 TAR Puglia (LE) Sez. III n. 1962 del 10 settembre 2010
TAR Puglia (LE) Sez. III n. 1962 del 10 settembre 2010
Urbanistica. Natura e requisiti della d.i.a.
Con riferimento alla d.i.a. dal dato letterale nonché dalla stessa “ratio” dell'art. 22 TU edilizia - indipendentemente dalla ricostruzione giuridica dell’istituto (sia esso atto soggettivamente ed oggettivamente privato che, in presenza di determinate condizioni e all'esito di una fattispecie a formazione complessa, attribuisce al privato una legittimazione “ex lege” allo svolgimento di una determinata attività liberalizzata ovvero provvedimento implicito di assenso) -, emerge chiaramente che l'operatività di tale modulo procedimentale è subordinata alla conformità dell'attività edilizia alle prescrizioni degli strumenti urbanistici e, in generale, della normativa urbanistica vigente, come dimostra anche la circostanza che tale denuncia deve essere accompagnata dalla asseverazione di conformità che attesti, tra l’altro, il rispetto delle norme di sicurezza ed igienico sanitarie. Ne consegue che, in assenza di detta conformità urbanistico-edilizia o alle normative di settore, il ricorso all’istituto non è, a priori, ammissibile, rimanendo l’opera senza titolo per mancata produzione degli effetti legali tipici. In altri termini, la valenza di tale istituto non può trasformare in lecita e/o legittima un'attività edilizia oggettivamente abusiva
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 01962/2010 REG.SEN.
 N. 01787/2008 REG.RIC.
 Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
 
 Lecce - Sezione Terza
 ha pronunciato la presente
 SENTENZA
 Sul ricorso numero di registro generale 1787 del 2008, proposto da:
 Meo Angelo, rappresentato e difeso dall'avv. Cosimo Assanti, con domicilio  eletto presso Fabrizio Cananiello in Lecce, via Liguria n. 26;
 contro
 Comune di Oria;
 
 e con l'intervento di
 
 ad opponendum:
 Corvino Giuseppe, Corvino Cosimo, rappresentati e difesi dall'avv. Fernando  Palermo, con domicilio eletto presso Francesco Marchello in Lecce, via G.  Chiriatti n.6;
 
 per l'annullamento
 
 previa sospensione dell'efficacia,
 
 della “diffida a demolire – Per opere realizzate in difformità della denuncia di  inizio attività” del dirigente l’U.T.C. del Comune di Oria, datata 11.09.2008 e  notificata il 25.09.2008;
 di ogni altro atto presupposto, consequenziale e/o connesso con il provvedimento  innanzi indicato.
 
 Visto il ricorso con i relativi allegati;
 Viste le memorie difensive;
 Visti tutti gli atti della causa;
 
 Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20/05/2010 la dott.ssa Gabriella  Caprini e uditi per le parti l’avv. Assanti e l’avv. Serafini, in sostituzione  dell’avv. Palermo;
 
 Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
 Con denuncia di inizio attività acquisita al protocollo dell’ente in data  22.12.1998, prot. n. 014965, il ricorrente manifestava la volontà di procedere  alla recinzione dei terreni di proprietà, siti in agro Oria, limitatamente alle  particelle confinanti con la strada denominata “vicinale Romatizza”. In  particolare, l’erigenda recinzione sarebbe stata posta al limite tra la sede  stradale e l’inizio del terreno. In data 20.01.1999, il ricorrente comunicava  l’inizio dei lavori che venivano interamente realizzati. Con ordinanza n. 15 del  21.03.2000, l’Amministrazione comunale intimava la sospensione dei lavori perché  “in difformità dell’art. 26, comma 4, del d.P.R. 16.12.1996 n. 495 e successive  modifiche ed integrazioni (Regolamento di esecuzione ed attuazione del N.C.D.S.)  sul terreno distinto in catasto al foglio n. 22 particelle 134 -135 …”. Infine,  con atto di diffida del 2008 ha ordinato la demolizione delle opere edilizie  realizzate per difformità dei lavori realizzati rispetto alla DIA presentata nel  1998, rispetto alla quale il ricorrente riteneva essersi maturato il silenzio  significativo di rilascio del titolo abilitativo, in quanto la costruzione del  muro di cinta lungo la sede stradale non avrebbe rispettato l’arretramento  previsto dal Nuovo Codice della Strada. Invero, nel corso degli anni, il Comune  ha cercato di individuare gli esatti confini della cd. “vicinale Romatizza”; il  ricorrente, a tal proposito, osserva che lo stesso tecnico incaricato  dall’Amministrazione comunale ha concluso la propria relazione nei termini che  seguono; “In definitiva successivamente alla elaborazione dei dati raccolti in  loco e alla loro rappresentazione grafica è possibile dichiarare che la vicinale  denominata Romatizza, così come attualmente ubicata in loco, non identifica la  strada vicinale riportata nella mappa catastale”. La strada, usata  esclusivamente per le esigenze dei frontisti in quanto è a fondo cieco, è stata  dunque trasformata ad opera degli stessi privati confinanti.
 
