Pres. Onorato Est. Marini Ric. Di Lucia ed altro
Acque. Smaltimento acque di vegetazione delle olive
La disciplina che mira ad agevolare lo smaltimento delle acque di vegetazione mediante il loro spandimento è stata introdotta esclusivamente per i frantoi che operano in stretta connessione con un'aziende agricola e che trattano in massima parte i frutti da essa prodotti. Tale caratteristica si connette anche alla circostanza che i quantitativi di acque ottenuti dalla lavorazione risultano in tal modo contenuti e, quindi, tollerabili dai terreni agricoli ove le acque vengono distribuite con le opportune cautele.
Queste conclusioni trovano conferma anche nella normativa introdotta dal T.U. in materia ambientale, e cioè dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152. E' sufficiente infatti richiamare le disposizioni contenute, in particolare, negli artt.101, comma settimo (scarichi e acque reflue), 112 (utilizzazione agronomica), 137 (sanzioni penali). Queste disposizioni ricalcano in modo quasi pedissequo la disciplina precedente. Il comma settimo dell' art.101 parifica alle acque reflue domestiche solo quelle che provengono dalle attività di aziende agricole e agroalimentari, e non di quelle che operano con carattere industriale. L' art.112 consente l'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione esattamente negli stessi termini di quanto faceva l'art. 38, novellato del D.Lv. 152-1999 e rinvia per quanto riguarda le sanzioni, al successivo art.137, che al comma quattordicesimo riproduce, salvo un aumento della misura dell'ammenda, il contenuto del comma ll-ter dell'art.59 della precedente disciplina in materia di acque (D.Lv. 152-99)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati: Udienza pubblica
Dott. ONORATO Pierluigi - Presidente - del 27/03/2007
Dott. MARMO Margherita - Consigliere - SENTENZA
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere - N. 00928/2007
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 34441/2006
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DI LUCIA Pietro Antonio, nato il 14 Aprile 1947 a Chiesti; PALMIERI
Domenico Giorgio, nato l'8 aprile 1952 a Chiesti;
Avverso la sentenza emessa il 2 marzo 2005 dal Tribunale di Lucera,
Sezione distaccata di Apricena, che ha assolto "perché il
fatto non sussiste" il Sig. PALMIERI dal reato contestato al capo A)
della rubrica, diversamente qualificato ai sensi del D.Lgs. n. 152 del
1999, art. 59, comma 1, ed assolto "perché il fatto non
sussiste" il Sig. DI LUCIA dal reato previsto dal D.Lgs. n. 22 del
1997, art. 51, comma 1, contestato al capo D). Ha quindi condannato il
Sig. PALMIERI, previa concessione delle circostanze attenuanti
generiche e riconosciuta la continuazione, per le violazioni dal D.Lgs.
n. 22 del 1997, contestati al capo B) (diversamente qualificato ai
sensi del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 59, comma 11 ter,) e al capo C)
della rubrica, determinando la pena in Euro 6.000,00, di ammenda. Ha
condannato il Sig. DI LUCIA per il reato previsto al capo C) della
rubrica, concesse le circostanze attenuati generiche equivalenti alla
recidiva, determinando la pena in Euro 5000,00, di ammenda. Ha
ordinato, altresì, la bonifica ed il ripristino ambientale
delle aree interessate.
Sentita la relazione effettuata dal Cons. Dott. MARINI Luigi;
Udito il Pubblico Ministero nella persona del Cons. Dott. D'ANGELO
Giovanni, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
Udito il Difensore, Avv. SONCINO Maria, che ha richiamato il contenuto
del ricorso e le relative conclusioni.
