Cass. Sez. III n. 49693 del 30 ottobre 2018 (Ud 5 lug. 2018)
Pres. Savani Est. Scarcella Ric. Casale
Acque.Acque meteoriche di dilavamento
In tema di tutela penale dall'inquinamento, le acque meteoriche da dilavamento sono costituite dalle sole acque piovane che, cadendo al suolo, non subiscono contaminazioni con sostanze o materiali inquinanti, poiché, altrimenti, esse vanno qualificate come reflui industriali ex art. 74, lett. h), D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza 20.06.2017, il tribunale di Avellino condannava il Casale alla pena di 300 € di ammenda per il capo a), di 2600€ di ammenda per il capo b), di 1500 € di ammenda per il capo c) e di 200€ di ammenda per il capo d), assolvendolo dal reato sub e) per insussistenza del fatto; giova precisare, per migliore intelligibilità dell’illustrazione, che tutte le violazioni attengono a contravvenzioni del TU Ambientale (269/279, d. lgs. n. 152/2006, quella sub a); 256, d. lgs. n. 152/2006, quella sub b); 137, co. 11, d. lgs. n. 152/2006, quella sub c) e, quella sub d) relativa all’art. 674, c.p.; tutti i reati sono stati contestati come commessi, secondo le modalità esecutive e spazio – temporali meglio descritte nei capi di imputazione, in data 11.10.2013, con condotta perdurante.
2. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia del ricorrente, iscritto all’Albo speciale ex art. 613, cod. proc. pen., prospettando dieci motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce, con il primo motivo, violazione di legge in relazione al combinato disposto degli artt. 71, 73 e 78, c.p.
Si censura la sentenza in quanto, si sostiene, nel caso in esame, in virtù delle evocate disposizioni, al ricorrente andavano applicate le pene pecuniarie per intero ma nei limiti indicati dall’art. 78, c.p., per i casi in cui, con una sola sentenza, si devono pronunciare condanne per più reati contro la stessa persona; nella specie, la somma delle pene inflitte con la sentenza per i capi per cui è intervenuta condanna è pari ad € 4600 di ammenda, dunque illegale rispetto al limite di 3098 € previsto per l’ammenda dall’art. 78, c.p.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla sussistenza del reato sub a), con particolare riferimento all’esistenza del decreto autorizzativo n. 29 del 16.02.2010.
Quanto alla contravvenzione in materia di inquinamento atmosferico, prevista dall’art. 269/279, d. lgs. n. 152 del 2006, sostiene il ricorrente che non sarebbe dato comprendere se, al momento dell’accertamento della p.g., l’autorizzazione fosse o meno esistente, in quanto dalla sentenza emergerebbe solo che l’autorizzazione era stata richiesta solo nel settembre 2009, successivamente al sopralluogo; detta affermazione sarebbe contraddittoria in quanto l’accertamento è intervenuto nel luglio 2013, ma soprattutto sarebbe smentita dagli atti perché risulterebbe che l’autorizzazione alle emissioni, richiesta nel settembre 2009, è stata rilasciata con decreto dirigenziale n. 29 del 1602.2010, antecedente alla data del sopralluogo, intervenuto nel luglio 2013; quanto sopra escluderebbe la configurabilità del reato contestato, dovendosi altresì specificare che il sopralluogo cui si riferisce il giudice, è quello del 23.05.2009, il cui verbale è stato acquisito con il consenso delle parti, di cui dà atto il giudice nella sentenza impugnata ed in cui si puntualizza che l’attività produttiva era ferma e nulla si poteva constatare di quanto denunciato dagli esponenti.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, violazione di legge in relazione all’art. 649, c.p.p., attesa l’esistenza di un precedente giudicato sul fatto.
Si sostiene che l’imputato, nella qualità di cui all’imputazione, risulterebbe essere già stato giudicato dal tribunale di Avellino con sentenza 2.04.2015, allegata al ricorso; l’esistenza di un altro processo per lo stesso fatto veniva fatto oggetto di espressa segnalazione all’ud. 25.02.2015, ma la richiesta ex art. 649, c.p.p. era stata rigettata dal tribunale in base al rilievo che quel procedimento fosse ancora pendente; la stessa questione, riproposta in sede di chiusura dell’istruttoria dibattimentale, veniva parimenti rigettata, nonostante la produzione della sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto, in base all’affermazione che la documentazione prodotta dalla difesa non avrebbe contraddetto gli esiti investigativi; tale motivazione sarebbe censurabile in quanto, trattandosi degli stessi fatti originati dal medesimo esposto del 2009, ricorrevano le condizioni per la declaratoria di proscioglimento ex art. 649, c.p.p., atteso che la contestazione, nel procedimento già definito, si arrestava al 15.02.2010, proprio in considerazione del fatto che il giorno successivo, il 16.02.2010, era stata rilasciata al ricorrente l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera con il richiamato decreto dirigenziale n. 299.
