TAR Lazio (RM) Sez. IIs n. 2465 del 13 febbraio 2023
Urbanistica.Principio di proporzionalità nella sanzione demolitoria

In tanto può parlarsi di sindacato di proporzionalità dell’ordinanza di demolizione dell’abuso edilizio, in quanto ricorrano entrambi i seguenti presupposti: viene in rilievo un’attività di concreta esecuzione di eventuali sentenze e/o provvedimenti amministrativi recanti l’ordine demolitorio; l’immobile abusivo è destinato ad esigenze abitative primarie del responsabile dell’illecito. Ove ricorrano tali concorrenti presupposti, può essere legittimamente invocata la necessità di un giudizio di proporzionalità tra il diritto individuale al rispetto della vita privata e familiare ex art. 8 della CEDU e, dall’altro lato, l’interesse pubblico alla tutela del territorio, il tutto secondo concreti fattori che l’interprete è tenuto a valorizzare, quali le personali condizioni del destinatario del provvedimento ablatorio, i tempi intercorrenti tra la definitività delle decisioni giudiziarie di cognizione e l’attivazione del procedimento di esecuzione, la circostanza dell’illegale edificazione dell’abitazione, l’eventuale consapevolezza da parte dell’autore dell’abuso dell’illegalità dell’edificazione al momento della realizzazione della stessa, il fatto che l’amministrazione abbia concesso all’interessato un adeguato periodo di tempo per consentirgli di “legalizzare”, se possibile, la situazione, nonchè per trovare una soluzione alle proprie esigenze abitative (questi due fattori - se compresenti - prevalgono sulle condizioni di età avanzata, povertà e basso reddito, facendo dunque prevalere l’interesse pubblico alla tutela del territorio.


Pubblicato il 13/02/2023

N. 02465/2023 REG.PROV.COLL.

N. 05709/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Stralcio)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5709 del 2015, proposto da -OMISSIS- -OMISSIS-,-OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall’Avvocato Nicola Neri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Roma Capitale, in persona del suo Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Sergio Siracusa, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

- della-OMISSIS- asseritamente notificata in data 17-03-2015, emessa dal Municipio X (ex XIII) - Unità Organizzativa Tecnica - Roma Capitale, avente ad oggetto la «demolizione d’ufficio in danno delle opere abusive eseguite in -OMISSIS-.».


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 20 gennaio 2023 il dott. Michele Tecchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con l’odierno ricorso, i ricorrenti – premesso di essere legati da vincolo di parentela e di avere la comproprietà di un terreno su cui uno di loro (segnatamente il sig. -OMISSIS- -OMISSIS-) ha edificato un manufatto in legno dallo stesso adibito ad esigenze abitative del proprio nucleo familiare (in particolare il manufatto consiste in una “casetta in legno di mt. 7,00 x 6,50 circa, poggiante su blocchetti di tufo, alta da ml. 2,50 a ml. 3,00 coperta a tetto a due falde con la posa in opera delle tegole e delle gronde; all’interno si presenta suddivisa in tre vani più un locale wc, completamente rifinita in ogni sua parte, arredata e abitata. Antistante è stato ricavato un patio di ml. 7,00 x 1,50 circa”) – insorgono avverso la determinazione dirigenziale n. 135 del 27 gennaio 2015 (notificata in data 17 marzo 2015) con cui Roma Capitale ha disposto la demolizione d’ufficio di detto manufatto ex art. 15, comma 5, della legge Regione Lazio n. 15 del 2008.

Parte ricorrente deduce, a fondamento della domanda di annullamento, che: (i) il manufatto in legno è stato edificato per far fronte ad esigenze abitative primarie del nucleo familiare del sig. -OMISSIS- -OMISSIS- (in tesi trovatosi in uno stato di necessità, non essendo riuscito a reperire altro alloggio abitativo); (ii) l’abuso era stato ultimato da oltre nove anni, essendo così maturato un legittimo affidamento dei ricorrenti nella regolarizzazione dell’abuso; (iii) il provvedimento impugnato non sarebbe sorretto da alcun interesse pubblico sufficientemente forte da prevalere sull’interesse privato a poter disporre di un’abitazione familiare.