RILEVA IN FATTO
Il Sig. PALMIERI, quale titolare di frantoio, è stato tratto
a giudizio ai capi a) e b) in relazione ai reati previsti dall'art. 51,
comma 2, in relazione alla lett. a) del comma 1 ed al D.Lgs. 5 febbraio
1997, n. 22, art. 14, per avere immesso rifiuti non pericolosi,
consistenti in acque reflue oleose, nella condotta fognaria pubblica e
per avere depositato i medesimi rifiuti mediante spandimento su terreni
agricoli; è stato inoltre tratto a giudizio, in concorso col
Sig. DI LUCIA che agiva quale trasportatore, in relazione, capo c), al
reato previsto dal citato art. 51, comma 2, per avere sversato le acque
reflue in un canale.
Il Sig. DI LUCIA, oltre che per la contestazione prevista dal capo c),
è stato tratto a giudizio, al capo d), per la violazione
dell'art. 51, comma 1, lett. a) della medesima legge per avere
trasportato senza autorizzazione rifiuti non pericolosi. Il Tribunale
con la sentenza impugnata ha mandato assolto il Sig. PALMIERI per il
reato contestato al capo a), e cioè l'ipotesi di scarico
nella condotta fognaria pubblica, diversamente qualificato ai sensi del
D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, art. 59, comma 1, non ritenendo
sufficiente la prova raggiunta in sede dibattimentale; ha quindi
mandato assolto il sig. DI LUCIA dal reato contestato al capo d), non
ritenendo sufficiente la prova raggiunta.
Ha condannato gli odierni ricorrenti per i reati contestati al capo b),
e cioè l'irrituale spandimento su terreni agricoli, e al
capo c), e cioè lo scarico in un corso d'acqua superficiale,
infliggendo, rispettivamente al Sig. PALMIERI ed al Sig. DI LUCIA la
pena di Euro 6.000,00, e di Euro 5.000,00, di ammenda,
nonché ordinando la bonifica ed il ripristino ambientale dei
siti interessati dalle attività illecite.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Sig. DI LUCIA, lamentando
l'inosservanza o l'erronea applicazione di legge per avere il Tribunale
considerato come "rifiuti" le acque di vegetazione residuate da
lavorazione meccanica delle olive, in ciò contraddicendo una
ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, che esclude
dalla sfera dell'illecito lo "spandimento" di tali acque su terreni
agricoli. Infine, ha lamentato che il Tribunale avrebbe erroneamente
non considerato che il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 8, per il reato di
illecito sversamento in ogni caso prevederebbe l'irrogazione di sola
sanzione amministrativa.
Ha proposto ricorso anche il Sig. PALMIERI, lamentando l'inosservanza o
l'erronea applicazione di legge per avere il Tribunale erroneamente
affermato l'esistenza di prove sufficienti a suo carico, mentre le
risultanze dibattimentali avrebbero dovuto portare a diversa
conclusione. Inoltre, erroneamente il Tribunale avrebbe qualificato le
acque di lavorazione come "rifiuti" ed omesso, in ogni caso, di
considerare che il D.Lgs. cit., art. 8 applicato si limita a prevedere
la sola sanzione amministrativa per le attività di
spandimento delle acque reflue.
OSSERVA IN DIRITTO
I ricorsi, che possono essere trattati congiuntamente per le questioni
interpretative, sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
1. È inammissibile il ricorso del Sig. PALMIERI nella parte
in cui, lamentando un vizio ricostruttivo da parte del Tribunale,
introduce una diversa ricostruzione dei fatti oggetto della valutazione
del giudice di prime cure. La sentenza impugnata, invero, appare
compiutamente e congruamente motivata con riferimento alla circostanze
di fatto che fonderebbero la responsabilità penale del Sig.
PALMIERI in ordine ai capi b) e c) della contestazione. Nel motivare la
propria decisione, il Tribunale ha ampiamente esaminato gli elementi di
prova acquisiti (pagg. 2 - 15), concludendo per la non sufficienza
degli stessi in ordine al capo a) della rubrica, e cioè
l'immissione delle acque di lavorazione nella fognatura pubblica, e, al
contrario, ritenendo sufficientemente provati i capi b) e c), relativi
alle condotte di spandimento delle acque reflue e di sversamento di
altre acque in un affluente del "CANALE DIVENTO". In particolare,
l'ampia motivazione adottata dal Tribunale alle pagine 12 e 13 della
sentenza smentisce la prospettazione avanzata nel ricorso, e
cioè che al Sig. PALMIERI venga fatto carico di condotte
altrui a titolo di vera e propria responsabilità oggettiva.