2.4. Deduce, con il quarto motivo, violazione di legge in relazione agli artt. 493, co. 3 e 191, c.p.p. per essere stati utilizzati dal giudice atti di indagine non acquisiti con il consenso delle parti, segnatamente costituiti dall’informativa del Lgt. Vigliotta ed allegati.
Si sostiene che il giudice, nel richiamare in più punti della sentenza atti di indagine acquisiti con il consenso delle parti, avrebbe fatto confusione, in quanto il consenso prestato dalla difesa all’ud. 25.02.2015 era limitato solo alle ss.ii.tt. delle persone che avevano sottoscritto l’esposto (dunque di quattro persone: Garofano, Caruso, Taddeo e Cappabianca), dunque ai soli atti allegati all’informativa redatta dal M.llo Benedetto 14.08.2009 relativa al sopralluogo 23.05.2009, e non invece di quelli allegati all’informativa del Lgt. Vigliotta (ossia, le ss.ii.tt. rese dai testi Starace, Cava, Cioffi e Capone) in relazione ai quali non era stato prestato il consenso da parte della difesa, come risulta dall’opposizione formulata a verbale il 30.06.2015, con la conseguenza che il richiamo operato dal giudice a tali atti è affetto da inutilizzabilità; in ogni caso, e conclusivamente, si fa rilevare che quanto emergente da tali atti inutilizzabili riveste valore pregnante nell’economia della motivazione, al punto che lo stesso giudice fa riferimento a tale documentazione anziché alle risultanze dell’istruttoria dibattimentale, recependo acriticamente quanto emergente dall’informativa del Lgt. Vigliotta, utilizzata in violazione del divieto di utilizzabilità.
2.5. Deduce, con il quinto motivo, vizio di mancanza della motivazione in ordine alla qualificazione dei beni rinvenuti come rifiuti, al loro stoccaggio, all’epoca della loro produzione e all’eccedenza dei limiti del deposito temporaneo con riferimento al reato di cui all’art. 256, TUA di cui al capo b) della rubrica.
Si censura la sentenza impugnata in quanto la affermazione della responsabilità dell’imputato, con riferimento al reato sub b), sarebbe stata compiuta in maniera apodittica; richiamando quanto emerge a pag. 2 della motivazione dell’impugnata sentenza, si sostiene che la stessa sarebbe apparente in quanto difetterebbe dell’indicazione di elementi fondamentali (ragioni per le quali gli imballaggi in plastica debbano considerarsi rifiuti; ragioni per le quali il lubrificante contenuto nei bidoni in ferro ed impiegato per le apparecchiature debba considerarsi esausto e quindi rifiuto; ragioni per cui la detenzione di tali materiali debba qualificarsi come stoccaggio; ragioni per le quali è stato ritenuto mancante lo smaltimento o il conferimento dei predetti materiali; ragioni per le quali, quand’anche considerati come rifiuti, tali materiali non possano rientrare nel deposito temporaneo nel luogo di produzione degli stessi per i periodi di tempo consentiti; specificazione dell’arco temporale a partire dal quale detti rifiuti si trovassero ivi, eccedendo per tale via i limiti del deposito temporaneo); in assenza di tali elementi, sostiene la difesa del ricorrente, l’affermazione per la quale gli stessi si trovassero sul posto dal 2010 si risolverebbe in una deduzione logica ed inaccettabile.
2.6. Deduce, con il sesto motivo, violazione di legge in relazione al combinato disposto degli artt. 183, lett. aa) e 256, TUA e correlato vizio di illogicità della motivazione per travisamento della prova costituito dalla deposizione del teste Vigliotta all’ud. 30.06.2015.
Premesso il richiamo normativo alle disposizioni di cui agli artt. 183, lett. aa) e 256, TUA, sostiene il ricorrente che la già generica formulazione del capo di imputazione da parte del PM senza distinguere tra messa in riserva e deposito preliminare sarebbe indicativa dell’errata applicazione della legge penale; in ogni caso, si aggiunge, a tutto voler concedere il giudice avrebbe dovuto applicare la disciplina del deposito temporaneo, non essendo emersa dall’istruttoria prova di un deposito di rifiuti oltre i limiti indicati dall’art. 183 citato; si aggiunge, ancora, che la sentenza, nel considerare rifiuti gli imballaggi in plastica ed i bodoni di lubrificante, avrebbe completamente travisato il senso della deposizione del teste Vigliotta resa all’ud. 30.06.2015, il quale avrebbe confermato di non aver svolto accertamenti in ordine alle qualità dei lubrificanti e circa la pertinenza degli imballaggi all’attività in essere, ciò che renderebbe illogica manifestamente la qualificazione come rifiuti stoccati.
