Cass.Sez.III n. 11419 del 23 marzo 2012 (Ud.22 feb. 2012)
Pres.Petti Est.Gazzara Ric.Gatti
Acque. Scarico  con recapito in un corso d'acqua superficiale

Integra il reato di cui all'art. 256 del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, lo smaltimento di reflui industriali in un corso d'acqua superficiale, in assenza della prescritta autorizzazione. (Nella specie, la S.C. ha chiarito che, per effetto del D.Lgs. n. 4 del 2008, non rileva più lo scarico indiretto).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PETTI Ciro - Presidente - del 22/02/2012
Dott. GRILLO Renato - Consigliere - SENTENZA
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - N. 477
Dott. MARINI Luigi - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - N. 35723/2011
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Gatti Massimo, nato a Milano il 12/5/1956;
Avverso la sentenza resa dal Tribunale di Pavia in data 10/5/2011;
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
Udita la relazione svolta in udienza dal Consigliere Dr. Santi Gazzara;
Udito il sostituto Procuratore Generale, nella persona della Dr. Cesqui Elisabetta, che ha concluso per il rigetto;
udito il difensore del ricorso, avv. Garisto Francesca Romana, che ha concluso per insistendo in ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Pavia, con sentenza del 10/5/11, ha dichiarato Gatti Massimo responsabile del reato di cui all'art. 110 c.p., D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 124, comma 1 e art. 137, comma 1, perché, quale presidente del consiglio di amministrazione della società CAP GESTIONE s.p.a., aveva predisposto e utilizzato uno scarico di reflui industriali in corso di acqua superficiale, in assenza della prescritta autorizzazione; in particolare in data 22/2/07, nell'ambito della manutenzione dell'impianto di potabilizzazione del Comune di Zibido San Giacomo, al termine di un processo di sanificazione delle cisterne, contenenti carboni attivi, mediante la immissione nelle stesse di ipoclorito di sodio, venivano scaricate le dette cisterne e le acque del processo venivano rilasciate, per mezzo di una condotta, in corso d'acqua superficiale, Roggia Moggetta, in assenza della prescritta autorizzazione; ha condannato l'imputato alla pena di Euro 2.520,00 di ammenda.
Propone ricorso per cassazione la difesa del Gatti, con i seguenti motivi:
- l'imputato andava assolto per non avere commesso il fatto, visto che dalla istruttoria dibattimentale è emerso che i lavori per la movimentazione, riattivazione e reintegro di carbone attivo granulare, necessario per effettuare il processo di sanificazione delle cisterne, funzionale alla potabilizzazione dell'acqua in quella zona, erano stati appaltati, con scrittura privata registrata l'1/2/07, dalla Cap alla Ceca Italiana srl, e che, pertanto, quest'ultima, semmai avrebbe dovuto essere ritenuta responsabile del reato contestato;
- l'imputato andava assolto perché il fatto non sussiste e/o perché il fatto non costituisce reato, in quanto le acque scaricate nella Roggia Moggetta con le modalità descritte in sentenza non possono definirsi reflui industriali, ex D.Lgs. n. 4 del 2008, art. 74, lett. ff), con la conseguenza della insussistenza della violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 137; di poi, lo stesso art. 74 definisce la nozione di scarico come qualsiasi immissione effettuata esclusivamente tramite un sistema stabile di collettamento, che collega senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore delle acque superficiali, sul suolo, in sottosuolo o in rete fognaria ed è evidente che nella specie non esisteva alcuno scarico diretto; in ogni caso, la immissione di reflui del tutto occasionale non rientra nella nozione di scarico, rendendo inapplicabile la normativa ad esso relativa. CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va rigettato.
In via preliminare è da osservare che la norma violata, indicata in imputazione non pare corretta: infatti si contesta in fatto all'imputato di avere "predisposto ed utilizzato uno scarico di reflui industriali in corso d'acqua superficiale, in assenza della prescritta autorizzazione, in particolare, il 22/2/07, nell'ambito della manutenzione dell'impianto di potabilizzazione del Comune di Zibido San Giacomo, al termine di un processo di sanificazione delle cisterne contenenti carboni attivi, veniva effettuato lo scarico di acque reflue industriali" in corso d'acqua superficiale in assenza della prescritta autorizzazione.
