Cass. Sez. III n. 11593 del 26 marzo 2012 (Ud.22 feb. 2012)
Pres.Petti Est.Amoresano Ric.Alesi
Acque.Acque di vegetazione derivanti dalla molitura delle olive

Integra il reato previsto dall'art. 256, comma secondo, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 lo smaltimento, lo spandimento o l'abbandono incontrollati delle acque provenienti da un frantoio oleoso, potendosi applicare la disciplina prevista dalla legge 11 novembre 1996, n. 574 soltanto laddove i reflui oleosi vengono impiegati a fini agricoli.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PETTI Ciro - Presidente - del 22/02/2012
Dott. GRILLO Renato - Consigliere - SENTENZA
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - N. 489
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - N. 39971/2011
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Alesi Stefano nato il 22.5.1958;
avverso la sentenza del 20.5.2011 del Tribunale di Teramo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Silvio Amoresano;
sentite le conclusioni del P.G., dr. Elisabetta Cesqui, che ha chiesto rigettarsi il ricorso;
sentito il difensore, avv. Palumbo Alfonso, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
OSSERVA
1) Alesi Stefano veniva tratto al giudizio del Tribunale di Teramo per rispondere del reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137, comma 14 perché "effettuava in assenza di autorizzazione e comunque al di fuori dei casi e delle procedure ivi previste, l'utilizzazione agronomica di acque di vegetazione dell'opificio industriale della società "Oleificio Alesi srl,", stoccate prima in una cisterna e poi smaltite tramite un tubo, direttamente nella trincea scavata su un terreno breccioso della lunghezza di circa 60 metri e largo circa 2 metri, consentendo la dispersione sul suolo e nel sottosuolo delle stesse, su area distinta in catasto alla particella 403 foglio 17 del Comune di Civitella del Tronto".
Con sentenza del 20.5.2011 il Tribunale di Teramo, in composizione monocratica, dichiarava Alesi Stefano colpevole del reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2 così diversamente qualificato il fatto contestato, e lo condannava alla pena di Euro 15.000,00 di ammenda; pena sospesa e non menzione.
Rilevava il Tribunale che nella domanda di utilizzo agronomico delle acque di vegetazione delle olive e nella relazione allegata non era compresa la p.lla 403. La circostanza, contestata dalla difesa, non era comunque decisiva, in quanto dalla verifica effettuata dal Corpo Forestale emergeva che lo smaltimento delle acque reflue di vegetazione con il sistema di fertirrigazione non era stato posto in essere, dal momento che le acque in questione, erano sversate nella trincea, priva di impermeabilizzazione totale, con dispersione quindi nei terreni attigui e nel sottosuolo. Si era, per tanto, in presenza di uno smaltimento incontrollato di acque reflue industriali senza la prescritta autorizzazione.
2) Avverso la predetta sentenza proponeva appello Alesi Stefano a mezzo del difensore.
Dopo aver premesso che non si verteva in ipotesi di particolare necessità ed urgenza, per cui gli agenti di p.g. non erano legittimati, denunciava la violazione di legge, avendo il Tribunale affermato la responsabilità dell'imputato per un fatto diverso da quello contestato.
Assumeva, poi, che la sentenza era ingiusta ed errata, avendo ricostruito il fatto sulla base delle affermazioni degli agenti del Corpo Forestale che erano smentite da tutte le altre risultanze processuali (in particolare anche il terreno di cui alla particella 403 del foglio 17 rientrava tra quelli indicati per la fertirrigazione; il terreno era scarsamente permeabile e i risultati delle analisi dei campioni erano di gran lunga al di sotto dei limiti prescritti dal D.Lgs. n. 152 del 2006). L'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione delle olive era avvenuta, quindi, regolarmente (come comunicato al Comune di Civitella del Tronto, mediante spandimento nei quattro fondi indicati). Deduceva poi che erroneamente il Giudice di primo grado aveva negato la concessione delle circostanze attenuanti generi che, senza tener conto dello stato di incensuratezza e della ottemperanza, prima del dibattimento, a quanto stabilito dall'ordinanza sindacale.
Assumeva, ancora, che il Tribunale aveva erroneamente disposto la confisca e lamentava, infine, l'irrogazione di una pena eccessiva. Essendo la sentenza inappellabile ex art. 593 c.p.p., comma 3 (era stata applicata la sola pena dell'ammenda), qualificato l'appello come ricorso, a norma dell'art. 568 c.p.p., comma 5, gli atti venivano rimessi a questa Corte.
3) Vanno esaminate, preliminarmente, le eccezioni di nullità. 3.1) Quanto all'accertamento eseguito in data 15.11.2009, va ricordato che, a norma dell'art. 354 c.p.p., comma 2, "se vi è pericolo che le cose, le tracce e i luoghi indicati nel comma 1 si alterino o si disperdano o comunque si modifichino e il pubblico ministero non può intervenire tempestivamente ovvero non ha ancora assunto la direzione delle indagini, gli ufficiali di polizia giudiziaria compiono i necessari accertamenti e rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose".