2.7. Deduce, con il settimo motivo, violazione di legge in relazione al combinato disposto degli artt. 178, 179 e 552, co. 2, c.p.p. per indeterminatezza del capo di imputazione sub c), eccepita in sede di questioni preliminari.
In relazione al reato di cui all’art. 137, TUA, per aver scaricato sul suolo acque reflue industriali in violazione del prescritto divieto, la difesa del ricorrente rileva come all’ud. 25.02.2015, in sede di questioni preliminari, era stata eccepita la nullità del decreto di citazione a giudizio in relazione a tale capo di imputazione per l’assolta genericità dello stesso nella descrizione del fatto contestato; la motivazione del giudice di rigetto dell’eccezione sarebbe stata inconferente ed errata, affermando lo stesso che occorreva collegare il prescritto divieto alla mancanza di autorizzazione indicata nel capo b) che consentiva di specificare la condotta ove necessario; si definisce tale motivazione imbarazzante ed elusiva dell’eccezione, in quanto, sinteticamente, si sarebbe ritenuto che la contestazione sarebbe relativa allo scarico di acque senza autorizzazione ex art. 137, co. 1, TUA - anziché comma 11, come contestato nella rubrica – perdipiù ritenuta superabile con riferimento al capo b) della rubrica, relativo allo stoccaggio di rifiuti senza autorizzazione, che, all’evidenza, non avrebbe nulla a che fare con le acque reflue industriali di cui si contesta lo scarico abusivo al capo c) della rubrica.
2.8. Deduce, con l’ottavo motivo, vizio di mancanza della motivazione in ordine agli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 137 TUA e illogicità manifesta della motivazione per travisamento della prova costituita dalla relazione tecnica del dott. Bosco, acquisita agli atti del processo in data 30.06.2015, all’esito dell’esame di quest’ultimo.
La motivazione relativa all’affermazione di responsabilità del ricorrente quanto al reato sub c), sarebbe tautologica nella prima parte in cui il giudice si limita a ritenere integrata la violazione contestata nei suoi elementi costitutivi, mentre, in un successivo passaggio della motivazione, lo stesso giudice non darebbe conto del percorso motivazionale che lo avrebbe indotto a qualificare come acque reflue industriali quella che, in realtà, sarebbero solo acque meteoriche e di dilavamento dei piazzali, non essendo comprensibile comunque quale sia il divieto che si assume contravvenuto nel caso di specie, tra i diversi menzionati al co. 5 o al co. 11 dell’art. 137 TUA, né, peraltro, nella motivazione è dato cogliere le modalità con cui l’imputato avrebbe contravvenuto a tale divieto; in ogni caso, ove tale dubbio fosse ritenuto superabile, non sarebbe possibile comprendere dalla motivazione se la trasformazione di tali reflui in acque industriali sia avvenuta a causa della contaminazione con lo stoccaggio abusivo sui piazzali di rifiuti pericolosi e non o se invece i reflui debbano considerarsi industriali perché finiscono con lo riversare sul suolo i componenti inquinanti della produzione; quanto, poi, al dedotto vizio di travisamento probatorio relativamente alle risultanze della relazione tecnica Bosco, si sostiene che il giudice non l’avrebbe considerata, nonostante dalla stessa, acquisita in data 30.06.2015 all’esito dell’esame del c.t., emergesse documentalmente che le uniche acque presenti presso lo stabilimento sono quelle meteoriche e di dilavamento dei piazzali e che dalla certificazione analitica allegata alla relazione risulti l’assenza di sostanze pericolose e che l’attività svolta non sarebbe interessata da alcuna delle sostanze di cui alle tabelle 3 e 5 dell’all. 5, affermandosi che la gestione delle acque sarebbe conforme alle previsioni dell’art. 113, TUA; quanto sopra, contrastando con quanto illustrato nella motivazione, renderebbe manifestamente illogica la stessa per il predetto travisamento.
2.9. Deduce, con il nono motivo, violazione della legge processuale in relazione al combinato disposto degli artt. 493, co. 3, 191 c.p.p. in relazione alla sussistenza del reato di cui all’art. 674, c.p.
