Pres. De Maio Est. Fiale Ric. Palazzolo
Acque. Assimilabilità alle acque reflue domestiche dei reflui di allevamento
L'assimilabilità alle acque reflue domestiche dei reflui di allevamento è ammissibile solo nel caso in cui si verifichino tutte le condizioni previste dall'articolo 101, comma settimo, lettera B) D.Lv. 152-2006
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Palermo - Sezione distaccata di Monreale, con sentenza del 24 febbraio 2005, affermava la responsabilità penale di Palazzolo Filippo in ordine al reato di cui:
- all’art. 59 D.Lgs. n. 152/1999 (per avere - quale titolare di un allevamento di ovini - effettuato scarichi non autorizzati nel sottosuolo dei reflui prodotti - acc. in Monreale, fino al 24 giugno 2002)
e la condannava alla pena di euro 1.100,00 di ammenda.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Palazzolo, il quale - sotto i profili della violazione di legge e del vizio delta motivazione - ha eccepito:
- che un’esatta qualificazione, in termini dì attività agricola piuttosto che produttiva, dell’allevamento di ovini da lui gestito avrebbe dovute condurre ad escludere ogni equiparazione alle c.d. acque reflue industriali degli scarichi provenienti dallo stesso, assimilabili, invece, alle “acque reflue domestiche”;
- la mancata specificazione degli elementi considerati ostativi alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Motivi della decisione
Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato.
1. In relazione al contestato reato di scarico di reflui non autorizzato, deve porsi in rilievo che:
a) Nella vigenza della legge 10 maggio 1976, n. 319 - tenuto conto che, in seguito dell’entrata in vigore del D.L. 17 marzo 1995, n. 79, convertito nella legge 17 maggio 1995, n. 172, l’apertura o la effettuazione di scarichi civili sul suolo o nel sottosuolo senza la prescritta autorizzazione non costituiva più reato e che, in forza di quanto stabilito dall’ultimo comma dell’art. I quater del D.L. 10 agosto 1976, n. 544, convertito con modificazioni nella legge 8 ottobre 1976, n. 690, le imprese agricole di cui all’art. 2135 cod. civ. erano considerate insediamenti civili - la giurisprudenza di questa Corte Suprema era costantemente orientata nel senso che l’allevamento di bestiame non costituisse espressione dell’impresa agricola (legislativamente considerata insediamento civile) ma rientrasse nella nozione di insediamento produttivo quando nel rapporto terra-animali, con riferimento alla previsione dell’art. 2135, 2° comma, cod. civ., non fosse la prima ad avere ruolo e funzione preponderanti
Per aversi impresa agricola (e conseguentemente insediamento civile) era ritenuuta essenziale, dunque, la “connessione funzionale dell’allevamento con la coltivazione della terra” e, tra i criteri di individuazione di tale connessione, si faceva riferimento a quelli (del rapporto tra spazio disponibile e numero dei capi di bestiame; della proporzione tra il terreno coltivato ed il peso vivo degli animali allevati; della destinazione all’allevamento dei due terzi del prodotto strettamente agricolo del fondo) indicati dalla delibera 8 maggio 1980 del Comitato interministeriale di cui all’art. 3 della medesima legge n. 319/1976.
Veniva altresì affermato che tali criteri costituivano, comunque, parametri non esclusivi di riferimento, rimanendo fondamentale - per determinare la natura agricola dell’allevamento di bestiame - la prevalenza dell’attività di coltivazione della terra e la complementarietà ad essa funzionale dell’allevamento (che non doveva rappresentare, in sostanza, l’attività principale).
b) Il D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 151 (che abrogò espressamente le leggi n. 319/1976, n. 690/1976 e a 172/1995) ha sostituito - come è noto - la distinzione tra insediamenti produttivi e civili (che presupponeva una diversa qualità delle acque di scarico in relazione alla provenienza) con quella tra:
- “acque reflue industriali”, nozione ricomprendente “qualsiasi tipo di scarico di acque reflue scaricate da edifici in cui si svolgono attività commerciali e industriali, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento”
- ed “acque reflue domestiche o di reti fognarie” (per le quali è stata esclusa la sanzione penale in mancanza dell’autorizzazione), intendendosi per “acque reflue domestiche” quelle “provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche”.
Si è passati, dunque, dalla precedente distinzione di disciplina per tipi di insediamento ad una distinzione per tipi di acque di scarico.
Quanto alle imprese agricole, il 7° comma dell’art. 28 del D.Lgs. n. 152/1999, nella sua formulazione originaria - fatto salvo quanto previsto dal successivo n. 38 (in materia di utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento zootecnico) e dalle diverse normative regionali - assimilava alle “acque reflue domestiche” quelle provenienti da “imprese dedite all’allevamento di bestiame che dispongono di almeno un ettaro di terreno agricolo funzionalmente connesso con le attività dì allevamento e di coltivazione del fondo, per ogni 340 chilogrammi di azoto presente negli effluenti di allevamento al netto delle perdite di stoccaggio e distribuzione” (lett. b).
c) Il 7° comma dell’art. 28. del D.Lgs. n. 12/l999 venne poi sostituito dall’art. 9 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 258 ed in particolare, quanto alla lettera b), venne previsto che il calcolo della misura dei 340 chilogrammi di azoto presente negli effluenti di allevamento non fosse più da effettuarsi “al netto delle perdite di stoccaggio e distribuzione”, come nel testo originario, bensì relativamente alla quantità prodotta “per un anno da computare secondo te modalità di calcolo stabilite alla Tabella 6 dell’ Allegato 5”.
Per gli allevamenti esistenti il nuovo criterio di assimilabilità si è applicato a partire dal 13 giugno 2002.
d) La disciplina attuale è posta dall’art. 101, 7° comma - lett. b), del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 12 (testo normativo che ha espressamente abrogato il D.Lgs. n. 152/1999, come modificato dal D.Lgs. n. 258/2000), che assimila alle “acque reflue domestiche” quelle provenienti da “imprese dedite ad allevamento di bestiame che, per quanto riguarda gli effluenti di allevamento, praticano l’utilizzazione agronomica in conformità alla disciplina regionale stabilita sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali di cui all’art. 112, comma 2, e che dispongono di almeno un ettaro di terreno agricolo per ognuna delle quantità indicate nella Tabella 6 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto”.
In detta Tabella viene fissato il “peso vivo medio corrispondente ad una produzione di 340 kg. di azoto per anno, al netto delle perdite di rimozione e stoccaggio” e detto peso, per gli ovicaprini, viene determinato in tonnellate 3,4.
Nella presente fattispecie - caratterizzata dalla accertata presenza di circa mille capi di bestiame su un terreno agricolo di circa 9.000 mq. e quindi inferiore ad un ettaro - il Tribunale ha puntualmente verificato la insussistenza delle condizioni di assimilabilità alle “acque reflue domestiche” (di cui al 7° comma dell’art. 28 del D.Lgs. n. 152/1999 ed all’art. 101, 7° comma - lett. b, del D.Lgs. n. 152/2006) ed il ricorrente non contesta il computo di tali parametri, limitandosi piuttosto ad escludere il carattere imprenditoriale del proprio allevamento, qualificandolo in termini di attività agricola piuttosto che produttiva con argomentazioni che non sono rilevanti ai fini della configurazione della contravvenzione contestata.
2. Il beneficio della sospensione condizionale della pena (soltanto pecuniaria) inflitta non è stato concesso, perché non richiesto, sicché, sul punto, il giudice non aveva alcun obbligo di motivazione.
3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.