Tanto premesso, nella fattispecie in esame ricorrevano le condizioni che consentivano alla polizia giudiziaria di operare ai sensi dell'art. 354 c.p.p..
Invero, non può essere revocato in dubbio che, come risulta dal verbale, era in atto lo smaltimento delle "acque di vegetazione prodotte dalla lavorazione delle olive" , che "venivano prima stoccate in una cisterna e poi smaltite tramite un tubo direttamente nella trincea, scavata su un terreno breccioso quindi molto permeabile, per disperderle nel sottosuolo".
E, proprio, in tema di reati ambientali relativi alla gestione ed allo smaltimento dei rifiuti, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto "accertamento urgente su cose o situazioni suscettibili per loro natura di subire modificazioni o di scomparire in tempi brevi, secondo quanto previsto dall'art. 354 c.p.p., l'osservazione immediata e diretta dello stato dei luoghi, effettuata dalla p.g. (Cass. sez. 3 n. 5468 del 11.1.2005). Avendo la p.g. legittimamente proceduto, a norma dell'art. 354 c.p.p., il verbale in cui è stata documentata l'operazione (art. 357, comma 2, lett. e) è stato correttamente acquisito al fascicolo per il dibattimento ex art. 431, comma 1, lett. b), con conseguente piena utilizzabilità ai fini della decisione.
3.2) In relazione alla eccepita immutazione del fatto, è assolutamente pacifico che si ha violazione del principio di correlazione tra sentenza ed accusa contestata solo quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito. La verifica dell'osservanza del principio di correlazione va, invero, condotta in funzione della salvaguardia del diritto di difesa dell'imputato cui il principio stesso è ispirato. Ne consegue che la sua violazione è ravvisabile soltanto qualora la fattispecie concreta - che realizza l'ipotesi astratta prevista dal legislatore e che è esposta nel capo di imputazione - venga mutata nei suoi elementi essenziali in modo tale da determinare uno stravolgimento dell'originaria contestazione, onde emerga dagli atti che su di essa l'imputato non ha avuto modo di difendersi (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 6, 8.6.1998 n. 67539). Sicché "non sussiste violazione del principio di correlazione della sentenza all'accusa contestata quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, in quanto l'immutazione si verifica solo nel caso in cui tra i due episodi ricorra un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito nei confronti dell'imputato, posto, così, a sorpresa di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza aver avuto nessun possibilità d'effettiva difesa" (cfr. sez. 6 n. 35120 del 13.6.2003). Anche più di recente, questa Corte ha ribadito il principio che "si ha violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza se il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali in modo tanto determinante da comportare un effettivo pregiudizio ai diritti della difesa" (cfr. Cass. sez. 6 n. 12156 del 5.3.2009). A prescindere dalla norma richiamata, nella contestazione si affermava che "in assenza di autorizzazione" le acque di vegetazione dell'opificio industriale della società "Oleificio Alesi srl venivano "stoccate prima in una cisterna e poi smaltite tramite un tubo, direttamente nella trincea scavata su un terreno breccioso della lunghezza di circa 60 metri e largo circa 2 metri, consentendo la dispersione sul suolo e nel sottosuolo delle stesse, su area distinta in catasto alla particella 403 foglio 17 del Comune di Civitella del Tronto".
La condotta incriminata era, quindi, descritta in modo puntuale con precisi riferimenti spazio-temporali e con indicazione espressa della dispersione sul suolo e nel sottosuolo delle acque di vegetazione. L'imputato, quindi, è stato posto in condizioni di difendersi anche in relazione all'ipotesi di cui al D.Lgs., art. 256 comma 2 ritenuta in sentenza, per cui dalla diversa qualificazione giuridica del fatto non è derivata alcuna violazione dei diritti di difesa. 4) Le censure sollevate dal ricorrente in ordine al "merito" della decisione, quanto all'affermazione di responsabilità, risentono palesemente del fatto che con l'impugnazione si intendeva proporre appello e si richiedeva quindi una rivisitazione, da parte dei Giudici di appello, delle risultanze processuali.
Tali censure non tengono conto, però, che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati dell'interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo. Anche a seguito della modifica dell'art. 606 c.p.p., lett. e), con la L. n. 46 del 2006, il sindacato della Corte di Cassazione rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell'iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all'annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (cfr. Cass. pen. sez. 6 n. 752 del 18.12.2006). Il Tribunale, con motivazione congrua ed immune da vizi logici, ha accertato, sulla base delle risultanze processuali, che lo spandimento delle acque reflue di vegetazione con il sistema di fertirrigazione non si era affatto verificato, in quanto "le acque in questione venivano sversate nella suindicata trincea soprattutto con dispersione nei terreni attigui e nel sottosuolo".