Roma Capitale si è ritualmente costituita in giudizio, instando per la reiezione del gravame ed eccependo, inter alia, l’inammissibilità del gravame per carenza di interesse ad agire, atteso che l’ordinanza di demolizione d’ufficio avversata nel presente giudizio (determinazione dirigenziale n. 135 del 27 gennaio 2015) era stata preceduta nel 2009 da un’altra ordinanza di demolizione del manufatto de quo (segnatamente la D.D. n.-OMISSIS-, notificata in data 7 gennaio 2010) mai impugnata dagli odierni ricorrenti.

All’udienza straordinaria del 20 gennaio 2023, il Collegio ha introiettato la causa in decisione.

DIRITTO

In limine litis, va soltanto precisato che il Collegio ritiene di poter prescindere dall’eccezione di inammissibilità del gravame per carenza di interesse ad agire.

Come affermato dalla consolidata giurisprudenza amministrativa, infatti, il Giudice, in ossequio al superiore principio di economia dei mezzi processuali in connessione con quello del rispetto della scarsità della risorsa ‘giustizia’ (cfr. Sez. un., nn. 26242 e 26243 del 2014; e Ad. plen., n. 9 del 2014), può derogare alla naturale rigidità dell’ordine di esame, ritenendo preferibile risolvere la lite rigettando il ricorso nel merito o nel rito in base ad una ben individuata ragione più liquida “…sulla scorta del paradigma sancito dagli artt. 49, co. 2, e 74 c.p.a. … sempre che il suo esercizio non incida sul diritto di difesa del controinteressato e consenta un’effettiva accelerazione della definizione della lite…” (Ad. plen. n. 5 del 2015, che cita a sua volta Ad. Plen. n. 9 del 2014), e purché sia stata preventivamente assodata, da parte del medesimo giudice, la giurisdizione e la competenza (Ad. plen., n. 9 del 2014 e n. 10 del 2011 cit.).

Nel caso all’esame, il ricorso introduttivo è infondato, sicché il Collegio individua nell’infondatezza dell’impugnazione la ‘ragione più liquida’ che meglio può realizzare l’economia dei mezzi processuali e la sinteticità degli atti, quali fondamentali corollari del giusto processo regolato dalla legge, unitamente alla considerazione che la suddetta soluzione decisionale non pregiudica gli interessi di alcuna parte del giudizio.

Ciò premesso, corre l’obbligo di scrutinare anzitutto la censura secondo cui il provvedimento demolitorio impugnato sarebbe illegittimo in quanto in tesi irragionevolmente lesivo del diritto primario all’abitazione, diritto che secondo i ricorrenti dovrebbe prevalere – in considerazione del prospettato stato di necessità del nucleo familiare – sull’interesse pubblico alla repressione dell’abuso edilizio.

In proposito, è dirimente l’ampia ed approfondita motivazione che si rinviene nella decisione del Consiglio di Stato, sez. II – 16/4/2020 n. 2435, secondo la quale – in ossequio ad un consolidato indirizzo della giurisprudenza amministrativa e penale – “in tale contesto anche la giurisprudenza penale è univoca nell’affermare che non è giuridicamente apprezzabile un’assiomatica prevalenza del diritto costituzionale all’abitazione sull’interesse pubblico a ristabilire l’ordine giuridico violato attraverso l’esecuzione dell’ordine di demolizione: ordine peraltro previsto da una legge dello Stato, essendo dunque già stato operato il bilanciamento tra il diritto all’abitazione quale proiezione del diritto costituzionalmente garantito alla proprietà ai sensi dell’art. 42 Cost. e l’interesse pubblico connesso al ripristino dello status quo ante attraverso l’esecuzione dell’ordine di demolizione da parte della competente autorità amministrativa (così, ad es., Cass. pen., sez. III, 11 giugno 2019, n.36257); e, pertanto, anche nella presente fattispecie non è configurabile l’esimente dello stato di necessità di cui all’art. 54 c.p. in quanto, pur essendo ipotizzabile un danno grave alla persona in cui rientri anche il danno al diritto all’abitazione, difetta in ogni caso il requisito dell’inevitabilità del pericolo (così, puntualmente, Cass. pen., Sez. III, 24 novembre 2017, n. 2280; cfr. al riguardo, altresì, ad es. Cass. pen. Sez. III, 19 settembre 2008 n. 35919, 12 novembre 2007 n. 41577, 9 giugno 2006 n. 19811, 17 maggio 1990, n. 7015 e 4 dicembre 1987 n. 12253; cfr. inoltre per la recezione del relativo principio da parte della giurisprudenza amministrativa in ordine alle misure sanzionatorie non penali del fenomeno dell'abusivismo edilizio, ad es., T.A.R. Catanzaro, Sez. I, 16 aprile 2012, n.389)”.