Si censura, ancora, la sentenza per l’affermazione di responsabilità in relazione al capo d) della rubrica, che sarebbe stata pronunciata in assenza di alcun “obiettivo accertamento”, riposando solo sulle dichiarazioni dei cittadini residenti nelle vicinanze; richiamata la esistenza in atti di due distinti “blocchi” di dichiarazioni testimoniali, riferiti agli anni 2009 e 2013, si ribadisce che tali ultime dichiarazioni non sarebbero utilizzabili perché facenti parte dell’informativa del Lgt. Vigliotta, su cui la difesa non ha prestato il consenso; depurato di tali atti inutilizzabili, in assenza di altri obiettivi accertamenti, il giudizio di responsabilità sul reato sub d) sarebbe fondato esclusivamente sulle ss.ii.tt. rese nel 2009 dai denuncianti (Cappabianca, Taddeo, Caruso, Carofano e Cava), acquisite sul consenso delle parti, che tuttavia non avrebbero rilievo in quanto, a seguito del sopralluogo eseguito dai tecnici dell’ARPAC il 25.06.2009, sarebbe emersa l’assenza di riscontri a quanto denunciato; a ciò andrebbe aggiunto, infine, che in data 16.02.2010 con il richiamato decreto n. 29 era stata rilasciata definitiva autorizzazione alle emissioni in atmosfera; ne conseguirebbe che la affermata responsabilità per il reato sub d) troverebbe conforto solo sulle dichiarazioni processualmente inutilizzabili rese nel 2013, su cui il consenso della difesa all’acquisizione non era stato manifestato.
2.10. Deduce, con il decimo motivo, vizio di mancanza della motivazione in ordine al diniego del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis, c.p.
In sintesi, la sentenza sarebbe infine censurabile per l’assenza di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è parzialmente fondato per le ragioni di cui si dirà oltre.
4. Quanto al primo motivo, con cui si deduce violazione di legge in relazione al combinato disposto degli artt. 71, 73 e 78, c.p. perché, nella specie, la somma delle pene inflitte con la sentenza per i capi per cui è intervenuta condanna è pari ad € 4600 di ammenda, e dunque sarebbe illegale rispetto al limite di 3098 € previsto per l’ammenda dall’art. 78, c.p., è sufficiente in questa sede ricordare che in tema di cumulo materiale, il limite massimo previsto dall'art. 78 cod. pen. è inapplicabile alle sanzioni previste dalle leggi speciali, quali quelle, nel caso di specie, in materia di ambientale (tra le tante: Sez. 3, n. 2302 del 06/12/2012 - dep. 16/01/2013, Mastrangelo, Rv. 254140). Si è infatti chiarito che la norma codicistica sul limite massimo della pena (art. 78 cod. pen.) non può applicarsi quando una legge speciale - per giunta cronologicamente posteriore (nella specie, d. lgs. n. 152/2006) - disponga altrimenti, ovverosia preveda una pena superiore a quella fissata in via generale dalla norma del codice: in tal caso la norma speciale e posteriore deroga a quella generale anteriore (Sez. 3, n. 9775 del 27/06/1995 - dep. 21/09/1995, Pinter, Rv. 202951).
Il motivo è dunque inammissibile per manifesta infondatezza.
5. Quanto al secondo motivo, con cui si deduce vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla sussistenza del reato sub a), con particolare riferimento all’esistenza del decreto autorizzativo n. 29 del 16.02.2010, trattasi, in effetti, di vizio emergente dagli atti.
Ed invero, con riferimento alla contravvenzione in materia di inquinamento atmosferico, prevista dal combinato disposto di cui agli artt. 269/279, d. lgs. n. 152 del 2006, dalla sentenza emerge che l’autorizzazione era stata richiesta nel settembre 2009, successivamente al sopralluogo; il sopralluogo cui si riferisce il giudice, è quello del 23.05.2009, il cui verbale è stato acquisito con il consenso delle parti, di cui dà atto il giudice nella sentenza impugnata ed in cui si puntualizza che l’attività produttiva era ferma e nulla si poteva constatare di quanto denunciato dagli esponenti; risulta (v. allegato al ricorso) che l’autorizzazione alle emissioni, richiesta nel settembre 2009, è stata rilasciata con decreto dirigenziale n. 29 del 16.02.2010, antecedente alla data del sopralluogo intervenuto nel luglio 2013,
Quanto sopra esclude la configurabilità del reato contestato, quantomeno in data successiva al 16.02.2010, con conseguente estinzione per prescrizione alla data del 16.02.2015, antecedente alla sentenza d’appello, essendo la permanenza del reato cessata con l’intervenuto rilascio del titolo abilitativo.
6. I rilievi di cui al § 5, esimono questa Corte dall’esaminare il terzo motivo di ricorso, con cui si deduce violazione di legge in relazione all’art. 649, c.p.p., attesa l’esistenza di un precedente giudicato sul fatto sub a).
