Cass. Sez. III n. 28452 del 10 luglio 2009 (Ud. 7 apr. 2009)
Pres. Onorato Est. Franco Ric. Corsanto ed altra
Acque. Reflui da allevamento

L’art. 137, comma 1, d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152 prevede una sanzione penale per chi effettui senza autorizzazione scarichi di acque reflue industriali, mentre il precedente art. 133, comma 2, prevede una sanzione amministrativa per chi effettui senza autorizzazione scarichi di acque reflue domestiche. L’art. 101, comma 7, dispone poi che «ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, sono assimilate alle acque reflue domestiche le acque reflue: ... b) provenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiame» (comma 7, come modificato dall’art. 2, comma 8, del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, che ha eliminato le successive parole «che, per quanto riguarda gli effluenti di allevamento, praticano l’utilizzazione agronomica in conformità alla disciplina regionale stabilita sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali di cui all’articolo 112, comma 2, e che dispongono di almeno un ettaro di terreno agricolo per ognuna delle quantità indicate nella Tabella 6 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto». Secondo la normativa attualmente vigente, quindi, le acque reflue provenienti da imprese dedite all’allevamento di bestiame sono assimilate alle acque reflue domestiche ai fini della disciplina degli scarichi.
Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Catanzaro ridusse la pena alla Corsanto e confermò nel resto la sentenza 13.4.2007 del giudice del tribunale di Paola, che aveva dichiarato Corsanto Angelina, quale proprietaria del terreno e dei manufatti, e Muto Mary, quale proprietaria dei capi equini, colpevoli dei reati: a) di cui all’art. 59, comma 1, d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, in relazione 28, comma 7, lett. b), per avere scaricato in un canale interposto e realizzato tra il perimetro dell’insediamento e la strada statale i liquami e gli effluenti provenienti dall’allevamento di otto capi equini e per avere scaricato i liquami originati dal dilavamento del cumuli di deiezioni zootecniche depositati sul terreno limitrofo al canale di scolo; b) di cui all’art. 674 cod. pen. per avere effettuato getto pericoloso di reflui e deiezioni animali accantonandoli sul nudo terreno con percolazioni nello stesso e con raccolta nel canale di scolo, condannandole alla pena ritenuta di giustizia.
Le imputate propongono ricorso per cassazione deducendo mancanza di motivazione e manifesta illogicità della stessa, perché la corte d’appello si è limitata a fare generico riferimento alla sentenza di primo grado senza esaminare e giudicare gli specifici e dettagliati motivi di impugnazione. In particolare la corte non ha risposto alla eccezione secondo cui la normativa in questione non era applicabile nella specie trattandosi di una ditta privata di allevamento di otto cavalli e quindi di un insediamento civile e non produttivo, anche perché non vi era una attività principale alla quale fosse subordinato l’insediamento. In ogni caso le deiezioni non erano eccessive e potevano essere utilizzate per fertilizzare il terreno. E’ stato poi manifestamente illogico desumere la conferma di un illecito dal successivo comportamento delle imputate. Manca ogni motivazione sulla sussistenza di un concorso, anche solo morale, nel reato, così come manca ogni motivazione sulla sussistenza del reato di cui all’art. 674 cod. pen.

Motivi della decisione
Il ricorso è fondato perché effettivamente la sentenza impugnata è totalmente priva di motivazione, essendosi limitata a fare un del tutto generico riferimento alla sentenza di primo grado, senza esaminare e valutare le specifiche e dettagliate eccezioni sollevate con i motivi di appello.
La corte d’appello ha omesso, tra l’altro, di esaminare l’eccezione secondo cui nella specie non poteva configurarsi il reato contestato al capo a), in quanto non si trattava di uno scarico industriale, perché gli scarichi provenivano dalla attività di allevamento di otto cavalli che la ditta delle imputate svolgeva. Ed in effetti, l’art. 137, comma 1, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (che ha sostituito il contestato art. 59, comma 1, d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152) prevede una sanzione penale per chi effettui senza autorizzazione scarichi di acque reflue industriali, mentre il precedente art. 133, comma 2, prevede una sanzione amministrativa per chi effettui senza autorizzazione scarichi dì acque reflue domestiche. L’art. 101, comma 7, dispone poi che «ai fini della disciplina degli scarichi e delle autorizzazioni, sono assimilate alle acque reflue domestiche le acque reflue: ... b) provenienti da imprese dedite ad allevamento di bestiame» (comma 7, come modificato dall’art. 2, comma 8, del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, che ha eliminato le successive parole «che, per quanto riguarda gli effluenti di allevamento, praticano l’utilizzazione agronomica in conformità alla disciplina regionale stabilita sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali di cui all’articolo 112, comma 2, e che dispongono di almeno un ettaro di terreno agricolo per ognuna delle quantità indicate nella Tabella 6 dell’Allegato 5 alla parte terza del presente decreto». Secondo la normativa attualmente vigente, quindi, le acque reflue provenienti da imprese dedite all’allevamento di bestiame sono assimilate alle acque reflue domestiche ai fini della disciplina degli scarichi. La corte d’appello, pertanto, avrebbe dovuto qualificare la natura dello scarico in questione tenendo conto della attività svolta dalla impresa delle imputate.
La sentenza impugnata è totalmente priva di motivazione anche in ordine alla sussistenza del reato di cui all’art. 674 cod. pen., che la sentenza di primo grado da parte sua aveva ritenuto esistente per il fatto che l’accumulo dì feci animali sulla nuda terra era pericoloso ed oggettivamente nocivo per il sito e l’ambiente circostante, sia per le conseguenti inalazioni sia per la contaminazione anche in profondità. Non è spiegato però per quali ragioni sono stati ritenuti sussistenti gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 674 cod. pen., che punisce il getto o il versamento, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, di cose atte (non ad inquinare il sito ed a contaminarlo anche in profondità, bensì) a offendere o imbrattare o molestare persone. Non è infatti indicato se si trattasse o meno di un luogo di pubblico transito o di un luogo privato ma di comune o di altrui uso, e comunque non è indicato se vi fosse l‘idoneità in concreto ad offendere o molestare persone. Queste eccezioni erano state sollevate con l’atto di appello, ma la corte d’appello ha omesso di esaminarle.
La sentenza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Catanzaro per nuovo giudizio.