Ha puntualizzato poi il Consiglio di Stato nella pronuncia n. 2435/2020 che “L’assunto secondo cui il provvedimento impugnato "si pone in contrasto logico e fattuale con ... primarie esigenze di vita dell’odierna appellante e del di lei nucleo familiare" risulta - in conclusione - del tutto inconferente rispetto alla funzione amministrativa nella specie esercitata e che si identifica essenzialmente con la vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi (cfr. art. 27 del t.u. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), nel mentre per sovvenire alle necessità abitative dei cittadini ben altri soggetti istituzionali sono competenti a provvedere, qualora non si voglia o si possa accedere al libero mercato immobiliare e si posseggano i relativi requisiti, mediante gli interventi propri dell’edilizia residenziale pubblica ovvero dell’edilizia agevolata (cfr., per quanto segnatamente attiene al Lazio, la l.r. 6 agosto 1999, n. 12 e successive modifiche) ai quali la medesima parte ricorrente ben avrebbe potuto chiedere l’accesso nell’invero consistente lasso di tempo decorso dalla data di notifica del provvedimento impugnato in primo grado sino a tutt’oggi”.

Nello stesso senso altre pronunce hanno escluso che l’abuso di necessità trovi legittimazione nel nostro ordinamento (T.A.R. Campania Napoli, sez. III – 28/8/2020 n. 3684).

Del resto, l’attività edificatoria non è vietata in modo assoluto, ma è consentita nei limiti imposti dalla legge a tutela di beni di rilevanza collettiva, quali il territorio, l’ambiente e il paesaggio, che sono salvaguardati anche dall’art. 9 della Costituzione; di conseguenza, se il suolo è edificabile, le disagiate condizioni economiche non impediscono al cittadino di chiedere il permesso di costruire, mentre, se il suolo non è edificabile, il diritto del cittadino a disporre di un’abitazione non può prevalere sull’interesse della collettività alla tutela del paesaggio e dell’ambiente (cfr. Corte di Cassazione, sez. III penale – 17/6/2020 n. 18463 e il precedente ivi evocato n. 35919/2008).

Fermo quanto precede, il Collegio non può esimersi dal rilevare che gli odierni ricorrenti hanno invocato – nel tentativo di superare il consolidato indirizzo della giurisprudenza amministrativa sopra richiamato – alcuni recenti orientamenti della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (cfr. sentenze del 21.4.2016 -Ivanova +1 c/ Bulgaria e del 4.8.2020 -Kaminskas c/ Lituania), nonchè un arresto della Corte di Cassazione (cfr. Cass. Penale, sez. III, n. 34607 del 17.9.2021).

Il Collegio ritiene che tali richiami giurisprudenziali – seppur conferenti – non possono però condurre ad alcuna declaratoria di illegittimità del provvedimento demolitorio impugnato nel presente giudizio.

Essenziale, a tal fine, è una breve ricostruzione della summenzionata giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, così come recepita ed attuata anche dalla Corte di Cassazione Penale.

Orbene, il principio-cardine di tale indirizzo giurisprudenziale è soltanto uno, ovverossia l’obbligo dell’Amministrazione di rispettare il principio di proporzionalità nella fase di concreta esecuzione del provvedimento di demolizione dell’abuso edilizio, ogni volta che - e soltanto se - venga in gioco il diritto della persona al rispetto della vita privata e del domicilio ex art. 8 della CEDU.

Tale diritto – afferma la Corte europea dei diritti dell’uomo – è configurabile soltanto se l’immobile abusivo è destinato ad abituale abitazione del responsabile dell’abuso e della sua famiglia, e non anche quando viene opposto esclusivamente il diritto alla tutela della proprietà garantito dall’art. 1 del Prot. 1 CEDU (cfr. le chiarissime osservazioni contenute nei §§ 54 e 73-76 della sentenza Corte EDU, 21/04/2016, Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria).

In breve, in tanto può parlarsi di sindacato di proporzionalità dell’ordinanza di demolizione dell’abuso edilizio, in quanto ricorrano entrambi i seguenti presupposti:

(i) viene in rilievo un’attività di concreta esecuzione di eventuali sentenze e/o provvedimenti amministrativi recanti l’ordine demolitorio;

(ii) l’immobile abusivo è destinato ad esigenze abitative primarie del responsabile dell’illecito.