7. Con riferimento al quarto motivo di ricorso, con cui si deduce violazione di legge in relazione agli artt. 493, co. 3 e 191, c.p.p. per essere stati utilizzati dal giudice atti di indagine non acquisiti con il consenso delle parti, segnatamente costituiti dall’informativa del Lgt. Vigliotta ed allegati, effettivamente risulta che il consenso prestato dalla difesa all’ud. 25.02.2015 era limitato solo alle ss.ii.tt. delle persone che avevano sottoscritto l’esposto (ossia, quattro persone: Garofano, Caruso, Taddeo e Cappabianca), dunque ai soli atti allegati all’informativa redatta dal M.llo Benedetto 14.08.2009 relativa al sopralluogo 23.05.2009, e non invece di quelli allegati all’informativa del Lgt. Vigliotta (ossia, le ss.ii.tt. rese dai testi Starace, Cava, Cioffi e Capone) in relazione ai quali non era stato prestato il consenso da parte della difesa, come risulta dall’opposizione formulata a verbale il 30.06.2015.
Il richiamo operato dal giudice a tali atti è affetto dunque da inutilizzabilità, attesa la mancanza di consenso da parte della difesa dell’imputato con riferimento agli atti allegati all’informativa del Lgt. Vigliotta (ossia, le ss.ii.tt. rese dai testi Starace, Cava, Cioffi e Capone), relativi alla seconda denuncia dei cittadini di Cervinara, sporta nell’aprile 2013.
Quanto sopra comporta, essendo possibile per questa Corte procedere alla c.d. prova di resistenza (in senso conforme, tra le tante: Sez. 4, n. 48515 del 17/09/2013 - dep. 04/12/2013, Alberti, Rv. 258093), l’annullamento della sentenza impugnata, non emergendo, dalla lettura della motivazione, l’esistenza agli atti del processo di ulteriori elementi che consentano di superare l’impossibilita di utilizzo dei predetti atti relativi ai fatti dell’aprile 2013, a conforto della configurabilità in particolare della violazione di cui all’art. 674, c.p., atteso che quanto emergente da tali atti inutilizzabili riveste valore pregnante nell’economia della motivazione, al punto che lo stesso giudice fa riferimento a tale documentazione anziché alle risultanze dell’istruttoria dibattimentale, recependo acriticamente quanto emergente dall’informativa del Lgt. Vigliotta, utilizzata in violazione del predetto divieto.
8. Quanto sopra esime questa Corte dall’esaminare il nono motivo di ricorso con cui si deduce violazione della legge processuale in relazione al combinato disposto degli artt. 493, co. 3, 191 c.p.p. in relazione alla sussistenza del reato di cui all’art. 674, c.p.
Deve, peraltro, essere chiarito che, pur dovendosi ritenere che detto reato abbia natura giuridica di reato permanente quando abbia per oggetto l'illegittima emissione di gas, di vapori, di fumi atti ad offendere o imbrattare o molestare le persone, connessa all'esercizio di attività economiche e legata al ciclo produttivo (tra le tante: Sez. 1, n. 9293 del 10/08/1995 - dep. 30/08/1995, Zanforlini, Rv. 202403), è tuttavia emerso dall’istruttoria l’indubbia sussistenza del reato dalle ss.ii.tt. rese nel 2009 dai denuncianti (Cappabianca, Taddeo, Caruso, Carofano e Cava), acquisite sul consenso delle parti, ma che, a seguito del sopralluogo eseguito dai tecnici dell’ARPAC il 25.06.2009, era emersa l’assenza di riscontri a quanto denunciato. Ne segue, pertanto, che la permanenza deve intendersi cessata alla data del 25.06.2009, atteso che, a tale data, non erano emersi dal sopralluogo dell’organo di vigilanza elementi che comprovassero la sussistenza di emissioni moleste, le quali, invece, ripresero successivamente, con la denuncia sporta nell’aprile 2013, come documentato dagli atti tuttavia processualmente inutilizzabili per le ragioni dianzi indicate.
Attesa la natura contravvenzionale del reato, pertanto, lo stesso, avuto riguardo ai fatti denunciati nel 2009, è da ritenersi estinto per prescrizione alla data del 25.06.2104, antecedentemente alla sentenza di primo grado, con conseguente annullamento in parte qua della sentenza impugnata senza rinvio.
9. Quanto, invece, alla censura svolta nel quinto motivo, con cui si deduce il vizio di mancanza della motivazione in ordine alla qualificazione dei beni rinvenuti come rifiuti, al loro stoccaggio, all’epoca della loro produzione e all’eccedenza dei limiti del deposito temporaneo con riferimento al reato di cui all’art. 256, TUA di cui al capo b) della rubrica, è invece manifestamente infondata.
Ed infatti, per come emerso dal sopralluogo del luglio 2013, era risultato che sul piazzale lato nord rispetto all’ingresso erano depositati rifiuti generati dal ciclo di lavorazione costituiti da numerosi imballaggi in plastica, ossia rifiuti speciali non pericolosi, codice CER 150102, e bidoni in ferro contenenti lubrificante esausto impiegato per le apparecchiature, ossia rifiuti speciali pericolosi, con codice CER 150110, il tutto esposto agli agenti atmosferici; era emerso dagli accertamenti di PG che tale stoccaggio non era stato autorizzato e che dall’anno 2010, data da cui l’attività aziendale era entrata a pieno regime, detti rifiuti speciali non erano mai stati smaltiti o conferiti, eccedendo il deposito i limiti temporali previsti dall’art. 183 TUA.