Si è fatto carico il Tribunale di esaminare anche i rilievi difensivi, supportati dalla consulenza Tucci, rilevando, da un lato, che non è necessario il superamento dei limiti tabellari, trattandosi di fattispecie di pericolo, e, dall'altro, che anche a voler ammettere che il fondo della vasca fosse poco permeabile "ciò comunque avrebbe consentito sia pure in parte minore ciò che è stato riscontrato dalle forze dell'ordine ovvero lo spandimento dei rifiuti nel sottosuolo".
Correttamente, poi, il Tribunale ha ritenuto che la condotta contestata fosse riconducibile alla previsione di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, essendo essa del tutto estranea "alla asserita utilizzazione agronomica".
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, "L'ambito di applicazione della disciplina dettata dalla L. 11 novembre 1996, n. 574 (Norme in materia di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e di scarichi di frantoi oleari) è circoscritta ai soli casi in cui i reflui oleari abbiano una loro utilità ai fini agricoli, diversamente, il loro spandimento od abbandono sul terreno come mezzo incontrollato di smaltimento integrano, anche dopo l'entrata in vigore del T.U. Ambientale (D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) il reato di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti previsto dal citato D.Lgs. n. 152, art. 256, comma 2" (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 21777 del 27.3.2007).
5) Venendo alle censure in relazione al trattamento sanzionatorio, va rilevato innanzitutto che dal verbale di udienza del 20.5.2011 non risulta alcuna richiesta espressa di concessione delle circostanze attenuanti generi che, neppure in via subordinata (si chiedeva assoluzione e dissequestro dell'area). Il Tribunale, comunque, riteneva che non fossero emersi elementi tali da indurre a concedere detto beneficio.
Anche quelli addotti in sede di impugnazione, del resto, non risultano determinanti, in quanto "l'assenza di precedenti condanne per altri reati non può essere, per ciò solo, posta a fondamento della concessione delle circostanze di cui al comma 1" (art. 62 bis c.p., comma 3, introdotto con la L. 24 luglio 2008, n. 125, art. 1, lett. f bis applicabile al caso di specie, risultando il reato commesso in data 15.11.2009 e quindi in epoca successiva all'entrata in vigore della norma) e la messa in sicurezza del sito a seguito di ordinanza sindacale, in quanto obbligata, non rivela segni di resipiscenza. Quanto alla pena, il Tribunale ha già valutato la circostanza che lo sversamento non risultava di notevole entità, optando, invece che per la pena detentiva, per quella pecuniaria, che ha determinato in misura "media" tra il minimo ed il massimo edittale.
6) Va, invece, accolto il motivo con cui viene censurata la disposta confisca.
Il Tribunale, senza alcuna motivazione, si è limitato ad affermare che "alla condanna consegue la confisca dei beni in sequestro" (erano stati sequestrati parte dell'impianto in uso alla "Oleificio Alesi s.r.l." e relativa alla raccolta e toccaggio delle acque di vegetazione (nella specie: tubo di raccordo tra la cisterna di stoccaggio e la trincea scavata nel terreno; trincea scavata nel terreno)".
Ma il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 3 prevede che "... Alla sentenza di condanna o alla decisione emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p. consegue la confisca dell'area sulla quale è realizzata la discarica abusiva se di proprietà dell'autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi".
La confisca consegue obbligatoriamente alla sentenza di condanna o di applicazione pena ex art. 444 c.p.p. soltanto, quindi, nella ipotesi di discarica abusiva di cui al comma 3 e non anche per le ipotesi (come quella ritenuta in sentenza) di cui all'art. 256 cit., comma 2. In tali ipotesi la confisca è, pertanto, facoltativa. Ma come affermato costantemente da questa Corte anche in relazione ad altre ipotesi di reato, per disporre la confisca, quando la cosa è servita o è stata destinata a commettere il reato, occorre un nesso strumentale e non meramente occasionale tra il mezzo usato ed il reato realizzato cioè un rapporto di asservimento tale da rivelare la possibilità futura del ripetersi di un'attività punibile. Ed è, conseguentemente, necessario che il Giudice di merito, con motivazione congrua, evidenzi il pericolo che l'ulteriore disponibilità della cosa possa costituire un incentivo a reiterare la condotta criminosa. Trattandosi, infatti di cose pertinenti al reato, "la motivazione deve essere puntuale circa il nesso strumentale con riferimento all'attività di prevenzione perché deve essere accertato non solo che la cosa sia servita per commettere il reato, ma anche che essa è strutturalmente funzionale alla possibile reiterazione dell'attività criminosa. Deve trattarsi di una pericolosità intrinseca, essenziale e non occasionale, tale da rendere una res, in se stessa lecita, oggettivamente e specificamente predisposta per la commissione di futuri reati" (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 3911 del 2.10.2007).
La sentenza impugnata va, pertanto, annullata limitatamente alla disposta confisca, con rinvio per nuovo esame,sul punto,alla luce dei principi sopra enunciati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla disposta confisca e rinvia al Tribunale di Teramo. Rigetta nel resto il ricorso. Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2012.
Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2012