Ove ricorrano tali concorrenti presupposti, può essere legittimamente invocata la necessità di un giudizio di proporzionalità tra il diritto individuale al rispetto della vita privata e familiare ex art. 8 della CEDU e, dall’altro lato, l’interesse pubblico alla tutela del territorio.

Il summenzionato indirizzo giurisprudenziale della Corte europea dei diritti dell’uomo ha poi declinato i concreti fattori che l’interprete è tenuto a valorizzare nell’effettuazione di detto giudizio di proporzionalità (fattori che possono condurre - a seconda dei casi - o ad un giudizio di prevalenza dell’interesse pubblico oppure ad un’affermazione di supremazia del diritto del privato).

Nel dettaglio:

(i) per quel che riguarda la sentenza della Corte EDU del 21/04/2016 (Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria), essa ha chiarito che nell’ambito del test di proporzionalità occorre avere riguardo non soltanto alle personali condizioni del destinatario del provvedimento ablatorio, ma anche ai tempi intercorrenti tra la definitività delle decisioni giudiziarie di cognizione e l’attivazione del procedimento di esecuzione (cfr. spec. § 59);

(ii) per quel che concerne invece la sentenza della Corte EDU del 04/08/2020 (Kaminskas c. Lituania), relativa ad un provvedimento ablatorio emesso da un’autorità amministrativa, essa afferma che è altamente significativa («highly relevant») la circostanza dell’illegale edificazione dell’abitazione, precisando di essere riluttante («will be slow») ad assicurare tutela a chi ha sfidato la legge per evitare di incoraggiare azioni illegali in contrasto con le esigenze di protezione dell’ambiente quale interesse pubblico (cfr., specificamente, § 56). Nel dettaglio, detta sentenza della Corte EDU del 2020 aveva accordato rilievo – ai fini del test di proporzionalità – a due specifici fattori, e cioè da un lato l’eventuale consapevolezza da parte dell’autore dell’abuso dell’illegalità dell’edificazione al momento della realizzazione della stessa (cfr. §§ 58 e 59), e dall’altro lato il fatto che l’amministrazione abbia concesso all’interessato un adeguato periodo di tempo per consentirgli di “legalizzare”, se possibile, la situazione, nonchè per trovare una soluzione alle proprie esigenze abitative (v. § 63), con l’ulteriore precisazione che questi due fattori - se compresenti - prevalgono sulle condizioni di età avanzata, povertà e basso reddito del ricorrente (§ 64), facendo dunque prevalere l’interesse pubblico alla tutela del territorio.

Tali coordinate ermeneutiche tracciate dalla Corte EDU sulle modalità di svolgimento del test di proporzionalità dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo (adottato da una pubblica autorità al fine di contrastare la realizzazione di opere senza permesso di costruire) risultano trovare ampio riscontro nella giurisprudenza di legittimità che si è già confrontata con le pronunce della Corte EDU.

La maggior parte delle decisioni di legittimità ha ritenuto rispettato il principio di proporzionalità valorizzando il tempo a disposizione del destinatario dell’ordine di demolizione per «cercare una soluzione alternativa» (così Sez. 3, n. 48021 del 11/09/2019, Giordano, Rv. 277994-01, e Sez. 3, n. 24882 del 26/04/2018, Ferrante, Rv. 273368-01, la quale ha escluso rilievo ad una situazione di salute «solo “cagionevole”»).

Venendo in particolare all’esame della sentenza della Corte di Cassazione penale invocata dagli stessi odierni ricorrenti (cfr. Cass. Penale, sez. III, n. 34607 del 17.9.2021), essa ha chiaramente affermato - in piena coerenza con il summenzionato quadro giurisprudenziale in ambito CEDU - che il test di proporzionalità va condotto valorizzando “nel contempo, la eventuale consapevolezza della violazione della legge da parte dell’interessato, per non incoraggiare azioni illegali in contrasto con la protezione dell'ambiente, nonchè i tempi a disposizione del medesimo, dopo l’irrevocabilità della sentenza di condanna, per conseguire, se possibile, la sanatoria dell’immobile ovvero per risolvere le proprie esigenze abitative (così Sez.3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 08/01/2021, Leoni, Rv. 280270 - 01)”.

