Cass. Sez. III n. 48576 del 17 novembre 2016 (Ud 13 lug 2016)
Pres. Andreazza Est. Renoldi Ric. Parisi
Acque.Qualificazione dei reflui
Rientrano tra i reflui industriali tutti quelli derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, come definite dall'art. 74, comma primo, lett. g), del D.Lgs. n. 156/2006, il cui scarico è invece presidiato dalla mera sanzione amministrativa ex art. 133, comma 2, del predetto decreto. Conseguentemente rientrano tra le acque reflue industriali quelle provenienti da attività artigianali e da prestazioni di servizi a condizione che le caratteristiche qualitative degli stessi siano diverse da quelle delle acque domestiche e ciò indipendentemente dal grado o dalla natura dell'inquinamento. Dunque, per determinare le acque che derivano dalle attività produttive occorre procedere a contrario, vale a dire escludere le acque ricollegabili al metabolismo umano e provenienti dalla realtà domestica
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 10/02/2015 il Tribunale di Palermo condannò Parisi Antonio alla pena di 2.500,00 euro di ammenda in relazione alla contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 124 e D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137, comma 1, per avere, nella qualità di titolare di una ditta per la vendita e riparazione gomme sita in Palermo, Via Fabio Besta n. 113/5, attivato uno scarico senza la prescritta autorizzazione; fatti accertati in Palermo il 15/11/2011.
1.1. A seguito di opposizione a decreto penale di condanna, Parisi Antonio era stato tratto a giudizio con decreto emesso in data 18/11/2013 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palermo per rispondere del reato di scarico non autorizzato di acque reflue industriali.
Nel corso dell'istruttoria dibattimentale era emerso che in data 15/11/2011, personale del Nucleo Polizia Ambientale della Polizia Municipale di Palermo aveva effettuato un controllo nell'officina di cui era titolare Parisi, adibita a rivendita e riparazione di pneumatici. Nel corso dei successivi accertamenti era emerso, tra l'altro, che l'attività commerciale era sprovvista della prescritta autorizzazione allo scarico dei reflui, che l'imputato aveva presentato, subito dopo, al competente ufficio comunale, che in data 15/12/2011 l'aveva poi rilasciata.
L'imputato, sentito a dibattimento, aveva dichiarato che nell'esercizio dell'attività consumava giornalmente cinque o sei litri di acqua, utilizzata - senza aggiunta di prodotti chimici - per lavare il pavimento e pulirsi le mani; circostanza confermata dal figlio Emanuele.
L'ing. Giacinta Conte, che per conto dell'imputato aveva curato la pratica relativa alla richiesta di autorizzazione agli scarichi, riferì di aver stimato il consumo idrico presunto in circa 30.000 litri annui, prevalentemente destinati alle normali operazioni di lavaggio del locale, realizzata, secondo quanto riportato nella scheda tecnica allegata alla richiesta di autorizzazione, "con comuni detergenti e sgrassatori, con l'uso di acqua in bacinella che viene poi versata nel buttatolo presente nel bagno del personale".
Muovendo da tali premesse, il giudice ritenne che i reflui provenienti dal lavaggio degli ambienti dell'officina avessero natura industriale, richiamando la giurisprudenza di questa Corte secondo cui in tale nozione rientrerebbero tutti i reflui derivanti da attività non strettamente attinenti al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, come quelle provenienti da attività artigianali e da prestazioni di servizi, come gli impianti di autolavaggio, i cui reflui hanno caratteristiche qualitative diverse da quelle dei normali scarichi da abitazioni.
1.2. Nel determinare il trattamento sanzionatorio, pur non ravvisandosi elementi positivamente valutabili per la concessione delle attenuanti generiche, il giudice ritenne che "la natura dell'attività esercitata e le presumibili caratteristiche quantitative e qualitative dei reflui prodotti" inducessero a ritenere che il fatto non fosse "connotato da particolare gravità", giustificando l'applicazione della sola pena pecuniaria di 2.500,00 euro di ammenda.
2. Avverso la predetto sentenza P.A. ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, deducendo tre motivi di censura.
Con il primo motivo, si denuncia la inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (art. 606, comma 1, lett. b in riferimento al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 124 e D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137, comma 1), nonchè in vizio motivazione in ordine alla valutazione delle prove (art. 606, comma 1, lett. e).
Secondo l'assunto dell'imputato, la sentenza impugnata ne avrebbe affermato la responsabilità penale senza tenere in alcun conto quanto dichiarato dall'imputato e dal figlio E. e dall'ing. G.C., nonchè di quanto riportato nella scheda tecnica depositata unitamente all'autorizzazione allo scarico, nella quale si affermava che la sanificazione avveniva "con comuni sgrassatori con l'uso dell'acqua in bacinella, che, viene versata nel buttatoio presente nel bagno del personale" e nella quale si faceva riferimento alla mancanza di autosistemi di depurazione, atteso che le acque in questione, per qualità e quantità, sarebbero state assimilabili ai reflui domestici.