A fronte di una motivazione ampia e articolata, intrinsecamente
coerente, in ordine agli elementi di prova acquisiti ed alle
circostanze di fatto poste a fondamento della decisione, è
precluso al giudice di legittimità, come ormai affermato
anche da costante giurisprudenza, procedere ad un'attività
di controllo che dovrebbe avere come oggetto la ricostruzione dei fatti
e delle responsabilità per verificare l'esistenza di una
soluzione alternativa a quella adottata dal giudice del merito.
A questo proposito si deve rinviare all'ampia motivazione, che viene
condivisa da questo Giudice, della sentenza della Seconda Sezione
Penale della Corte, 5 maggio - 7 giungo 2006, n. 19584, Capri ed altra
(rv 233773, rv 233774, rv 233775) e della sentenza della Sesta Sezione
Penale, 24 marzo - 20 aprile 2006, n. 14054, Strazzanti (rv 233454).
Osserva la sentenza Capri che prima delle novella del 2006 la
giurisprudenza pacificamente affermava che l'art. 606 c.p.p., lett. e)
non affidava alla Corte "il compito di accertare l'intrinseca
adeguatezza dei risultati dell'interpretazione delle prove, ma quello
ben diverso di stabilire se i giudici di merito avessero esaminato
tutti gli elementi a loro disposizione, se avessero dato esauriente
risposta alle deduzioni delle parti e se nell'interpretazione delle
prove avessero esattamente applicato le regole della logica, le massime
di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione
della prova...". Tali principi sono rimasti fermi anche dopo la L. n.
46 del 2006, e la natura del vizio denunciabile resta attinente alla
correttezza del discorso giustificativo della decisione e non al suo
contenuto valutativo.
Ciò non toglie importanza alla circostanza che il nuovo
testo del citato art. 606 c.p.p., lett. e) sottolinea il valore
decisivo che la valutazione del fatto ha con riferimento alla corretta
applicazione della disposizione che si attaglia al caso concreto, posto
che un'errata applicazione delle regole sulla valutazione della prova
si trasforma in una non coerente applicazione della legge al fatto
realmente accaduto ed alle conseguenti responsabilità.
Tuttavia, resta fuori dubbio che il giudizio avanti la Corte di
cassazione risponde a logiche e finalità sue proprie, che
non ripetono quelle del giudizio avanti i giudici di merito. Una
dimostrazione di questa differenza la si ricava, tra l'altro, dalla
motivazione della sentenza n. 26 del 2007 della Corte costituzionale,
la dove (punto 6.1), argomentando in ordine alla modifica apportata
dalla L. n. 46 del 2006 al potere di impugnazione del pubblico
ministero, afferma che la possibilità di ricorso avanti la
Corte di cassazione è "rimedio (che) non attinge comunque
alla pienezza del riesame di merito, consentito (invece) dall'appello".
Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha "la
pienezza del riesame di merito" che è propria del controllo
operato dalle corti di appello, ben si comprende come il riferimento
del nuovo testo dell'art. 606 c.p.p., lett. e) agli "altri atti del
processo" su cui il ricorso può fondare la richiesta di
annullamento della sentenza di merito non significa affatto che il
giudice di legittimità sia chiamato, attraverso l'esame di
tali atti, a ripercorre l'intera ricostruzione della vicenda oggetto di
giudizio. In altri e conclusivi termini, questa Corte ritiene che il
giudizio sulla completezza e correttezza della motivazione della
sentenza impugnata non possa confondersi "con una rinnovata valutazione
delle risultanze acquisite, da contrapporsi a quella fornita dal
giudice di merito", con la conseguenza che una motivazione esauriente
nell'affrontare i temi essenziali e coerente nella valutazione degli
elementi probatori si sottrae al sindacato di legittimità.