 Sulla base di tali premesse, ritenendo il provvedimento repressivo illegittimo e  lesivo dei propri interessi, il ricorrente lo ha impugnato chiedendone  l’annullamento.
 
 Si sono costituiti, con intervento “ad opponendum”, Corvino Giuseppe e Corvino  Cosimo, eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità e l’improcedibilità  dell’impugnativa promossa e concludendo, in via subordinata, per il rigetto del  ricorso.
 
 All’udienza del 20.05.2010 la causa è stata chiamata e trattenuta in decisione.
 DIRITTO
 Con il primo motivo di ricorso la parte deduce l’eccesso di potere per contrasto  con i precedenti, il travisamento dei fatti, l’esistenza del titolo abilitativo  e autorizzatorio.
 
 Il motivo è privo di pregio.
 
 1. Sostiene, in primo luogo, il ricorrente che sulla DIA presentata nel 1998 si  sarebbe maturato il silenzio significativo con valore tipico di provvedimento  avente contenuto positivo, dunque, autorizzatorio, sicché, da un lato, dovrebbe  ritenersi tardivo il provvedimento di diniego (in realtà, di demolizione),  dall’altro, l’Amministrazione potrebbe agire solo in via di autotutela,  procedendo, in presenza dei relativi presupposti, all’annullamento o alla revoca  del provvedimento così formatosi.
 
 1.1. Dispone l’art. 22, comma 1, del d.P.R. 380/01: “Sono realizzabili mediante  denuncia di inizio attività gli interventi non riconducibili all'elenco di cui  all'articolo 10 e all'articolo 6, che siano conformi alle previsioni degli  strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina  urbanistico-edilizia vigente”.
 
 Si premette che dal dato letterale nonché dalla stessa “ratio” della norma -  indipendentemente dalla ricostruzione giuridica dell’istituto (sia esso atto  soggettivamente ed oggettivamente privato che, in presenza di determinate  condizioni e all'esito di una fattispecie a formazione complessa, attribuisce al  privato una legittimazione “ex lege” allo svolgimento di una determinata  attività liberalizzata ovvero provvedimento implicito di assenso) -, emerge  chiaramente che l'operatività di tale modulo procedimentale è subordinata alla  conformità dell'attività edilizia alle prescrizioni degli strumenti urbanistici  e, in generale, della normativa urbanistica vigente (T.A.R. Toscana Firenze,  sez. III, 20 gennaio 2009, n. 21), come dimostra anche la circostanza che tale  denuncia deve essere accompagnata dalla asseverazione di conformità (T.A.R.  Campania Napoli, sez. IV, 12 gennaio 2009, n. 68) che attesti, tra l’altro, il  rispetto delle norme di sicurezza ed igienico sanitarie. Ne consegue che, in  assenza di detta conformità urbanistico-edilizia o alle normative di settore, il  ricorso all’istituto non è, a priori, ammissibile, rimanendo l’opera senza  titolo per mancata produzione degli effetti legali tipici. In altri termini, la  valenza di tale istituto non può trasformare in lecita e/o legittima un'attività  edilizia oggettivamente abusiva (T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 03 febbraio  2006, n. 1506).
 