Sotto altro profilo, il ricorrente deduce che, anche la Suprema Corte, in materia di reati relativi a violazione delle norme per la tutela delle acque dall'inquinamento, riterrebbe che l'assimilabilità degli insediamenti produttivi a quelli civili dipenda dalla natura e dalla qualità dei reflui dei relativi scarichi; sicchè l'attività produttiva di beni e servizi svolta in un determinato esercizio commerciale non comporterebbe, automaticamente, l'attribuzione della qualifica "industriale" alle acque di scarico dallo stesso provenienti.
Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto, in via subordinata, la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in riferimento all'art. 131-bis c.p., avendo la sentenza affermato che il fatto non sia connotato di particolare gravità ricorrendo, per il resto, le condizioni di cui all'art. 131-bis c.p.. Per tale motivo, considerata l'incensuratezza del ricorrente, la modalità della condotta, l'esiguità del pericolo, il comportamento dell'imputato, che dopo l'accertamento aveva immediatamente attivato la procedura per ottenere il rilascio del provvedimento autorizzativo da parte del Comune, il ricorrente chiede il riconoscimento della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p..
Con il terzo motivo di ricorso viene dedotta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) in riferimento all'art. 133 c.p. e la mancata applicazione dell'art. 62-bis c.p., sul presupposto che la pena inflitta sia eccessiva e che le attenuanti generiche non siano state riconosciute nonostante il riconoscimento, in sentenza, della scarsa rilevanza penale del reato contestato e nonostante l'immediata richiesta di autorizzazione, con conseguente mancata produzione di alcun danno.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il primo motivo di ricorso è infondato e, pertanto, deve essere rigettato.
Infatti, il primo giudice ha fatto buon governo dei principi costantemente affermati da questa Suprema Corte in ordine alla nozione di acque reflue industriali.
Già sotto la vigenza della L. n. 319 del 1976, si era individuato il criterio distintivo tra insediamenti civili e insediamenti produttivi sulla base dell'assimilabilità o meno dei rispettivi scarichi, per tipo e qualità dei reflui, a quelli provenienti da insediamenti abitativi (S.U. n. 11594 del 16/11/1987; Sez. 3 n. 175 del 13/01/1988; Sez. 3 n. 9428 del 24/09/1988).
Con l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 156 del 2006, l'art. 74, comma 1, lett. h), come modificato dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, le acque reflue industriali sono definite come quelle provenienti da edifici o installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti, qualitativamente, dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento (Sez. 3, n. 35870 del 1/07/2004, Arcidiacono, Rv. 229012). Secondo la giurisprudenza di questa Corte nella nozione in esame rientrano tutti i reflui derivanti da attività che non attengono strettamente al prevalente metabolismo umano ed alle attività domestiche, come definite dal D.Lgs. n. 156 del 2006, art. 74, comma 1, lett. g), il cui scarico è invece presidiato dalla mera sanzione amministrativa ex art. 133, comma 2, del predetto decreto (Sez. 3, n. 12865 del 5/02/2009, Bonaffini, Rv. 243122; Sez. 3, n. 42932 del 24/10/2002, Barattoni, Rv. 222966; Sez. 3, n. 978/2004 del 24/11/2003, Marino, Rv. 227180). Conseguentemente rientrano tra le acque reflue industriali quelle provenienti da attività artigianali e da prestazioni di servizi (Sez. 3, n. 42932 del 24/10/2002, Barattoni, Rv. 222966, relativo ad una fattispecie relativa di scarico proveniente dal lavaggio dei macchinari di una officina tipo-litografica), a condizione che le caratteristiche qualitative degli stessi siano diverse da quelle delle acque domestiche (Sez. 3, n. 22436 del 3/04/2013, La Barbera, Rv. 255777; Sez. 3, n. 36982 del 7/07/2011, Boccia, Rv. 251301; Sez. 3, n. 41850 del 30/09/2008, Margarito e altro, Rv. 241506). E ciò indipendentemente dal grado o dalla natura dell'inquinamento (così Sez. 3, n. 3199 del 2/10/2014, Verbicaro, Rv. 262006).
Dunque, per determinare le acque che derivano dalle attività produttive occorre procedere a contrario, vale a dire escludere le acque ricollegabili al metabolismo umano e provenienti dalla realtà domestica (cfr. Sez. 3, n. 2340 del 7/11/2012, Sgroi, Rv. 254134; Sez. 3, n. 978/2004 del 24/11/2003, Marino, Rv. 227180; Sez. 3, n. 35870 del 1/07/2004, Arcidiacono, Rv. 229012; Sez. 3, n. 42932 del 24/10/2002, Barattoni, Rv. 222966).
E' questo il caso degli impianti di autolavaggio, i quali hanno natura di insediamenti produttivi e non di insediamenti civili in considerazione della qualità inquinante dei reflui, diversa e più grave rispetto a quella dei normali scarichi da abitazioni, e per la presenza di residui quali oli minerali e sostanze chimiche contenute nei detersivi e nelle vernici eventualmente staccatesi da vetture usurate (così Sez. 3, n. 5143 del 4/02/2003, Canavese ed altro, Rv. 223375; Sez. 3, n. 26543 del 21/05/2008, Erg Petroli Spa e altro, Rv. 240537).