Sul punto, le doglianze del ricorrente non hanno pregio. Ed infatti, non può certamente tacciarsi di apparenza la motivazione della sentenza, anzitutto perché emerge ex actis la ragione per cui gli imballaggi in plastica ed il lubrificante contenuto nei bidoni in ferro ed impiegato per le apparecchiature dovessero considerarsi rifiuto. Invero, sia la prima che la seconda categoria di rifiuti (i primi, non pericolosi e, i secondi, pericolosi), per come accertato, non erano stati smaltiti né conferiti dal 2010, sicchè, alla data del sopralluogo nel 2013, gli stessi erano certamente nella condizione di cui all’art. 183, TUA, né l’imputato ha in qualche modo fornito elementi di prova a sostegno di una loro destinazione all'utilizzo, emergendo anzi come gli stessi si presentassero esposti agli agenti atmosferici.
La qualificazione alla stregua di rifiuti dei materiali di cui l'agente si disfa deve, peraltro, conseguire a dati obiettivi connaturanti la condotta tipica, anche in rapporto a specifici obblighi di eliminazione, con conseguente esclusione della rilevanza di valutazioni soggettivamente incentrate sulla mancanza di utilità, per il medesimo, dei predetti materiali (Sez. 3, n. 19206 del 16/03/2017 - dep. 21/04/2017, Costantino, Rv. 269912).Infine, deve essere ricordato che l'accertamento della natura di un oggetto quale rifiuto ai sensi dell'art. 183 D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 costituisce una "quaestio facti", come tale demandata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione esente da vizi logici o giuridici (Sez. 3, n. 7037 del 18/01/2012 - dep. 22/02/2012, Fiorenza, Rv. 252445).
10. Da qui dunque l’inammissibilità della doglianza, quanto, ancora, all’asserito vizio della sentenza per non aver indicato le ragioni per cui la detenzione di tali materiali dovesse qualificarsi come stoccaggio o di quelle per cui è stato ritenuto non eseguito lo smaltimento o il conferimento dei predetti materiali, come anche di quelle per le quali tali materiali non potessero rientrare nel deposito temporaneo nel luogo di produzione degli stessi per i periodi di tempo consentiti o della mancata specificazione dell’arco temporale a partire dal quale detti rifiuti si trovassero ivi, eccedendo per tale via i limiti del deposito temporaneo.
Si tratta di censure attraverso le quali il ricorrente, introducendo elementi che impongono apprezzamenti di fatto, finisce per chiedere a questa Corte di sostituire la propria valutazione a quella condotta dai giudici di merito, operazione inibita in questa sede, atteso, del resto, che la datazione all’anno 2010 quale data da cui i rifiuti non venivano né smaltiti né conferiti non è certo invenzione del giudicante ma risulta essere stata rilevata in sede di sopralluogo nel luglio 2013, su cui ha riferito il teste Vigliotta all’ud. 30.06.2015.
11. Il ricorrente ha poi contestato nel sesto motivo un vizio di illogicità della motivazione per travisamento della prova costituito dalla deposizione del predetto teste, in particolare quanto alla mancanza di accertamenti in ordine alle qualità dei lubrificanti e circa la pertinenza degli imballaggi all’attività in essere (ciò che avrebbe reso illogica manifestamente la qualificazione come rifiuti dei materiali stoccati).
Si tratta di censura altrettanto priva di pregio, atteso che il ricorrente si è limitato alla trascrizione di un singolo passaggio dell’esame testimoniale (v. pag. 19 del ricorso), di per sé tuttavia insufficiente per poter ritenere assolto l’onere di specificità del motivo. Ed infatti, il ricorso per cassazione, per difetto di motivazione in ordine alla valutazione di una dichiarazione testimoniale, deve essere accompagnato, a pena di inammissibilità, dalla integrale produzione dei verbali relativi o dalla integrale trascrizione in ricorso di detta dichiarazione, in quanto necessarie ai fini della verifica della corrispondenza tra il senso probatorio dedotto dal ricorrente ed il contenuto complessivo della dichiarazione (Sez. F, n. 32362 del 19/08/2010 - dep. 26/08/2010, Scuto ed altri, Rv. 248141).