Conservano, dunque, piena validità anche dopo la novella del
2006 i principi essenziali fissati dalla sentenza delle Sezioni Unite
Penali, n. 2120, del 23 novembre 1995 - 23 febbraio 1996, Facilini (rv
203767).
2. I ricorsi sono manifestamente infondati nella parte in cui lamentano
l'erronea interpretazione di legge da parte del Tribunale. Circa lo
spandimento delle acque di lavorazione dei prodotti oleari, la sentenza
impugnata non si limita ad esaminare la natura delle acque, concludendo
che si è in presenza di acque reflue industriali, ma
concentra la propria attenzione sulla irregolare attuazione delle
attività di spandimento controllato. In particolare (pag.
11) la motivazione evidenzia come il ruscellamento massiccio causato
dalle modalità di spandimento contrasti con la preventiva
comunicazione effettuata dal ricorrente al sindaco. La violazione delle
regole e delle modalità riconducibili al D.Lgs. n. 152 del
1999, art. 38 (come modificato dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258),
dunque, secondo il giudice di prime cure riporta il fatto entro la
violazione prevista dal comma 11 ter, del successivo art. 59 del
medesimo testo normativo.
3. Come emerge dalla copiosa giurisprudenza in materia, la stessa
ricostruzione della disciplina applicabile alla utilizzazione
agronomica di acque di vegetazione olearia presenta aspetti di
complessità e richiede una particolare attenzione. Si
è sostenuto da parte dei ricorrenti che per i casi di non
corretto "spandimento" delle acque di vegetazione la L. 11 novembre
1996, n. 574, art. 8, prevede l'irrogazione della sola sanzione
amministrativa, così che erroneamente la sentenza impugnata
avrebbe accolto la tesi della pubblica accusa.
Osserva sul punto la Corte che la citata L. n. 574 del 1996 (intitolata
"Nuove norme in materia di utilizzazione agronomica delle acque di
vegetazione e di scarichi dei frantoi oleari") mirava a disciplinare in
modo specifico ed esaustivo il fenomeno della utilizzazione agronomica
delle acque di vegetazione, ivi comprese le attività di
spandimento di tali acque sui terreni agricoli. In particolare, l'art.
1 della L. (Utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e delle
sanse umide), al comma 1, recita: "Le acque di vegetazione residuate
dalla lavorazione meccanica delle olive che non hanno subito alcun
trattamento ne' ricevuto alcun additivo ad eccezione delle acque per la
diluizione delle paste ovvero per la lavatura degli impianti possono
essere oggetto di utilizzazione agronomica attraverso lo spandimento
controllato su terreni adibiti ad usi agricoli. "
Il successivo art. 2, fissa i "limiti di tolleranza", che variano a
seconda delle tipologie e delle modalità, mentre l'art. 3
prevede che si proceda alla preventiva comunicazione - al sindaco del
comune interessato - delle attività che si intende svolgere,
comunicazione che deve essere corredata da pareri tecnici.
L'art. 4. (Modalità di spandimento), quindi recita:
1. "Lo spandimento delle acque di vegetazione deve essere realizzato
assicurando una idonea distribuzione ed incorporazione delle sostanze
sui terreni in modo da evitare conseguenze tali da mettere in pericolo
l'approvvigionamento idrico, nuocere alle risorse viventi ed al sistema
ecologico".
2. "Lo spandimento delle acque di vegetazione si intende realizzato in
modo tecnicamente corretto e compatibile con le condizioni di
produzione nel caso di distribuzione uniforme del carico idraulico
sull'intera superficie dei terreni in modo da evitare fenomeni di
ruscellamento".