 1.2. Ciò detto, a parere della parte ricorrente, la conformità delle opere  effettivamente eseguite a quanto risulta nel titolo abilitativo comunque  formatosi, in occasione del quale si attestava l’osservanza delle disposizioni  in merito alle distanze prescritte dal codice della strada e dal regolamento di  esecuzione, si evincerebbe dalla sentenza n. 406/01 Reg. Sent., passata in  giudicato. Con tale sentenza, infatti, la parte ricorrente è stata assolta dal  reato di cui all’art. 20, lett. A l. n. 47/1985 e 41 septies della l. n.  1150/1942 “per non avere osservato l’art. 26, comma 7, del d.P.R. n. 495/1992 in  materia di distanza da osservarsi dal confine stradale, nell’edificazione di  recinzioni fuori dai centri abitati (non inferiore a mt. 1 dal confine)”.
 
 A tal proposito, si osserva che l’assoluzione è stata emessa con la formula  “perché il fatto non costituisce reato”, non risultando fornita la prova  dell’elemento psicologico del reato. In particolare, contrariamente all’assunto  difensivo, osserva il giudice penale “nella condotta posta in essere  dall’imputato sussistono quindi gli estremi oggettivi della contravvenzione  contestata, in quanto si è in presenza di una recinzione realizzata ad una  distanza inferiore ad un metro rispetto al ciglio della strada comunale che  attraversa la contrada “Romatizza” fuori dal centro abitato. Tuttavia, … si deve  escludere la responsabilità penale del Meo, in quanto nei suoi confronti è  ravvisabile una situazione di buona fede ...”. A seguito dell’accertamento in  sede penale è, invece, definitivamente provata la circostanza che l’edificazione  del muro di cinta è avvenuta in difformità della DIA presentata in data  22.12.1998 e della dichiarazione di inizio lavori del 20.01.1999. Infatti, se è  vero che nel primo atto il ricorrente ha genericamente dichiarato: “detta  recinzione sarà posta al limite fra la sede stradale e l’inizio del terreno”,  successivamente, con la comunicazione di inizio lavori, il medesimo ha  precisato: “nella costruzione della recinzione si rispetterà il confine fra la  strada ed il proprio terreno, così come individuato dai tecnici di questo  Comune”. Nella relazione asseverata del tecnico che aveva redatto il progetto,  allegata, si attestava, ulteriormente, quanto segue. “Il progetto così come è  stato impostato, con tutte le relative caratteristiche, fra cui l’ubicazione  della recinzione, il tipo di recinzione, l’altezza della stessa, rispetta il  contenuto di cui al d.P.R. 26.04.1993 n. 147”. Tale decreto, rubricato  “Regolamento recante modificazioni ed integrazioni agli articoli 26 e 28 del  decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495 (regolamento di  esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada)”, prescrive, all’art.  26 (“Fasce di rispetto fuori dai centri abitati”), comma 7: “La distanza dal  confine stradale, fuori dai centri abitati, da rispettare per impiantare  lateralmente alle strade siepi vive, anche a carattere stagionale, tenute ad  altezza non superiore ad 1 m sul terreno non può essere inferiore a 1 m. Tale  distanza si applica anche per le recinzioni non superiori ad 1 m costituite da  siepi morte in legno, reti metalliche, fili spinati e materiali similari,  sostenute da paletti infissi direttamente nel terreno o in cordoli emergenti non  oltre 30 cm. dal suolo”.
 
 1.3. Atteso che la recinzione risulta costruita ad una distanza inferiore a  quella legale,nonché a quella dichiarata, ne consegue che la difformità dal  titolo abilitativo e, conseguentemente, nello specifico, dalla inderogabile  disciplina in materia di rispetto delle distanze, in relazione alla quale non  può operare la DIA, non solo “non impedisce, anzi impone, all'Amministrazione di  esercitare il suo potere inibitorio e/o sanzionatorio anche dopo la scadenza del  termine previsto per la verifica dei presupposti” (T.A.R. Toscana Firenze, sez.  III, 20 gennaio 2009, n. 21).
 
 Ciò significa che il potere di vigilanza e controllo sull'attività edilizia  attribuito all'autorità comunale non è limitato alla previsione di cui all’art.  23, comma 6, del d.P.R. n. 380/2001, relativo alla disciplina della denuncia di  inizio attività; trattandosi, infatti, di un potere generale attribuito  all'autorità amministrativa per tutti i tipi di intervento edilizio che  avvengono sul territorio di competenza,può svolgersi senza limiti di tempo e può  esplicarsi sia attraverso l’esercizio del potere di sospensione che di  ingiunzione alla demolizione da parte dell'ente comunale ex art. 27 del d.P.R.  n. 380 del 2001 (T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 03 febbraio 2006, n. 1506).  Trattandosi di difformità dal titolo abilitativo formatosi, la fattispecie non  rientra nell’ambito dell’esercizio del potere di autotutela da parte della  Pubblica amministrazione, che si attua attraverso provvedimenti di secondo  grado, quali l’annullamento o la revoca. Essa è, invece, esplicazione del  diverso potere repressivo-ripristinatorio, conseguente all’accertamento  dell’abuso compiuto.
 