La genericità della formulazione del capo di imputazione da parte del PM, senza distinguere tra messa in riserva e deposito preliminare (che sarebbe indicativa dell’errata applicazione della legge penale) è poi censura priva di pregio, atteso che il riferimento al termine “stoccaggio”, con la indicazione di entrambe le attività, appariva certamente sufficiente ad assolvere all’onere contestativo, così da garantire il corretto espletamento del diritto di difesa dell’imputato. Quanto poi alla mancata applicazione della disciplina del deposito temporaneo, risulta che dal 2010 i predetti rifiuti stoccati sul piazza le lato nord rispetto all’ingresso non fossero mai stati smaltiti o conferiti, donde la deduzione difensiva secondo cui non sarebbe emersa dall’istruttoria prova di un deposito di rifiuti oltre i limiti indicati dall’art. 183 citato si risolve in una contestazione smentita dagli atti.
12. Quanto, poi, al settimo motivo con cui si deduce violazione di legge in relazione al combinato disposto degli artt. 178, 179 e 552, co. 2, c.p.p. per indeterminatezza del capo di imputazione sub c), eccepita in sede di questioni preliminari - se è senza alcun dubbio errata la soluzione offerta dal giudice di merito che, all’ud. 25.02.2015, in sede di questioni preliminari, aveva rigettato l’eccezione di nullità del d.c. a giudizio in relazione al capo di imputazione sub c), per l’assoluta genericità dello stesso nella descrizione del fatto contestato (non potendosi certamente collegare il “prescritto divieto” alla mancanza di autorizzazione indicata nel capo b), non potendosi ritenere che la contestazione sub c) sia relativa allo scarico di acque senza autorizzazione ex art. 137, co. 1, TUA - anziché comma 11, come contestato nella rubrica –, soprattutto laddove il giudice ha ritenuto superata l’eccezione riferendo la contestazione al capo b) della rubrica, relativo allo stoccaggio di rifiuti senza autorizzazione, che, all’evidenza, non ha alcuna attinenza alle acque reflue industriali di cui si contesta lo scarico abusivo al capo c) della rubrica) – non può tuttavia ritenersi che l’imputazione contestata al capo c) possa ritenersi viziata per indeterminatezza del capo di imputazione.
Quest’ultimo, infatti, contesta al ricorrente il reato di cui all’art. 137, co. 11, TUA, per aver scaricato sul suolo acque reflue industriali in violazione del prescritto divieto; il co. 11 della citata disposizione, in particolare, prevede la sanzione nei confronti di chiunque non osservi i divieti di scarico previsi dagli art. 103 (scarichi sul suolo) e 104 (scarichi nel sottosuolo e nelle acque sotterranee).
Nella specie, come risulta dall’istruttoria dibattimentale e come risulta dalla stessa motivazione della sentenza, è stato accertato lo scarico sul suolo delle acque reflue industriali, intese come tali le acque meteoriche e di dilavamento dei piazzali, in quanto le stesse, in conseguenza dello stoccaggio abusivo sui piazzali di rifiuti speciali pericolosi e non, privi di copertura ed esposti agli agenti atmosferici, finivano per riversare sul suolo i componenti inquinanti della produzione. Risulta, dunque, del tutto corretta la contestazione del co. 11, in quanto all’imputato era in sostanza contestata l’inosservanza del divieto di scaricare le predette acque sul suolo ai sensi dell’art. 103, TUA. Sul punto è sufficiente rilevare che in tema di contestazione dell'accusa, si deve avere riguardo alla specificazione del fatto più che all'indicazione delle norme di legge violate, per cui ove il fatto sia precisato in modo puntuale, la mancata individuazione degli articoli di legge violati è irrilevante e non determina nullità, salvo che non si traduca in una compressione dell'esercizio del diritto di difesa (Sez. 3, n. 5469 del 05/12/2013 - dep. 04/02/2014, Russo, Rv. 258920).
La contestazione, richiamando il co. 11 dell’art. 137 TUA, e, soprattutto, descrivendo in fatto la condotta (scaricava sul suolo) era dunque da considerarsi sufficientemente determinata, atteso che il riferimento era da intendersi all’art. 103, TUA che, come detto, vieta lo scarico sul suolo di acque reflue, con conseguente esclusione di una qualsivoglia compressione del diritto di difesa.
13. E’ poi infondato l’ottavo motivo di ricorso, con cui si è dedotto vizio di mancanza della motivazione in ordine agli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 137 TUA e illogicità manifesta della motivazione per travisamento della prova costituita dalla relazione tecnica del dott. Bosco, acquisita agli atti del processo in data 30.06.2015, all’esito dell’esame di quest’ultimo.