Infine, dopo che l'art. 5 ha escluso alcune tipologie di terreno dalla
possibilità di ricevere le acque di vegetazione, l'art. 8
stabilisce sanzioni amministrative nei confronti di chiunque "proceda
allo spandimento di acque di vegetazione senza procedere alla
preventiva comunicazione", oppure "proceda allo spandimento di acque di
vegetazione con inosservanza dei modi di applicazione" previsti
dall'art. 4, e ciò "salvo che il fatto non sia previsto
dalla legge come reato". Sanzioni amministrative si applicano anche nei
confronti di chiunque "proceda allo spandimento delle acque di
vegetazione con inosservanza del limite di accettabilità di
cui all'art. 2" e, infine, di chiunque "proceda allo spandimento delle
acque di vegetazione in violazione dei divieti di cui all'art. 5". 4.
Come appare evidente, la L. del 1996 ha disciplinato con grande
attenzione le attività di utilizzazione agronomiche delle
acque di vegetazione, dimostrando di avere ben presente la potenziale
pericolosità delle attività di raccolta e di
spandimento rispetto alle diverse composizioni dei terreni ed ai rischi
di inquinamento delle acque superficiali e delle stesse falde
acquifere. La scelta di prevedere sanzioni amministrazioni, poi, non
è esclusiva, posto che per le modalità di
spandimento disciplinate dall'art. 4, residua la formula "salvo che il
fatto non costituisca reato". Si tratta di riserva che assume uno
specifico significato con riferimento al presente ricorso.
5. A questo proposito la Corte evidenzia, infatti, come la L. 18 Agosto
2000, n. 258, intitolata "Disposizioni correttive e integrative del
D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, in materia di tutela delle acque
dall'inquinamento" abbia modificato, tra l'altro, sia l'art. 38 sia
l'art. 59 di tale ultima normativa.
L'art. 38, nel testo novellato, contiene al comma 1, una complessa
previsione che: a) esclude dall'applicazione della disposizione sia le
zone vulnerabili, sia gli impianti di allevamento intensivo; b)
prevede, previa comunicazione alle autorità competenti,
l'utilizzazione agronomica degli effluenti da allevamento, delle acque
di vegetazione dei frantoi, secondo le previsioni della L. n. 574 del
1996, le acque reflue provenienti dalle aziende citate al comma 7,
lett. a), b) e c) dell'art. 28 che precede, nonché "da altre
piccole aziende agroalimentari ad esse assimilate". Contiene, poi, al
comma 2, una delega agli enti regionali affinché
disciplinino "le attività di utilizzazione agronomica di cui
al comma 1" sulla base dei criteri fissati in sede governativa anche a
seguito dell'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome; tale normativa deve
disciplinare, tra l'altro, le modalità di attuazione della
L. n. 574 del 1996 e le norme tecniche cui devono attenersi le
attività, nonché, recita la lett. e), "Le
sanzioni amministrative pecuniarie, fermo restando quanto disposto
datt'art. 59, comma 11 ter,". In sostanza, il nuovo testo dell'art. 38
fornisce due indicazioni di grande rilievo ai fini della presente
decisione. Innanzitutto chiarisce che l'utilizzazione agronomica delle
acque di vegetazione dei frantoi è soggetta alla disciplina
della preventiva comunicazione (e non a quella più complessa
e restrittiva degli scarichi) a condizione che sia effettuata da
aziende agricole che trattano in massima parte i loro stessi prodotti
(dell'art. 28, comma 7, lett. a) e c)) o comunque di modeste dimensioni
("piccole aziende agroalimentari"). In secondo luogo chiarisce che le
violazioni al regime previsto per tali aziende sono passibili di
sanzione amministrativa, ad eccezione dei casi in cui comportano la
realizzazione di illeciti penali, ora disciplinati del successivo art.
59, comma 11 ter.