 2. Con il secondo, terzo, quarto e quinto motivo di ricorso la parte lamenta la  violazione degli artt. 7, 3 e 2 della l. n. 241/’90, nonché l’eccesso di potere  per mancanza di presupposti e tardività dell’azione amministrativa.
 
 I motivi, che per connessione logico giuridica possono essere trattati  congiuntamente, sono infondati.
 
 2.1. Posto che il potere di vigilanza urbanistico-edilizia rientra nell’ambito  dell’attività vincolata, rispetto alla quale non residua alcuna discrezionalità  in capo all’Amministrazione comunale in ordine alla repressione degli abusi, i  cui estremi (particelle catastali interessate dalla recinzione) si desumono “per  relationem” dalla denuncia di inizio attività e dalla ordinanza di sospensione  dei lavori richiamate, alcun apporto partecipativo avrebbe potuto essere fornito  dal ricorrente a seguito della eventuale comunicazione dell’avvio del  procedimento finalizzato alla demolizione, la cui ingiunzione (o diffida a  demolire) è stata impugnata con il presente ricorso. Trova, in ogni caso,  applicazione il disposto di cui all’art. 21 octies della medesima legge, a norma  del quale: “2. Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di  norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata  del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe  potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento  amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio  del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto  del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto  adottato”.
 
 2.2. Quanto alla natura della strada, esterna all’abitato del Comune di Oria,  contrariamente all’assunto difensivo che, sul punto, deduce il difetto di  istruttoria, essa è classificata “comunale”, dunque pubblica, nella delibera n.  183 del 29.07.1981 della G.M., con la quale si è deliberato il piano delle  strade esterne all’abitato, in ossequio alla l.r. n. 38 del 21.12.1977,  approvato con Decreto della Regione Puglia n. 281 del 14.06.1982, figurando  nell’elenco allegato.
 
 2.3. La parte ricorrente sostiene, infine, che il lungo lasso di tempo trascorso  dalla realizzazione delle opere, nel 1999, avrebbe ingenerato una posizione di  affidamento sulla legittimità della loro realizzazione con conseguente necessità  di una puntuale istruttoria, risultante dalla motivazione, in ordine al pubblico  interesse alla loro demolizione – diverso da quello del mero ripristino della  legalità - idonea a giustificare il sacrificio degli interessi privati oltre che  una generica tardività nell’esercizio del potere repressivo che lo renderebbe  illegittimo.
 
 Osserva preliminarmente il Collegio che non possa ragionevolmente sostenersi  che, nel caso di specie, l’inerzia della Amministrazione preposta alla vigilanza  si sia protratta per lunghi periodi di tempo, sì da ritenere necessaria una  specifica motivazione sulla attualità e sussistenza dell’interesse pubblico  all’osservanza dell’assetto normativamente delineato e da ingenerare una  situazione di incolpevole affidamento. Basti, a titolo esemplificativo,  richiamare la sanzione della contravvenzione di cui all’art. 15, comma 1, del  C.d.S., con ordine del ripristino dello stato dei luoghi, irrogata in data  8.10.1999 (relazione di servizio, in pari data, del Corpo di Polizia  municipale), l’ordinanza di sospensione dei lavori, n. 15 del 21.03.2000 e la  motivazione della sentenza di assoluzione n. 406/01 Reg. Sent., sopra citata.
 
 Ciò posto, ritiene il Collegio, ribadendo un orientamento già espresso, che  “l’ordine di demolizione di opere edilizie abusive costituisce atto dovuto non  potendo il semplice trascorrere del tempo giustificare il legittimo affidamento  del contravventore. Il potere di ripristino dello “status quo” non è soggetto ad  alcun termine di prescrizione né è tacitamente rinunciabile, poiché il semplice  trascorrere del tempo non può legittimare una situazione di illegalità” (T.A.R.  Puglia, sez. Lecce, sez. III, n. 335/2010).
 