Ed infatti, si è già ripercorso nel precedente motivo quanto affermato dal giudice al fine di ritenere sussistente il reato in questione. In particolare, il giudice dà conto di come fosse stato accertato lo scarico sul suolo delle acque reflue industriali, intese come tali le acque meteoriche e di dilavamento dei piazzali, in quanto le stesse, in conseguenza dello stoccaggio abusivo sui piazzali di rifiuti speciali pericolosi e non, privi di copertura ed esposti agli agenti atmosferici, finivano per riversare sul suolo i componenti inquinanti della produzione. E’ quindi assolutamente intelligibile e chiara la ragione per cui il giudice ha ritenuto integrata la violazione contestata nei suoi elementi costitutivi, avendo questi dato conto del percorso motivazionale che lo ha indotto a qualificare come acque reflue industriali le acque meteoriche e di dilavamento dei piazzali, essendo parimenti chiaro – per quanto specificato in relazione al precedente motivo - che il divieto contravvenuto nel caso di specie, p quello di cui all’art. 103 TUA, richiamato dal co. 11 dell’art. 137 citato.
Sul punto, le censure del ricorrente secondo cui non sarebbe dato comprendere se la trasformazione di tali reflui in acque industriali sia avvenuta a causa della contaminazione con lo stoccaggio abusivo sui piazzali di rifiuti pericolosi e non o se invece i reflui debbano considerarsi industriali perché finiscono con lo riversare sul suolo i componenti inquinanti della produzione è priva di pregio, essendo evidente dalla lettura della piana motivazione della sentenza, che detta trasformazione fosse conseguenza della contaminazione delle predette acque meteoriche o di dilavamento con lo stoccaggio abusivo sui piazzali di rifiuti pericolosi e non. Che, poi, l’inquadramento giuridico fosse del tutto corretto, è confermato dalla costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in tema di tutela penale dall'inquinamento, le acque meteoriche da dilavamento sono costituite dalle sole acque piovane che, cadendo al suolo, non subiscono contaminazioni con sostanze o materiali inquinanti, poiché, altrimenti, esse vanno qualificate come reflui industriali ex art. 74, lett. h), D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (tra le tante: Sez. 3, n. 2832 del 02/10/2014 - dep. 22/01/2015, Mele, Rv. 263173).
14. Quanto, poi, al dedotto vizio di travisamento probatorio relativamente alle risultanze della relazione tecnica Bosco, acquisita in data 30.06.2015 all’esito dell’esame del c.t., trattasi di censura che partecipa dello stesso vizio già illustrato in precedenza a proposito del sesto motivo, atteso che il ricorrente si è limitato alla trascrizione di un singolo passaggio dell’esame del Bosco (v. pag. 26/27 del ricorso), di per sé tuttavia insufficiente per poter ritenere assolto l’onere di specificità del motivo.
Ed infatti, il ricorso per cassazione, per difetto di motivazione in ordine alla valutazione di una dichiarazione testimoniale, deve essere accompagnato, a pena di inammissibilità, dalla integrale produzione dei verbali relativi o dalla integrale trascrizione in ricorso di detta dichiarazione, in quanto necessarie ai fini della verifica della corrispondenza tra il senso probatorio dedotto dal ricorrente ed il contenuto complessivo della dichiarazione (Sez. F, n. 32362 del 19/08/2010 - dep. 26/08/2010, Scuto ed altri, Rv. 248141). Né, peraltro, il ricorrente si è fatto carico né si è premurato di allegare al ricorso la relazione del predetto c.t., così privando questa Corte della possibilità di verificare quanto dedotto, così dando luogo all’inammissibilità del motivo.
15. Infine, quanto al decimo motivo di ricorso, con cui si deduce il vizio di mancanza della motivazione in ordine al diniego del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62 bis, c.p., la censura è infondata, non avendo formalizzato alcuna richiesta in tal senso il ricorrente dinanzi al giudice di merito, avendo concluso esclusivamente per l’assoluzione dell’imputato, senza richieste subordinate.
Sul punto è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il giudice di merito non è tenuto a riconoscere le circostanze attenuanti generiche, né è obbligato a motivarne il diniego, qualora in sede di conclusioni non sia stata formulata specifica istanza, non potendo equivalere la generica richiesta di assoluzione o di condanna al minimo della pena a quella di concessione delle predette attenuanti (Sez. 3, n. 11539 del 08/01/2014 - dep. 11/03/2014, Mammola, Rv. 258696).
16. Conclusivamente, l’impugnata sentenza dev’essere annullata senza rinvio, limitatamente alle contravvenzioni di cui agli artt. 279 TUA (capo a) e 674 c.p. (capo d), dovendosi, per il resto, rigettare il ricorso.
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alle contravvenzioni di cui agli artt. 279 TUA (capo a) e 674 c.p. (capo d), quanto agli episodi dell’anno 2009, perché i reati sono estinti per prescrizione, nonché, quanto agli episodi dell’anno 2013, perché i fatti non sussistono ed elimina le relative pene di € 300 di ammenda per il capo a) e di € 200 di ammenda per il capo d).
Rigetta, nel resto, il ricorso.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 5 luglio 2018