6. L'art. 59, comma 11 ter, recita: "Chiunque effettui l'utilizzazione
agronomica di effluenti da allevamento, delle acque di vegetazione dei
frantoi oleari, nonché delle acque reflue provenienti da
aziende agricole e piccole aziende agroalimentari di cui all'art. 38 al
di fuori dei casi e delle procedure ivi previste ovvero non ottemperi
al divieto o all'ordine di sospensione delle attività
impartito a norma di detto articolo è punito con l'ammenda
di Euro 1.032,00, a Euro 7.746,00, o con l'arresto fino a un anno. La
stessa pena si applica a chiunque effettua l'utilizzazione agronomica
al di fuori dei casi e delle procedure di cui alla normativa vigente".
Tale ultima previsione assume uno specifica rilievo in attesa che trovi
definizione la complessa disciplina amministrativa prevista dell'art.
38, commi 2 e seguenti, come novellato.
Ritiene la Corte che la disciplina sanzionatoria ora ricordata, che
è successiva a quella fissata dalla L. n. 574 del 1996,
sopra descritta, escluda che violazioni come quelle contestate nel
presente giudizio possano essere ricondotte nell'ambito di applicazione
della L. del 1996, art. 8 cit..
In ultima istanza, la Corte considera che la disciplina che mira ad
agevolare lo smaltimento delle acque di vegetazione mediante il loro
spandimento sia stata introdotta esclusivamente per i frantoi che
operano in stretta connessione con un'aziende agricola e che trattano
in massima parte i frutti da essa prodotti. Tale caratteristica si
connette anche alla circostanza che i quantitativi di acque ottenuti
dalla lavorazione risultano in tal modo contenuti e, quindi,
tollerabili dai terreni agricoli ove le acque vengono distribuite con
le opportune cautele.
6. Così ricostruito il quadro normativo, la Corte ritiene
che la sentenza impugnata abbia correttamente motivato sia in ordine
alla situazione di fatto rilevante (pag. 13 e 14) sia in ordine alla
sussistenza della violazione prevista del D.Lgs. n. 152 del 1999, art.
59, comma 11 ter. Ed infatti, il frantoio gestito dal Sig. PALMIERI
risulta avere una produzione quantitativamente significativa e non
riconducibile nell'ambito delle tipologie di azienda previste dall'art.
28 cit., comma 7, o ad esse assimilate. Dalla sentenza impugnata emerge
con tutta evidenza che le attività di trasporto e di
utilizzazione delle acque di vegetazione non rispettarono le
modalità contenute nella segnalazione e comportarono
modalità di spandimento che dettero origine al fenomeno, non
consentito, del ruscellamento, così come emerge una non
consentita di condotta di trasporto e di scarico in corso d'acqua
superficiale (su questo aspetto la Corte concorda con la sentenza della
Terza Sezione Penale, 31 maggio - 12 luglio 2002, n. 26614, Iannotti,
rv. 222121, che richiama).
7. Queste conclusioni trovano conferma anche nella normativa introdotta
dal T.U. in materia ambientale, e cioè dal D.Lgs. 3 aprile
2006, n. 152.
È sufficiente qui richiamare le disposizioni contenute, in
particolare, nell'art. 101, comma 7, (scarichi e acque reflue), art.
112, (utilizzazione agronomica), art. 137, (sanzioni penali). Queste
disposizioni ricalcano in modo quasi pedissequo la disciplina
precedente. L'art. 101, comma 7, parifica alle acque reflue domestiche
solo quelle che provengono dalle attività di aziende
agricole e agroalimentari, e non di quelle che operano con carattere
industriale. L'art. 112 consente l'utilizzazione agronomica delle acque
di vegetazione esattamente negli stessi termini di quanto faceva l'art.
38, novellato, sopra esaminato, e rinvia per quanto riguarda le
sanzioni, al successivo art. 137, che al comma 14 riproduce, salvo un
aumento della misura dell'ammenda, il contenuto dell'art. 59 cit.,
comma 11 ter.
I ricorsi debbono pertanto essere rigettati, con conseguente condanna
dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali. P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna I ricorrenti in solido al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso in Roma, il 27 marzo 2007.
Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2007