblico transito, ma è proprio il restringimento della carreggiata provocato dal mezzo parcheggiato che giustifica la richiesta di assumere l’impegno individuale a lasciare la strada libera da autovetture;

- che l’imposizione del divieto di sosta su ambo i lati (già presente) non è risultato risolutivo e comunque esige l’attivazione di un procedimento (segnalazione al Comune, intervento degli addetti alla vigilanza, eventuale acquisizione della disponibilità di un mezzo per la rimozione forzata) ben più complesso rispetto alla soluzione alternativa individuata dal Comune;

- nel bilanciamento degli interessi in gioco, il costo per la formazione dell’atto unilaterale d’obbligo non appare particolarmente oneroso;

- non è prevista l’assunzione di un obbligo per conto di terzi, ma per le autovetture di proprietà della ricorrente e dei familiari conviventi: è un impegno soggettivamente delimitato e sostenibile, anche per la presenza in loco dell’autorimessa con due posti auto;

- la condizione imposta è in definitiva conforme al principio di proporzionalità dell’azione amministrativa;

- non è violato il principio di leale collaborazione, avendo l’amministrazione assicurato ampia interlocuzione sulla proposta, e il fatto che sia stata avanzata soltanto dopo l’adozione dell’ordinanza cautelare di accoglimento non esclude la sua conformità ai principi di mitigazione e adeguatezza delle misure repressive, dal momento che è stata individuata una soluzione meno impattante e onerosa della demolizione del bene abusivo;

- l’infondatezza del primo ricorso depotenzia la censura di invalidità derivata proposta nel secondo.

2.6 Sono, infine, inammissibili le doglianze sollevate dalla parte ricorrente con la memoria del 5/4/2018 (non notificata) nel ricorso r.g. 1422/16, e in particolare:

• la deduzione (pag. 6) sull’accertata non abusività della parte più consistente delle opere, e del pericolo di danno – derivante dall’esecuzione dell’ordine di demolizione – per la parte di costruzione legittimamente realizzata (con mancata valutazione della fattibilità pratica e giuridica dell’operazione);

• l’asserzione (pag. 6) circa la lesione del principio del contraddittorio durante la riedizione del procedimento dopo l’emissione dell’ordinanza cautelare.

2.7 Si può soprassedere dall’affrontare l’ulteriore questione della portata ostativa del vincolo idrogeologico.

3. In conclusione i ricorsi riuniti sono infondati e devono essere respinti.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo a favore del Comune di Grone.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando, previa riunione dei ricorsi in epigrafe, li respinge entrambi.

Condanna parte ricorrente a corrispondere all’amministrazione resistente la somma di 4.000 € a titolo di compenso per la difesa tecnica, oltre a oneri di legge.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente e gli altri soggetti contemplati nella sentenza.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2018 con l'intervento dei magistrati:

Roberto Politi, Presidente

Mauro Pedron, Consigliere

Stefano Tenca, Consigliere, Estensore

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Stefano Tenca        Roberto Politi