Ma, evidentemente, è anche il caso di un esercizio avente ad oggetto la riparazione di pneumatici, atteso che i lavaggi, anche attraverso l'uso di comuni sgrassanti, ovviamente comportano la possibilità del rilascio di sostanze inquinanti, come ritenuto, con motivazione del tutto logica, dal giudice di prime cure.
Sulla base di tali premesse, dunque, il Tribunale ha ritenuto che lo scarico delle acque reflue dell'esercizio commerciale integrasse la fattispecie incriminatrice contestata, a nulla ovviamente rilevando che dopo l'accertamento della violazione il responsabile abbia ritenuto di sanare, unicamente sul piano amministrativo, la predetta inosservanza.
Consegue alle considerazioni fin qui sviluppate, l'infondatezza della censura dedotta dal ricorrente.
4. Quanto poi al secondo e al terzo motivo di ricorso, essi sono invece fondati.
4.1. L'istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto, previsto dall'art. 131-bis c.p., avendo natura sostanziale, è applicabile, per i fatti commessi prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28, anche ai procedimenti pendenti davanti alla Corte di cassazione e per solo questi ultimi la relativa questione, in applicazione degli art. 2 c.p., comma 4, e art. 129 c.p.p., è deducibile e rilevabile d'ufficio ex art. 609 c.p.p., comma 2, anche nel caso di ricorso inammissibile (Sez. U., n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266593) ed anche per la prima volta in cassazione, sempre che la disposizione, ex art. 131-bis cod. pen. non fosse già in vigore alla data della deliberazione della sentenza impugnata (Sez. 6, n. 20270 del 27/04/2016, Gravina, Rv. 266678). Ciò che, nel caso di specie, deve essere escluso.
Infatti, l'art. 131-bis c.p. è stato introdotto con il D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 64 del 18 marzo 2015 ed entrato in vigore il successivo 2 aprile 2015) sicchè la disposizione non era in vigore al momento della pronuncia della sentenza impugnata (10/02/2015).
La questione è stata quindi correttamente sottoposta alla cognizione del giudice di legittimità e la Corte di cassazione deve fondare la propria decisione in ordine all'applicabilità dell'istituto basandosi sul testo della sentenza impugnata e sugli atti processuali non sottratti alla propria cognizione e, qualora reputi direttamente applicabile la causa speciale di non punibilità, sulla base del fatto accertato e valutato nella decisione, riconoscere la sussistenza della causa di non punibilità e la dichiara d'ufficio, ex art. 129 c.p.p., annullando senza rinvio la sentenza impugnata, a norma dell'art. 620 c.p.p., comma 1, lett. I), (Sez. U., n. 13681 del 25/02/2016, cit.).
Laddove, invece, ritenga che, come nella specie, siano necessari accertamenti di merito circa la sussistenza delle condizioni di applicabilità del predetto istituto, deve annullare la sentenza con rinvio.
Nel caso in esame, il ricorrente ha prospettato di aver immediatamente provveduto ad attivare la procedura per ottenere il rilascio del provvedimento autorizzativo da parte del Comune e ha assunto di essere incensurato, rimarcando l'occasionalità della condotta, che escluderebbe l'abitualità del comportamento.
Risulta dal testo della sentenza impugnata che il Tribunale ha ritenuto che, avuto riguardo alla "natura dell'attività esercitata" e alle "presumibili caratteristiche quantitative e qualitative dei reflui prodotti", il fatto non fosse "connotato da particolare gravità"; e ciò è sufficiente per disporre, in accoglimento del motivo proposto, l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Palermo per la valutazione circa la sussistenza di tutti i requisiti per l'applicabilità della reclamata causa di non punibilità.
4.2. Ritiene il Collegio che nel caso in cui, giudicando in sede di rinvio, il Tribunale palermitano non dovesse ravvisare le condizioni per l'applicazione della speciale causa di non punibilità contemplata dall'art. 131-bis c.p., esso dovrà comunque provvedere ad un nuovo esame anche in relazione al trattamento sanzionatorio.
Infatti, a fronte della richiesta, formulata dall'imputato, di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, il primo giudice ha affermato di non ravvisare "elementi positivamente valutabili per la concessione delle circostanze attenuanti generiche, non essendo sufficiente la mera assenza di precedenti per effetto della previsione di cui al terzo comma dell'art. 62-bis c.p., introdotta dalla L. n. 125 del 2008, art. 1". Di tale valutazione, pur appartenendo la stessa ad un ambito di discrezionalità proprio del giudice di merito, appare non chiarita la compatibilità con l'affermazione, da parte della sentenza impugnata, della "non particolare gravità del fatto" e con la menzionata condotta dell'imputato volta ad attenuare, con la successiva richiesta di rilascio dell'autorizzazione, le conseguenze del reato.
5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Palermo relativamente alla valutazione della particolare tenuità del fatto e al trattamento sanzionatorio.
Così deciso in Roma, il 13 luglio 2016.