Orbene il D.Lgs. n. 4 del 2008 segna l'abbandono della ampia definizione di "scarico", inteso come qualsiasi immissione di acque reflue in acque superficiali, sul suolo, sul sottosuolo e in rete fognaria, adottata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, e il ritorno alla più restrittiva impostazione del D.Lgs. n. 152 del 1999
(sull'inquinamento idrico), recante le prime norme attuative della direttiva Cee n. 91/271 sul trattamento delle acque reflue urbane. Tale impostazione, la quale implica che possa parlarsi di scarico unicamente quando la immissione sia effettuata direttamente tramite condotta, viene peraltro arricchita con il riferimento a un sistema stabile di raccolta che collega il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore, e ulteriormente precisata nel senso che il collegamento non deve presentare soluzioni di continuità; se, pertanto, ai sensi del nuovo D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 74, comma 1, lett. ff), lo scarico torna ad essere solo quello "diretto"in corpi idrici recettori, la interruzione del collegamento tra la fonte del riversamento e il corpo recettore impone di qualificare la fattispecie come smaltimento di rifiuto liquido, non essendo più possibile fare ricorso alla figura di matrice giurisprudenziale dello scarico "indiretto".
Inoltre, la nuova definizione di scarico trova corrispondenza nella nuova definizione di "scarichi idrici" dettata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, mentre il successivo art. 185 conferma la esclusione delle acque di scarico dalla applicazione della parte quarta del decreto (norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati artt. 177 e segg.), fatta eccezione per i rifiuti liquidi (che vengono disciplinati dalle norme sui rifiuti). Considerato che la fattispecie in oggetto non può farsi rientrare nelle ipotesi di reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 124 e 137, ex art. 521 c.p.p., va rilevato che, ferma restando la contestazione in fatto sollevata al prevenuto, la condotta ascritta ad esso costituisca violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, "smaltimento di rifiuto liquido in difetto di autorizzazione", di talché il condannatorio va mantenuto.
Osservasi sul punto che il potere del giudice di attribuire al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nella imputazione, salvo il divieto di reformatio in peius, vale anche nel giudizio di legittimità e può riguardare, altresì, il fatto come accertato nella sentenza impugnata (Cass. 14/3/08, n.11335); il giudice può ben attribuire, ex art. 521 c.p.p., quindi, una definizione giuridica diversa senza incorrere nella violazione dell'obbligo della correlazione, quando il fatto storico rimanga identico in riferimento al triplice elemento della condotta, dell'evento e dell'elemento psicologico dell'autore, come nella specie.
Conseguentemente, nessuna incidenza può avere la natura di refluo industriale o meno delle acque in questione, in quanto le stesse sono da ritenere rifiuti liquidi.
Di poi, è da osservare che è vero che la CAP concesse in appalto, con scrittura regolarmente registrata, i lavori de quibus alla CECA e che è stato altresì provato che gli operatori avevano la convinzione che il pozzetto in cui vennero fatte defluire le acque di pulitura fosse collegato alla pubblica fognatura; ma è altrettanto vero che il titolare della Cap, prima, e di poi, quello della CECA, avrebbero dovuto accertare l'iter di smaltimento delle dette acque di pulitura dei filtri, come compiutamente evidenziato dal giudice di merito, e che gli stessi dipendenti della società CAP erano preposti al controllo della attività svolta dai dipendenti della società appaltatrice.
Peraltro la stessa Cap, nella immediatezza del verificarsi dell'evento dannoso si premurò a richiedere la autorizzazione per lo smaltimento del rifiuto.
Quanto alla eccepita insussistenza del reato derivante dalla occasionalità della immissione dei reflui va considerato come in tema di smaltimento dei rifiuti sussista il reato de quo anche se la condotta è stata posta in essere occasionalmente, non necessitando per la concretizzazione della contravvenzione de qua una reiterazione della violazione del disposto normativo, regolante la materia in questione.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2012.
Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2012