Ricapitolando, quindi, ben può dirsi che:

- il summenzionato test di proporzionalità deve svolgersi soltanto rispetto agli atti con cui viene data concreta esecuzione ad eventuali sentenze e/o provvedimenti amministrativi recanti l’ordine demolitorio;

- qualora effettivamente ci si trovi in detta fase di concreta esecuzione, il test di proporzionalità non può che far prevalere l’interesse pubblico alla tutela del territorio ogni volta che l’interessato abbia avuto da un lato piena consapevolezza dell’illecito edilizio e, dall’altro lato, un ampio margine di tempo per rimediare all’abuso (chiedendo ad esempio una sanatoria, oppure ricercando soluzioni abitative alternative, come quella dell’edilizia residenziale pubblica).

Venendo al caso di specie, pertanto, il Collegio non può non rilevare che l’odierna fattispecie esula dal perimetro applicativo del principio di proporzionalità testè evocato, atteso che non si discorre della concreta fase di esecuzione del provvedimento demolitorio, bensì della legittimità “a monte” di tale provvedimento (cfr. in proposito Consiglio di Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2023 n. 1254, secondo cui “le considerazioni in merito alla proporzionalità della demolizione quale sanzione applicabile rispetto all’illecito edilizio e alle reali condizioni di vita e di salute del trasgressore e della sua famiglia non incidono sulla legittimità del provvedimento repressivo sanzionatorio, che comunque costituisce strumento del potere vincolato che l’amministrazione deve esercitare in materia ai sensi dell’art. 27 d.P.R. 380/2001, ma attengono alla diversa fase dell’esecuzione di detto provvedimento, condizionando l’attività dell’amministrazione competente ad eseguire l’ordine di demolizione attraverso la messa in campo di ogni più adeguato strumento di cautela e prudenza che deve manifestarsi idoneo a mitigare l’impatto pregiudizievole nel solo caso in cui sia obiettivamente dimostrato che il trasgressore e la sua famiglia versino in condizioni fisiche e materiali più che significativamente compromesse. Da quanto sopra deriva, dunque, la infondatezza (anche) del terzo motivo di appello, tenendo però conto delle considerazioni espresse in ordine alle modalità di esecuzione che il comune appellato dovrà mettere in campo in relazione al riferito principio di proporzionalità”).

Va da sé che nel caso di specie - non vertendosi di concreta esecuzione del provvedimento demolitorio - l’invocato test di proporzionalità non ha ragion d’essere.

Ma anche a voler ammettere, per mera ipotesi, che il caso de quo rientri nel campo di applicazione del test di proporzionalità, il Collegio rileva che detto test non potrebbe che sfociare in un giudizio di prevalenza dell’interesse pubblico alla tutela del territorio.

Ciò in quanto:

(i) è assolutamente pacifico e incontestato il fatto che parte ricorrente abbia sempre avuto la piena consapevolezza - sin dal momento dell’edificazione - dell’abusività del manufatto de quo;

(ii) parte ricorrente ha goduto di un amplissimo margine temporale per rimediare all’abuso edilizio. Risulta per tabulas, infatti, che a seguito della realizzazione dell’abuso (risalente all’incirca all’anno 2006):

- con Determinazione Dirigenziale n. -OMISSIS-, Roma Capitale ordinava l’immediata sospensione dei lavori, anche in chiave di comunicazione dell’avvio del procedimento sanzionatorio;

- dopo circa due anni, con provvedimento n.-OMISSIS- (mai peraltro contestato dai ricorrenti), Roma Capitale ingiungeva la rimozione e/o demolizione dell’opera abusiva;

- con successivo verbale emesso in data 20-05-2010 dalla Polizia Municipale di Roma Capitale (U.O. XIII Gruppo) l’Amministrazione resistente accertava l’inottemperanza all’ordinanza di ingiunzione di demolizione;

- soltanto con la successiva D.D. n. -OMISSIS-impugnata con l’odierno ricorso, Roma Capitale ingiungeva la demolizione d’ufficio dell’opera abusiva realizzata.

Nel caso di specie, pertanto, ricorrono entrambi i presupposti a fronte dei quali la giurisprudenza della Corte EDU fa prevalere - nell’ambito del summenzionato test di proporzionalità - l’interesse pubblico alla rimozione all’abuso.

E cioè da un lato la piena consapevolezza da parte dell’autore dell’abuso dell’illiceità di quest’ultimo, e dall’altro lato l’ampio lasso di tempo (circa 9 anni) durante il quale il soggetto responsabile è stato messo in condizione di rimediare all’abuso con plurimi atti e diffide (una nel 2007, un’altra nel 2009 e un’altra ancora nel 2010).