 2.4. L’ordinanza è correttamente motivata in quanto, considerata la difformità  dal titolo abilitativo (“costruzione del muro di cinta lungo la sede stradale  senza avere rispettato l’arretramento previsto dal Nuovo Codice della Strada”,  con espresso rinvio, per l’esatta indicazione dell’opera abusiva, alla relazione  di servizio prot. n. 4056 del 22.02.2000, alla ordinanza di sospensione n. 15  del 21.03.2000 ed alla nota prefettizia del 12.03.2001), richiamata la normativa  di settore, dispone il consequenziale ripristino della legalità violata.  Irrilevante, a tali fini, è la circostanza che il decreto prefettizio,  contenente l’ordine di abbattimento della recinzione, quale sanzione  amministrativa accessoria per avere violato l’art. 16 C.d.S., sia stato  annullato con sentenza n. 131/2001 per mancato rispetto dei termini di legge,  essendo l’Amministrazione comunale titolare di autonomi poteri di vigilanza e  repressione degli abusi edilizi, una volta verificato il fatto dell’abuso.
 
 2.5. Nell’ambito del modulo procedimentale della DIA, non essendo prevista  l’emanazione di un provvedimento espresso, indipendentemente dalla  qualificazione giuridica dell’istituto, non vi è spazio per l’applicazione  dell’art. 2, della l. n. 241/’90 in ordine al rispetto dei termini per la  conclusione del procedimento, essendo il soggetto automaticamente abilitato una  volta trascorso il periodo temporale prescritto.
 
 3. Con il sesto motivo di ricorso la parte lamenta l’eccesso di potere sotto la  specie della ingiustificata disparità di trattamento.
 
 Il motivo è privo di pregio.
 
 Considerato come dato di fatto acquisito che la recinzione realizzata dal  ricorrente lungo i terreni di proprietà è stata realizzata in violazione della  fascia di rispetto delle strade comunali di cui all’art. 26 del d.P.R. n.  495/1992, risultando inequivocabilmente dall’accertamento del fatto materiale in  sede penale, ex art. 654 c.p.p. (oltre che dalle risultanze del giudizio  possessorio conclusosi con sentenza n. 176/2005, che attestano, altresì, lo  sconfinamento nella sede stradale pubblica), il Collegio non ritiene che le  eventuali pari o maggiori illegittimità compiute dagli altri frontisti rispetto  alla strada in oggetto valgano a giustificare o legittimare la violazione  compiuta dal ricorrente, si dà rendere censurabile il provvedimento repressivo  impugnato.
 
 4. Con il settimo motivo di ricorso la parte di duole dell’eccesso di potere  sotto il profilo del travisamento dei fatti e della contraddittorietà con altro  procedimento e della asserita natura privata e non classificata della strada  vicinale “Romatizza”.
 
 Tale motivo è privo di pregio.
 
 Rinviando a quanto già esposto in ordine alla natura della strada vicinale, la  circostanza meramente addotta ma non provata che il Comune, in occasione  dell’accertamento tecnico preventivo richiesto, in sede civile, da altri  frontisti, abbia domandato l’espletamento di una C.T.U. per determinare l’esatta  classificazione della strada, eccependo il difetto di legittimazione passiva per  non esserne proprietario, non consente a questo Collegio alcun ponderato  sindacato, attesa la genericità e la natura della censura, che, da un lato, non  definisce esattamente l’oggetto del contendere e, dall’altro, rinvia alla  strategia difensiva assunta in altro giudizio dall’Amministrazione intimata non  costituita per il presente gravame.
 
 Sulla base delle sovra esposte considerazioni, il ricorso non è meritevole di  accoglimento.
 
 Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.
 P.Q.M.
 Il Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia – Lecce - sezione terza  respinge il ricorso indicato in epigrafe.
 
 Spese compensate.
 
 Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
 
 Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 20/05/2010 con  l'intervento dei Magistrati:
 
 Antonio Cavallari, Presidente
 Ettore Manca, Primo Referendario
 Gabriella Caprini, Referendario, Estensore
 
 L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
 
 
 DEPOSITATA IN SEGRETERIA
 Il 10/09/2010
 
                    