Le suesposte considerazioni conducono, pertanto, alla reiezione dei motivi di doglianza con cui parte ricorrente censura l’ordinanza demolitoria impugnata per non aver tenuto conto dello stato di necessità dei ricorrenti.

Per quel che concerne, infine, la contestata violazione del legittimo affidamento (in tesi pregiudicato dal notevole lasso di tempo intercorso tra la data di realizzazione dell’abuso e l’adozione del provvedimento demolitorio, lasso di tempo che in base alla prospettazione attorea avrebbe dovuto spingere l’Amministrazione ad effettuare una valutazione “aggravata” dell’interesse pubblico “repressivo”) il Collegio rileva che anche tale motivo è infondato già solo in base al consolidato insegnamento giurisprudenziale formatosi in subiecta materia (ciò che esime dal rilevare, peraltro, che nel caso di specie Roma Capitale aveva già adottato altri atti repressivi anteriori all’ordinanza impugnata, condizione questa di per sé incompatibile con un ragionevole legittimo affidamento).

Sebbene non siano mancati orientamenti diversi (circostanza rilevante ai fini delle spese di lite), da ultimo la giurisprudenza si è uniformata affermando il principio, da ultimo ribadito anche dall’Adunanza Plenaria (17 ottobre 2017 n. 9), secondo cui va esclusa ogni rilevanza al passaggio del tempo per quanto riguarda l’adozione dei provvedimenti repressivi edilizi, negando che in tale materia si possa formare un affidamento tutelabile rispetto al perpetrarsi dell’abuso edilizio.

L’irrilevanza del passaggio del tempo è stata affermata con riferimento al lasso temporale tra la realizzazione dell’abuso e l’ordine di rimessione in pristino, ovverosia per la stessa adozione della misura ripristinatoria, in quanto il provvedimento di demolizione di una costruzione abusiva, al pari di tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né, ancora, alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (Cons. Stato, Sez. VI, 21 ottobre 2013, n. 5088; Cons. Stato, Sez. VI, 4 ottobre 2013, n. 4907), e non potendo l’interessato dolersi del fatto che l’Amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi (Cons. Stato, VI, 31 maggio 2013, n. 3010; Cons. Stato, VI, 11 maggio 2011, n. 2781).

In particolare, nel caso di abusi edilizi, vi è un soggetto che pone in essere un comportamento contrastante con le prescrizioni dell’ordinamento, confidando nell’omissione dei controlli o comunque nella persistente inerzia dell’amministrazione nell’esercizio del potere di vigilanza.

In questi casi il fattore tempo non agisce qui in sinergia con l’apparente legittimità dell’azione amministrativa favorevole, a tutela di un’aspettativa conforme alle statuizioni amministrative pregresse (Cons. Stato, Sez. VI, 21 ottobre 2013, n. 5088; Cons. Stato, Sez. VI, 4 ottobre 2013, n. 4907; Cons. Stato, IV, 4 maggio 2012, n. 2592).

Al riguardo il Collegio rileva come di affidamento meritevole di tutela si possa parlare solo ove il privato, il quale abbia correttamente e in senso compiuto resa nota la propria posizione all’Amministrazione, venga indotto da un provvedimento della stessa Amministrazione a ritenere come legittimo il suo operato, non già nel caso in cui sia stato commesso un illecito all’insaputa della stessa (Cons. Stato, Sez. IV, 15 settembre 2009, n. 5509).

Tale orientamento ha, peraltro, ricevuto l’autorevole avallo dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato secondo la quale il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso.

Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino (Cons. Stato, Ad. Plen., 17 ottobre 2017 n. 9).

Tale orientamento è senz’altro applicabile anche al caso qui in esame, non essendovi quindi alcuno spazio per una valutazione da parte del giudice sul bilanciamento di interessi, ancorata a profili di merito, tra l’interesse pubblico alla demolizione, disposta quale effetto vincolato previsto ex lege, e la situazione legata alle vicende personali e familiari del soggetto inciso.

Ne discende, conclusivamente, che il ricorso va respinto in quanto infondato.

Attesa la peculiarità delle circostanze che connotano la fattispecie concreta e la sussistenza di orientamenti non uniformi di giurisprudenza, il Collegio ritiene che sussistano giustificati motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (Sezione Seconda Stralcio) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 gennaio 2023 con l'intervento dei magistrati:

Salvatore Gatto Costantino, Presidente

Igor Nobile, Referendario

Michele Tecchia, Referendario, Estensore